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4 I RIMEDI AI COMPORTAMENTI INADEMPIENTI DEGL

4.3 L’annullamento

Dove trova origine la possibilità di utilizzare il rimedio dell’annullamento per sanare un contratto viziato da conflitti di interessi?

In merito alla dichiarazione di annullamento, gli studiosi consideravano l’annullamento un rimedio aggiuntivo e a quello della nullità assoluta (non relativa, per i motivi di cui sopra si è detto) nel momento in cui il danno al cliente si aggiungeva all’omissione di informazione ovvero all’assenza di autorizzazione, ma al tempo stesso lo considerava un rimedio valido in via esclusiva quando il contratto arrecava un danno al cliente sebbene le norme fossero rispettate; il fatto che l’annullabilità del contratto fosse una soluzione adoperata per la violazione degli interessi del dominus, ossia nei casi di agire in nome previsti già allora dall’art. 21 comma 2 TUF, costituiva una conferma alla sua impostazione18.

Ed infatti una parte della dottrina riteneva necessaria la presenza di una lesione degli interessi del cliente per poter dichiarare l’annullamento del contratto viziato dal conflitto di interessi e privato dell’informativa

18 MAFFEIS D., Gestione individuale di patrimoni e conflitto di interessi: i rimedi a

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necessaria. Questo alla luce dell’art. 1395 c.c., nel quale il legislatore dispone che, nei contratti conclusi dal rappresentante con se stesso, l’annullamento non sia richiedibile qualora il contratto sia determinato in modo da escludere la possibilità di un conflitto di interessi. In altre parole, il contratto non può essere annullato se il conflitto di interessi ha inciso sul contenuto, ma solo se incide sul risultato dell’operazione.

Sul punto, un secondo approccio (in linea con la disciplina speciale) riteneva invece non indispensabile la realizzazione del danno nei confronti del rappresentato, poiché la disciplina sui conflitti di interesse era volta a prevenire la creazione di contratti pericolosi per il cliente/rappresentato, indipendentemente dai danni che ne possono conseguire.

Per questo motivo, le prime disquisizioni sul conflitto di interessi nelle attività e nei servizi di investimento si risolvevano con la disapplicazione delle norme speciali (in particolare art. 21 TUF, ora modificato, e 27 Regolamento n. 11522, ora abrogato) in forza dell’art. 1394 c.c.; come dimostrava la sentenza del Tribunale di Mantova 18 marzo 2004, si riteneva infatti possibile non dare rilievo alla presenza del conflitto di interessi in un’operazione poiché tale conflitto non arrecava danno al cliente. Si adduceva a motivazione il fatto che le norme speciali di cui al Testo Unico e al Regolamento derivassero dalla disciplina codicistica, per cui il legame tra fattispecie causale e fattispecie effettuale (e cioè la condizione per cui alla situazione conflittuale debba conseguire a) l’equo trattamento della clientela e b) l’informazione finalizzata all’autorizzazione) doveva essere subordinato alla presenza del danno presupposto dall’art. 1394; se questo si verificava, allora era fatta valere la responsabilità dell’intermediario e si dichiarava l’annullamento del contratto, in caso negativo non si poteva proseguire la strada della disciplina speciale.

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Invero questa prospettiva non appare corretta19, poiché la normativa

codicistica e quella speciale poggiano su presupposti affatto differenti. La norma, affermando all’art. 1394 c.c. che «il contratto concluso dal rappresentante in conflitto d’interessi con il rappresentato può essere annullato su domanda del rappresentato, se il conflitto è conosciuto o riconoscibile dal terzo», considera rilevante come fattispecie causale la contrarietà del contratto all’interesse del cliente, e solo in un secondo momento considera l’incidenza del conflitto di interessi (esclusivamente congiunta al fatto che il conflitto deve essere conosciuto o conoscibile dal contraente), mentre l’articolo 21 TUF possiede come fattispecie causale la presenza del conflitto di interessi.

Non era dunque questo il ragionamento da seguire se si voleva determinare l’annullabilità del contratto, poiché la dottrina poneva l’accento sulla situazione - conflitto, al punto che «il divieto legale a carico dell’intermediario di compiere operazioni in difetto di informazione e di successiva autorizzazione del cliente opera sul semplice presupposto della presenza di un interesse in conflitto (situazione) ed indipendentemente dall’incidenza dell’interesse sulla condotta dell’intermediario (azione) o sui termini dell’operazione (risultato dell’azione)»20.

Per sostenere questo rimedio, era invece necessario identificare l’assenza della comunicazione come una violazione di doveri comportamentali a cui sottostava l’intermediario nella fase prenegoziale, qualora ricorressero le condizioni previste dagli artt. 1427 ss. c.c. A questa conclusione approdava Cassazione n. 19024/2005, precisando che la forma scritta prevista alla lettera g)21 dell’art. 6 l. 1/91 e dai provvedimenti

19 MAFFEIS D., Conflitto di interessi nella prestazione di servizi di investimento: la prima

sentenza sulla vendita a risparmiatori di obbligazioni argentine (Nota a T. Mantova, 18 marzo

2004, Gambuti Menani c. Banca agr. Mantovana) in Banca, borsa ecc., 2004, II, p. 452.

20 Tribunale di Milano, 7 gennaio 2009.

21 La quale vieta agli intermediari di effettuare operazioni con o per conto della propria

clientela se hanno direttamente o indirettamente un interesse conflittuale nell’operazione, a meno che non abbiano comunicato per iscritto al cliente la natura e l’estensione del loro interesse

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successivi (d. lgs. 415/96 e TUF) riguardava atti da compiersi prima della conclusione del contratto.

Per completare l’analisi si ricorda che «l’omissione di informazioni espressamente dovute per legge o per regolamento, al fine di assicurare la formazione di un consenso consapevole del cliente, [poteva operare] quale causa di annullamento per raggiro omissivo, anche colposo, ai sensi dell’articolo 1439 c.c. ogni volta che il cliente avesse provato che la specifica informazione non fornita dall’intermediario non era già in suo possesso, con la conseguenza che la dichiarazione reticente o l’omessa informazione avrebbero inciso sul suo consenso rendendolo meno consapevole di quanto avrebbe dovuto essere.»22