3 POLITICHE DI GESTIONE DEI CONFLITTI DI INTERESSI
3.1 Premessa
Se eliminare i conflitti d’interesse non è possibile, è tuttavia necessario gestirli.
Nel presente capitolo si fornisce un elenco di quelle che possono essere le misure adottate dagli intermediari per dirimere le situazioni conflittuali, senza tuttavia dimenticare che, come la legge prescrive e gli stessi intermediari affermano nei loro codici di disciplina, le porte sono aperte a qualunque misura sia ritenuta appropriata e necessaria per gestire la circostanza concreta qualora i regolamenti non fossero sufficienti. Non si trovano nella legislazione norme dettagliate e prescrittive su tale argomento, ma piuttosto dei principi generali che permettono notevole autonomia decisionale agli intermediari, in linea con le esigenze dettate dall’evoluzione dei mercati regolamentati; a tal proposito, infatti, la Consob si è giustificata asserendo che «come già dichiarato dal Parlamento, è consapevole che nell’emanare la regolamentazione non coglierebbe il senso della riforma se alla delegificazione non facesse seguire una deregolamentazione: testi snelli, concepiti come regole di principio più che di una diminuzione precettistica; delega al mercato, alle associazioni e ai singoli soggetti di funzioni che possono essere da essi efficacemente svolte.»1
L’elaborazione di queste politiche comporta un costo ingente per le società, in particolar modo quando si manifestano più conflitti da gestire simultaneamente; è per questo che l’adozione deve essere fatta in misura appropriata e proporzionata alla natura, alla dimensione e complessità dell’attività della società e del gruppo considerando obiettivamente quale sia l’entità del rischio di danno che un determinato conflitto di interessi
1 CONSOB, Incontro annuale con il Mercato Finanziario, Milano, discorso del Presidente
89
può arrecare ai clienti della società. A questo proposito illuminanti sono i due criteri-guida che l’Assosim elenca nella sua guida pratica, criteri che comunque sono ampiamente validi per tutti gli intermediari di cui si occupa:
«quanto più grave è il rischio di danno per i clienti, che scaturisce da una determinata situazione di conflitto, tanto più impegno e risorse si potrà pretendere, in linea di massima, che l’intermediario impieghi nella predisposizione di idonee misure di gestione; ma d’altra parte e per converso, quanto maggiore è il costo dell’adozione di determinate misure (sia
economico, sia in termini di appesantimento e irrigidimento dell’apparato organizzativo dell’intermediario) tanto meno facilmente si potrà pretendere che quelle misure siano adottate dagli intermediari o che più misure siano adottate per gestire il conflitto. Nel valutare la capacità di un intermediario di adottare determinate misure, in relazione agli oneri che comportano, bisognerà tenere conto della dimensione dell’intermediario, della sua natura, della complessità dell’attività svolta, della tipologia e della varietà dei servizi prestati. E si potrà esigere l’adozione solo di quelle misure che, in rapporto a tutto ciò, appaiono ragionevoli.»2
Il fine di queste politiche, ormai è chiaro, consiste nell’evitare il pregiudizio del cliente nonché, nel caso delle società di gestione del risparmio, degli OICR gestiti e dei loro partecipanti, in termini di maggiori oneri ovvero minor utili percepiti.
Per il perseguimento del suddetto obiettivo si rende necessario porre in atto delle politiche volte sì alla gestione del conflitto di interesse, ma più in particolare indirizzata a permettere ai soggetti rilevanti di operare nelle varie attività che implicano un conflitto con un grado di indipendenza che, per i criteri di proporzionalità già esposti e secondo quanto disposto (e successivamente recepito) dall’art. 22 D2, sia proporzionato alle
90
dimensioni e alle attività della società e del gruppo a cui essa appartiene, nonché anch’esso adeguato all’entità del rischio.3
In sintesi, va ricercato il giusto equilibrio tra la prescrizione di comportamenti possibile e l’efficienza del modello imprenditoriale.
I costi che l’intermediario deve sostenere per adottare queste politiche e più in generale per adempiere agli obblighi normativi imposti dalla MIFID sono ingenti e non trascurabili nelle valutazioni che esso svolge in merito al come e al quanto applicarsi. In particolar modo, risulta onerosa la creazione delle funzioni addette al monitoraggio della conformità alle norme (Compliance e Internal Audit)4 e di conseguenza la presenza di
situazioni paralizzanti5 (c.d. overdeterrence) previsti in caso di grave e
sistematica violazione. L’incidenza di tali costi è certamente più rilevante negli intermediari di piccole e medie dimensioni e ciò conduce a valutazioni in merito alla sostenibilità di tali costi e di conseguenza alle considerazioni legate alla concorrenzialità nel mercato di queste società. Nel misurarsi con questa problematica la MiFID ha utilizzato «un duplice
3 Si veda, in tal proposito, il capitolo I.
4 Ex art. 6 D2 gli intermediari hanno l’obbligo di istituire, applicare e mantenere
politiche che individuino il rischio di mancata osservanza della normativa MIFID nonché i rischi che da essa derivano; inoltre, sono tenuti a mettere in atto misure e procedure idonee a minimizzare tale rischio. Tale funzione di verifica dell’adempimento deve essere permanente, efficace, indipendente e investita delle seguenti responsabilità: controllare e valutare regolarmente l’adeguatezza e l’efficacia della procedure e delle misure adottate per rimediare, fornire consulenza ed assistenza ai soggetti rilevanti incaricati dei servizi di investimento. Per fare ciò, la funzione di Compliance deve disporre dell’autorità, delle risorse e delle competenze necessarie, nonché dell’accesso alle informazioni, deve dotarsi di un responsabile, i soggetti che partecipano a tale funzione devono godere delle caratteristiche di indipendenza (ossia non devono partecipare a quelle attività che sono chiamati a controllare), sono remunerati in modo tale da non compromettere l’obiettività del loro lavoro. L’art. 8 D2 rubricato Audit interno, spinge le imprese di investimento, in relazione alla loro natura, dimensione e complessità dell’attività svolta, a predisporre una funzione separata ed indipendente dalle altre alla quale sono attribuite le seguenti responsabilità: l’adozione, l’applicazione e il mantenimento di un piano per la valutazione dell’adeguatezza e dell’efficacia dei sistemi di controllo interno, la formulazione di raccomandazioni relative alle operazioni suddette e il comunicare del questioni relative all’Audit interno.
5 Come può essere ad esempio la revoca dell’autorizzazione all’esercizio dei servizi di
91
criterio di flessibilità»6: da un lato la predisposizione normativa ad indicare
lo scopo delle disposizioni organizzative messe in atto, e non piuttosto il mezzo per il conseguimento del fine (fine che, nel caso in questione, è l’evitare che i conflitti incidano negativamente sugli interessi dei clienti), dall’altro la previsione del principio di proporzionalità di cui si è già discusso.
Anche la guida ASSOSIM evidenzia questa problematica, spiegando come elevati costi di gestione dei conflitti d’interessi possano condurre a un irrigidimento e appesantimento della struttura finanziaria; a tal proposito, dunque, indica sinteticamente quelli che possono essere i presidi meno onerosi («vigilanza separata, retribuzione dipendenti, misure atte ad impedire influenze indebite») e quelli maggiormente onerosi («divieto di partecipazione simultanea di servizi, barriere informative, divieto di operare in conflitto, restricted e watch list»).
Le procedure che gli intermediari mettono in atto si suddividono sostanzialmente in due filoni: da un lato le misure organizzative di cui le società si dotano e dall’altro gli obblighi di comunicazione.