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Interventi e servizi specifici per la tutela dei minor

PARTE SECONDA

2. Quando la rete familiare non funziona più: interventi messi in atto per cercare di riabilitarla

2.3. I diritti dei minori e la loro tutela

2.3.2. Interventi e servizi specifici per la tutela dei minor

Fino ad ora abbiamo visto dal punto di vista legislativo le norme che tutelano i minori e i principali attori istituzionali predisposti a questo. Ma volendoci focalizzare sui compiti che i servizi sociali di tutela minori svolgono, è bene evidenziare i principali interventi che tali servizi devono mettere in atto per tutelare “nella pratica” il soggetto minore.

Innanzitutto l’assistente sociale deve procedere alla segnalazione alla Magistratura minorile in modo tempestivo nei casi in cui vi sia (Cesaroni, Lussu, Rovai, 2000): - presumibile abbandono di minore (art. 9, comma 1, L. 184/1983);

- conoscenza di un reato perseguibile d’ufficio a danno di un minore straniero vittima dei reati di prostituzione e pornografia minorile o di tratta e commercio (art. 25-bis, comma 1, L. 269/1998, R.D.L. n. 1404/1934);

- conoscenza del rischio di coinvolgimento di minori in attività criminose (art. 1, comma 2, L. 216/1991);

- proroga di un affidamento familiare o di un collocamento in comunità oltre il termine stabilito o anticipo della cessazione (art. 4, comma 5, L. 184/1983);

- allontanamento di un minore dal proprio nucleo familiare a norma dell’art. 403 c.c.24;

- conoscenza di un reato perseguibile d’ufficio commesso da un minore;

- notizia dell’ingresso o della presenza sul territorio dello Stato di un minore straniero non accompagnato (art. 5 D.P.C.M. 535/1999).

Le segnalazioni sono atti obbligati e si rivolgono alla Procura presso il Tribunale per i Minorenni. Vi sono anche le segnalazioni considerate “facoltative” (poiché avvengono non al manifestarsi di una condizione obiettiva, ma per una valutazione discrezionale del Servizio), che sono relative a (Cesaroni, Lussu, Rovai, 2000):

- situazioni di rischio25 che esigono un intervento di protezione operando sulla potestà dei genitori, secondo il dovere di vigilanza sulle realtà sociali (ex D.P.R. 616/1977, L. 328/2000 e art. 1, comma 2, L. 216/1991).

24 L’art. 403 Codice Civile recita: «quando il minore è moralmente o materialmente abbandonato o è

allevato in locali insalubri o pericolosi, oppure da persone per negligenza, immoralità, ignoranza o per altri motivi incapaci di provvedere all’educazione di lui, la pubblica autorità , a mezzo degli organi di protezione dell’infanzia, lo colloca in un luogo sicuro, sino a quando si possa provvedere in modo definitivo alla sua protezione».

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Una situazione è a rischio quando un minore sta subendo o ha subito un danno significativo (Children Act, 1989).

69 Si denunciano alla Procura Ordinaria i casi di pregiudizio del minore in cui siano presenti comportamenti di adulti che fanno sospettare la possibile commissione presente o passata di fattispecie di reato a danno di minorenni. Il fondato indizio di un abuso non deve essere divulgato nell’ambito della famiglia del minore, a causa del rischio di vanificare le attività investigative dell’Autorità Giudiziaria. Inoltre, si segnalano direttamente al T.M. le situazioni di abbandono per l’apertura della procedura di adottabilità, e nei casi di assoluta urgenza in cui bisogna assumere un provvedimento immediato, entro poche ore (art. 336, comma 3 c.c.), con la particolarità che, ove il T.M. non ravvisi l’assoluta urgenza, la segnalazione viene rinviata alla Procura della Repubblica per i minorenni affinché valuti se assumere l’iniziativa (Cesaroni, Lussu, Rovai, 2000).

La segnalazione deve contenere tutti gli elementi descrittivi della situazione familiare, personale e sociale del minore, gli elementi di rischio rilevati, eventuali preesistenti rapporti con i servizi, la valutazione, la prognosi di recuperabilità genitoriale e il progetto di intervento del professionista che l’ha redatta. Inoltre, come esplicita Campanini (2010), è bene evidenziare che

Il ricorso al T.M. attraverso la segnalazione non rappresenta una semplice richiesta di punire un comportamento giudicato dall’assistente sociale inopportuno o sbagliato, ma è la mossa che sposta il livello di aiuto. (…) La segnalazione, in un certo senso, costringe l’utente a uscire dal suo sistema di relazioni e di significati, vuole sottolineare che quel comportamento messo in essere ha implicazioni sociali che riguardano e interessano anche la comunità nella quale la famiglia è inserita (Campanini, 2010, p. 201).

La scelta di segnalare è utile e necessaria quando dalla valutazione della situazione emergono due condizioni (Ardesi, Filippini, 2008):

1. i minori vivono quotidianamente una situazione di grave disagio e sono esposti a gravi rischi che di fatto non consentono un adeguato sviluppo psicofisico;

2. i genitori o anche uno solo di loro non sa, non può o non vuole riconoscere e accogliere le sofferenze che i figli manifestano attraverso i diversi segnali rilevati. Gli interventi in situazioni di emergenza sono invece previsti dall’art.403 c.c. e sono interventi immediati della pubblica autorità in favore di minori che si trovano materialmente o moralmente abbandonati o quando sono allevati ed educati in locali insalubri o pericolosi, da persone incapaci di provvedere alla loro educazione e

70 istruzione (Ardesi, Filippini, 2008). In questi casi la pubblica autorità, per mezzo degli organi di protezione dell’infanzia, provvede ad allontanare il minore e a collocarlo in un luogo sicuro. L’art. 403 è disposto dal Sindaco e deve essere comunicato tempestivamente all’Autorità Giudiziaria che provvede alla sua eventuale ratifica.

La valutazione dello stato di abbandono, che per la L. 184/1983 si verifica quando i minori sono “privi di assistenza morale e materiale da parte dei genitori o dei parenti tenuti a provvedervi, purché la mancanza di assistenza non sia dovuta a forza maggiore di carattere transitorio” (art. 8), si deve basare su criteri ed indicatori precisi e ben definiti26 (Cesaroni, Lussu, Rovai, 2000) e, possibilmente, dovrebbe essere multidisciplinare, quindi condivisa con altri professionisti (psicologo, pediatra, neuropsichiatra infantile, ecc.). Dal comprovato stato di abbandono, deriva la condizione di adottabilità del minore.

Affidamento familiare

L’affido familiare, invece, viene applicato quando il minore vive una temporanea privazione di un ambiente familiare idoneo. Il T.M., ai sensi della L. 184/1983, emette un provvedimento di affido ad un altro nucleo (o in una casa-famiglia, o in una comunità educativa), nel quale vengono esplicitate: le motivazioni che spingono a questo collocamento, le modalità attraverso le quali i genitori naturali devono mantenere un rapporto con i figli, e la durata che è di massimo 24 mesi prorogabili dal T.M. (Ardesi, Filippini, 2008). L’impegno dei servizi sociali dei Comuni e dei Servizi materno-infantili è quello di sostenere la famiglia di origine nel recupero delle sue funzioni e nel superamento delle difficoltà, nel supporto alla famiglia affidataria e al minore, monitorando costantemente l’andamento del progetto. L’allontanamento del minore dal suo nucleo familiare può avvenire in modo consensuale, con la collaborazione dei genitori (Ardesi, Filippini, 2008), oppure per via giudiziale attraverso un provvedimento del T.M.

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Le autrici fra gli indicatori elencano: sofferenza fisica (violenza fisica, violenza sessuale, malnutrizione, disappetenza, non accrescimento, trascuratezza, cattiva cura dell’igiene personale e dell’ambiente, incapacità da parte dei genitori di rilevare stati di malattia e di seguire le regole sanitarie); sofferenza psichica (ritardo evolutivo, disturbi nell’apprendimento, disturbi del comportamento, difficoltà significative rilevate nell’ambito scolastico, forzato isolamento in casa, permanenza del minore in ambienti malavitosi e/o di strada, lunghe permanenze in istituto, assenteismo scolastico); sofferenza socio-ambientale (conflitti e violenze fra i genitori e/o i conviventi, disadattamento ed emarginazione dei genitori o delle figure genitoriali), disturbi di tipo psichiatrico in famiglia, gravi difficoltà socio- economiche-ambientali, relazioni intrafamiliari disturbate, separazioni.

71 Nell’ambito dell’affido familiare i servizi sociali effettuano quindi un’attenta valutazione della famiglia d’origine, per esaminare la genesi delle sue problematiche e decidere se l’intervento dell’allontanamento temporaneo del minore sia necessario, ed eventualmente con quali modalità e tempi (Pezzoli, 2009). Attraverso gli interventi di sostegno psico-sociale alla famiglia naturale si lavora sia per prevenire l’allontanamento del minore sia, se questo non è possibile, per il superamento delle problematiche rilevate ed, eventualmente, favorire il suo rientro a casa. Si tratta di interventi molto complessi che richiedono una lettura attenta delle dinamiche familiari ed un buon utilizzo delle funzioni di sostegno e di controllo, in quanto la famiglia naturale può mostrarsi collaborativa oppure avere atteggiamenti negativi, ostili o di rifiuto (Pezzoli, 2009). Pertanto l’operatore dovrà sostenere la famiglia nella comprensione e nella consapevolezza che l’intervento di allontanamento del minore non è irreversibile e non ha una finalità punitiva, ma è una conseguenza dei comportamenti che hanno determinato un malessere ed un pregiudizio nei confronti del benessere psicofisico del minore (Cesaroni, Lussu, Rovai, 2000).

Nel corso del periodo di affidamento è necessario mettere in atto interventi di sostegno psico-sociale alla famiglia affidataria scelta (dopo un’attenta valutazione dell’idoneità) per facilitare la buona riuscita del progetto (Pezzoli, 2009). L’attività di sostegno può essere messa in atto attraverso gruppi di affidatari che, dallo scambio di esperienze e vissuti, con la guida degli operatori, possono agevolare l’espressione dei problemi riscontrati, sperimentare un confronto costruttivo e creativo con chi sta vivendo la stessa esperienza. Pezzoli (2009) ricorda che negli affidi il tema che si propone costantemente è quello dell’asimmetria tra le due famiglie (naturale e affidataria) e la difficile elaborazione da parte del bambino del conflitto di lealtà verso l’una e l’altra famiglia, mentre per i genitori affidatari il costante riproporsi dell’elaborazione del lutto legato alla transitorietà dei legami.

Inserimento in comunità residenziali

L’inserimento nelle comunità residenziali viene disposto dal servizio sociale e/o dall’Autorità Giudiziaria quando il minore vive una situazione di temporaneo pregiudizio nel suo contesto familiare, oppure ne è del tutto privo, e non è possibile collocarlo presso una famiglia affidataria (perché non è disponibile la risorsa o perché le condizioni del minore sono tali da non rendere opportuno l’intervento, o quando si

72 mette in atto un inserimento transitorio in attesa di un pronunciamento dell’Autorità Giudiziaria che può decidere per l’affido o l’adozione). Le comunità residenziali quindi sono strutture che accolgono bambini e adolescenti temporaneamente privi di un contesto familiare adeguato (Cesaroni, Lussu, Rovai, 2000). Si distinguono:

- le comunità pedagogico-assistenziali, con finalità educativo assistenziali; - le case famiglia che prevedono la presenza stabile di una coppia di adulti; - le comunità educative per adolescenti e giovani.

Prima di effettuare il collocamento in struttura è pertanto necessario una conoscenza dettagliata delle strutture presenti sul territorio (organizzazione, approcci educativi e metodologici, modalità di accesso, programmi e attività presenti) per individuare quelle più idonee nella situazione specifica. I servizi sociali, nell’effettuare il collocamento devono elaborare un progetto educativo contenente le motivazioni, gli obiettivi, i tempi e le modalità di inserimento (Cesaroni, Lussu, Rovai, 2000).

Assistenza educativa domiciliare

L’assistenza educativa domiciliare ha come finalità quella di evitare l’allontanamento del minore dalla famiglia; l’obiettivo dell’intervento domiciliare è quindi orientato alla responsabilizzazione genitoriale delle figure parentali, e si concretizza con l’inserimento di una figura educativa nel nucleo per alcune ore settimanali in relazione al progetto in atto (Cesaroni, Lussu, Rovai, 2000).

Partendo proprio da quest’ultimo strumento operativo dei servizi sociali, nel prossimo capitolo analizzerò un programma di intervento, nato in questi ultimi anni, finalizzato alla prevenzione dell’allontanamento e all’istituzionalizzazione minorile: il programma P.I.P.P.I.

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