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4 LE RICERCHE SUL BULLISMO IN ITALIA

4.1 Introduzione

A mano a mano che il fenomeno del bullismo si afferma quale terreno di ricerca in tutto il mondo ,anche nel nostro paese si cominciano a progettare in- dagini che possano dare contezza della presenza e dell'estensione del fenomeno all'interno delle nostre scuole.

Il primo problema che si è posto è stato quello di dare una definizione del termine “bullismo” capace di essere resa operativa. Tale necessità si è palesata ancora più stringente per via del fatto che nella nostra lingua il termine “bullo”è un termine polisemico, infatti il Dizionario della lingua italiana Devoto-Oli ri- porta: “Teppista, bravaccio. Come agg. Sfrontato spavaldo. … In senso non cat- tivo bellimbusto , giovane ridicolo...” (Devoto-Oli ,2005). Da tale definizione risulta più che evidente che il bullo può all'estremo negativo essere colui che compie atti di teppismo ovvero - incamminandoci su un ipotetico continuum di gravità degli atti compiuti - un soggetto sfrontato e spavaldo le cui intemperan- ze sono solo di tipo verbale , fino ad arrivare all'estremo “positivo” in cui il bullo è solo una sorta di personaggio da commedia scarpettiana che nei suoi tentativi di farsi bello , principalmente con avvenenti signorine , non danneggia nessuno ma suscita sana ilarità.

Per superare tale problematica sono state applicate delle metodologie dif- ferenti dai vari ricercatori.

Ada Fonzi , che possiamo considerare il pioniere nel campo della ricerca in Italia ha portato nel nostro paese – ovviamente adattandola -la metodologia utilizzata ab- origine nei paesi scandinavi da Olweus e poi successivamente un po' in tutta l'Europa centro-settentrionale. Si tratta di un questionario di 28 do- mande mediante il quale si cerca di indagare il tipo di prepotenza fatta o subita e quantificarne la frequenza. Le domande erano del tipo : “quante volte hai su- bito prepotenze negli ultimi sei giorni di scuola?”, “in che modo hai subito pre- potenze?” (A. Fonzi, 1997 : 7). La compilazione del questionario è stata ac- compagnata ad una spiegazione verbale di cosa considerare “prepotenza” esclu- dendo da tale definizione le fattispecie in cui i ragazzi che si affrontano hanno all'incirca la stessa forza (cit. 8) – mancanza di asimmetria nel potere – oppure quei litigi occasionali – mancanza di ripetizione nel tempo delle condotte ag- gressive – (vds. Paragrafo 2 ).

stica l'estensione semantica. Infatti non c'è sicuramente equivalenza semantica tra l'Italiano “prepotenza” e l'inglese “bullying” essendo il primo concetto sicu- ramente molto più ampio (cit.) .

Per evitare proprio tale problematica Prina , in una ricerca del 2000 effet- tuata presso alcune scuole primarie e secondarie di primo grado nella provincia di Torino ha individuato 26 fattispecie in cui si può sostanziare il comportamen- to “bullistico”. Nel questionario elaborato per la scuola media - similmente a quello proposto alle elementari -si poneva la seguente domanda : “ Dall’inizio dell’anno scolastico puoi indicare se e quante volte a scuola (in classe, nei cor- ridoi, in altri locali, nel cortile o appena fuori della scuola) ti sono successi i se- guenti fatti? (indica molte volte se è successo più di 10 volte, qualche volta se è successo da 3 a 10 volte, oppure una/due volte o mai) ” ;dopodiché si propone- vano 26 fattispecie di comportamento aggressivo/prevaricatore che andavano dall'insulto agli “ scherzi di tipo carnevale” fino a “picchiato da un compagno” o “palpeggiato in parti intime” (Prina , 2000 : 122).

Al contrario le indagini biennali effettuate a livello europeo, e anche in Italia, denominate Health Behaviour in School-aged Children (HBSC) study effettuate dalla World Healt organization – Europe continuano a basarsi sui questionari bully/victim di Olweus , pertanto sono simili nell'impostazione alle ricerche succitate coordinate da Ada Fonzi . Non è dato sapere , però , come sia avvenuta la traduzione del termine “bullying” , se ancora con “prepotenze” op- pure in altro modo – ipotesi più probabile vista , come vedremo in seguito, la differenza di risultati -.

A nostro parere la difficoltà nel definire cosa intendere per bullismo alla fine degli anni '90 e nei primi anni del presente decennio era dovuta anche al fatto che il bullismo fosse un termine ancora da addetti ai lavori, che però in po- chissimo tempo è assurto , anche in Italia, agli onori della cronaca essendo stato trattato su innumerevoli articoli di diverse testate giornalistiche ,in programmi televisivi di qualunque fascia oraria e in svariate pubblicazioni. Tale profluvio di informazione ha avuto , a nostro parere , meriti e demeriti. Partendo dai de- meriti sicuramente la carta stampata e la TV hanno talvolta associato al termine bullismo anche dei comportamenti che in realtà ne hanno poco a che fare, si pensi al titolo del Corriere della Sera dell' 11 settembre 2007 dal titolo “Svasti- che e aule allagate a Torino Fioroni: «Bocciatura per i bulli»”. Dall'altro però hanno fatto entrare il termine bullismo nel linguaggio comune e , a nostro pare- re, generalmente, nella giusta accezione di significato.

A dimostrazione di ciò, la prima indagine nazionale del CENSIS dell'apri- le 2008 indirizzata a saggiare la conoscenza del fenomeno da parte dei genitori e realizzata per mezzo di interviste telefoniche ,ha utilizzato direttamente il ter- mine bullismo nel chiedere ai genitori stessi se fossero in qualche nodo venuti a conoscenza di episodi all'interno delle classi dei figli (CENSIS , 2008).

Fatte queste dovute precisazioni in merito alla definizione del termine bullismo , cominciamo ad analizzare le risultanze delle ricerche effettuate in Italia.