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L’introduzione nel tessuto normativo della definizione di datore di lavoro (ai fini della sicurezza) e, poi, di datore di lavoro pubblico impegnò molto

Nel documento La sicurezza sul lavoro negli Enti locali (pagine 71-75)

La sicurezza sul lavoro nella Pubblica amministrazione

III.3 Una prima definizione di datore di lavoro pubblico nel d lgs 242/

III.3.1 L’introduzione nel tessuto normativo della definizione di datore di lavoro (ai fini della sicurezza) e, poi, di datore di lavoro pubblico impegnò molto

la dottrina sugli aspetti più particolari che la norma lasciava alla riflessione. Molti di questi temi sono ancora attuali, anche se nel frattempo la definizione è venuta a mutare con l’intervento del 2008. In questa sede ci si limiterà, allora, ad esporre un particolare dibattito che riteniamo essere stato quasi del tutto superato dal Testo unico.

In considerazione della definizione normativa predetta, che escludeva formalmente la responsabilità dell’organo politico, si era obiettato come in buona parte delle amministrazioni pubbliche non si poteva legittimamente negare l’identificazione di questo (il vero “capo dell’ente”) con il datore di lavoro,

72 indipendentemente da quanto previsto dalla lettera b) dell’art. 2 d. lgs. 626/1994, come riformulato dal d. lgs. 242/199658.

Si evidenziava come la definizione di datore di lavoro pubblico di allora fosse stata tracciata appositamente per alcune tipologie di amministrazioni e, precisamente, per le sedi locali delle amministrazioni centrali nelle quali «l’organo di vertice [amministrativo, N.d.A.] è effettivamente dotato di idonea

qualifica dirigenziale e, la lontananza, anche geografica, dall’organo politico ministeriale fa propendere per una qualificazione del dirigente locale come datore di lavoro ai fini della sicurezza»59.

Negli enti locali, specie se di piccole dimensioni, invece, secondo tale opinione, la vicinanza dell’organo politico con le strutture lavorative non avrebbe potuto determinare una totale esclusione dell’obbligazione di sicurezza in capo all’organo politico (sindaco, presidente della provincia, ecc.), quindi, non essendo ammissibile una ricaduta automatica della responsabilità sui dirigenti60.

Si trattò di una tesi molto netta, che si pose contro il dato normativo (ritenuto “non esaustivo”61), ma che, ricomparendo rimodulata sotto vari aspetti in alcune pronunce giurisprudenziali, sarà poi in parte recepita dal legislatore nella definizione del 2008. Va qui, però, anticipato che nel Testo unico si porranno dei chiari requisiti affinché possa sorgere una responsabilità degli organi politici, a fronte di quella “naturale” dei dirigenti (v. § III.4).

Per le stesse ragioni destava perplessità il citato art. 30 d. lgs. 242/1996, che, secondo tale impostazione, avrebbe attribuito agli organi politici «la facoltà di

escludere dal proprio status spiacevoli responsabilità, individuando, all’interno dell’organizzazione di cui sono posti al vertice, datori di lavoro c.d. “secondari” dotati di una imprecisata autonomia gestionale»62. Secondo l’autore spesso, nella pratica, tali soggetti sarebbero stati, al contrario, privi dei poteri decisionali e di spesa e di quell’autonomia tecnico-funzionale che invece sarebbe stata richiesta solo nel primo periodo della stessa lettera, per i datori di lavoro non appartenenti

58 F. BACCHINI, Sicurezza e salute dei lavoratori sul luogo di lavoro: i soggetti passivi,

informazione e formazione, attività di vigilanza, Padova, 1998, pp. 16-17, che fa proprio A. TAMPIERI, cit., pp. 133-134.

59 A.TAMPIERI, cit., pp. 134-135.

60 A. TAMPIERI, cit., pp. 134-135 e L. ANGELINI, Seminario sull'applicazione della 626 nelle

pubbliche amministrazioni, in www.olympus.uniurb.it, 27 Maggio 2006.

61 A.TAMPIERI, cit., p. 135. 62 F. BACCHINI, cit., p. 17.

73 alla pubblica amministrazione. Per questo motivo si deduceva l’esistenza di «una

chiara e inquietante disparità di trattamento»63 tra i due settori; cosicché, in un caso, il datore di lavoro privato sarebbe stato il titolare dei poteri decisionali e di spesa, mentre, nell’altro, il datore di lavoro pubblico sarebbe stato individuato soltanto come il titolare dei poteri di gestione64.

Il risultato sarebbe stato una tutela della sicurezza nel settore pubblico meno incalzante che nel settore privato65.

Si trattava, a ben vedere, di una lettura distorta della norma: la definizione per il settore pubblico altro non era (e non è tuttora) che una precisazione della più generale nozione di datore di lavoro, di cui al primo periodo. Per cui se nella enunciazione generale si richiedono alcuni requisiti (quali, appunto, i poteri decisionali e di spesa) è chiaro che tali requisiti devono pure accompagnarsi con la nozione specifica di datore di lavoro pubblico, che può avere se mai un quid

pluris, ma di certo non qualcosa in meno della figura generale66.

Che le disposizioni non fossero chiare, però, emergeva anche dal fatto che molti enti locali avessero segnalato difficoltà in ordine alla corretta individuazione del datore di lavoro67, tanto da richiedere l’intervento del Ministero dell’Interno, che tentò di fornire gli opportuni chiarimenti in merito con la Circolare n. 3 del 17.12.199668.

L’Esecutivo spiegò come il legislatore avesse voluto lasciare ampi spazi all’autonomia di ogni singolo ente, che avrebbe dovuto provvedere

63 F. BACCHINI, cit., p. 17. In termini simili anche R. GUARINIELLO,Datore di lavoro: definizione e

compiti, in DPL ORO, 5, 1996, p. 19.

64 In questo senso anche L. ANGELINI, cit. e R. GUARINIELLO,cit., p. 19.

65 R. GUARINIELLO,cit., p. 19, che adduceva due effetti: la supposta esclusione degli organi politici

da novero dei soggetti responsabili e la mancata possibilità di addebitare ai responsabili del settore pubblico le violazioni che trovassero causa nel mancato o inadeguato esercizio di poteri decisionali e di spesa esorbitanti dai confini dei poteri di gestione di propria spettanza. Due timori che, come si vedrà, verranno fugati dalla giurisprudenza, prima, e dal legislatore, poi.

66 Va detto che l’autore da ultimo citato risolveva il conflitto facendo operare, anche per il settore

pubblico, la definizione generale di cui al primo periodo, giungendo pressoché allo stesso risultato.

67 Si lamentava che, malgrado l’intervenuta scadenza del termine indicato nell’art. 30, c. 1, d. lgs.

242/1996, solo alcuni degli organi ivi indicati avevano provveduto all’individuazione dei «soggetti

destinati a recitare l’ingrata parte di datore di lavoro nei singoli uffici» (R. GUARINIELLO,cit., p. 19).

L’autore suggeriva, sin che tale nomina facesse difetto, l’applicazione della definizione “generale” di cui all’art. 2, c. 1, lett. b), primo periodo, d. lgs. 626/1994.

74 all’individuazione dei soggetti responsabili con gli strumenti dello statuto e del regolamento69.

Tale fonte tentava anche di offrire una strategia per le piccole realtà locali in cui non fossero presenti figure dirigenziali: citava altra Circolare, sempre del Ministero dell’Interno (la n. 6 del 199370), secondo cui le funzioni gestionali e amministrative, negli enti privi delle predette qualifiche dirigenziali, sono correttamente affidate al personale appartenente alle figure apicali massime ivi previste, ferme restando le diverse specifiche funzioni del segretario comunale.

E aggiungeva come ciò fosse stato confermato nel C.C.N.L. 1994-1997 per il comparto del personale non dirigenziale delle regioni e delle autonomie locali, che, all’art. 45 (rubricato “Disposizioni particolari per gli Enti di piccole dimensioni”), disponeva: «Per gli enti locali nei quali, ai sensi delle vigenti

disposizioni, non è prevista la qualifica dirigenziale, i poteri e le prerogative che il presente contratto attribuisce al dirigente si intendono riferiti, fatte salve eventuali diverse disposizioni degli Statuti o dei Regolamenti degli enti medesimi, al personale che, sulla base dei singoli ordinamenti, è preposto a strutture organizzative di massima dimensione, purché ascritto a qualifiche funzionali che prevedano, come requisito di accesso, il titolo della laurea. L'esercizio di tali poteri e prerogative non costituisce svolgimento di mansioni superiori.

Qualora non sussistano le condizioni per applicare la disposizione del comma 1, i summenzionati poteri e prerogative si intendono riferiti al segretario comunale».

Inoltre, l’art. 19, c. 2, del d. lgs. 11.6.1996, n. 336 (che ha modificato il d. lgs. 25.2.1995, n. 77) prevedeva espressamente che «per i comuni con popolazione

inferiore ai 10.000 abitanti l'organo esecutivo può, con delibera motivata che riscontri in concreto la mancanza assolutamente non rimediabile di figure professionali idonee nell'ambito dei dipendenti, affidare ai componenti dell'organo esecutivo medesimo la responsabilità dei servizi, o di parte di essi, unitamente al potere di assumere gli atti di gestione».

In forza di ciò nella Circolare si concludeva asserendo che il datore di lavoro sarebbe stato il funzionario a cui, a termini di regolamento, fosse affidata la responsabilità del servizio, o nel caso in cui tale figura non fosse presente (per i

69 Faceva riferimento al c. 1 dell’art. 51 della l. 142/1990. 70 In G.U. 20.7.1993, n. 168.

75 comuni con popolazione inferiore ai 10.000 abitanti) l’assessore competente per materia, o addirittura, l’intera Giunta comunale.

Si trattava, quindi, di una diretta (ri)chiamata in causa degli organi politici probabilmente esorbitante la volontà del legislatore del 1996.

Da ciò si comprende, comunque, come nonostante l’intervento normativo presuntivamente risolutivo, la questione sul “rimpallo” di responsabilità tra gli organi politici e gli organi amministrativi negli enti locali fu, anche in seguito, tutt’altro che sopita.

III.3.2 La giurisprudenza che ebbe a venire, sul tema, fece grande uso del

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