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L’invalidità del provvedimento amministrativo L’elaborazione giurisprudenziale dell’eccesso di potere e della regola del

IL SOSTANZIALISMO DELLA GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA E L’ATTIVITÁ DELLE PUBBLICHE

1. I principi generali del diritto amministrativo ed il ruolo del giudice amministrativo

2.1. L’invalidità del provvedimento amministrativo L’elaborazione giurisprudenziale dell’eccesso di potere e della regola del

raggiungimento dello scopo

L’invalidità del provvedimento amministrativo è determinata dalla presenza dei vizi di legittimità - violazione di legge, eccesso di potere e incompetenza – inizialmente previsti dalle norme in materia di giustizia amministrativa (art. 26 r.d. n. 1054/1924; artt. 2 e 3 l. n. 1034/1971), oggi richiamati espressamente nell’art. 21 octies primo comma della legge sul procedimento amministrativo, come riformata nel 2005.

Il giudice amministrativo, adito dal privato nel termine decadenziale stabilito dalla legge, ha avuto modo nel tempo di sviluppare il contenuto e di tracciare i confini dei vizi di legittimità, costruendo su di essi e in particolare sull’eccesso di potere, un raffinato sistema di controllo sul provvedimento e, dopo la l. n. 241/1990, anche sul corretto svolgimento del procedimento142.

Prima della legge sul procedimento amministrativo e, dunque, in assenza di una disciplina positiva specifica del potere discrezionale, il giudice amministrativo ha ritenuto escluso ogni sindacato giurisdizionale di legittimità

142

Sull’invalidità del provvedimento e il vizio di eccesso di potere si v. F. BENVENUTI, Eccesso

di potere amministrativo per vizio della funzione in Rassegna dir. Pubbl. 1950, 1 e ss.; GIANNINI

M.S., Diritto amministrativo, Milano, 1993, 299 e ss., CORSO G., Validità (diritto

amministrativo), in Enc. Dir. XLVI, Milano, 1993, p. 84 ss.; Cons. St., 7 gennaio 1982, n. 3, con

commento di SANDULLI A., L’eccesso di potere amministrativo in Le grandi decisioni del

consiglio di Stato, a cura di SANDULLI A., PASQUINI G., Milano, 2001, p. 39 ss. Sulla

costruzione giurisprudenziale del concetto di eccesso di potere si v. PAPPALARDO N. L’eccesso

di potere “amministrativo” secondo la giurisprudenza del Consiglio di Stato, in Studi in occasione del centenario,Roma, 1932, 471 ss.; DE CESARE G., L’eccesso di potere nella giurisprudenza del Consiglio di Stato, Milano, 1967; ABBAMONTE O., L’eccesso di potere. Origine giurisdizionale del concetto nell’ordinamento italiano, in Dir. proc. amm., 1986, 68 ss.

sull’attività amministrativa discrezionale. Secondo tale risalente impostazione, l’indagine si deve appuntare, infatti, solo sulla forma dell’esercizio della facoltà discrezionale, poiché “l’uso che di essa fu fatto con le forme legali non può essere

rimproverato di eccesso di potere, né di violazione di legge”. Successivamente, il

giudice amministrativo ha cominciato a sindacare la discrezionalità, attraverso l’elaborazione di criteri di giudizio, ricondotti al vizio dell’eccesso di potere, ravvisabile in caso di provvedimento “illogico e irrazionale o di contrario allo

spirito della legge” (1982 e 1907).

La giurisprudenza successiva ha continuato ad arricchire il concetto di eccesso di potere, partendo dal diritto positivo e individuando la ratio e lo scopo della norma, applicando principi generali dell’ordinamento, quali l’imparzialità, passando attraverso i principi di logica e coerenza delle decisioni dell’autorità amministrativa, ispirandosi a interessi che l’ordinamento ritiene meritevoli di tutela, quali l’affidamento e buona fede e rivolgendosi a dati oggettivi (precedente comportamento della pubblica amministrazione in casi analoghi) o oggettivabili (manifesta ingiustizia). Il giudice ha ricavato in via logica da questi principi le c.d. figure sintomatiche – quali, in via principale, lo sviamento del potere, la contraddittorietà, la disparità di trattamento, l’ingiustizia manifesta, l’illogicità, il difetto d’istruttoria - necessarie per poter accertare l’esistenza del vizio dell’eccesso di potere.

Le regole create in modo originale dal giudice amministrativo sono state, dunque, attratte nella figura dell’eccesso di potere e da allora hanno funzionato da parametri di giudizio per sindacare la legittimità dell’azione amministrativa e valutarne la devianza rispetto all’interesse pubblico stabilito dalla norma.

L’accertamento giurisdizionale del vizio di eccesso di potere ha consentito, in definitiva, un passaggio da un controllo formale ad uno di tipo sostanziale. Richiamando gli insegnamenti di M.S. Giannini, sempre attuali, il giudizio sull’eccesso di potere “non è, infatti, il risultato di un giudizio meccanico, ma di un giudizio valutativo, talora sintetico, talora sintomatico, che rimane nei limiti del giudizio di legittimità, in quanto il giudice non verifica la valutazione dei vari interessi, ma solo che essi esistano in fatto, che non vi siano omissioni o sostituzioni importanti, che vi sia coerenza logica nella valutazione compiuta e che siano osservati i principi istituzionali della giustizia e dell’uguaglianza. Il controllo sull’eccesso di potere si pone, dunque, al confine con il giudizio

sull’opportunità, ma allo stesso tempo costituisce uno strumento necessario per vincolare l’amministrazione pubblica al rispetto non formalistico del principio di legalità”.

Ne consegue che il sindacato del giudice amministrativo non è più limitato ad un giudizio sulla conformità o difformità dallo schema legale, ma si estende, seppur rimanendo estrinseco, al corretto e ragionevole esercizio del potere o svolgimento della funzione. L’evoluzione dell’eccesso di potere si pone, dunque, come strumento di cambiamento del tipo di controllo di legittimità, ma anche come fattore necessario nel passaggio dal principio di legalità formale al principio di legittimità sostanziale, nel senso che le scelte riservate all’amministrazione devono esser fatte in modo da assicurare non solo la legalità formale, ma anche la realizzazione dell’interesse pubblico. Acquisiscono, infatti, sempre maggior rilievo giuridico la natura funzionale del provvedimento e il vincolo di scopo cioè il dover perseguire l’interesse pubblico, per cui correttamente l’eccesso di potere è stato definito come vizio della funzione amministrativa o anche come vizio di scopo.

Oltre all’elaborazione giurisprudenziale dell’eccesso di potere, che tanto ha contribuito a cambiare il diritto amministrativo sostanziale e il controllo di legittimità, la giurisprudenza amministrativa ha creato e applicato anche la regola del raggiungimento dello scopo dell’atto amministrativo, strettamente collegata alla distinzione dei vizi sostanziali e formali e al sostanzialismo nella questione dell’annullabilità del provvedimento.

La regola implica che il raggiungimento dello scopo della norma violata o la mancata lesione dell’interesse sostanziale del ricorrente rende i vizi dell’atto inidonei ad un suo annullamento. Tale regola viene applicata, in particolare, invocando il principio generale di conservazione degli atti giuridici, un’analogia con l’art. 156 c.p.c. secondo cui “la nullità non può essere pronunciata se l’atto

ha raggiunto lo scopo cui è destinato”, la teoria dell’errore scusabile o il richiamo

a una versione debole del principio di legalità formale, da intendere come non contrarietà alla legge143.

143

In tal senso si v. GIANNINI M.S., Diritto amministrativo, Milano, 1993,. secondo il quale ai fini dell’applicazione della regola del raggiungimento dello scopo si richiedono due elementi: un vizio o un’irregolarità (o comunque un difetto di atto o di procedimento), un risultato pratico che deve consistere nell’eliminazione effettuale della rilevanza del difetto, p. 210 – 211. Per una ricostruzione degli indirizzi giurisprudenziali e dottrinari sui vizi formali non invalidanti, prima e

L’applicazione della regola del raggiungimento dello scopo ai vizi formali comporta, dunque, il superamento del legalismo estremo in base al quale si dispone l’annullamento anche in caso di violazioni di forme non essenziali. Ciò che interessa è la sostanza ossia che lo scopo sia raggiunto, ma in tale ottica sostanzialista, è necessario anche che un certo interesse sia acquisito e valutato, soprattutto a seguito dell’entrata in vigore della l. n. 241/1990.

A seguito di tale legge, vengono codificati alcuni principi e istituti anche di origine giurisprudenziale e le garanzie procedimentali diventano cogenti e di portata generale. Ciò ha comportato che il giudice amministrativo ha fatto riferimento sempre più spesso ai principi generali per valutare la legittimità dell’azione amministrativa. Sono, inoltre, aumentate le ipotesi dei vizi formali, intesi quali violazioni di norme o obblighi procedurali, che hanno dato origine ad un cospicuo incremento del contenzioso formale, avente ad oggetto ad esempio la mancanza della comunicazione di avvio, l’assenza dell’indicazione del responsabile o della motivazione.

Nonostante la legge 241 non contenga inutili formalismi, né preveda una dequotazione dei vizi formali in termini di non annullabilità del provvedimento, si è sviluppata una giurisprudenza amministrativa che ha considerato la violazione di istituti e garanzie procedurali espressamente previsti dal legislatore alla stregua di vizi meramente formali 144 . Ne consegue l’emergere del principio della strumentalità delle forme, rispetto al raggiungimento dello scopo specifico della norma procedimentale violata, che neutralizza la portata potenzialmente invalidante delle carenze procedimentali. Spetta, in definitiva al giudice il compito di effettuare di volta in volta un bilanciamento tra esigenze di garanzia e di efficienza e dare prevalenza alle ragioni della “forma” o della “sostanza”.

dopo la l. n. 241/1990, si v. CIVITARESE MATTEUCCI, La forma presa sul serio. Formalismo

pratico, azione amministrativa e illegalità utile, Torino, 2006, p. 241 ss.; ROMANO TASSONE

A., Contributo sul tema dell’irregolarità degli atti amministrativi, Torino, 1993, ID., Tra diversità

e devianza. Appunti sul concetto d’invalidità, in Studi in onore di Vittorio Ottaviano, vol. II,

Milano, 1993; LUCIANI F. Il vizio formale nella teoria dell’invalidità amministrativa, Torino, 2003, p. 289-299.

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2.2. L’art. 21 octies: vizi di legittimità e vizi formali. La prevalenza della

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