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Nel Liber de dietis universalibus et particularibus, dedicato all’analisi delle proprietà nutritive e terapeutiche degli alimenti, Isaac Israeli illustra le caratteri- stiche del fico come il primo dei frutti laudabiliores, che giudica i più interes- santi dal punto di vista dietetico all’interno della categoria di quelli «dalla buccia sottile», a loro volta considerati complessivamente di facile digeribilità e di mi- gliore nutrimento rispetto alle altre varietà di frutta: «Ficus ceteris fructibus lau- dabilior est ac nutribilior», scrive il celebre medico ebreo del X secolo, elaborando le proprie considerazioni sui presupposti teorici della medicina antica fondata – come è noto – sul paradigma umorale1. Più tardi le opere di Isaac, con quelle

di altri pensatori del mondo arabo tradotte in latino, concorreranno alla forma- zione del pensiero medico-dietetico occidentale circolando un po’ dovunque in Europa, per essere lette e commentate nelle scuole universitarie di medicina ben oltre la fine del medioevo2.

1 Isaac IsraelI, Liber dietarum universalium cum commento Petri Yspani, in Omnia opera

Ysaac in hoc volumine contenta…, Lugduni, Bartholomaeus Trot in officina probi viri Iohannis de Platea chalcographi, 1515, cap. XXVI, lectio XXX De speciebus fructuum et diversitatibus eorum, f. 60va-vb. Sulla trasmissione del sapere medico dal mondo arabo all’Occidente latino si veda ora l’agile sintesi di M. nIcoud, L’héritage diététique arabe dans la littérature latine

médiévale, in Héritages arabo-islamiques dans l’Europe méditerranéenne, Actes du colloque international (Marseille, 11-14 septembre 2013), éd. R. Richarté - R.-P. Gayraud - J.-M. Poisson, Paris 2015, pp. 335-346.

2 Sul tema si veda J. verger, Les sciences arabes en Occident au Moyen Age, in L’Islam au

carrefour des civilisations médiévales, Actes du colloque internationale (Paris, 9-10 mars 2011), éd. D. Barthélemy - M. Sot, Paris 2012, pp. 187-204 e, da ultimo, il contributo di D. Jacquard,

Quelques propos introductifs : confluence des sources grecques et arabes dans l’Occident médiéval latin, in «Micrologus», XXIV, 2016 (num. monografico The Impact of Arabic Sciences in Europe and Asia), pp. 13-24.

1. In lode del fico

Alla tradizione dietetica classica, tramandata dagli scritti ippocratici e galenici (in particolare tra questi ultimi il De alimentorum facultatibus)3 e veicolata per

l’appunto attraverso la cultura araba, si uniforma la medicina pratica del mondo latino tardomedievale. In generale i frutti degli alberi sono considerati poco conso- ni a un regime alimentare corretto e in ogni caso adatti più a un uso «terapeutico e preventivo che non nutritivo»4. Decisamente sconsigliato è il consumo di frutta

fresca, soprattutto di quella molto succosa e quindi facilmente putrescibile, foriera di umori corrotti, indigesta e di modesta sostanza. In questo schema teorico, che tramanda un’immagine della frutta piuttosto negativa sotto il profilo alimentare e che suggerisce estrema prudenza nel valutarne il consumo, il fico – che peraltro dal punto di vista botanico non è neppure un vero frutto – rappresenta senz’altro un’eccezione. Da Ippocrate in poi il fico è protagonista di numerose citazioni nei trattati di igiene alimentare per le sue proprietà benefiche o, forse meglio, per la sua minore nocività rispetto agli altri frutti freschi ad esclusione dell’uva, ritenuta per motivi analoghi altrettanto degna di nota. Lo stesso Galeno nel II secolo d.C. lo aveva descritto con riserve più velate e non a caso – nell’opera sulle proprietà degli alimenti – aveva collocato il capitolo sul fico proprio in apertura della sezione De arborum fructibus, immediatamente seguito da quello sull’uva5: un ordine di

priorità che nelle opere scientifiche antiche e medievali indica proprio l’importan- za attribuita al tema, all’interno di un impianto strutturato secondo un preciso assetto gerarchico; una sistemazione che si sarebbe mantenuta per secoli nella letteratura medico-dietetica unitamente alla reputazione del frutto, ancora accol- ta in piena età moderna. Nel Canone di Avicenna, a lungo testo fondamentale dell’insegnamento universitario, la particolarità del fico come alimento meritevole di una certa considerazione all’interno di una dieta sana si manifesta nella sua ap- partenenza alla categoria dei «veri cibi», in compagnia dell’uva matura e an- che dei datteri, annoverati tra gli alimenti più simili per nutrimento alla carne6.

I medici del tardo medioevo continueranno a considerarlo «il migliore di tutti i

3 Isaac IsraelI, Liber dietarum particularium, in Omnia opera Ysaac cit., f. 113ra De ficubus. 4 Per una sintesi sul tema si rimanda a M. nIcoud, I medici medievali e la frutta: un prodotto

ambiguo, in Le parole della frutta. Storia, saperi, immagini tra medioevo ed età contemporanea, a cura di I. Naso, Torino 2012, pp. 91-108 (p. 99 per la citazione).

5 claudIus galenus, De alimentorum facultatibus libri tres, Parisiis, apud Simonem Colinaeum,

1530 (d’ora innanzi galenus), lib. II, De ficubus, ff. 43r-44v. un’edizione ottocentesca in claudII

galenI Opera omnia, ed. C.G. Kühn, 20 voll., Lipsiae 1821-1833 (ristampa Hildesheim 1964-

1965).

6 nIcoud, I medici medievali e la frutta cit., p. 98, nota 35, dove si cita l’edizione Avicenne,

medicorum principis Canonum liber…, Venetiis, apud heredes Octaviani Scoti, 1520-1522, Liber I, fen 3, doc. 2, cap. 7 De regimine quod comeditur et bibitur, f. 179vb.

frutti» all’interno di un discorso dietetico modulato sulle auctoritates e costruito – oltre che sull’importanza della categoria cibus et potus per la conservazione della salute – su una serie di altre variabili correlate allo stile di vita dei singoli individui e affidate all’autodisciplina: sono quelle funzioni che troviamo indica- te complessivamente come «sex res necessarias» o «res non naturales»7.

Nell’ottica di un regime alimentare conservativo e preventivo, i principali re- quisiti che motivano il giudizio medico tendenzialmente favorevole sul frutto consistono nella sua facile digeribilità e nell’elevato potere nutritivo. La digeribi- lità di un cibo è la conditio sine qua non per il benessere fisico in un sistema dot- trinale che interpreta il processo di trasformazione degli alimenti ingeriti come l’azione meccanica della loro «cottura», attraverso la quale vengono estratte le sostanze nutritive: «Quicumque vult continuam sanitatem custodire, custodiat sto- macum» sentenzia efficacemente Antonio Guainerio, celebre medico pavese atti- vo in territorio sabaudo nei primi decenni del secolo XV, nell’esprimere il pro- prio convincimento che una buona digestione sia essenziale per la buona salute8.

Quanto alle virtù nutrizionali, evidenziate – lo si è visto – nell’opera del medico Isaac, le ritroviamo decantate ancor prima nella cultura dotta del mondo greco- romano: al tempo di Galeno, l’erudito Ateneo rinviando a un Trattato sui fichi di Erodoto, mai altrimenti menzionato, riferisce che lo storico di Licia avrebbe as- similato il mieloso succo stillante dai fichi maturi addirittura al latte materno9. Le

proprietà energetiche di quel frutto che «nutre e impingua» sono poi esaltate con estrema chiarezza, almeno a partire dal secolo XIII, nei trattati di igiene alimen- tare, innanzitutto nei regimina sanitatis indirizzati – come è ben noto – a fornire consigli pratici «de tuenda valetudine». Se il celeberrimo Regimen sanitatis Sa- lernitanum, largamente diffuso negli ultimi secoli del medioevo in tutta Europa, annovera i fichi maturi tra i cibi molto nutrienti e ingrassanti (sempre accanto al- l’uva di stagione)10, la diffidenza nei confronti del consumo di frutta fresca in ge-

7 Sul tema si rinvia a P. gIl sotres, Le regole della salute, in Storia del pensiero medico

occidentale, 1. Antichità e Medioevo, a cura di M.D. Grmek, Roma-Bari 1993, pp. 399-438 e, da ultimo, M. nIcoud, La dietetica medievale: testi e lettori, in «Minerva. Revista de Filología

clasíca», 23, 2010, pp. 15-34 (con bibliografia pregressa della stessa autrice). Per una sintesi sulle trasformazioni del binomio cibo-salute, cito il recente volume di D. gentIlcore, Food and Health

in Early Modern Europe. Diet, Medicine and Society, 1450-1800, London 2015.

8 A.M. nada Patrone, «Quicumque vult continuam sanitatem custodire, custodiat stomacum».

La dietoterapia alla corte sabauda nel Quattrocento, in La mensa del principe. Cucina e regimi alimentari nelle corti sabaude (XIII-XV secolo), a cura di R. Comba - A.M. Nada Patrone - I. Naso, Cuneo 1996, pp. 145-203.

9ateneodI naucratI, I deipnosofisti. I dotti a banchetto, 4 voll., Roma 2011 (cit. in E. carnevale

schIanca, La cucina medievale. Lessico, storia, preparazioni, Firenze 2011, p. 233).

10 Regimen sanitatis Salernitanum (Flos medicine), cap. IX De cibis nutrientibus et impin-

guantibus, p. 82 (tra le diverse edizioni, anche abbastanza recenti, utilizzo Pavia 1834, accom- pagnata dalla vivace traduzione di P. Magenta, riedita in Medicina medievale, a cura di L. Firpo,

nerale, condivisa da tutti i medici del tempo e ben argomentata da Aldobran- dino da Siena già nel Duecento, non intacca il primato del fico quale frutto più salutare11. Addirittura – a leggere un commento apocrifo al trattato salernitano,

attribuito ad Arnaldo da Villanova – il fico sarebbe un alimento pressoché inno- cuo, «proxima ad hoc ut non noceat» purché sia «vehementer matura»12.

Parrebbe singolare che la peculiarità solitamente più riconosciuta del fico, ovve- ro la sua proverbiale dolcezza, sia richiamata assai di rado nella trattatistica medi- ca. D’altra parte il sapore di un cibo, pur segnalandone la natura intrinseca, non può rappresentare di per sé una priorità negli scritti di dietetica, in quanto esso rientra propriamente nella categoria del gusto, cui il discorso medico risulta poco sensibile per gran parte dell’età medievale. Le ragioni del gusto sembrano infatti trovare una qualche attenzione nella cultura scientifica non prima del pieno Quattrocento: con specifico riferimento al fico, la voce del celebre accademico padovano Michele Savonarola appare particolarmente originale rispetto agli autori precedenti, quando nel suo Libreto de tutte le cosse che se magnano – scritto in volgare e dunque pensato per una divulgazione più ampia rispetto ai destinatari colti delle opere in latino – ne sottolinea anche il sapore gradevole, oltre a rimarcarne l’indubbio valore nutrizionale13. Del resto la mitica dolcezza del fico più che alla dottrina attiene alla

sfera del piacere sensoriale e non a caso la si celebra ampiamente nella tradizione poetica e letteraria: «Dolceson ficho maturo, dolce e secho, e multi oxelli me gustam con lo becho», recita la rima di un anonimo poemetto toscano del tardo Trecento, sulla Natura delle frutta14, fra l’altro con evidenti allusioni – come osserva Allen J.

Grieco – alla metafora sessuale15. A questa peraltro non è del tutto estraneo neppure

Torino 1971). Sulla Scuola di Salerno la produzione storiografica è sterminata: mi limito a citare P.O. krIsteller, Studi sulla Scuola medica salernitana, Napoli 1986 e, da ultimo, il volume La

Scuola Medica Salernitana. Gli autori e i testi, Atti del convegno internazionale (Salerno, 3-5 novembre 2004), a cura di A. Paravicini Bagliani - D. Jacquart, Firenze 2007 (in particolare il sag- gio di M. nIcoud, Il Regimen sanitatis Salernitanum. Premessa ad un’edizione critica, pp. 365-384).

11 Le Régime du corps de Maître Aldebrandin de Sienne : texte français du XIIIe siècle…,

éd. L. Landouzy - R. Pepin, Paris 1911, pp. 144-146: Aldobrandino – che elabora un discorso esaustivo e molto articolato sugli alimenti – riprende ancora una volta il pensiero di Isaac Israeli, per il quale dopo i fichi «uve sunt […] secunde» (sopra, nota 1).

12 Commentum M. Arnaldi Villanovani in Regimen Salernitanum, in Praxis medicinalis,

Lugduni, apud Iohannem Stratium, 1586, pp. 88-146 (p. 98 per la citazione): oltre, nota 23.

13 mIchele savonarola, Libreto di tutte le cosse che se magnano. Un’opera di dietetica del

secolo XV, a cura di J. Nystedt, Stockholm 1988 (d’ora innanzi savonarola), p. 85. Tra le

pubblicazioni più recenti sul dottore padovano si veda Michele Savonarola. Medicina e cultura di corte, a cura di C. Crisciani - G. Zuccolin, Firenze 2011 (Micrologus’ Library 37).

14 f. novatI, Di due poesie del secolo XIV su «La natura delle frutta». Nuove comunicazioni, in

«Giornale storico della letteratura italiana», XVIII, 1891, pp. 336-354 (per la citazione, XIX De lo ficho, p. 340).

15 A.J. grIeco, Savoir de poète ou savoir de botaniste? Les fruits dans la poésie italienne

il sapere medico antico: ne aveva accennato già Ippocrate all’interno di una rigorosa analisi riferita all’apparato riproduttivo femminile16; per tacere degli echi di quella

espressione figurata tuttora presenti nelle principali lingue europee, spesso con connotazioni triviali.

2. «Valet ficus in via diete et medicine»: qualità e proprietà del frutto

Se i fondamenti della scienza medica di età medievale risiedono notoriamente nel postulato di derivazione ippocratico-galenica per cui l’equilibro dei quattro umori e delle loro rispettive qualità (caldo, secco, freddo, umido) nel corpo umano rappresenta il principio basilare per la buona salute, le caratteristiche non comuni del fico sotto il profilo dietetico si rintracciano proprio nelle sue qualità elementari, più temperate rispetto a quelle degli altri frutti. Ne chiariscono la complexio o natura primaria testi come il Tacuinum sanitatis in medicina, composto nel secolo XI dal medico persiano Ibn Butlân, che conobbe una vasta fortuna in Occidente dal Duecento in poi nella traduzione latina, nonché i numerosi regimina sanitatis tardomedievali, un genere letterario molto diffuso anche in lingua volgare. Il Tacuinum, noto soprattutto per alcuni codici riccamente illustrati, che riferisce più o meno sinteticamente per ciascun cibo la natura, i «giovamenti» e i «nocumenti» (ovvero gli effetti fisiologici positivi o negativi sul corpo umano o, più in particolare, su alcuni organi), ma anche i rimedi alla nocività, attribuisce al fico una natura moderatamente calda e umida: «Fichus recentes. Nature calide et humide in primo [gradu]. Meliores ex eis albe et excorticate. Iuvamentum: mundificant res ab arenis, humores subtiliant et preservant a veneno. Nocumentum: Faciunt inflationem et grossitiem. Remedium nocumenti: cum muria [acqua salata] et syrupo acetoso»17.

Benché non vi sia pieno accordo dei medici medievali sul livello o grado delle qualità intrinseche del fico, queste appaiono comunque complessivamente abbastanza temperate rispetto agli eccessi di altri frutti, soprattutto delle varietà molto succose:

Haudricourt), pp. 131-146 (citazione a p. 145). Sarà appena il caso di segnalare che la poe- sia italiana dei secoli XIV-XV può offrire anche informazioni di tipo botanico con intento classificatorio, come quando Pietro Chantarini da Siena enumera ben quindici varietà di fico (ivi, pp. 134-135). Più in generale P. rosso, Tra immagine e testimonianza. La frutta nella letteratura

tardomedievale e umanistica, in Le parole della frutta cit., pp. 185-208.

16 Dettagli sull’uso del termine riferito agli organi femminili della riproduzione, a partire dai

tempi di Ippocrate, si reperiscono in s. byl, De quelques ingrédients gynécologiques (fruits et

plantes) et leurs relations avec les pudenda masculins et féminins dans le traité hippocratique de la Nature de la femme, in «Revue Belge de philologie et d’histoire», 87/1, 2009, pp. 5-11 (specie pp. 7, 9).

17 Tacuinum sanitatis,Vienna, Österreich Bibliothek, ms. Serie nova 2644, f. 4v, Fichus. URL

https://commons.wikimedia.org/wiki/File:Tacuinum_vienna_sn2644_f004v_fichus.jpg

le quali – a causa della loro natura fredda e oltremodo umida – generano umori perversi, superfluitates nocive e sangue putrido, veicolo di malattie18.

Analoghe opinioni sono trasmesse anche dalla letteratura non propriamente medica: a condividerle è, per esempio, la badessa tedesca del XII secolo Ildegarda di Bingen, celebre per la solida cultura scientifica, quando sostiene che «Il fico è più caldo che freddo, conserverà sempre del caldo mentre il suo freddo è leggero»19.

Lo stesso Pier de’ Crescenzi nel capitolo De ficu del suo celeberrimo trattato di agronomia mutua l’idea della natura leggermente calda e umida del fico dai testi medici conosciuti all’inizio del Trecento, riprendendone – in questo caso, come in molti altri – le parole quasi testualmente e citando sia Ippocrate, sia Avicenna20.

La letteratura specialistica antica e medievale, quando enumera giovamenti e no- cumenti dei fichi, non sempre distingue in modo esplicito quelli freschi dai secchi, anche se il discorso medico-dietetico de fructibus dovrebbe riferirsi propriamente alla frutta raccolta dagli alberi, al naturale. La diversità tra le due forme in cui il frutto può presentarsi, con qualità rispettivamente diverse (meno umida quella dei fichi secchi e quindi più salutare), quando non sia chiarita rende il quadro in- terpretativo alquanto complesso e in molti casi confuso se non contraddittorio; ciò si evidenzia in modo particolare nel caso dei testi anteriori al pieno Quattrocento21.

Per non dire dell’ambiguità insita nella stessa appartenenza del fico alla tipologia alimentare dei frutti, che la dottrina igienica del tardo medioevo riconosce come

18 Sui regimina sanitatis del tardo medioevo rimando a M. nIcoud, Les régimes de santé au

Moyen Âge : naissance et diffusion d’une écriture médicale (XIIIe-XVe siècle), 2 voll., Roma 2007

(Bibliothèque des Ecoles Françaises d’Athènes et de Rome, 333); inoltre M. WeIss adamson,

Medieval Dietetics. Food and Drink in Regimen Sanitatis Literature from 800 to 1400, Frankfurt- am-Main 1995, p. 11 ss.

19 Si veda la recente traduzione italiana: IldegardadI bIngen, Libro delle creature. Differenze

sottili delle nature diverse, a cura di A. Campanini, Roma 20142, Libro III, cap. 14 Il fico, p. 199. 20 Del Liber ruralium commodorum utilizzo l’edizione volgarizzata Trattato di agricoltura

di Piero de’ Crescenzi traslato nella favella fiorentina rivisto dallo ‘Nferigno accademico della Crusca ridotto a miglior lezione da Bartolomeo Sorio…, II, Verona 1854 (d’ora innanzi crescenzI), libro V, cap. 10 Del fico, pp. 140-141. A questo trattato avrebbe ampiamente attin-

to un secolo più tardi un altro agronomo, Corniolo della Cornia, nella cui opera – scritta in vol- gare – il capitolo sul fico ripropone parole pressoché identiche (La «Divina villa» di Corniolo della Cornia. Lezioni di agricoltura tra XIV e XV secolo, a cura di L. Bonelli Conenna, Siena 1982, Libro VI, capp. 18 e 27). Si veda il contributo di Angela Lanconelli, in questo volume.

21 In alcuni casi si trovano espressioni oscure, connotate da sfumature non sempre di agevole

interpretazione: «Item humide et recentes ficus magis et velocius nutritive sunt quam sicce, […] verum sicce sunt minus inflative et magis stomacho convenientes quam humide» (Commentum M. Arnaldi Villanovani in Regimen Salernitanum cit., p. 98). Sarà invece il medico umbro Castor Durante da Gualdo, nel secolo XVI, a precisare che i fichi freschi – ai quali peraltro egli attribuisce un grado di umidità più elevato rispetto a quello tradizionalmente riconosciuto – sono «caldi nel primo grado e umidi nel secondo, ma i secchi son manco umidi»: castor

duranteda gualdo, Il tesoro della sanità…, a cura di E. Camillo, Milano 1982 (d’ora innanzi

intermedia tra alimento e medicamento22. Ed è proprio per questa prerogativa

che i medici consigliano molta cautela nel consumo di frutta, specie agli individui che per natura possono contare su una complessione equilibrata: «Usus fructuum temperato corpori non congruit via cibi, sed pocius medicine», sentenzia il fa- moso medico catalano Arnaldo da Villanova nel Regimen sanitatis ad regem Aragonum redatto intorno alla metà del secolo XIII; e aggiunge che «uti fructi- bus ad voluptatem conservacionem impedit sanitatis»23.

La duplice definizione di «cibus et medicina» applicata precisamente al fico com- pare in un commento duecentesco del già citato Liber dietarum particularium di Isaac Iudaeus (Israeli), attribuito a Pietro Ispano, che lo indica come una derrata utile «in via diete et medicine» grazie alle sue specifiche virtù nutrizionali – di cui si è detto – associate alle proprietà curative, ben superiori rispetto a quelle di altri frutti24.

In considerazione di questo statuto ibrido della frutta fresca, per meglio qualificare l’indagine medica dei secoli passati riguardante la valenza igienico-alimentare del prodotto, e senza voler chiamare in causa l’attuale nutraceutica, dovremmo senz’al- tro preferire l’espressione «dietoterapia» rispetto a quella di dietetica.

Quanto al fico, in particolare, e alle sue virtù che lo connotano più di altri frutti come «cibo-medicina» ovvero come alicamento25, suonano molto significative le pa-

role della stessa badessa-scienziata Ildegarda di Bingen: «[Il fico] è buono da mangia- re per l’ammalato indebolito nella mente e nel corpo: costui ne mangi sino a quando starà meglio»26. Persino in tempo di epidemia, quando il consiglio di astenersi dal

consumare frutti facili a corrompersi rientrava più che mai nel discorso medico di

22 nIcoud, I medici medievali e la frutta cit., pp. 93-99.

23 arnaldIde vIllanova Opera medica omnia, X.1 Regimen sanitatis ad regem Aragonum, ed.

L. García-Ballestrer - M.R. McVaugh, Barcelona 1996 (d’ora innanzi arnaldoda vIllanova),

[cap. X De usu fructuum], p. 442. La produzione storiografica sull’opera di questo medico è vastissima; oltre all’ampio studio di P. gIl sotres, Els Regimina sanitatis nell’introduzione al

volume sopra citato, mi limito a menzionare il recentissimo saggio di A. carré, Del regiment de

sanitat a la literatura. El cas d’Arnau de Vilanova, in «Anuario de estudios medievales», 45/1, 2015 (num. monografico Innovació, traducció, reescriptura: estudis sobre lèxic i interpretació en textos literaris medievals i en les seves traduccions, coord. M. Coderch), pp. 233-262 (con bibliografia pregressa).

24 Isaac IsraelI, Liber dietarum particularium cit., f. 113rb (sopra, nota 3). Per notizie sul

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