• Non ci sono risultati.

P

roduzIoneecommercIodeIfIchInell

estremo

P

onentelIgure

:

v

entImIglIaeIlsuoentroterraneIsecolIxIII

-

xvI*

Chi percorre oggi la Liguria intemelia, con il suo paesaggio agrario caratterizzato dalla vite, dall’ulivo e dai fiori in serra, non riesce a immaginare fino a che punto, nel medioevo, quest’area traesse gran parte della sua ricchezza dalla produzione e dal commercio dei fichi. Se una quantità di essi era certamente destinata al consumo locale come frutta fresca o secca, una parte consistente prendeva, dopo l’essiccazione, la via di mercati anche lontani: dal Nizzardo al Maghreb e persino alla Crimea, prima che il Mar Nero diventasse un «lago ottomano».

Le fonti riguardanti questo commercio sono tanto sparute quanto significative. Tra esse spicca un atto rogato a Caffa dal notaio Lamberto di Sambuceto nel 1290, pubblicato dallo storico romeno Gheorghe Brătianu e ripubblicato, in regesto, da Michel Balard1. Relativamente numerosi sono invece i documenti che concernono la

coltivazione del fico e l’essiccazione dei frutti. Il nucleo più importante è senz’altro rappresentato dagli atti rogati a Ventimiglia e nel suo entroterra dal no-taio Giovanni di Amandolesio tra il 1256 e il 1264, editi da Laura Balletto2. Ad essi si affiancano

pochi atti dei secoli xIv-xv e statuti di comunità come quelli di Apricale e di Pigna3.

* Questo articolo è dedicato alla memoria di Giulia Petracco Sicardi (1922-2015), già docente

presso il Dipartimento di Scienze Glotto-Etnologiche dell’Università degli Studi di Genova.

1 g.I. brătIanu, Actes des notaires génois de Péra et de Caffa de la fin du Treizième siècle (1281

- 1290), Bucarest 1927, doc. 427; m. balard, Gênes et l’Outre-Mer, vol. I. Les actes de Caffa du

notaire Lamberto di Sambuceto 1289-1290, Paris - La Haye 1973, doc. 534.

2 l. balletto, Atti rogati a Ventimiglia da Giovanni di Amandolesio dal 1258 al 1264, Genova

1985; ead., Atti rogati a Ventimiglia da Giovanni di Amandolesio dal 1256 al 1258, Bordighera

1993.

3 archIvIo comunaledI PIgna, Pergamene, doc. 3, Pigna, 19 settembre 1350: Permutazione di

una terra a Passoscio con una casa in Pigna; archIvIodI statodI ImPerIa - sezIonedI ventImIglIa,

Pergamene, doc. xx, Ventimiglia, 12 novembre 1449: Urbano Giraudo vende al convento di San

Francesco, rappresentato dal frate guardiano Giovanni da Mantova e da Marco Galiano, la metà, pro indiviso, di una terra in località Siestro, coltivata ad olivi, fichi, viti ed avellane, al

Attraverso questi documenti è possibile ricostruire con sufficiente dettaglio il peso del fico nel paesaggio agrario ventimigliese e la produzione locale di fichi secchi, conoscere alcune delle piazze mediterranee alle quali essi erano destinati e l’identità di qualche mercante attivo in tale genere di traffico.

1. La coltivazione del fico

All’interno degli atti rogati dall’Amandolesio in area intemelia compaiono 65 terreni (57 nel territorio di Ventimiglia, 7 in quello di Dolceacqua, 1 in quello di Briga) in cui era presente il fico, da solo o, molto più spesso, associato alla vite o ad altre colture4. Tra queste, figurano il mandorlo e l’ulivo, come mette in evidenza la

seguente tabella riepilogativa:

Terreni coltivati a Numero dei terreni

fichi e viti 28

fichi, viti e altri alberi 20

fichi 10

fichi e altri alberi 2

fichi, viti e biada 1

fichi, viti e orto 1

fichi e canneto 1

fichi e mandorli 1

fichi e ulivi 1

Totale 65

prezzo di cinquanta lire; ivi, doc. xxvI, Ventimiglia, 8 novembre 1458: Giovanni Negro del fu

Matteo dichiara di aver ricevuto in prestito da Anselmo Cagliamario quarantotto lire, che si obbliga a restituire entro un anno ed offre in pegno un pezzo di terra coltivato a fichi, viti ed altri alberi, sito in località Le Braye; g. rossI, Gli antichi statuti di Apricale (1267 - 1430), a cura

di N. Lamboglia, Bordighera 1986; archIvIo comunaledI PIgna, xvI secolo: Ordini e capitoli

municipali della communità di Pigna da osservarsi dalli particolari di detto luogo e Buggio, sotto le pene in essi contenute, copia del xvIII secolo.

4 balletto, Atti rogati a Ventimiglia da Giovanni di Amandolesio dal 1258 al 1264 cit., docc.

25, 29, 40, 65, 105, 112, 129, 153, 183 s., 197, 212 s., 220, 222, 233, 284, 286, 314, 319, 325, 364, 373, 376, 402, 426, 451, 461, 467, 500, 502, 515, 545 s., 548, 563, 568 s., 583, 609 s., 613, 642, 651; ead., Atti rogati a Ventimiglia da Giovanni di Amandolesio dal 1256 al 1258 cit., docc. 29,

Il terreno coltivato a fichi e mandorli si trovava ad Portiloriam, nel territorio di Ventimiglia5; quello piantato a fichi e ulivi era ubicato in località Costa, presso

Dolceacqua6. Si tratta della prima attestazione nota dell’ulivo in una zona, la Val

Nervia centrale, destinata a divenire nei secoli successivi una delle principali aree olivicole della Liguria7.

Gli atti dei secoli xIv e xv arricchiscono e completano, in una certa misura, le

informazioni ricavabili dall’Amandolesio. Una terra coltivata a castagni, noci e fichi è menzionata sulla montagna di Pigna, in regione Passoscio (1350), mentre una terra piantata a ulivi, fichi, viti e noccioli è attestata presso Ventimiglia, in località Siestro (1449)8. Questi documenti permettono di conoscere con maggior precisione quali

altri alberi domestici, oltre al mandorlo e all’ulivo, fossero associati al fico in questa parte della Liguria.

Un confronto con l’agro sanremese rivela come, qui, il fico venisse coltivato anche a fianco degli agrumi e delle palme. Tra i beni posseduti da Ambrogio Musso ed elencati nel suo testamento (1487), compare infatti un orto piantato a fichi, citri, cedri, palme e altri alberi domestici9. Anche nel paesaggio agrario di Sanremo,

tuttavia, era il connubio vite-fico a prevalere in modo netto10.

Piantagioni di fichi (chiamate, a seconda dei documenti, ficutium, figaretum o figueria) erano presenti nella media e alta Val Nervia, sia nella campagna apricale- se (1300, 1305) sia nel territorio del Monte Comune, conteso fra Apricale e Pigna

5 ead., Atti rogati a Ventimiglia da Giovanni di Amandolesio dal 1258 al 1264 cit., doc. 515

(«Peciam unam terre, agregate ficuum et amindolarum»); ead., Agricoltura e agricoltori a Ven-

timiglia alla metà del Duecento, Genova 1974 (Estratto dalla «Rassegna Storica della Liguria»,

I, 1974), p. 13.

6 ead., Atti rogati a Ventimiglia da Giovanni di Amandolesio dal 1258 al 1264 cit., doc. 233

(«Peciam unam terre, arborate ficuum et olivarum»). Il documento è datato 3 maggio 1260.

7 m. cassIolI, Uno spazio di confine tra Liguria e Provenza: la Val Nervia nel basso medioevo e

nella prima età moderna (secoli xII-xvII) / Une vallée frontière entre Provence et Ligurie: la Nervia

au Moyen Âge et dans le premier Âge moderne (xIIe-xvIIe siècle), thèse pour obtenir les grades

de Docteur de l’Université d’Aix-Marseille et de Docteur de l’Università degli Studi di Torino, présentée et soutenue publiquement le 5 avril 2014, p. 95 s.

8 archIvIo comunaledI PIgna, Pergamene, doc. 3 cit. («Una pecia terre alatorie et agregate de

septem arboribus castagnarum et de duabus arboribus nucium et de duabus arboribus fichium»); archIvIodI statodI ImPerIa - sezIonedI ventImIglIa, Pergamene, doc. xx cit. («Medietatem, pro

indiviso, unius petie terre agregate olivis, fichibus, vitibus et colaris»).

9 archIvIodI statodI ImPerIa - sezIonedI san remo, Archivio Notarile, Notai di San Remo,

111, filza 1068, Protocolli notai diversi, San Remo, 1478-1506, 7 luglio 1487: Testamentum Ambroxii Musi de Sanctoromulo («Quandam petiam terre ortive aggregate fichis, citris, cidris, palmis et aliis arboribus domesticis»).

10 m. cassIolI, La palma nel paesaggio agrario dell’estremo Ponente ligure: il territorio di

Sanremo alla fine del Medioevo, in Palme di Liguria. Economia, paesaggio e significato simbolico nell’estrema Riviera di Ponente (secoli xIII - xx), a cura di C. Littardi, introduzione di A. Cortonesi,

Roma 2015, pp. 82-92.

(1356)11. La loro incidenza sul paesaggio è testimoniata anche dal toponimo Figala Alba, nei dintorni di Apricale (1300)12.

2. La produzione dei fichi secchi

Se la maggior parte dei dati sulla coltivazione del fico proviene da atti riguardanti compravendite e concessioni di terre, la produzione dei fichi secchi emerge innanzitutto dagli statuti di comunità. Essi ci svelano i materiali con cui erano realizzati i graticci su cui i frutti erano posti a seccare e l’esistenza di costruzioni rustiche all’interno delle quali avveniva l’essiccazione.

Stando agli statuti duecenteschi di Apricale, i più antichi della Liguria, il graticcio (grae) era fatto di canne intrecciate13. L’intelaiatura doveva essere, però,

di legno di faggio. Negli statuti di Pigna, databili al xvI secolo, si legge infatti:

«Che alcuna persona non ardisca tagliare o arrancare arbori alcuni nel bosco delli Foi14 di Tenarda soprano. E se alcuna persona ne vorrà tagliare per fornelare15 nel

territorio di Pigna e Busio, ovver per far grae per seccar fichi, sarano tenuti venir domandar licenza alli sindici, quali per tal causa gli anderano, ovvero manderano a consignare, secondo conoscerano essere bisogno»16.

Le costruzioni adibite all’essiccazione sono chiamate gradilis nei testi in latino e «gradile» in quelli in volgare. Una di esse si trovava presso il castello di Dolceacqua ed era proprietà dei signori locali, i Doria: segno che anche la più importante famiglia della zona concorreva, in qualche modo, alla produzione dei fichi secchi17.

11 rossI, Gli antichi statuti di Apricale cit., p. 83 («Et de dicta oliva usque ad podium

superius figaretum Oberti Tamagni»); archIvIodI statodI torIno, Corte, Città e Contado di

Nizza, mazzo 35, doc. 6, Triora, 30 agosto 1305: Sentenza arbitramentale proferta da Gioanni Caveggia arbitro eletto sovra le diferenze vertenti tra le communità d’Apricale e Baiardo («Et super eo, quod dictus Gandulphus dicebat et requirebat fieri emendationem de quodam figareto Francisci Feniculi, quod est in territorio Apricalis, in Morga Verani»); IstItuto InternazIonale dI studI lIgurI (Bordighera), Fondo Girolamo Rossi, 15, Manoscritto Borfiga (1686), Divisio

Montis Communis inter Apricalem et Pignam 1356, f. 71 r («Usque ad figueriam de Campo Soprano»; «Usque ad ficutium de Campo Soprano»).

12 rossI, Gli antichi statuti di Apricale cit., p. 85 («Eundo usque ad Figalam Albam et usque

ad valonum de Amici»). Per la traduzione di figala = «albero di fichi» cfr. G. rossI, Glossario

medioevale ligure, Torino 1898, p. 49, voce figalus.

13 rossI, Gli antichi statuti di Apricale cit., p. 63 («Item statuerunt quod si aliqua persona [...]

acceperit cannas vel de cannis vincie vel grae vel lignamen ei pertinens, et qui contrafecerit cadat ad penam de soldis V pro quallibet vice»).

14 Bosco dei Faggi. 15 Far legna da ardere.

16 archIvIo comunaledI PIgna, xvI secolo: Ordini e capitoli municipali della communità di

Pigna cit., cap. 87.

17 archIvIodI statodI ImPerIa - sezIonedI san remo, Archivio Notarile, Notai di San Remo,

111, filza 1069, Protocolli notai diversi, San Remo, 1469-1516, a. 1512: Le infrascripte sono le intrate de Dolceaqua e castelle («Lo gradille cum doe faxie apresso lo castello»).

Sia gli statuti quattrocenteschi di Apricale sia quelli di Pigna stabilivano l’am- montare delle multe per i furti compiuti all’interno di queste strutture. La pena pecuniaria prevista ad Apricale era di venti soldi fino ad una mina di fichi; oltre questa quantità, la multa era ad arbitrio del signore. Il fatto che la stessa sanzione di venti soldi fosse comminata a chi rubava una mina di grano o un animale domestico di piccola taglia (pecora, maiale, capra, gallina), rivela fino a che punto i fichi fossero preziosi per l’economia locale. A Pigna, i trasgressori pagavano dieci soldi fino ad un sestario di fichi; oltre il sestario, la multa quintuplicava18.

3. Un commercio a largo raggio

Dopo essere stati essiccati, i frutti passavano dalle mani dei produttori a quelle dei mercanti. La più antica testimonianza nota relativa al commercio dei fichi ventimigliesi è contenuta nel succitato documento del 1290. Con questo atto, stipulato il 17 maggio nella colonia genovese di Caffa, in Crimea, Franceschino Morrino incaricava Benedetto di Voltri di ricevere a nome suo delle ceste di fichi secchi di Ventimiglia (giunti a Caffa da Pera, sobborgo di Costantinopoli), di venderli e di investire il ricavato a proprio piacimento19.

Nel bacino pontico, i fichi liguri subivano la concorrenza di quelli provenienti da altre zone del Mediterraneo. Un altro atto, rogato a Caffa l’11 agosto 1290 dallo stesso notaio, Lamberto di Sambuceto, menziona venti panieri di fichi de Cantala (località non identificata) che Nicola Bestagno aveva ricevuto da Andrea Bestagno per andare a venderli a Tana, alla foce del Don20.

Tornando da Est verso Ovest, scopriamo che i frutti dell’estremo Ponente ligure venivano smerciati anche in Nord Africa. In questo caso, la fonte è un atto rogato a Ventimiglia dal notaio Antonio Ambrogio Rolando. Il 18 gennaio 1509, Francesco di San Salvatore, di Dolceacqua, vendeva a Bernardo Vassallo, di Porto Maurizio,

18 rossI, Gli antichi statuti di Apricale cit., p. 109 s., cap. Iv («Item si aliquis furatus fuerit

aliquam pecudem, porchum, capram, galinam et similia animalia minuta, cadat ad bannum de soldis viginti et emendet dannum pacienti in duplum. Et similiter inteligatur de furtis factis ad ayras, gradiles, ortos de nocte videlicet ad ayras usque in mina una grani, de quo grano furatus fuerit, et ad gradiles usque in mina una ficuum. De alliis autem furtis factis in animalibus grossis, sicut sunt boves, equos, mullos et similia animalia. Et sic de alliis furtis factis ad dictos gradiles, ayras seu campos ascendentibus quantitatem prescriptam. Et sic de alliis furtis factis in domibus, de omnibus sit in arbitrio domini dicti loci, videlicet de banno, et emendet duplum pacienti dannum»); archIvIo comunaledI PIgna, xvI secolo: Ordini e capitoli municipali della

communità di Pigna cit., cap. 252 («Si aliqua persona furata fuerit in gradile alieno usque ad sextarium unum ficuum, det bannum solidorum decem ianuinorum; et ultra sextarium unum, det bannum solidorum quinquaginta et emendet in triplum»).

19 m. balard, Gênes et l’Outre-Mer, vol. I. Les actes de Caffa cit., doc. 534. 20 Ivi, doc. 892.

venticinque mine di fichi che Bernardo avrebbe portato ad partes Barbarie dopo averle caricate su una nave appartenente a Giuliano Lercari e a Giacomo Guirardi. Il documento è ancor più notevole per il fatto che specifica la quantità di frutti imbarcati suddivisa per tipologia: «de minis viginti quinque ficuum ad mensuram civitatis Vintimilii, videlicet duodecim mesciguarum et alias minutarum bonarum et mercantilium»21. Le mescigue (voce tuttora viva nei dialetti locali) sono i primi

fichi dell’anno, quelli primaverili22.

Ai marinai e mercanti portorini, la rotta maghrebina doveva essere nota da tempo immemorabile. L’esame della documentazione riguardante i rapporti commerciali tra Genova e il regno di Tunisi alla fine del Duecento rivela la presenza, nella capitale africana, di un uomo d’affari originario di Porto Maurizio: Octus de Portu Morixe che, il 13 giugno 1289, in Tunisi, nominava suo procuratore Oberto di Varazze per esigere alcuni beni da Bonanato di Diano e alcuni tarì d’oro da Pellegrino di Portovenere23.

I dati che riguardano il Mar Nero e l’Africa settentrionale, già estremamen- te interessanti, trovano un ideale complemento in quelli forniti da Jean-Paul Boyer per il Nizzardo. Sulla scorta di documenti conservati presso gli Archivi Dipartimentali delle Alpi Marittime, Boyer rileva l’esistenza di una «autentica corrente d’importazione da Ventimiglia verso Sospello: nel 1517, ad esempio, parliamo di quattrocento asini carichi di fichi». Una quantità impressionante, che dà l’idea della straordinaria produzione di questi frutti nelle campagne intemelie, così come della loro importanza per l’alimentazione della montagna nizzarda. Qui, il consumo di fichi eccedeva le capacità produttive. Per tale ragione era necessario farne arrivare altri dalla Liguria24.

4. Da Ventimiglia a Mentone

Nel loro complesso, le suddette informazioni si prestano ad un confronto con quelle ricavate da Nicolas Ghersi per la Mentone del Quattro-Cinquecento. Se, da questa località, cereali e fichi prendevano, a dorso di mulo, la via dell’entroterra, fra

21 archIvIodI statodI ImPerIa - sezIonedI ventImIglIa, Archivio Notarile, 84, filza 742, a.

1509, doc. 29; g. de moro, La vigna e il galeone. Uno scrivano di bordo nel ponente ligure

di tarda età colombiana fra proiezione marittima e radicamento agrario, préface de J. Heers, Imperia 2006, pp. 238-240.

22 rossI, Glossario medioevale cit., p. 66, voce mesica; g. Pastor, Ciabroti in lengàgiu

biijinòlu cun e “ulse” dei mei aregòrdi [Chiacchiere in dialetto buggese con i “rimasugli di ricotta tostata” dei miei ricordi], Pinerolo 1990, p. 101, voce mescìa.

23 g. PIstarIno, Notai genovesi in Oltremare. Atti rogati a Tunisi da Pietro Battifoglio (1288 -

1289), Genova 1986, doc. 123.

24 J.-P. boyer, Hommes et Communautés du Haut Pays Niçois Médiéval. La Vésubie (xIIIe-xve

i prodotti esportati via mare (alla volta della Liguria, della regione di Nizza e del- la Provenza) figurano grano, vino, olio e arance, ma non fichi25.

Nei documenti mentonesi, questi frutti compaiono talvolta fra i beni che la moglie apportava al marito all’atto del matrimonio: nel 1484, ad esempio, Franceschina Macario, vedova di Simone Rosso e sposa di Filippone Carenso, recava in dote non solo denaro, vestiti, gioielli e un bue, ma anche quattro salme di lenticchie e di fichi; nel 1495 Pierina Trenca, moglie di Domenico di Francia, portava con sé, tra le altre cose, dieci grossi di fichi26. La loro presenza all’interno della dote è una

conferma del valore attribuito a questo alimento nelle Alpi Marittime, tanto sulla montagna quanto sul litorale. La consuetudine di pagare parte in denaro e parte in fichi sopravvisse fino a tempi relativamente recenti: dal libro dei conti di un produttore d’olio di Pigna, databile all’Ottocento, veniamo a sapere che egli aveva corrisposto alla domestica tre lire per i lavori svolti nella prima metà del mese di settembre e una mina di fichi per quelli compiuti nella seconda metà dello stesso mese27.

Riguardo al paesaggio agrario, le fonti di Mentone mostrano come il fico fosse coltivato, anche qui, soprattutto accanto alla vite e, meno sovente, al nocciolo e al castagno. Uno degli atti rogati dal notaio Pellegrino Bottino attesta la presenza di un pino domestico in un terreno piantato a noccioli, fichi e altri alberi (1485)28.

5. Conclusioni

La documentazione analizzata in queste pagine consente, innanzitutto, di definire il territorio intemelio come una delle maggiori aree produttrici di fichi dell’Occidente medievale. Essa va ad aggiungersi a quelle già note attraverso il celebre manuale di mercatura del fiorentino Francesco Balducci Pegolotti (xIv secolo), il quale menziona

i fichi secchi di Maiorca, presenti sul mercato di Costantinopoli, e quelli di Spagna, venduti a Costantinopoli e a Bruges, nelle Fiandre29.

Coltivato pressoché ovunque, dalla costa alle alte valli Roia e Nervia, il fico era quasi sempre associato alla vite o ad alberi domestici come il mandorlo, l’ulivo, il castagno, il noce ed il nocciolo. Dopo la raccolta, i frutti venivano essiccati dai contadini su graticci collocati all’interno di appositi edifici rustici, tra i quali dove-

25 n. ghersI, Le pays mentonnais à travers les actes notariés à la fin du Moyen-Âge, préface

d’A. Venturini, vol. I, Menton 2004, p. 62.

26 Ivi, pp. 196, 350.

27 «Dati alla serva per la metà del mese di settembre lire 3 e per l’altra metà una mina [di] fichi»

(manoscritto cartaceo, anonimo e non datato, in mio possesso).

28 ghersI, Le pays mentonnais cit., vol. I, p. 217.

29 f. balduccI PegolottI, La pratica della mercatura, edited by A. Evans, Cambridge

(Massachusetts) 1936, pp. 34, 238, 248.

va spiccare quello appartenente ai Doria di Dolceacqua. I fichi destinati al com- mercio erano poi imbarcati alla volta di piazze lontane, oppure spediti a dorso d’a- sino verso la vicina regione di Nizza. Il fatto che alcuni di quelli giunti in Crimea fossero riconosciuti come ventimigliesi, fa pensare che, al pari di «Moscatello di Taggia» per quanto riguarda i vini30, «fichi di Ventimiglia» rappresentasse una sor-

ta di denominazione di origine ante litteram per distinguere un prodotto di qualità da frutti, meno pregiati, provenienti da altre zone del Mediterraneo.

Il confronto con il vicino territorio di Mentone fornisce preziose conferme ri- guardo all’importanza del fico per l’alimentazione delle popolazioni locali, sia dell’entroterra sia della costa, da una parte e dall’altra del confine ligure-pro- venzale.

30 a. carassale, L’Ambrosia degli Dei. Il moscatello di Taggia. Alle radici della vitivinicol-

Documenti correlati