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JACQUES MARITAIN TRA MODERNITà E POSTMODERNITà

TRA CRISTIANESIMO E UMANESIMO

4. JACQUES MARITAIN TRA MODERNITà E POSTMODERNITà

4. 1. Quale modernità?

Se dovessi indicare la peculiarità del pensiero maritainiano non esi-terei a individuarla nel rapporto che costantemente il filosofo francese intrattenne con la modernità; ritengo infatti che il suo itinerario sia tutto contrassegnato dalle valutazioni che sulla modernità egli ebbe ad esprimere. A voler adottare la consueta (ma per certi aspetti discutibi-le) ripartizione in tre fasi - per cui si parla di un “primo Maritain” tra gli anni Dieci e Venti, di un “secondo Maritain” dagli anni Trenta agli anni Cinquanta, e di un “ultimo Maritain” negli anni Sessanta - è pos-sibile rintracciare questa costante, pur nella specificità dei tre periodi.

Essi si caratterizzano, appunto, sulla base dell’atteggiamento assunto di volta in volta dal pensatore cattolico nei confronti della modernità:

di condanna prima, di confronto poi, e di critica infine, avvertendo, peraltro, che questi tre atteggiamenti furono prevalenti ma non esclu-sivi nei rispettivi periodi. Infatti, lungo tutto il suo itinerario Maritain espresse nei confronti della modernità una valutazione ambivalente:

negativa per certi aspetti e positiva per certi altri, e l’accentuazione dell’una o dell’altra determina la differente caratterizzazione dei tre periodi.

In ogni caso, ciò che va sottolineato è che il rapporto del filosofo con la modernità era finalizzato alla elaborazione di un progetto alter-nativo alla modernità, un’alternativa che si è configurata in termini che ne hanno privilegiato prima il rifiuto, poi il ripensamento, infine la revisione. Con ciò intendo sostenere che il cammino filosofico di Maritain è attraversato da un filo rosso, che è il rapporto con la moder-nità; che tale rapporto si connota per una ambivalenza di giudizio; che tale ambivalenza è diversamente connotata nelle tre fasi del pensiero

maritainiano; e che in tutte e tre le fasi la relazione con la modernità anima una progettualità inedita, definibile con una espressione dello stesso Maritain, come “ultramodernità”, per dire che il problema del filosofo fu sempre quello di andare “oltre la modernità”. Che questa ultramodernità si caratterizzasse prevalentemente come antimodernità o come filomodernità, come premodernità o come postmodernità è que-stione da porre solo dopo aver riconosciuto che la modernità è stata l’interlocutrice di Maritain: un’interlocutrice di cui il filosofo ha de-nunciato le “verità impazzite” e, insieme, ha riconosciuto i “guadagni storici”, insistendo ora sulle une e ora sugli altri, per cui i toni dell’ap-proccio alla modernità risultavano diversi, eppure non modificavano sostanzialmente la convinzione che la modernità rappresentasse una

“sfida”, cui il pensiero cattolico (secondo Maritain) non poteva e non doveva sottrarsi.

4. 2. Il contrasto polemico

Sotto questo profilo, il libro intitolato Antimoderno costituisce per certi aspetti “un libro programmatico”, pur se contenutisticamente rappresenta solo la prima fase del pensiero maritainiano per il preva-lere di un atteggiamento di contrapposizione alla modernità. Proprio in questo libro, Maritain chiarisce come la sua antimodernità sia da intendersi quale ultramodernità, dunque in termini prospettici e non retrospettivi. Certamente i toni in questa fase sono prevalentemente quelli della condanna delle “riforme” che la modernità ha operato at-traverso Lutero, Cartesio e Rousseau: i tre riformatori (così s’intitola il libro ad essi dedicato) hanno la grave responsabilità, per Maritain, di aver separato rispettivamente la salvezza dalla chiesa, la ragione dalla fede, e la natura dalla grazia. Pertanto il rifiuto della modernità si con-figura nel filosofo come rifiuto del soggettivismo, del razionalismo e del naturalismo che hanno poi prodotto ideologismo e scientismo.

Tuttavia, la denuncia di questi “errori” moderni non portarono Maritain a una visione regressiva, cioè a una qualche forma di

no-stalgia per la premodernità medievale o antica, tant’è che il tomismo maritainiano, pur autodefinito “paleotomismo” piuttosto che “neoto-mismo”, è finalizzato non a tornare indietro, bensì ad andare avanti;

infatti san Tommaso d’Aquino è additato da Maritain quale apostolo dei tempi moderni (così è definito, fin dal titolo, nel libro che gli è de-dicato), per dire che l’Aquinate non è stato tanto il filosofo del Medio-evo, quanto può essere il filosofo di una nuova epoca. Si tratta, quindi, non di “ripetere san Tommaso”, bensì di “ripetere il problema di san Tommaso”; si tratta non di “tornare a san Tommaso” bensì di “riparti-re da san Tommaso”. Per questo l’uso che Maritain fece del tomismo fu un uso specialmente “metodologico”, nel senso che al tomismo era assegnato il compito di favorire il discernimento per valutare le diverse epoche: per un verso, accogliendo e assimilando quanto di valido ci fosse, e, per altro verso, indicando e respingendo quanto non fosse ritenuto valido.

4. 3. Il confronto dialettico

Questa impostazione, che si può rinvenire tra le righe nelle opere del primo periodo (che privilegiano i toni polemici), venne da Mari-tain esplicitata e sviluppata nella seconda fase del suo pensiero, quando è del tutto evidente lo sforzo che il filosofo fa di aprirsi maggiormente alla modernità, accettandone e assimilandone alcune acquisizioni si-gnificative. Per quanto fosse aperto, Maritain non trascurò, nemme-no in questa seconda fase, di criticare la modernità e certi suoi esiti:

dall’illuminismo al positivismo, dall’idealismo al materialismo, e tut-tavia i toni erano cambiati, perché la critica si accompagnava a precisi apprezzamenti. Emblematica è sotto questo profilo la considerazione in cui Maritain tenne il marxismo, definito “ultima eresia cristiana”, e valutato a diversi livelli, recependone l’istanza di giustizia, e rifiu-tandone la visione antropologica; analogamente si comportò nei con-fronti del freudismo, cogliendone la positività terapeutica e, insieme, la negatività antropologica.

Tuttavia, al di là di specifiche valutazioni, in questa seconda fase Maritain appare impegnato nel compito che si era assegnato, vale a dire conciliare le acquisizioni della classicità con quelle della moderni-tà: quel che ne esce non è la somma estrinseca di elementi eterogenei, né l’operazione sincretistica di artificiosi accordi, bensì l’elaborazione di una visione complessa e inedita. Il progetto, che Maritain andò ela-borando fra gli anni Trenta e Cinquanta, ha il carattere di una nuova civiltà o, per dirla con le sue stesse parole, di un “ideale storico concre-to”, all’insegna del cosiddetto umanesimo integrale, promosso da “una nuova cristianità”. La novità dell’umanesimo maritainiano sta proprio nella sua qualificazione di “integrale”, e su questa novità occorre in-sistere per evidenziarne i diversi significati: integrale deve essere l’u-manesimo, perché si appella, per un verso, alla “integrità” dell’uomo (cioè di tutto l’uomo) e alla “integralità” degli uomini (cioè di tutti gli uomini), e s’incarica, per altro verso, di operare “integrazioni” (cioè assimilazioni) di aspetti messi in luce da diverse concezioni dell’uomo.

Il problema è, allora, essenzialmente antropologico, e l’antropologia di cui Maritain si fa sostenitore supera tanto i monismi quanto i dualismi nelle loro diverse versioni antiche e moderne: il monismo materia-listico di Democrito, Hobbes e Feuerbach; il monismo idealista di Platone, Berkeley e Hegel; il dualismo conflittuale di Cartesio, e, per certi aspetti, anche l’organicismo di Aristotele che non è forse esente del tutto dal dualismo, pur se risolto in termini compositivi.

L’antropologia, che Maritain propone, può ben essere definita per-sonalismo, per dire che è incentrata sull’idea di persona, e questa è colta anzi tutto nella unità del suo essere, nella unicità della sua individuali-tà e nella unitarieindividuali-tà della sua relazionaliindividuali-tà: tutto ciò porta a superare le visioni “riduttivistiche”, quelle “antinomiche” e quelle “sommatorie”.

La persona non si riduce solo a corpo, o solo a spirito, ma è spirito nella condizione di incarnazione (per usare l’espressione posta a titolo di quattro saggi sulla condizione umana); la persona non è l’unione di spirito e corpo tra loro più o meno in contrasto, ma è soggetto di

cui l’individualità o materialità e la personalità o spiritualità costitui-scono non due sostanze, bensì due modalità di configurarlo. Quindi Maritain evita il riduzionismo, perché riconosce la complessità della persona, ed evita il dualismo, perché pone l’unità della persona a fon-damento degli aspetti che la specificano. In tale ottica è evidente an-che l’inadeguatezza di antropologie individualistian-che e collettivistian-che, di contro alle quali Maritain propone quello che può essere definito il “personalismo comunitario”. Tuttavia, affinché la formula non sia generica, occorre precisare che tale personalismo ha in Maritain una con-notazione metafisica, per cui la specificità e la socialità del soggetto sono aspetti coessenziali e si riferiscono alla persona umana come struttura ontologica connotata da “bisogno di avere” e “bisogno di dare”.

è nel contesto di una tale concezione unitaria e insieme articola-ta dell’uomo che Mariarticola-tain sottolinea la necessità di un umanesimo come valorizzazione dell’uomo integrale (integralità come totalità degli aspetti di personalità, integralità come insieme degli stadi della vita, integralità come universalità di tutti gli uomini) anche alla luce dell’apporto proveniente da altre concezioni antropologiche, limita-tamente ad aspetti che si possono integrare nella visione organica del personalismo di matrice tomista. Sulla base di tale operazione, Ma-ritain sviluppò nella seconda fase del suo pensiero tutta una serie di trattazioni, che vanno dalla metafisica all’epistemologia, dalla morale al diritto, dalla storia alla politica, dalla pedagogia all’estetica, affron-tando così un po’ tutti i problemi canonici della filosofia, per cui si può ben dire che Maritain presenta un tipo di riflessione anche sotto questo profilo integrale: il che non è tanto frequente nei filosofi del Novecento. In ciascuno dei campi affrontati Maritain ha operato una inedita sintesi di premodernità e modernità nell’ottica della postmoderni-tà. La metodologia, che ha consentito tale operazione, è quella tomista del distinguere per unire (che dà anche il titolo al suo capolavoro filo-sofico), grazie alla quale Maritain supera certe premoderne parzialità o unilateralità (che erano inevitabili) e certe moderne

contrapposizio-ni o identificaziocontrapposizio-ni (che sarebbero state evitabili). Avendo chiaro che

“distinguere” non significa separare o dividere, e “unire” non significa semplificare o ridurre, Maritain distingue e unisce le diverse articola-zioni dell’essere, i diversi gradi del sapere, e i diversi piani dell’agire. E fin dai titoli di alcuni suoi libri di questo periodo appare chiaro il pro-gramma maritainiano di inedita conciliazione tra religione e cultura, tra scienza e saggezza, tra i diritti dell’uomo e la legge naturale, tra cristia-nesimo e democrazia, tra la persona e il bene comune, tra l’uomo e lo Sta-to. Così, con la sua riflessione, Maritain ha per tanti aspetti preparato la svolta “costituzionale” della democrazia e la svolta “conciliare” della Chiesa. Da una parte la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, e dall’altra parte alcuni documenti conciliari come la Gaudium et Spes e la Dignitatis Humanae hanno direttamente o indirettamente risentito della riflessione maritainiana.

Anche in questa seconda fase, che viene considerata (ed è) tan-to aperta alla modernità, Maritain non si stanca di rilevarne pure gli aspetti che non ritiene di condividere: dal razionalismo all’idealismo, dal positivismo al materialismo, dallo scientismo alla tecnocrazia. Si badi, non è che la modernità venga in tal modo liquidata; Maritain con essa ingaggia un confronto senza complessi, evidenziandone i

“guadagni storici” non meno che le “verità impazzite”. Per evitare que-ste e assimilare quelli è necessario, secondo Maritain, che la modernità sia integrata con la classicità, ovvero che la classicità sia integrata con la modernità. Due esempi soltanto, ma significativi: uno di carattere teoretico, e l’altro di carattere pratico. Primo esempio: in campo epi-stemologico è evidente che non si può prescindere dalla rivoluzione scientifica, e quindi è da valutare positivamente il sapere empiriolo-gico della modernità che tuttavia non deve essere considerato l’unico sapere; è invece da riconoscere accanto al sapere empiriologico, anche il sapere ontologico, che è eredità classica irrinunciabile. Mentre nella premodernità il sapere o era ontologico o non era, e mentre nella mo-dernità il sapere o è empiriologico o non è, secondo Maritain invece

bisogna riconoscere che entrambi sono saperi, anzi gradi del sapere, per cui sono legittimi tanto il sapere scientifico (di tipo empirico e formale), quanto quello sapienziale (di tipo filosofico e teologico): tale è la “epistemologia esistenziale” di Maritain, il quale dunque recsce alcuni aspetti della epistemologia classica e altri aspetti della epi-stemologia moderna, fornendo una visione originale e complessa del sapere. Il secondo esempio riguarda il campo dell’etica, dove va operata la rivendicazione per un verso dei diritti dell’uomo, e per altro verso della legge naturale: se questa è una certezza classica, quelli sono una consapevolezza moderna, e il problema è non rinunciare né alla leg-ge naturale né ai diritti umani: solo riconoscendoli come coessenziali è possibile che la scoperta dei diritti umani, operata dalla moderni-tà, non ceda ad un soggettivismo relativista, ovvero l’intuizione della legge naturale, sostenuta dalla classicità non ceda ad una oggettività astratta. Da quanto detto pare legittimo affermare che Maritain ha instaurato con la modernità un tipo di rapporto che può essere con-siderato paradigmatico: non è rimasto estraneo alla modernità, e non ne è diventato succubo.

4. 4. La critica costruttiva

è, questo, l’atteggiamento che Maritain tiene anche nel terzo perio-do del suo pensiero, quanperio-do potrebbe sembrare che il filosofo si avvi-cini più alle posizioni del primo periodo anziché a quelle del secondo.

Ma così non è, in quanto Maritain continua ad esprimere coerente-mente il suo pensiero: critico per un verso e costruttivo per l’altro.

Certamente ne Il contadino della Garonna, dove il “vecchio laico s’in-terroga sulla storia”, Maritain fu critico nei confronti degli atteggia-menti che riteneva negativamente caratteristici di tanta modernità; tali erano considerati la “logofobia” (odio per la verità) e la “cronolatria”

(adorazione del tempo); due impostazioni che potremmo anche de-nominare, rispettivamente, “nichilismo” e “relativismo” e che hanno finito con il generare l’individualismo e il presentismo contemporanei.

Tuttavia è da rilevare che questa denuncia si accompagnò in Mari-tain ad altri due rilievi importanti. In primo luogo, nello stesso libro, il filosofo non fu tenero con l’atteggiamento di chi ritiene di possedere la verità; e così “l’integralismo” è condannato per due ordini di ragione, che portano ad affermare che non si possiede la verità, ma si è possedu-ti dalla verità. In secondo luogo, Maritain non si nascose che il plurali-smo è la condizione del nostro tempo e con essa è necessario misurarsi, realizzando inedite forme cooperazione, come ribadì ne Il filosofo nella società, dove ripubblicò un discorso all’UNESCo su La via della pace con il nuovo e significativo titolo Le possibilità di cooperazione in un mondo diviso, testo che trovò sviluppo in un altro discorso all’UNE-SCo su Le condizioni spirituali del progresso e della pace, pubblicato poi nel suo ultimo volume, quello di “scritti cristiani”, intitolato Approches sans entraves, di cui stava correggendo le bozze, quando Maritain morì (apparve postumo).

Dunque, no al relativismo e all’individualismo; sì al pluralismo e all’impegno di collaborazione. Non c’è alcuna contraddizione tra riconoscimento della pluralità e ricerca di qualche forma di unità, giacché il pluralismo può e deve portare alla collaborazione: tanto a livello di persone con la “amicizia civile”, quanto di movimenti con il “confronto ideologico”; invece (avverte Maritain) a livello di idee si deve esercitare la “giustizia intellettuale”, per cui non sono possibili compromessi; anche in questo caso non c’è contraddizione, giacché tolleranza e verità (come chiarisce Maritain nell’omonimo saggio) non sono incompatibili; anzi proprio l’affermazione della verità permette alla tolleranza di non degenerare in “indifferenza” e di configurarsi invece come “dialogo”. Come si vede, la posizione maritainiana è arti-colata, e ancora una volta non si lascia ridurre a posizioni schematiche.

Ne troviamo conferma nella valutazione che egli diede della filosofia moderna, definita come “ideosofia”, cui contrappose l’autentica filoso-fia, considerata come “ontosofia”; questa contrapposizione, che suona decisamente contro la modernità, si accompagna però alla

rivendica-zione di una “laicità” significativa. Infatti ontosofia è neologismo con cui Maritain intese rinnovare l’idea del tomismo, della filosofia nella fede e della filosofia cristiana: tutte e tre queste espressioni, in passa-to usate anche da Maritain, gli apparivano ora inadeguate, in quanpassa-to gli sembravano compromettere la specificità della filosofia, cioè la sua laicità, che aveva connotato la filosofia classica (precristiana) e quella moderna (postcristiana).

Si può allora dire che Maritain fece sua la categoria di “laicità”, evi-tandone tuttavia un uso ideologico, come spesso invece era avvenuto nella modernità. In lui la rivendicazione della laicità della filosofia av-venne insistendo sul suo carattere squisitamente critico e aperto. Pro-prio sulla base di questa attitudine Maritain rifiutò qualsiasi fedeltà:

anche, come tomista, nei confronti di san Tommaso, giungendo ad affermare che una teoria filosofica non può etichettarsi con il nome di qualcuno che, tra l’altro, è soprattutto un teologo, e che “il filosofo non giura fedeltà a nessuno”. Da qui la configurazione della filosofia, piuttosto che come “tomismo”, come “filosofia dell’essere” ed è de-nominazione che troviamo vent’anni dopo nella tredicesima enciclica di Giovanni Paolo II, cioè Fides et Ratio, dove Maritain è citato nella ristretta cerchia dei filosofi cristiani occidentali.

4. 5. Un rapporto costante e costantemente rinnovato

Ho insistito su queste precisazioni perché non sono solo termino-logiche, bensì propriamente concettuali, e aiutano a capire una volta di più che, al di là di certi accenti un po’ drastici del vecchio Maritain, il filosofo continuò a intrattenere con la modernità un rapporto conti-nuo e ambivalente, che lui stesso sintetizzò nell’imperativo: individuare della modernità i “guadagni storici” per un verso, e le “verità impazzi-te” per l’altro. Appare allora chiaro che Maritain seppe sottrarsi a una lettura preconcetta o ideologica della modernità, che ne scorge solo i pro o solo i contra; invece Maritain, per quanto critico della moderni-tà, si pose nei confronti di essa in un atteggiamento “antimoderno”,

ma di una antimodernità originale, perché non ebbe una connotazio-ne “premoderna”, come era stato sostenuto da altri, né, d’altra parte, una configurazione “neomoderna”, che verrà sostenuta da altri ancora;

la sua fu (per usare la sua stessa espressione) una posizione “ultramo-derna”, nel senso che non mise tra parentesi la modernità né la rifiutò pregiudizialmente, ma la prese sul serio, e l’affrontò e l’attraversò, per oltrepassarla.

Così, possiamo dire che - prima del dibattito che si svolgerà nella seconda metà del XX secolo a partire dagli anni Settanta - Maritain assunse nei confronti della modernità una posizione diversa da quel-la dei premodernisti, dei neomodernisti e dei postmodernisti. Vorrei aggiungere che nella posizione maritainiana si potrebbero rinvenire in sintesi diversi aspetti di queste posizioni, nel senso che, mentre succes-sivamente entreranno in conflitto tra loro, nel pensiero maritainiano sono, in una certa misura almeno, composte vitalmente in un quadro complessivo e complesso. Infatti, in Maritain è rintracciabile un per-corso che muove dalla critica della modernità (come i premodernisti) e dal riconoscimento degli aspetti positivi della modernità (come i neo-modernisti) per prendere congedo dalla modernità (come i postmoder-nisti). Dunque una posizione articolata, quella maritainiana, ma an-che feconda, se si guarda alla influenza diretta o indiretta an-che ha avuto sul piano sociale e su quello ecclesiale: basti qui fare riferimento ai due eventi che hanno segnato positivamente il Novecento, vale a dire la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo e il Concilio ecumenico Vaticano II o, più ampiamente, il dibattito sul rapporto persona - de-mocrazia e sul rapporto Chiesa - mondo.

Vorrei concludere con una esemplificazione che mi pare significati-va, ossia la valutazione che, direttamente o indirettamente, Maritain diede di due processi, che si pongono all’inizio e al termine della mo-dernità (e che in diverso modo l’attraversano tutta): la secolarizzazione e la globalizzazione. Al di là della terminologia usata, nei confronti dell’una e dell’altra Maritain evidenziò che duplice può essere lo

svi-luppo dei due processi. Infatti, con riferimento a Umanesimo integrale, la secolarizzazione può presentarsi come “secolarità” ovvero come “se-colarismo”, a seconda che riconosca la legittima autonomia delle realtà temporali ovvero ceda alla loro indebita assolutizzazione; a sua volta, con riferimento a L’uomo e lo Stato, la globalizzazione può presentarsi come “globalità” ovvero come “globalismo”, a seconda che riconosca la “interdipendenza” ovvero celi una “neocolonizzazione”, e

svi-luppo dei due processi. Infatti, con riferimento a Umanesimo integrale, la secolarizzazione può presentarsi come “secolarità” ovvero come “se-colarismo”, a seconda che riconosca la legittima autonomia delle realtà temporali ovvero ceda alla loro indebita assolutizzazione; a sua volta, con riferimento a L’uomo e lo Stato, la globalizzazione può presentarsi come “globalità” ovvero come “globalismo”, a seconda che riconosca la “interdipendenza” ovvero celi una “neocolonizzazione”, e