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Jeremy Bentham

Jeremy Bentham nacque a Londra nel 1748. Durante la sua gioventù studiò dapprima al Queen's College di Oxford, completando poi i suoi studi in legge al Lincoln's Inn. Viaggiò molto per l'Europa, abitando tre anni in Russia tra il 1785 e il 1788 e divenendo cittadino francese nel 1792. Durante la sua vita Bentham si dedicò alla riforma del sistema penitenziario, secondo il modello espresso in uno dei suoi progetti più importanti: il Panopticon. Dopo l'incontro con James Mill (1773-1836) nel 1809, si avvicinò al radicalismo. Morì a Londra nel 1832, dopo aver sostenuto il movimento per la riforma parlamentare nel 1819 e aver fondato il Westminster Review nel 1823, che divenne l'organo di stampa più importante per la divulgazione delle idee radicali.

Andando ad analizzare le ragioni che lo condussero a muovere una critica contro i rivoluzionari francesi, Bentham è «un utile strumento concettuale per capire le ragioni per cui Burke ha prevalso sui polemisti radicali di fine '700»64.

I due filosofi provenivano da ambienti culturali molto diversi: mentre Bentham era un innovatore e un radicale, Burke era un tradizionalista e un conservatore. Nonostante queste diversità però entrambi arrivarono a una posizione molto critica nei confronti della Rivoluzione.

Bentham sosteneva la teoria empirista e utilitarista ed era quindi in disaccordo sia con le teorie giusnaturaliste e contrattualiste sull'origine dello stato, sia con la visione storico-tradizionale tipica del diritto inglese:

«Di qui l'opposizione netta alla definizione di un nucleo di diritti natura imprescrittibili, ritenuti da un lato immaginari, indimostrabili, e, in quanto tali, pericolosi, demagogici; dall'altro, incapaci di cogliere i mutamenti della società, degli uomini, quindi, dei loro diritti nel tempo e perciò o inutili, o tirannici nei confronti dei bisogni di coloro che verranno; l'accusa, quest'ultima, più pregnante e lungimirante, formulata nei loro confronti dal filosofo inglese»65.

Le idee portate avanti da Bentham dunque lo portarono ad opporsi non solo alla dottrina della legge naturale «tramandata per via tradizionale», ma anche all'ideale dell'egualitarismo democratico di Paine. Egli manifestò la sue opinioni già in occasione dell'emanazione della Dichiarazione di

indipendenza degli Stati Uniti d'America, della quale attaccava in particolar

modo le espressioni usate al suo interno, come ad esempio «la ricerca della felicità».

Riguardo alla Rivoluzione francese Bentham non fu subito critico,bensì all'inizio riconobbe in esse una grande occasione di progresso. Gli anni in cui essa si svolse furono per il filosofo inglese importanti per il delinearsi del proprio pensiero riguardo alla politica e alla società. Fu a partire dal 1792 che Bentham cominciò a provare un forte senso di delusione e disappunto nei confronti della Rivoluzione, a causa del fatto che quest'ultima oramai aveva avuto una svolta anarchica dovuta all'astrattismo dei suoi principi circa i diritti «imprescrittibili» dell'uomo, da lui già criticati fortemente in passato. Bentham quindi a partire dal 1792 cominciò a pensare alla Rivoluzione francese come un'occasione mancata per apportare un rinnovamento alla politica, alle leggi, all'economia e alla

65 G. Ruocco, L'evidenza dei diritti. La déclaration des droits di Sieyès e la critica di Bentham, Macerata, Eum, 2010, p. 49.

società del suo tempo.

Le critiche che Bentham mosse alla Rivoluzione francese sono da considerarsi senza dubbio più tecniche rispetto a quelle che mosse Burke, ma non per questo sono da reputarsi meno efficaci: il modo in cui Bentham riuscì a impostare il suo pensiero nello scritto Anarchical Fallacies (1796) rese l'inglese un punto di riferimento per la critica agli eventi francesi. Tale opera fu organizzata dall'autore sulla base di quattro punti: il preambolo alla Dichiarazione dei diritti dell'uomo del 1789; l'articolato della Dichiarazione stessa; la Dichiarazione dei diritti e dei doveri del 1795 e ad ultimo il discorso tenuto dall'abate Sieyès il 20 luglio del 1789 presso il Comitato di costituzione.

Nella prima parte Bentham affermò che:

«I rivoluzionari intendono fissare alcuni grandi principi, definibili come “naturali” perché insiti e innati nell'essenza di ogni uomo, che avranno la funzione di costituire i poteri dello stato e di condurre il legislatore verso leggi giuste»66.

Questo atteggiamento dei rivoluzionari venne subito criticato da Bentham, il quale riteneva che questi stessero ribaltando il ragionamento, poiché le idee che essi esponevano non dovevano essere il preambolo ma l'esito dell'applicazione di buone leggi:

«An enterprise of this sort, instead of proceeding the formation of a complete body of laws, supposes such a work to be already existing in

every particular except that of its obbligatory force»67.

Da questa critica si evince come per Bentham fosse centrale il fatto che la riflessione partisse dalle leggi per risalire poi ai principi, applicando così il metodo induttivo. Le leggi fondamentali, per il filosofo inglese, erano quindi un qualcosa derivato dalle leggi particolari e non viceversa:

«That the proper order is – first to digest the laws of detail, and when they are settled and found to be fit for use, then, and not till then, to select and frame in terminis, by abstraction, such proposition as may be capable of being given wihtout self-contraddiction as fundamental laws»68.

Tutte le riflessioni fatte poi da Bentham furono tutte in conseguenza della critica nella prima parte dell'opera e tutte possono essere ricondotte alla considerazione che per Bentham i diritti sanciti dalla Dichiarazione ebbero come risultato quello di garantire l'anarchia in Francia. Egli invece riteneva che per il raggiungimento di un buongoverno fosse necessario passare attraverso la figura di un valido legislatore.

Il punto di contatto con Burke è quindi sulla critica verso l'astrattismo che permeava i principi e gli ideali rivoluzionari. Bisogna comunque ricordare che Bentham non produsse questa critica spinto dal rispetto per la tradizione storica, con l'intento di arginare il cambiamento portato avanti dalla Rivoluzione, bensì lo fece per rendere tale cambiamento

67 J. Bentham, Anarchical Fallacies, in The Works of Jeremy Bentham, p. 491, cit. in C. Martinelli, Diritto e diritti oltre la Manica, Il Mulino, Bologna, 2014, p. 71.

68 J. Bentham, Anarchical Fallacies, in The Works of Jeremy Bentham, pp. 493-494, cit. in C. Martinelli, Diritto e diritti oltre la Manica, Il Mulino, Bologna, 2014, p. 71.

maggiormente perseguibile oltre i confini francesi.

Seppur spinte da motivazioni diverse, le critiche dei due filosofi inglesi pesarono non poco sull'opinione pubblica inglese. Questo però non è sinonimo di considerare i due pensatori gli unici che avrebbero poi influenzato il dibattito inglese nei decenni successivi, anche se sicuramente ne furono protagonisti.

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