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Se la guerra del Vietnam è stata la prima guerra televisiva, quella del Kosovo è certamente la prima guerra su Internet. Il world wide web ha infatti giocato un ruolo essenziale nell’informazione, altrimenti insufficiente o sottoposta a censura. Su Internet, infatti hanno trovato posto tutti: serbi, kosovari, albanesi, militari della Nato e rispettivi sostenitori.

Rispetto alla precedente guerra in Bosnia e agli altri conflitti, dove i radioamatori fornirono attivamente dati e testimonianze, la situazione in Kosovo e la censura o la prudenza in Serbia e Montenegro, hanno impedito che questo tipo di fonte di informazioni assumesse un ruolo importante in questa occasione. La palla, per così dire, è passata ad Internet, dove l’anonimità dei collegamenti telefonici ha consentito a serbi e kosovari di fornire resoconti sui bombardamenti e sulla pulizia etnica.

Le cifre "anonime" degli obiettivi forniti dai briefing della Nato sono così divenute "un fatto personale" sui siti serbi come

www.beograd.com, dove veniva tenuto un elenco aggiornato delle

distruzioni e dei morti causate dai bombardamenti in Jugoslavia. E gli scarni numeri dei bilanci delle vittime in Kosovo, hanno assunto un significato ben più concreto grazie ai siti albanesi come quello della

Kosovapress, l’agenzia stampa dell’Uck, dove le vittime venivano

Messaggi di posta elettronica di serbi e albanesi hanno continuato ad arrivare numerosi nei gruppi di discussione e nelle caselle elettroniche degli organi di informazione, documentando gli orrori della guerra e danno sfogo alla paura e alla disperazione. Accanto ai messaggi di odio ("More strikes against Serbs") degli albanesi sui newsgroup come "soc.culture.albanian", replicati dai serbi ("Death to UCK"), per esempio su "alt.beograd", ci sono state anche richieste di aiuto e di spiegazioni: "perché i serbi ci attaccano?", "perché non possiamo andare tutti d'accordo?" (la risposta albanese: "perché i serbi sono stupidi").

In una “lettera” pubblicata su un sito personale serbo, Dunja, una ragazza serba di 13 anni scriveva ad una amica: "gli allarmi risuonano in continuazione e io non mi collego più ad Internet perché i siti sono pieni di foto dei bombardamenti".

Case ridotte in macerie, fabbriche che bruciano nella notte, volti disperati di profughi kosovari e di serbi feriti sui letti d'ospedale: immagini come queste hanno raccontato la guerra nella Jugoslavia. Fotografie spesso pubblicate anche da giornali e televisioni, fatte da fotografi professionisti, ma anche da semplici cittadini serbi e kosovari, ansiosi di documentare la distruzione di luoghi a loro cari. Tra le foto più significative, quelle dei profughi kosovari, mentre prendono d’assalto un treno per fuggire. O quelle del ponte di Novi Sad distrutto dalle bombe. Oppure la foto di uno dei Ministeri di Belgrado fatta pochi istanti dopo l'esplosione dei missili cruise. Poi, dopo l’inizio degli "errori" della Nato: le foto delle vittime e delle case

distrutte nelle cittadine di Pristina e Aleksinac, del treno colpito sul ponte di Grdelica, dei trattori in fiamme del convoglio di profughi kosovari bombardato a Djakovica. Immagini impietose e raccapriccianti di corpi contorti, carbonizzati, arti mozzati: tutta la crudezza della guerra che solo in parte viene mostrata anche dalla tv e sui giornali. E accanto alle foto, resoconti di drammi personali, testimonianze di scampati, oppure propaganda allo stato puro, dipende dal sito in cui si sta navigando.

Proprio questa “varietà di offerta” ha di fatto sconfitto la censura in Jugoslavia. Dopo la chiusura di tv e radio indipendenti, come la serba B92 o la kosovara Radio21, nella Jugoslavia hanno continuato a trasmettere solo tv e radio di Stato, fornendo solo notizie bombardamenti della Nato, con un taglio propagandistico, ed evitando di parlare della guerra e delle stragi in Kosovo. Una minoranza non trascurabile di serbi e kosovari però grazie ad Internet ha potuto accedere a tutte le informazioni del web, anche se erano veramente pochi i siti internazionali con notizie in serbo o albanese (tra questi, il Ministero della Difesa britannico: www.mod.uk, con una sezione in serbo). E, come già detto, molti tra serbi e albanesi si sono anche adoperati per far conoscere le proprie storie.

La vicenda dell’abbattimento dell’aereo invisibile F-117 si può forse considerae esemplare per illustrare la "potenza" dimostrata da Internet durante questa crisi. Oltre a fornire la consueta ricchezza di dati (scheda tecnica, filmati dell’aereo in volo, storia dei bombardamenti in Iraq…), la ‘rete’ è stata in un certo senso una dei

protagonisti della vicenda. L'aereo "stealth" fu abbattuto sulla ex Jugoslavia il 27 marzo: le autorità jugoslave, che in precedenza avevano già detto di aver abbattuto altri aerei Nato, lo annunciarono subito. Ma la Nato smentì. Entro poco tempo, i serbi mostrarono le foto dell’aereo abbattuto alla tv e sul web. Secondo la Nato, però, si trattava di un falso. Però una foto dell'aereo abbattuto, con il numero di matricola uguale a quello mostrato dalla televisione e dai siti jugoslavi, si trovava sin da febbraio sul web dell'aviazione Usa e fu scoperta da un giornalista italiano. Il giorno seguente all’abbattimento, mentre i quotidiani pubblicavano foto notturne non molto nitide del relitto circondato da soldati serbi e tutti si chiedevano se i serbi erano effettivamente entrati in possesso dei segreti dello stealth, i siti serbi mostrarono immagini nitidissime dell’aereo, prese di giorno e in primo piano. Da queste si capiva che il sistema di autodistruzione dell’F117, progettato per non far cadere in mani nemiche i preziosi segreti elettronici dell’aereo, in parte non aveva funzionato. Infine, la vicenda del pilota dello stealth, tuttora anonimo, fu pubblicata qualche giorno dopo su Internet (e poi ripresa dai quotidiani) in una intervista in cui il militare raccontava come si era lanciato col paracadute in modo quasi miracoloso e come, altrettanto miracolosamente, era sfuggito ai serbi durante le sei ore e mezzo che era rimasto dietro le linee nemiche, a 20 km da Belgrado, prima di essere recuperato da un elicottero delle Forze speciali Usa.