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Norme previste dalla Costituzione Italiana

Cosa prevede la giurisprudenza in proposito

3.1 Norme previste dalla Costituzione Italiana

Il diritto costituzionale italiano prevede che la libertà d’espressione del pensiero e quella dell’informazione, principi cardine della professione giornalistica, in tempo di pace, siano tutelate a pieno, principalmente dall’ art. 21 della Costituzione, queste stesse libertà, durante i conflitti armati, subiscono invece numerose e gravose limitazioni..

Il comma 1, stabilendo che: “Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione”, garantisce non solo la possibilità di esprimere il proprio pensiero, ma anche di comunicarlo ad altri, facoltà che ha acquistato importanza alla luce, sia dell’ingente sviluppo dei mezzi di comunicazione di massa, sia della crescente partecipazione dei cittadini alla vita della comunità civile e politica.

L’ampiezza del riferimento è tale da poter ricomprendere in esso ogni strumento di comunicazione, da quelli già utilizzati in passato a quelli utilizzabili in futuro, tuttavia i costituenti hanno dato maggior rilievo alla stampa, tema cui è dedicata tutta la restante parte dell’articolo: “La Stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni e censure. Si può procedere a sequestro soltanto per atto motivato dell’autorità giudiziaria nel caso di delitti, per i quali la legge sulla stampa espressamente lo autorizzi, o nel caso di violazione delle norme che la legge stessa prescriva per l’indicazione dei responsabili.

In tali casi, quando vi sia assoluta urgenza e non sia possibile il tempestivo intervento dell’autorità giudiziaria, il sequestro della stampa periodica può essere eseguito da ufficiali di polizia giudiziaria, che devono immediatamente, e non mai oltre ventiquattro ore, fare denuncia all’autorità giudiziaria. Se questa non lo convalida nelle ventiquattro ore successive, il sequestro s’intende revocato e privo d’ogni effetto. La legge può stabilire, con norme di carattere generale, che siano resi noti i mezzi di finanziamento della stampa periodica.

Sono vietate le pubblicazioni a stampa, gli spettacoli e tutte le altre manifestazioni contrarie al buon costume. La legge stabilisce provvedimenti adeguati a prevenire e a reprimere le violazioni.”

Questo ampio riconoscimento della libertà di stampa comporta però l’assunzione di responsabilità da parte di coloro che la utilizzano: entra qui in gioco la figura dei giornalisti.

Per quanto riguarda l’aspetto professionale del giornalismo è opportuno parlare, più che di libertà d’espressione, di libertà d’informare l’opinione pubblica sul reale accadimento dei fatti, tuttavia questo importantissimo concetto non viene menzionato nella norma.

Nell’ art. 21 non solo non compare il termine informazione, ma, affinché vi sia ricondotto almeno il senso, è necessaria un’interpretazione del concetto che ci porta a definirlo come:

-potere di reperire la notizia: deve essere ammessa la possibilità di trovare riscontri e conferme reali ai fatti di cui si viene a conoscenza, questo processo spesso incontra una serie di limiti nei

poteri pubblici e privati, in tali casi, quasisempre l’informazione soccombe dando prevalenza al concetto di segreto.

-potere di diffondere la notizia: tipica espressione del pensiero e delle idee.

-possibilità di ricevere la notizia in tutti i diversi modi in cui questa può essere data.

Delle prerogative elencate dovrebbero godere tutti i cittadini, compresi i giornalisti in quanto non esiste una specificazione che riguardi la categoria, anche se si tratta del settore più interessato.

In particolare, la professione giornalistica, vista come il lavoro di raccogliere notizie ed esprimere fatti ed opinioni ad un pubblico può incorrere in diversi ostacoli, dai quali per altro, anche i giornalisti, come tutti i lavoratori in genere, sono tutelati dal comma 2 dell’ art.3 della Costituzione, dove si dice che:

“E’ compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese.”

E’ sembra doveroso sottolineare come lo stesso concetto di guerra sia mutato col passare del tempo, manifestandosi di volta in volta sotto vesti giuridiche diverse: peace keeping, peace enterforcing, nation building, intervento umanitario, lotta al terrorismo internazionale, guerriglia, guerra civile, guerra di difesa o preventiva. Nonostante la grande varietà dei nomi ed il ricorso alla lingua inglese, il concetto di base ci riporta sempre alla medesima realtà: in

qualunque modo la si voglia chiamare è sempre di guerra che si sta parlando.

Giuridicamente, la Costituzione italiana, da una parte, delinea un solo tipo di conflitto armato: quello deliberato dal Parlamento in osservanza dei trattati internazionali, dall’altra riconosce e giustifica solo la condizione che rispetta il fermo dell’ art. 11:“L’Italia ripudia la guerra come mezzo di offesa alla libertà degli altri popoli e di risoluzione delle controversie internazionali”.

La partecipazione ad una guerra, inoltre è sempre decisa dalle alte cariche dello Stato, in base all’ art. 78: “ Le Camere deliberano lo stato di guerra e conferiscono ai governi i poteri necessari”.

Inoltre, in base all’ art. 87, comma 8, il Presidente della Repubblica : “ Ha il comando delle Forze armate (…) e dichiara lo stato di guerra De liberato dalle Camere.”

In presenza dello stato di guerra, vigono altre misure eccezionali, quali la sospensione temporanea di alcuni principi costituzionali come la rielezione del Parlamento allo scadere dei cinque anni (art. 60), l’inammissibilità della pena di morte (art. 27) e la possibilità di ricorrere in Cassazione per sentenze dei tribunali militari di guerra (art. 111): tutte misure che se pur straordinarie sono esplicitamente previste dalla Costituzione stessa.

Tutte le norme vigenti riguardano una sola specie di guerra, quella

convenzionale, nella quale certamente non rientrano i recenti casi di missione umanitaria o di guerra preventiva, alibi usati dagli Stati Uniti d’America a giustificazione dell’ultimo conflitto in Iraq.

Il fatto che la nostra Costituzione riconosca solo la guerra convenzionale e deliberata dal Parlamento è utile per sottolineare il fatto le deliberazioni provengano da altre fonti: atti di indirizzo del parlamento e decreti dell’esecutivo.

3.2 La giurisprudenza italiana di fronte al secondo conflitto