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L’adesione al PCS e il contributo all’Assemblea Costituente »

Per l’ing. Olivetti quell’episodio rappresentò una brusca frenata proprio durante l’avvio del suo iniziale tentativo di comunicazione dell’ideal-tipo comunitarista. L’abbandono però, e ciò va sottolineato, avrebbe riguardato solo la gestione diretta del partito non anche dell’ideale socialista che, in ogni azione futura, avrebbe perennemente caratterizzato l’azione dei comunitari i quali, in talune occasioni, andarono alla ricerca di un accordo e di un’alleanza proprio con i gruppi di quell’area di riferimento. Adriano era sì deluso per la chiusura anticipata della parentesi nel PSIUP ma si sentiva tutt’altro che propenso ad abbandonare i suoi progetti politico-amministrativi. Così decise di avvicinarsi alle posizioni del Partito Cristiano Sociale, fondato nel gennaio del 1944 dal suo leader e principale esponente Gerardo Bruni. Ancora una volta gli insegnamenti ricevuti durante l’infanzia e l’adolescenza, quelli derivanti dalla dottrina socialista e dalla dottrina cristiana evangelica trovavano un connubio ed una proiezione comune concreta.

Sin dalle settimane immediatamente successive al congresso del PSIUP Olivetti inviò una copia de L’ordine politico delle comunità a Bruni che espresse notevoli apprezzamenti nei confronti dell’opera ed una vicinanza di intenti verso l’uomo di Ivrea. Successivamente, nell’estate, si intensificò il dialogo con gli organismi direttivi del partito che, nell’estate del 1946, invitarono formalmente Olivetti ad aderire al PCS, con il compito particolare di organizzare il partito in Piemonte. Il 21 agosto Adriano scrisse a Bruni informandolo di una sua propensione positiva verso l’adesione ai cristiano-sociali in quanto vi era una forte identità teorico-pratica con i temi affrontati sia ne L’ordine politico sia dalle colonne della rivista «Comunità». Tuttavia Olivetti poneva al comitato direttivo del PCS tre condizioni, a detta sua essenziali, alla cui dichiarazione di accettazione era subordinata l’adesione formale. Le tre clausole riguardavano l’assunzione dei concetti di idea di Comunità integrata, di democrazia

integrata e di Stato funzionale67. Nella medesima comunicazione Olivetti accennava a

Bruni la possibilità di cedere al partito la gestione della rivista quale strumento per una più capillare propaganda. Il direttivo del PCS si riunì per valutare la proposta il 27 agosto e decise di approvare tutte le tre clausole poste all’attenzione da Olivetti. Nella comunicazione di questo esito positivo Bruni invitò inoltre, Adriano Olivetti a tenersi in stretto contatto e a fornire un contributo affinché l’ideale della Comunità potesse entrare nell’arena politica dalla porta principale: il dibattito dell’Assemblea Costituente. Gerardo Bruni infatti, il 2 giugno del 1946, fu eletto unico deputato del PCS partito che, schierandosi a sostegno della Repubblica nel referendum più importante della storia italiana, ottenne 51.088 voti, pari allo 0,22% sul totale nazionale,

66 S.RISTUCCIA, Democrazia e merito. Sull’esperienza politica e culturale di Adriano Olivetti e del Movimento Comunità, «Queste istituzioni», n. 97, 1994, p. 23.

67 AFLLB, Fondo Gerardo Bruni, appendice, documenti provenienti da altri archivi, Carteggio

che gli valsero una rappresentanza all’interno dell’assise deputata a scrivere la nuova Costituzione italiana.

Olivetti decise di aderire al partito e di coordinare le operazioni di ramificazione territoriale in Piemonte68, dove avrebbe fondato dapprima la sezione di Torino, in

novembre inaugurata proprio in occasione della visita del segretario nazionale e, successivamente, in dicembre, le sezioni di Ivrea e Caluso. Il PCS inoltre, su impulso diretto di Bruni, si stava diffondendo anche nelle regioni del Mezzogiorno in particolare in Puglia, in provincia di Brindisi e in Campania in provincia di Salerno e Avellino69 e aveva l’ambizione di intercettare quella fetta di elettorato cristiano non

direttamente legato alla Democrazia Cristiana. Olivetti, subito dopo l’adesione, fu nominato componente dell’esecutivo centrale, alla cui prima riunione avrebbe però preso parte solo il 22 dicembre. Decise inoltre, come preventivato, di passare la proprietà di «Comunità» al partito ed al suo legale rappresentate l’on. Bruni.

Il 6 dicembre Olivetti scriveva:

Sono lieto con la presente di cedere al Partito Cristiano Sociale la testata della rivista «Comunità» alla condizione che mi sia concesso di organizzare l’uscita di una pubblicazione avente lo stesso titolo da diffondersi in Piemonte, quale organo del Partito stesso in questa regione. Naturalmente a richiesta del Comitato esecutivo del Partito, l’edizione piemontese di «Comunità» potrebbe estendere la sua diffusione alle altre regioni settentrionali.70

Bruni confermò ad Olivetti le sue richieste e, assumendo la proprietà della pubblicazione confermò comunque all’ingegnere la sua volontà di continuare a concordare la linea editoriale ed i contenuti del periodico. La vicenda di Olivetti all’interno del PCS assunse il carattere più rilevante quando la discussione dell’Assemblea Costituente entrò nel vivo. Bruni fece recapitare agli inizi del 1947 ad Adriano una bozza del testo allora predisposto dai componenti dell’Assemblea. La risposta di Olivetti, inedita, che qui viene riproposta integralmente, non tardò ad arrivare (13 febbraio). Essa sollevava numerose perplessità ed interrogativi sull’articolato redatto da quelli che sarebbero stati i Padri Costituenti.

Note sulla nuova Costituzione

Art.55

L’aver stabilito un numero fisso di senatori e di un secondo numero proporzionale agli abitanti è un criterio che pure essendo da noi non interamente condiviso può essere approvato. Avremmo preferito saltare il fosso e uscire dalla tradizione rigorosamente federalista svizzera-americana e passare alla proporzionalità totale per gli abitanti anche per la seconda camera delle regioni (vedasi esauriente disanima a pp. 198-202 dell’Ordine politico delle Comunità, 2° edizione).

La Costituente ha accolto dunque in parte il criterio della proporzionalità e si è accorta dell’enormità di accordare alla Val d’Aosta con 100.000 abitanti cinque senatori e li ha ridotti a uno; ma lo stesso caso non sarà quello della Lucania, del

68 D.CADEDDU, Adriano Olivetti Politico, Trento, Il Margine, Trento, 2010, pp. 143-144.

69 AFLLB, Fondo Gerardo Bruni, appendice, documenti provenienti da altri archivi, carteggio

Olivetti-Bruni, b. 1, fasc. 3.

Salento, dell’Emilia Lunense, del Trentino Alto-Adige che godrebbero di un numero di senatori sproporzionato alla loro importanza?

La questione è insita in una tendenza pericolosissima a concedere le autonomie a regioni troppo piccole. Contro questa tendenza si deve reagire in tutti i modi. Una regione troppo piccola non avrà mai i mezzi per organizzare con efficienza e nemmeno salvaguardare la libertà e l’indipendenza politica poiché, gli intrighi, le clientele, il campanilismo domineranno la sua vita. Si proponga quindi di ridurre a due il numero dei deputati fissi per ogni regione (anziché cinque) e si lasci il numero variabile proporzionalmente a 200.000 abitanti.

Art. 34

Che cosa vuol dire sentiti i loro presidenti? Se vuol dire che essi devono essere d’accordo mi sembra un errore grave, ma se si tratta di un semplice parere mi sembra inutile metterlo. Io modificherei l’articolo così: “Il presidente della Repubblica può in caso di conflitto tra le camere e il governo sciogliere le camere”. Questo sarebbe secondo lo schema parlamentare classico.

Art. 87

Gradirei sapere cosa significa nel testo “maggioranza assoluta dei componenti”. Vuol informarsi e scrivermi a proposito? Significa cioè che il 51% dei membri del Parlamento qualunque sia il numero dei presenti?

Art. 107

È molto ambiguo nei riguardi delle province. Andrebbe così modificato: “La Repubblica si riparte in regioni, circondari o comunità e comuni”. In ogni modo si tratta di dire che creata la regione, la provincia diventa un organo di decentramento troppo vasto che occorre spezzare (Ordine Politico pp. 33 e 34).

Art. 120

Sembra prevedere la cosa ma è poco chiaro. Non si capisce cioè se i circondari sono sottogiacenti alle province o se sono delle nuove piccole province perciò l’articolo stesso dovrebbe essere riformato in questo modo: “La regione esercita normalmente le sue funzioni amministrative a mezzo di uffici nelle circoscrizioni circondariali che risultano dalla divisione delle singole province e ciò al fine di un ulteriore decentramento”.

Art. 123

Credo ci saranno altri ad intervenire contro l’assurdo di creare L’Emilia Lunense e il Salento. Anche il Molise è troppo piccolo per autogovernarsi e dovrebbe essere aggregato alla Campania; così gli Abruzzi al Lazio. Ma sono cose difficili da far accettare, scatenato il “virus” autonomista indiscriminato.

Art. 125

Per le ragioni sopraesposte il minimo di 500.000 abitanti dovrebbe essere portato almeno a 1.500.000.

Addenda all’art. 114

Una lacuna che mi pare grave nel testo costituzionale risiede nella mancanza di precisazioni circa la incompatibilità tra cariche di membro dell’Assemblea e membro del consiglio regionale. La questione potrebbe definirsi: “Sono

incompatibili le funzioni di deputato al parlamento e di consigliere regionale”. Un consigliere regionale eletto senatore non decade dalla carica.71

Si denota in questo memorandum inviato a Gerardo Bruni tutta la volontà di favorire un osmotico interscambio tra il costrutto de l’Ordine politico delle Comunità e la Costituzione italiana in fase di costruzione. Quest’aspetto, anche analizzando gli eventi successivi alla permanenza all’interno del PCS, potrebbe far desumere un’ulteriore motivazione rispetto alla scelta di Olivetti di aderire a quel partito in quel particolare contesto storico. Il poter contare su di un esponente all’interno dell’assise deputata alla scrittura degli elementi decisivi dello Stato italiano, ben predisposto verso l’ideale cristiano-progressista e disponibile a portare al centro del dibattito il nodo cruciale del decentramento amministrativo, è sicuramente stato un elemento determinante nella decisione di Adriano.

Bruni, realmente colpito dall’idea illuminata di Olivetti, accettò i suoi suggerimenti e si fece fedele elemento propulsivo della battaglia comunitarista, andando anche ben oltre quanto indicato. Difatti l’on. Bruni si batté, in prima istanza, per la composizione di una Costituzione che ponesse l’Italia quale Repubblica Federale, ciò proprio in virtù degli elementi caratterizzanti gli ordini politici comunitari. E fu proprio la Comunità, quella concreta idealizzata da Olivetti, ad essere portata all’attenzione di tutta l’assise parlamentare. Nella produzione letteraria sul tema viene riportato l’intervento che Gerardo Bruni tenne dinnanzi alla Costituente il 6 giugno del 1947, quindi quanto la rottura dei rapporti con Adriano Olivetti era già avvenuta. In quell’occasione Bruni dichiarava:

E’ assolutamente necessario che l’ente autarchico fondamentale, che la cellula primigenia dell’ordinamento politico ed economico sociale sia più piccolo della Provincia, sia veramente a misura d’uomo, in modo che possa prendere visione diretta dei problemi che è chiamato a risolvere. È necessario, e in ciò sono d’accordo con quanto ha scritto Adriano Olivetti, che esso non abbia limiti più grandi di quelli del circondario. […] L’articolo 107 del progetto non è affatto chiaro nei riguardi delle Province. Secondo un mio emendamento andrebbe così modificato: “La Repubblica si riparte in Regioni, Circondari e Comuni”.72

La Comunità faceva quindi il suo ingresso nel dibattito costituzionale mutando però la sua denominazione in Circondario. Il che, seppure con un doveroso riconoscimento per Olivetti, appare come un escamotage utilizzato da Bruni per avocare a se la proposta di variazione all’articolato. Questo è, secondo quanto scritto sul tema73,

l’unico momento assimilabile ad una permeazione della struttura comunitaria all’interno dell’Assemblea Costituente. In realtà la Comunità sarebbe dovuta entrare nella totalità della sua espressione e concezione nella proposta di modifica costituzionale.

71 Ibidem.

72 Cfr. Assemblea Costituente, Resoconto stenografico della seduta pomeridiana CXL, 6 giugno 1947,

pp. 4496-4499, in S.RISTUCCIA, Costruire le istituzioni della democrazia, cit., pp. 238-239. Vedi anche V.

OCHETTO, Il difficile rapporto con Adriano Olivetti, in (a cura di) A.PARISELLA, Gerardo Bruni e i Cristiano-

sociali, Edizioni Lavoro, Roma, 1984.

Difatti il 26 marzo del 194774, Bruni, dopo avere comunicato la sconfitta sulla

battaglia dell’articolo 775, relativo al concordato tra Stato e Chiesa, avvenuta per mezzo

di una strana alleanza DC-PCI, invitò Olivetti a produrre un’ulteriore contributo questa volta relativamente alla II parte del progetto costituzionale ossia quella relativa all’ordinamento della Repubblica. Olivetti accontentò il suo segretario e dopo qualche settimana inviò una nota dattiloscritta da utilizzare quale base per un intervento da tenere nell’assise e per la presentazione di un emendamento la cui portata sarebbe stata necessariamente rilevante, vista la modifica degli assetti ingegneristico-costituzionali sino ad allora ipotizzati. Anche in questo caso viene riproposto per la prima volta in forma inedita il contributo fornito da Olivetti a Bruni che molto verosimilmente, se i rapporti tra i due non si fossero deteriorati, sarebbe stato presentato e discusso a Roma nella primavera del 1947.

Ordinamento territoriale dello Stato

I comuni debbono essere riconosciuti quali cellule di vita dello Stato. I piccoli comuni verranno federati in organismi più ampi (Comunità) secondo la loro affinità tradizionale ed economica, si dà rimediare ai gravi inconvenienti di funzionalità che oggi offre l’eccessiva piccolezza della maggio parte dei comuni non metropolitani.

Gli attuali comuni maggiori si costituiranno in consorzi di Comunità sostanzialmente equilibrate, e potranno dar luogo ad ulteriori consorzi con i comuni prossimi, ove ciò sia necessario per ragioni economiche e sociali e confini determinati.

Ai comuni e alle Comunità sarà riconosciuta libertà statutaria ed autonomia funzionale.

Soppresse le province, le Comunità verranno riunite in Regioni; le Regioni saranno circoscrizioni statali, dotate di autogoverno, quindi con funzionari statali eletti dai cittadini. Il partito socialista ritiene che questa nuova soluzione del problema regionale concili facilmente le esigenze della democrazia, quelle del decentramento e quelle della funzionalità del coordinamento, evitando da un lato il sorgere di pericolosi separatismi, dall’altro la sperequazione fra Regioni povere e Regioni ricche.

In relazione alle garanzie assicurate agli alloglotti, nel quadro dell’ordinamento territoriale dello Stato si istituiranno, nelle zone di frontiera nelle quali sia necessario, ai fini linguistici ed economici, unità territoriali mistilingui.

Alle Comunità e ai comuni dovrà attribuirsi in esclusiva la polizia locale, l’urbanistica, le opere pubbliche locali ed i servizi pubblici locali.

L’istruzione, l’educazione e la protezione sociale saranno coordinate dallo Stato, salva rimanendo l’iniziativa degli enti locali, e ai medesimi essendo affidata, in linea di massima l’attuazione.

74 AFLLB, Fondo Gerardo Bruni, attività politica e PCS 1923–1975, assemblea Costituente 1943–1949,

note e appunti per l’Assemblea Costituente, B. 13, fasc. 65.

75 Nel corso del dibatto Costituente, tenutesi il 14 e il 25 marzo del 1947, Bruni intervenne per una

breve dichiarazione: «Dichiaro di votare contro l’articolo 7, e più precisamente contro il secondo comma, in quanto la menzione dei Patti Lateranensi quivi fatta senza discriminazioni e senza sufficienti chiarimenti e precisazioni, non costituisce affatto una dizione talmente chiara da assicurare tutti i cittadini che non saranno turbati dal godimento dei loro inalienabili diritti di uguaglianza: né la giudico sufficiente a saldare l’unita spirituale di tutti gli italiani» Cfr. S.RISTUCCIA, Costruire le istituzioni della

Alle Regioni dovranno decentrarsi la maggior parte dei compiti interni dello Stato, unificandosi in esse gli organi periferici delle varie amministrazioni.

Il Partito Socialista, persuaso dallo stretto legame tra libertà locali e libertà politiche respinge tuttavia la costituzione di uno Stato federale puro, come realizzato nelle sue forme storiche; tra accentramento e decentramento, tra unità e autonomia, vi sono infatti dei rapporti e degli equilibri assai complessi e delicati, che soluzioni estreme e uniformi non riescono a stabilire.

Il buon funzionamento delle riforme, da un punto di vista amministrativo, è strettamente legato alla necessità di creare un numero ristretto di regioni, in guisa che la competenza territoriale di queste sia sufficientemente ampia per assicurare l’efficienza dei servizi e che sia evitato di dover rimettere ancora una volta a potere centrale la soluzione di problemi e l’esercizio di funzioni che, politicamente e tecnicamente, è opportuno siano decentrate a organi regionali, non solo con decentramento burocratico, ma anche funzionale.

In una Regione vi sarà un Presidente o Governatore regionale elettivo, con una giunta di governo regionale, oltre ad eventuali organi collegiali con funzioni varie. La giunta di governo regionale deve essere composta di un ristretto numero di funzionari elettivi, in corrispondenza ad ognuno dei dicasteri principali considerati nella struttura superiore dello Stato.

Allo scopo di assicurare una pluralità di valori funzionali nelle assemblee regionali, in queste potrà anche pervenire la voce dei Consigli Esecutivi delle Comunità.

Allo scopo infine di garantire al governo un effettivo collegamento con le Regioni, potrà essere affiancato al potere centrale (Primo Ministro) un Consiglio composto dai Governatori Regionali, e ciò il luogo della Camera degli Stati prevista dalle costituzioni Federali. Questo nuovo organo apporterebbe al centro una immediata ed equilibrata comprensione delle esigenze periferiche.

La struttura proposta permetterebbe alle Regioni di dare una propria fisionomia alla istruzione tecnica superiore, di assolvere ai compiti dell’istruzione professionale di II grado, all’istruzione primaria, lasciando per l’istruzione secondaria la possibilità di una attività regionale concorrente con quella dello Stato. Le Regioni dovrebbero essere messe in grado di assolvere la quasi totalità delle attività concernenti le opere pubbliche, l’edilizia popolare, la disciplina dell’agricoltura, le bonifiche, il coordinamento industriale, il miglioramento e l’estensione della rete stradale, l’organizzazione di un sistema di autotrasporti pubblici, salva rimanendo, per talune di queste attività, la facoltà dello Stato di intervenire con provvedimenti integrativi, e salva pure l’attuazione di piani organici nazionali ed economici, di sicurezza, igienici, di assistenza sociale, e simili, di cui lo Stato fisserà gli estremi legislativi, ogni Regione curandone poi l’autonoma applicazione.

La soppressione delle Province implica una revisione delle strutture amministrative: la creazione della Regione impone la creazione di un nuovo organismo ad essa sotto-giacente. Il nuovo organismo territoriale prospettato, la Comunità soddisfa a esigenze funzionali e esigenze naturali.

I complessi compiti di uno Stato moderno esigono, specie per i lavori pubblici e l- assistenza sociale una struttura esecutiva capillare alla quale male si apprestava la Provincia che appunto non garantiva una struttura corrispondente a esigenze geografiche.

L’autogoverno esige una facilità per i cittadini di partecipazione alla vita pubblica: nelle Comunità sarà facile ad ogni cittadino di partecipare alla vita amministrativa senza nocumento per la propria vita di lavoro. Rientreranno nell’ambito delle Comunità i primi uffici di polizia amministrativa e per la conciliazione delle liti,

l’edilizia, l’urbanistica, la protezione del paesaggio, della flora e della fauna, l’amministrazione di organismi assistenziali e di istruzione integrativi.

Infine, per l’attuazione di un piano economico nazionale, sarà necessaria, oltre che una serie coerente di piani regionali, anche nella fase esecutiva, la redazione di piani minori che non possono non aspettare alla Comunità. L’adozione della circoscrizione comunitaria soddisfa cosi in modo concreto ad una inderogabile esigenza dell’economia e dell’urbanistica moderna.76

Adriano Olivetti in questo testo sottolineava, forse anche con un sottile rancore, l’ostracismo del Partito Socialista Italiano nei confronti della proposta federalista, lasciando comprendere tutta sia la sua amarezza per la scelta compiuta nel 1945, sia le principali motivazioni della cessazione anticipata di quell’esperienza. Ciò che emerge ad una prima analisi è l’accrescimento dell’importanza dell’istituzione regionale all’interno del sistema costituzionale nazionale. La rilevanza della Regione all’interno della struttura disegnata dall’Ordine Politico delle Comunità, come già sottolineato nel capitolo precedente, era sicuramente elevata ma il fulcro dell’assetto rimaneva comunque la Comunità. In questo “contributo alla Costituente” Olivetti inverte i fattori auspicando nell’ottenimento del medesimo risultato.

Il passaggio alla centralità della regione si era reso necessario a causa della oramai avviata discussione parlamentare che aveva stabilito di imperniare la Repubblica parlamentare su di un assetto regionale. La regione veniva quindi vista da Olivetti come l’elemento sul quale riversare maggiori competenze esclusive al fine di caratterizzare in maniera decisa il decentramento amministrativo, quasi a voler forzare il modello parlamentare tramutandolo in assetto federale. Le Comunità, che comunque rimanevano considerate quale tassello da porre alle fondamenta dell’architettura istituzionale, venivano descritte come federazione di comuni con competenza diretta in materia di gestione dei servizi pubblici e delle opere pubbliche locale. Il che lasciava intuire un’inferiore importanza rispetto al dettato de L’Ordine

Politico. Interessante inoltre appare la previsione di un elemento che sarebbe apparso

sulla scena istituzionale e politica solamente molti anni dopo: la conferenza Stato-