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L’architettura del governo regionale e l’estetica della politica »

Cap. 6 - L’ordinamento politico regionale

XXX. […] l’architettura degli organi regionali si compone di elementi portanti tratti direttamente dall’ordinamento delle Comunità.

L’assemblea Regionale si compone nell’insieme di due organi: il Consiglio Regionale delle Comunità e il Consiglio Superiore dello Stato regionale.

Il primo trae il suo nome dal fatto che è composto dai presidenti di Divisione di tutte le Comunità esistenti nel territorio regionale.

Il Consiglio Superiore è espresso dallo stesso Consiglio regionale delle Comunità attraverso un’elezione di secondo grado che si svolge a metà del suo mandato legislativo. I presidenti delle Divisioni sono membri del Consiglio regionale proprio in quanto mantengano le loro funzioni a livello di Comunità. Una volta eletti membri del

36 Cfr. COSTANTINO MORTATI, Autonomia e pluralismo nel pensiero di Adriano Olivetti (1965), in Raccolta di Scritti, IV, Milano, 1972, p. 235-245.

Consiglio Superiore decadono, invece, da tali funzioni e sono sostituiti dalle Comunità di appartenenza nei loro compiti esecutivi.

Il Consiglio Regionale delle Comunità elegge al suo interno sette membri del Consiglio Superiore per ogni milione di abitanti, uno per ogni tipo di divisione politico- amministrativa delle Comunità, il numero dei membri dei due Consigli varia a seconda del numero di abitanti. Il Consiglio regionale delle Comunità, fatte le opportune simulazioni, può avere un numero massimo di 300 consiglieri, mentre il Consiglio Superiore non andrebbe oltre i 30-40 componenti.

XXXI. I membri degli organi di governo delle Comunità, cioè i Consigli Esecutivi, vengono dunque a costituire, di diritto, il legislativo regionale, identificandosi completamente con il ramo inferiore di questo ovvero, potremmo dire, con la camera bassa. Non vi è rappresentanza delle Comunità ma totale identità: il Consiglio regionale è l’insieme matematico dei membri dei Consigli esecutivi delle Comunità. Senza una tale omogeneità politica, il Consiglio Superiore, anziché operare una feconda collaborazione col Consiglio regionale, finirebbe per rappresentare una remora non necessaria alla realizzazione di progetti già maturi nella coscienza popolare […]

XXXII. L’esecutivo regionale fa capo al Governatore, presidente regionale con mandato quadriennale. Il Governatore, titolare della sovranità delegata dalla Costituzione allo Statto regionale, presiede il Consiglio di Stato regionale composto dai Ministri responsabili delle principali aree funzionali.

Al Consiglio di Stato si affianca la Giunta di governo regionale nominata dall’assemblea regionale nel suo insieme ed è espressione politica della sua maggioranza. La Giunta è composta, in ogni regione di sette membri, uno per ogni categoria funzionale politica rappresentata nell’Assemblea. Questi sono eletti col metodo dello scrutinio nominale e ballottaggio, per singole votazioni individuali. I ministri, membri del Consiglio di Stato regionale, sono designati – in via di principio – da commissioni ad hoc appositamente costituite per la nomina, ognuna di un ministro, e composte dal Governatore, dal delegato federale, dalla Giunta di governo, dal segretario generale del Ministero interessato (funzionario di carriera al massimo grado), dalla commissione legislativa competente.

Il Governo federale ha un proprio rappresentante presso il Governatore con compiti di collegamento […]

XXXIV. L’ordinamento dello Stato regionale appena tracciato risponde ad alcuni principi che vanno enucleati e spiegati.

Il primo è quello dello stretto legame fra le Comunità e le Regioni dovendo trovare piena realizzazione la norma o il principio base che la Comunità è il nucleo essenziale dello Stato.

Il secondo afferma la funzione di snodo che ha la Regione o Stato regionale nella complessiva sistemazione istituzionale della Repubblica.

Il terzo è quello della ricerca di una ragionevole misura di continuità nell’azione pubblica anche al fine di ottenere quella omogeneità di pensiero e volere che favorisce la realizzazioni di grandi progetti.

Il quarto muove dalla consapevolezza che l’organizzazione prospettata ai livelli di Comunità, Regione e Stato federale, per non parlare di altri livelli intermedi, viene a caratterizzarsi come dotata da una catena troppo lunga. Di qui la necessità di puntare ad un modello federale originale che non ripeta pedissequamente quelli conosciuti e/o realizzati ma se ne distacchi con molta cura dei particolari necessari alla realizzazione delle condizioni e dei nessi che si assumono come pietre fondanti

Il quinto trae una conseguenza importante dai principi o criteri precedenti: la riconsiderazione dell’uso dell’elettorato plurimo e, per quanto riguarda i procedimenti di scelta del personale politico, l’adozione di regole di “democrazia selettiva” […]

Cap. 7 - Dell’Istituto Politico Fondamentale

XXXVII. Lo Stato federale delle Comunità assume come fondamentale necessità di individuare, formare, organizzare una élite politica atta a dare un contributo alla formazione della nuova società, e ciò senza carattere di privilegio o di esclusività. Tale élite sarà costituita da una categoria di uomini che hanno sentito profondamente la vocazione della politica intesa nel suo significato di missione sociale e che sono disposti a dedicare ad essa la propria vita in modo quasi esclusivo.

Per completare il disegno delle linee fondanti dello Stato federale è il tema del fare politica che va affrontato. Partendo da una constatazione: la crisi della società contemporanea rivela una tragica dissociazione tra cultura e politica.

Certo, non è questa la sola dissociazione rilevante, ma di questa vale occuparsi, qui, a fondo. Per superarla, non basta auspicare una generica serietà degli studi e aggiungere un richiamo alle competenze. Occorre qualcosa di più occorre che tutti coloro che hanno il privilegio e l’ambizione di assumere la direzione delle pubbliche cose accompagnino la profonda conoscenza specializzata della loro sfera d’azione a una sistematica preparazione culturale di più vasto orizzonte. Ad essi va chiesta una comprensione dei problemi di civiltà più elevata di quella di cui sono capaci normalmente uomini d’azione e buoni amministratori (le qualità dei quali i politici pur devono avere).

Tutto ciò non si ottiene per processo spontaneo. Occorre predisporre i mezzi e i meccanismi istituzionali capaci di risolvere, almeno per una parte della classe politica, la dissociazione fra politica e cultura.

Di qui la necessità di un organismo di alta formazione che, dati i compiti ai quali è chiamato merita di essere denominato Istituto Politico Fondamentale (da abbreviare in IP).

XXXVIII. L’IP ha come compito primario l’educazione obiettiva ed eclettica di quanti si avviano alla carriera politica o pubblica secondo la tradizione di libertà scientifica che è patrimonio delle migliori università del mondo.

L’IP ha parallelamente il compito di promuovere l’avanzamento delle scienze sociali, ovviamente senza alcun regime di esclusività, attraverso la promozione di differenti centri di ricerca ed alta cultura che si ispirino al più ampio pluralismo e su questa base cooperino anche alla formazione permanente della classe politica e dei cittadini attraverso opportune specializzazioni.

L’IP, infine, potrà disporre di un’agenzia di informazioni e di una propria stampa, quotidiana e/o periodica, assolutamente indipendente che opererà in piena parità di diritti e di doveri rispetto a quella privata o delle associazioni politiche.

A tal fine il corpo direttivo dell’IP dovrà essere nominato per almeno un terzo attraverso elezioni su liste nazionali e con il sistema proporzionale da un elettorato attivo che potrebbe corrispondere ad alcuni degli Ordini Politici di cui poi si dirà, per un altro terzo da un elettorato composto dal corpo accademico di alcune università e, infine, per il terzo residuo dal corpo docente dello stesso IP e dei suoi Centri. L’IP assume pertanto la fisionomia di un organo semi-costituzionale, di natura pluralista, sul quale l’Esecutivo federale non potrebbe avere alcuna influenza.

XLIII. Se l’Istituto Politico dà alle Funzioni politiche l’alimento della conoscenza sempre aggiornata e del dibattito delle idee, gli addetti alle funzioni politiche hanno la possibilità – attraverso i costituendi Ordini Politici – di essere un qualificato corpo istituzionale rappresentativo, un Ordine appunto, che svolge un fondamentale lavoro di collegamento verticale fondato sul confronto delle esperienze e sulla valutazione degli interessi che in tali esperienze sono risultati coinvolgenti […] i membri dell’ordine di esso fanno parte finché hanno la responsabilità politica che è la ragione della loro appartenenza. In questo senso, gli Ordini Politici rassomigliano agli ordini professionali con la differenza che normalmente l’appartenenza a questi ultimi può essere più lunga, talvolta pari alla durata della vita lavorativa. Il che è da escludere per gli Ordini Politici.

Gli Ordini saranno di numero pari a quello delle Funzioni Politiche alle quali è stato dato rilievo negli Statuti delle Comunità per identificare la stessa composizione degli Esecutivi.

In linea di massima si tratta di sette Ordini. Questi non sono organismi fra loro omogenei in ragione delle stesse differenze sostanziali esistenti fra le funzioni a cui sono dedicati e della loro rappresentatività, “unicità nella molteplicità”. Particolari collegamenti si verranno ad instaurare fra i vari Ordini essendo la loro natura politica contraria ad un assetto a compartimenti stagni.

Cap. 9 - Comunità territoriali e ordini politici come elementi di un nuovo federalismo

XLIX. Gli elementi dell’equilibrio politico che deve caratterizzare lo stato federale delle Comunità possono essere utilizzati anche nel quadro generale dell’ordinamento internazionale, costituito sulla consistenza di una pluralità di forme politiche negli Stati membri. Non si tratta dunque di applicare a livello più grande il modello che in queste pagine viene elaborato nelle sue caratteristiche fondamentali. Si tratta piuttosto di valutare la validità di alcuni principi e la loro possibile applicazione in campo internazionale.

Innanzitutto va detto che la validità politica di una comunità territoriale supernazionale, articolata in comunità funzionali, dipende da quanto le sue radici democratiche siano profonde, indipendenti ed omogenee. In realtà, l’integrazione tra il principio territoriale e il principio funzionale, anche se con una diversa prevalenza

[…] può dare vita ad organismi supernazionali dotati di legittimità democratica ed i efficienza.

L. A tal fine occorre valutare due questioni preliminari: a) la delimitazione delle funzioni politiche che interessano l’ordinamento supernazionale e che danno luogo ai singoli, organismi funzionali; b) l’inserzione di una nuova formula di equilibrio politico in ciascun organismo supernazionale.

Conviene anzitutto rendersi conto di una prima necessità: le funzioni politiche aventi maggiori legami con le forme materiali di attività debbono rimanere di competenza esclusiva delle comunità territoriali inferiori, mentre le attività che hanno maggiori legami con le forme spirituali debbono essere rimesse alla competenza delle comunità superiori […].

[…] si dovrebbero invece considerare le funzioni politiche che più possono interessare le comunità supernazionali: l’autorità e il suo esercizio; la giustizia; la sicurezza sociale nei suoi vari aspetti (la salute, l’assistenza ecc.); la cultura. Quest’ultima significa anche coordinamento nel dominio scientifico.

Se, invece, un ordine internazionale dovesse organizzarsi precipuamente in vista di compiti di intervento economico si potrebbe rischiare la cristallizzazione dei poteri che contano nell’ordine economico. Le conseguenze nei confronti della stessa libertà individuale non sono prevedibili.

LII. Il riconoscimento degli Ordini politici suggerisce una soluzione a un importante problema istituzionale proprio dello Stato federale. L’idea di Stato federale implica necessariamente una divisione di sovranità e di competenze tra Stato federale e Stati membri che, nella costruzione, qui delineata, viene considerata come elemento essenziale. Non così della tradizione che negli Stati federali designa i rappresentanti degli Stati membro a formare la seconda assemblea legislativa, tradizione che può essere vantaggiosamente abbandonata senza infirmare l’idea di Stato federale.

Perpetuando con la volontà di dimostrare che il nuovo modello ordinamentale era applicabile alla nazione italiana, Olivetti descriveva in maniera a tratti dettagliatissima, a tratti appena accennata, l’architettura mediana del nuovo ordinamento, ossia quella regionale. La regione, come anticipato nel paragrafo precedente, possedeva, nella proposta del testo, il compito di mettere in correlazione lo stato federale centrale e le singole Comunità. Ed è per tale ragione che è estata dedicata ad essa un’apposita sezione con indicazioni in merito alla struttura, alla composizione ed al funzionamento. Una delle prime indicazioni, seppure non definita in maniera rigorosa, riguarda le suddivisione in sette Categorie politico-tecniche dell’azione governativa regionale, ripartizione che si riscontrerà, successivamente, anche per le Divisioni e per gli Ordini Politici.

Definiamo “Ordine politico” l’insieme delle persone che entro la nuova struttura costituzionale sono investite, nell’ambito di ciascuna funzione, di poteri esecutivi (nella Comunità) e di rappresentanza (nella Regione)37.

Tale passaggio è meritevole di particolare approfondimento in quanto, nonostante venga ridefinito nel dettaglio solo in un periodo successivo a L’ordine

politico delle Comunità, esso costituisce un contributo importante che Olivetti ed il

Movimento Comunità avrebbero voluto dare alla realtà politica italiana. Difatti è solo nel 1960, con la pubblicazione del secondo testo fondamentale di Adriano Olivetti Città

dell’uomo, pubblicato da Edizioni di Comunità, volume che riuscì a raggiungere un

maggior numero di lettori rispetto a L’Ordine, che furono definite espressamente le categorie essenziali in cui doveva operare un’amministrazione: Finanze e Bilancio, Giustizia, Lavoro, Igiene e Sicurezza sociale, Istruzione, Urbanistica, Economia.

Un’osservazione va posta anche riguardo alla pregnanza della limitazione temporale del mandato politico-amministrativo del governatore della Regione. Pur non indicando se sussista o meno la possibilità di una riconferma, veniva espressamente descritto il limite del mandato a quattro anni. Un periodo differente da quello dell’attuale mandato dei Presidenti delle regioni italiane ma, già allora, identico a quello dei massimi organi esecutivi degli Stati Uniti d’America: il Presidente Federale e i Governatori degli Stati membri. L’influenza del modello federale americano, allo stesso modo di quella del modello federale elvetico (il funzionamento di quest’ ultimo fu vissuto direttamente da Adriano) è ricorrente all’interno dei punti de L’Ordine. Sono molteplici, infatti, i parallelismi storici alle esperienze di funzionamento dei modelli sopracitati che dovevano fungere sia quale riferimento per una possibile riproduzione in Italia, sia quale spunto critico al fine di evitare eventuali distorsioni nel futuro sistema politico italiano.

Successivamente alla dettagliata descrizione dell’impianto regionale veniva affrontata in maniera precipua un’altra tematica di fondamentale importanza per il progetto comunitario: la selezione della classe dirigente politica. La scelta di collocare tale tematica all’interno del testo tra la definizione della struttura degli organismi regionali e quelli di livello nazionale e non, come sarebbe stato più ovvio, successivamente a questi ultimi, non è casuale. La volontà di creare una nuova élite

politica alla quale affidare la guida del paese doveva essere nell’impostazione

olivettiana un elemento imprescindibile per ogni livello di governo, pertanto anche il livello più basso necessitava di risorse umane preparate e competenti. Secondo quest ottica inoltre, al crescere del livello governativo e, quindi, al crescere delle responsabilità amministrative era necessario possedere competenze specifiche sempre maggiori. Tutto ciò era volto a garantire al cittadino l’ottenimento del massimo benessere sociale dall’attività politico-amministrativa. Anche in questo caso, Olivetti prima ed il Movimento Comunità poco si rivelarono precursori. Ancora oggi assistiamo, a volte consapevolmente a volte meno, alle iniziative di un personale politico che rientra nell’agone delle istituzioni grazie ad un consenso fabbricato che gli permette di poter ridurre l’elevatezza spirituale della gestione della cosa pubblica a mero mestiere del rimanere a galla. I comunitaristi, con netto anticipo, intuirono quali potessero essere le difformità di una totale assenza di clausole di accesso alla carriera politica. Occorre ribadire a tal proposito, che il suffragio universale e la democrazia diretta non furono mai messi in discussione dai comunitaristi. Tuttavia, questi ultimi ritenevano che sussistesse la necessità, in capo a coloro i quali avessero avuto l’ambizione di ricoprire incarichi politici, di possedere le competenze necessarie per lo

svolgimento di tale attività amministrativa e che, solo sulla base di queste competenze, si dovesse formare il consenso.

Chi aderiva al progetto comunitario immaginava e desiderava una politica fatta bene, una politica che fosse realmente bella nella propria azione. In tal senso è possibile affermare che gli ideali Olivettiani detenevano l’intento di voler curare l’estetica dell’azione politica. Questo particolare meccanismo di selezione però, come d’altronde scriveva lo stesso Olivetti, non si sarebbe mai attivato in maniera spontanea. Per tale ragione, grazie al pensiero dell’autore e grazie all’attività del Movimento Comunità furono formalizzate due proposte concrete che meritano, entrambe, di essere analizzate e prese in seria considerazione anche rispetto ai tentativi di riproposizione, con le dovute modificazioni, nel sistema contemporaneo.

La prima e, probabilmente, la più interessante venne accennata ne L’ordine ed esplicitata successivamente con maggior rigore in Città dell’Uomo. Basandosi sulla già descritta suddivisione in funzioni politiche essenziali realizzata per consentire lo sviluppo di «un tipo di civiltà fondata sui valori umani e culturali»38, venne formalizzata una proposta di legge che prescriveva i titoli effettivi, culturali o tecnici, necessari per accedere alla nomina ad incarichi governativi, per tutti i livelli dell’ordinamento federale. Nello specifico la proposta prevedeva a seconda delle deleghe:

FUNZIONI

TITOLI DI ACCESSO

Presidenza, Coordinamento Laureato o docente in scienze politiche e amministrative Amministrazione, Finanze, Bilancio Laureato in pubblica amministrazione

Giustizia scienze giuridiche Libero docente in

Lavoro Nessuna determinata qualifica nella fase

iniziale Protezione, Igiene, Sicurezza Sociale Laureato in medicina esperto di problemi di igiene o di assistenza sociale

Cultura, Educazione universitario di Un professore

qualsiasi facoltà Urbanistica, Edilizia

Un urbanista designato come tale

dall'organo competente (I.N.U.)

Economia Un libero docente in materia economica, o dirigente effettivo di organismo economico

Il concetto venne poi ulteriormente sviluppato con una tesi che mostrava segnali di apertura e di distensione verso il sistema partitico. I comunitaristi, difatti, ritenevano che l’aumento di competenza amministrativa avrebbe garantito un effetto direttamente proporzionale, in senso positivo, a quei gruppi politici che disponevano, per ogni funzione, di personalità di spicco.

Si arrivò così a formulare una vera e propria scala gerarchica per la selezione del personale che, chiunque avesse voluto provare l’onore e l’onere dell’ottenimento di cariche pubbliche, avrebbe dovuto necessariamente rispettare. Venne suddivisa per gradi a seconda dei livelli governativi previsti dall’ordinamento federale:

GRADO DI

GOVERNO

ACCESSIBILE CARICA

PRIMO

Assessore Provinciale;

Consigliere Regionale

SECONDO Assessore Regionale; Deputato;

Senatore TERZO

Presidente della Giunta Regionale; Ministro Nazionale

QUARTO Presidente della Primo Ministro;

Repubblica

L’elemento fondamentale che consente al sistema gerarchico, così strutturato, di funzionare in maniera ottimale è che non è possibile accedere al grado di governo successivo senza avere svolto mansioni afferenti al grado inferiore. Le motivazioni di tale indicazioni risiedono nell’idea Olivettiana per cui, solo seguendo tale ascesa si sarebbe venuta a formare una reale esperienza e si sarebbe stati capaci di comprendere al meglio «il valore personale degli amministratori e degli uomini politici»39.

In tempi recenti una simile tipologia di strutturazione dell’accesso alle cariche elettive si è avuta con la formulazione del nuovo assetto elettorale delle Province italiane formulato con la cosiddetta “riforma Del Rio”. La legge n°54 del 7 aprile 201440

infatti ha disposto che i nuovi consigli provinciali e i nuovi presidente delle province

39Ibidem, p. 176.

40 Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana, Serie Generale, n. 81 del 07/04/2014. “Disposizioni

dovessero essere individuati mediante un’elezione di secondo livello. Alla carica di consigliere provinciale possono ambire esclusivamente i consiglieri comunali dei comuni ricadenti nell’ambito provinciale, mentre alla carica di presidente possono candidarsi i sindaci degli stessi comuni. L’elettorato passivo per entrambi le istituzioni è composto dalla platea di consiglieri comunali e sindaci ricadenti nell’area geografica di riferimento.

La seconda proposta in materia di estetica della politica concerneva la creazione di un ente statale, L’Istituto Politico Fondamentale, al qual veniva attribuito il compito di formare la classe dirigente politica. Quasi come una vera e proprio caserma della cultura, il ruolo di tale centro di ricerca sarebbe stato quello di rendere gli aspiranti politici disponibili al reclutamento da parte di associazioni o gruppi organizzati. In aggiunta, venne specificata la necessità per l’Istituto Politico di divenire il traino per lo sviluppo di tutte le scienze sociali. Questa aspettativa, unitamente all’iter di nomina