• Non ci sono risultati.

L’affermazione delle CCOO

Il salto qualitativo (1962-1966)

2. L’affermazione delle CCOO

Non fu casuale che a Madrid, così come successivamente a Barcelona, Sevilla e in altre località, le prime Comisiones stabili siano sorte nel ramo metallurgico. Questo infatti, cresciuto notevolmente come conseguenza dell’industrializzazione connessa allo sviluppo economico, ed avendo incorporato gran parte delle nuove generazione operaie, fu il settore in cui, dai primi anni Sessanta fino alla scomparsa della dittatura, si registrarono i più alti tassi di conflittualità96

. Fu il principale serbatoio a cui il PCE attinse nella forgiatura della sua nuova militanza.

La Comisión del Metal di Madrid, che così come la COPV era stata evidentemente creata dall’alto, per il partito da questo momento divenne il modello di quella politica sindacale che stava sviluppando ormai da oltre un decennio: germogliata infatti all’interno stesso dei locali della OSE, dimostrava definitivamente l’efficacia dell’entrismo e dell’uso delle possibilità legali:

Di fatto si tratta dell’apparizione [...] di quello che possiamo chiamare il nuovo movimento operaio, il movimento delle Comisiones Obreras; di quello che noi chiamamo anche Oposición Sindical. Rappresenta un vero salto qualitativo nello sviluppo della lotta di massa. Si tratta di un organo con dirigenti pubblici, legati alla massa, [...] che rompe la cornice della legalità franchista e impone, di fatto, forme nuove, profondamente democratiche97

2. L’affermazione delle CCOO

Mentre l’azione nel movimento operaio stava gradualmente portando i frutti sperati, nel 1964 il PCE dovette fare i conti con due rotture interne. Una consistette in una scissione che si produsse alla sua sinistra, e che si configurò sostanzialmente come il prodotto del riflesso sul comunismo spagnolo del divorzio tra la Cina e l’Unione

95 Sobre la Oposición Sindical, 27-7-1964, in AHPCE, MO, j. 73; Coloquio: la clase obrera y la oposición sindical, 1965, cit., b. 10 – pp. 65-67; Reunión del 2-9-1964 en el salón de actos del Sindicato Provincial del Metal, 14-9-1964, in AHPCE, REI, Redacción auxiliar, jj. 112-113.

96 Maravall J. M., Dictadura y disentimiento político…, cit., p. 64.

Sovietica98

. Dalla fine del 1963, sia all’interno che fuori del partito, andarono prendendo forma diverse correnti che, ispirandosi al maoismo e a tendenze vagamente trozkiste, accusavano la direzione carrillista di revisionismo e di aver sacrificato lo spirito rivoluzionario sull’altare dei compromessi con la borghesia. Questi gruppi, che rinnegavano l’evoluzione del PCE post-1956, si fusero nel dicembre 1964 dando vita al PCE (m-l), ossia al Partido Comunista de España (marxista-leninista). La nuova formazione politica, che ben presto dovette fare a sua volta i conti con dissidi interni, non destò nell’immediato particolare preoccupazione nella direzione del PCE, dato che contava su un numero alquanto esiguo di membri, appartenenti per lo più all’emigrazione e, in misura minore, al mondo universitario99

.

Di notevole impatto fu invece la divergenza delle due F, vale a dire di Fernando Claudín e di Federico Sánchez, nome di battaglia di Jorge Semprún100

. La sua importanza fu dovuta in primo luogo alla caratura dei due protagonisti: entrambi membri di spicco della direzione del PCE, il primo era considerato il braccio destro di Carrillo, mentre il secondo nell’ultimo decennio era stato il principale responsabile dell’attività comunista nell’ambito intellettuale. A farne la principale querelle intestina affrontata dal partito durante il franchismo, inoltre, contribuì la profondità analitica dimostrata dai dissidenti, che costò loro l’accusa di “deviazionisti di destra”.

Le due F, in effetti, misero in discussione alcuni aspetti centrali della politica del PCE. Sostituendo la fede con il realismo, criticarono innanzitutto l’idea base secondo cui il franchismo e l’oligarchia capitalista fossero sull’orlo del baratro: ritenevano al contrario, così come del resto era dimostrato dalle cifre, che il Plan de Estabilización e le successive misure di apertura economica fossero state un successo per le classi dominanti, permettendo loro di rinsaldare le proprie basi. A questo proposito, inoltre, sottolineavano che era un errore identificare eccessivamente, così come faceva il PCE, il franchismo con la dominazione del grande capitale, e credere di conseguenza che sarebbero potuti crollare assieme, aprendo le porte alla costruzione di uno Stato democratico in cui, grazie alla pressione esercitata dalle masse, il potere sarebbe stato nelle mani dei ceti popolari, e non più dell’oligarchia capitalista. Secondo Claudín e Semprún, invece, occorreva distinguere più chiaramente tra franchismo e capitalismo al fine di rendersi conto che se in un futuro prossimo, seppure non tanto vicino quanto

98 Lüthi L., The Sino-Soviet Split: Cold War in the Communist World, Princeton, PUP, 2008.

99 Hermet G., Los Comunistas en España, Paris, Ruedo Ibérico, 1972, pp. 66 e seg.

100 I principali documenti in merito sono raccolti in Claudín F., Documentos de una divergencia comunista, Barcelona, El Viejo Topo, 1978. Per le versioni dei protagonisti: Id., Santiago Carrillo..., cit., pp. 161 e seg.; Carrillo S., Mañana España, cit., pp. 146 e seg.; Semprún J., Autobiografía de Federico Sánchez, Barcelona, Planeta, 1977.

credeva il partito, era possibile liquidare il primo, era comunque improbabile riuscire a fare altrettanto con il secondo.

Questo, infatti, stava attraversando una fase di enorme crescita, e quindi per le due F l’evoluzione più plausibile che si sarebbe avuta in Spagna in seguito alla fine del regime del Caudillo sarebbe consistita non nella scomparsa, bensì in una trasformazione della forma di dominazione del grande capitale: il potere politico, cioè, sarebbe comunque rimasto nelle mani dell’oligarchia capitalista, ma passando dalla forma fascista a quella democratica. Ci si sarebbe mossi, sostanzialmente, in una direzione che avrebbe portato all’edificazione di un sistema politico-economico grosso modo omologabile a quelli dell’Europa occidentale: pur restando intatto il potere dei grandi monopoli, cioè, i cittadini si sarebbero visti garantiti diritti e libertà democratiche. La prospettiva della costruzione della società socialista, stando a questa analisi, veniva rimandata ulteriormente. La classe operaia, del resto, non dimostrava livelli di coscienza e di organizzazione tali da far credere che fosse in grado, almeno non in tempi più o meno brevi, di aprire una situazione davvero rivoluzionaria. Non bisognava dunque lasciarsi illudere da episodi come quelli rappresentati dagli scioperi del 1962 che, a differenza della valutazione che ne aveva fatto il PCE, non presentavano ancora un contenuto politico rilevante: occorreva prepararsi, invece, per una lotta che doveva continuare ad essere impostata secondo un’ottica di lungo periodo.

Queste considerazioni portavano, conseguentemente, alla critica di un elemento che era stato sempre presente nell’agire del partito: il soggettivismo. Claudín e Semprún affermarono che il PCE, dimenticando il classico principio leninista secondo cui l’azione doveva essere fondata su di un’analisi scientifica della realtà, da anni portava avanti una politica basata su una lettura della situazione spagnola del tutto distorta dai propri desideri, primo tra tutti l’idea del crollo imminente del franchismo. Tale illusione, come dimostrato ad esempio dal fallimento del jornadismo, faceva sì che molti militanti venissero mandati allo sbaraglio, senza alcuna speranza di conseguire l’obiettivo che la direzione descriveva loro come a portata di mano. Carrillo però, tanto allora quanto negli anni successivi, replicò rivendicando il soggettivismo come una componente essenziale per qualsiasi partito rivoluzionario: secondo il suo punto di vista, infatti, solo presentando la vittoria come un obiettivo raggiungibile in tempi brevi era possibile convincere la base a compiere sacrifici, contribuendo così ad accelerare lo sviluppo storico. Detto in altre parole: l’inganno serviva per combattere l’immobilismo e il fatalismo.

La difesa delle loro tesi costò a Claudín e Semprún l’espulsione dal partito all’inizio del 1965. Bollati come revisionisti, vennero accusati di aver ceduto al disfattismo, rinunciando alla prospettiva della rivoluzione, e di essersi rassegnati all’inevitabilità del capitalismo, attestandosi su una linea socialdemocratica. Carrillo, del resto, non poteva evidentemente tollerare che una svolta di tale portata nella linea del partito provenisse da qualcuno che non fosse lui, anche perché avrebbe significato sconfessare alcuni elementi cardine di quella politica che l’aveva portato a sedere sulla poltrona di segretario generale. Non si crearono correnti che condussero a scissioni in favore di Claudín e Semprún: solo Juan Berenguer, per appoggiare le loro tesi, si vide costretto ad abbandonare il PSUC, del cui Comité Ejecutivo era membro. La dissidenza delle due F, dunque, non ebbe ripercussioni numeriche.

La sua rilevanza, tuttavia, fu rappresentata dal fatto che costituì una finestra, aperta dall’interno del partito stesso, sui principali punti deboli del PCE. Fu una lente che, non essendo più distorta da illusioni e desiderata, evidenziò quelli che, effettivamente, erano i difetti di una linea basata su una lettura erronea della situazione politico-economica, e dimostrò grande capacità di previsione a proposito di quella che sarebbe stata l’evoluzione politica del paese. Si trattò di una ventata di realismo per la direzione del PCE. Lo stesso Carrillo, seppur non esplicitamente, nel corso degli anni finì per incorporare nelle sue teorie e nelle sue analisi degli elementi claudiniani: per rendersene conto, basti pensare alla formulazione dell’eurocomunismo. Il caso delle due F, inoltre, consigliò al partito di muoversi con maggiore cautela: troviamo qui una delle ragioni per cui, nonostante i grandi entusiasmi suscitati dalle mobilitazioni del 1962-1963, i comunisti si astennero ancora per anni dal convocare effettivamente uno sciopero generale, sebbene sulla loro stampa lo indicassero continuamente come imminente. La polemica con Claudín e Semprún, sommandosi a una maggiore comprensione del nuovo modello di relazioni lavorative imposto dall’introduzione dei convenios, probabilmente convinse ancor di più i vertici del partito che le possibilità riguardo il buon esito di una tale iniziativa continuavano ad essere, per il momento, alquanto scarse.

Se le analisi delle due F volevano porre un freno agli entusiasmi comunisti, l’intenso sviluppo del nuovo movimento operaio comunque li alimentava. C’è da considerare del resto che per la direzione del PCE, anche ammettendo che Claudín e Semprún avessero ragione circa lo scarso livello di coscienza delle masse, il miglior modo per porvi rimedio continuava ad essere quello di compiere ulteriori passi in avanti

nell’organizzazione e nella politicizzazione delle Comisiones. Sotto questo aspetto, gli eventi sembravano andare nella direzione auspicata dalle prospettive comuniste. In tutti i principali punti della geografia spagnola, infatti, si registravano notevoli progressi in tal senso, e un nuovo traguardo venne raggiunto quando, nel novembre del 1964, a quelle di Vizcaya e Madrid si affiancò un’altra significativa Comisión stabile: la Comisión Obrera Central de Barcelona (COCB).

Dalla fine dell’estate il PSUC, ispirato anche dall’esempio madrileño, aveva moltiplicato i propri sforzi nel campo operaio101

, e aveva iniziato a tessere una diffusa rete di contatti con gli altri gruppi dell’opposizione, in particolare con la Alianza Sindical Obrera (ASO)102

, un’organizzazione che, sviluppatasi nel 1962 a partire dalla Alianza Sindical (AS) formata da CNT e UGT, se ne era distanziata per divergenze tattiche e, soprattutto in Cataluña, era andata aggruppando nelle sue fila molti cattolici di HOAC e JOC. I militanti del PSUC, della ASO e, in misura minore, della USO e del Front Obrer de Catalunya (FOC), la versione catalana del FLP, promossero numerose azioni e riunioni, a cui parteciparono anche molti operai senza affiliazione. Il primo frutto di questo processo fu la costituzione, in un’assemblea tenutasi il 17 ottobre 1964 alla presenza di circa sessanta lavoratori, della Comisión Obrera Provisional de Barcelona (COPB), composta da nove delegati ognuno dei quali rappresentava un differente ramo produttivo. Sotto il punto di vista dell’appartenenza politica vi era assoluto equilibrio, in quanto si avevano tre comunisti, tre cattolici e tre indipendenti.

Stabilito un centro di coordinazione, seppur provvisorio, l’attività delle organizzazioni operaie si concentrò nello strutturare una rete di commissioni a livello dei singoli settori di produzione. Tra questi, il metallurgico era quello in cui si aveva maggior influenza comunista, e in cui si giunse prima alla creazione della rispettiva Comisión Obrera, che in meno di un mese riuscì a riunire lavoratori appartenenti a oltre quaranta diverse fabbriche. La situazione, grazie ai grandi sforzi compiuti da comunisti e cattolici, sperimentò una rapida evoluzione, tanto che già il 20 novembre, dopo esser riusciti a fondare Comisiones Obreras in tutti i principali settori produttivi, nella chiesa di Sant Medir si celebrò un’assemblea di circa trecento lavoratori: nel corso di questa venne creata, come espressione delle neonate Comisiones di ramo, la COCB, che si andò a sostituire come organismo coordinatore alla COPB103

.

101 Memoria del Gobierno Civil de Barcelona, correspondiente al año 1964, in AGA, Ministerio de la Gobernación, sig. (8)3.2, c. 44/11684.

102 Mateos A., Historia de la UGT…, cit., pp. 170-173.

103 Domènech X., Clase obrera…, cit., pp. 102 e seg.; Carta de Emilio (B), 24-10-1964, Carta de Emilio, 21-11-1964, e Carta de Barcelona, 5-12-1964, in AHPCE, NyR, Cataluña, rispettivamente c. 55 per i primi due documenti, e j. 1.354 per il terzo.

Sebastian Balfour ha evidenziato una differenza significativa tra la nascita delle CCOO (facciamo riferimento con questa sigla al movimento organizzato di Comisiones Obreras stabili) a Madrid e a Barcelona. Mentre nel primo caso esse sono sorte nel seno stesso del Vertical, servendosi dei suoi locali ed essendo composte esclusivamente da enlaces e jurados che, proprio per questo, potevano sviluppare molte azioni restando in una cornice legale, nel secondo, così come anche in Vizcaya, hanno avuto un’origine clandestina e, sebbene molti loro membri ricoprissero cariche sindacali ufficiali, la loro attività si è svolta innanzitutto in un ambito extralegale104

. Ciò fu dovuto principalmente al fatto che in Cataluña la OSE aveva dovuto fare i conti, sin dagli anni Quaranta, con un movimento operaio molto più forte rispetto a Madrid: da qui la sua minore permissività, e la sua reticenza nell’aprire spazi o canali che sarebbero potuti esser utilizzati a fini di contestazione.

Un’altra differenza tra il caso madrileño e quello barcellonese è da rintracciarsi nel diverso grado di eterogeneità nella composizione delle CCOO: mentre infatti la Comisión del Metal della capitale presentò sin dall’inizio una netta maggioranza comunista, la COCB ebbe un carattere più plurale. La molteplicità di tendenze al suo interno, però, portò ben presto a polemiche tra i militanti del PSUC, della ASO e del FOC, con accuse reciproche di voler stabilire su di essa il proprio controllo. Dispute intestine di tale indole restarono una costante nello sviluppo delle CCOO catalane. Già nel 1965 si fecero particolarmente intense quando, in seguito alla detenzione della maggior parte dei membri della COCB, il PSUC tentò subito di rimettere in piedi tale organismo, ma aumentando il peso esercitato dai comunisti: tale manovra produsse le prime gravi frizioni, e portò all’uscita della ASO dalle CCOO. Queste, indebolite da repressione e divergenze intestine, fino alle mobilitazioni connesse alle elezioni sindacali del 1966 restarono in Cataluña in una sorta di empasse105

.

Le Comisiones madrileñe, invece, tra il 1965 e il 1966 assunsero il ruolo di principali referenti del nuovo movimento operaio, non solo per il PCE e per il resto del movimento a scala nazionale, ma anche per l’opinione pubblica e per le autorità governative. Ciò fu dovuto, innanzitutto, all’elevato grado organizzativo che riuscirono a raggiungere a circa un anno e mezzo di distanza dalla nascita della Comisión del Metal. Quest’ultima, nel dicembre del 1964, convocò una manifestazione che, però, ebbe scarso esito. La principale causa che ne aveva impedito la riuscita venne

104 Balfour S., cit., p. 88.

105 Situación de las Comisiones Obreras de Cataluña en el momento actual, 22-8-1966, in AHPCE, MO, j. 142; Carta de Emilio, 20-3-1965, Discusión del cté de Barna, 19-3-1965, Informe de Carlos sobre el trabajo en el frente de la Oposición Sindical, 17-5-1965, in AHPCE, NyR, Cataluña, c. 56.

individuata dai comunisti nella mancanza di «un’ampia rete di commissioni su cui appoggiarsi»106

: si era cioè creato il vertice, ma senza fornirgli i necessari pilastri di base. Tale deficenza faceva sì che la conflittualità operaia nella capitale non raggiungesse i suoi livelli potenziali. Occorreva, pertanto, procedere alla costituzione di CCOO stabili in una doppia dimensione: a quella del Metal bisognava affiancarne altre analoghe nei diversi settori, così da avere Comisiones provinciali centrali con riferimento ai vari rami della produzione; per fornire a queste l’indispensabile supporto di base, inoltre, era necessario creare contemporaneamente un gran numero di Comisiones nelle singole imprese107

.

Al fine di conseguire tale obiettivo rapidamente, il nucleo madrileño del PCE aumentò notevolmente le risorse destinate al lavoro nel movimento operaio e, a differenza di quanto avveniva nelle altre zone del paese, creò un apposito distaccamento che, libero da qualsiasi altra incombenza relativa alla vita del partito, si dedicasse esclusivamente all’attività sindacale108

. Si moltiplicarono esponenzialmente le riunioni in diversi fronti: nei locali della OSE gli enlaces e jurados comunisti, nascondendo la loro affiliazione politica, illustravano pubblicamente ai lavoratori l’utilità di nominare in ogni impresa delle Comisiones che li rappresentassero; parallelamente, Camacho e Ariza tenevano frequenti incontri con gli altri militanti operai del PCE per coordinarsi e stabilire, di volta in volta, la tattica più idonea per far sì che il processo si sviluppasse efficacemente secondo le prospettive delineate dal partito; non mancavano, infine, colloqui periodici con esponenti di HOAC, JOC ed USO, interessati anch’essi a dotare il movimento di una maggiore organizzazione109

.

I risultati di questa frenetica attività si ebbero innanzitutto a livello di vertice. All’inizio del 1966, infatti, a quella del Metal si erano aggiunte Comisiones Provinciales de Construcción, Artes Gráficas, Transporte, Química, Banca e Enseñanza. Non solo: era stata creata la Inter, ossia una commissione intersettoriale che coordinava tutte queste CCOO di ramo e che, guidata da Camacho, nella sua composizione vedeva un notevole predominio comunista110

. Mentre a Barcelona e in Vizcaya si era creata

106 Actas del VII Congreso del Partido Comunista de España, agosto 1965, p. 340, in AHPCE, Documentos, Actas Congresos.

107 Información de (5), gennaio 1965, Reunión con el comité de A, 14-6-1965, in AHPCE, NyR, Madrid, jj. 9, 67.

108 Coloquio obrero: actas taquigráficas, settembre 1966, cit., p. 64.

109 Reseña de la reunión del 22-5-65, maggio 1965, Carta de (1), giugno 1965, in AHPCE, NyR, Madrid, JJ. 58-59, 61.

110 Carta de S. Carrillo a D. Ibárruri, 20-5-1966, in AHPCE, Dirigentes, c. 30; Reseña de reunión de 25 y 27.12 1966, p. 4, in AHPCE, MO, c. 89, carp. 4; Resumen de la reunión del C. ampliado de (1) de Madrid, gennaio 1966, in AHPCE, NyR, Madrid, j.95.

prima una Comisión centrale, a partire dalla quale erano poi state formate quelle settoriali, a Madrid si ebbe quindi un processo inverso. Più difficile risultò nella capitale la creazione e articolazione delle CCOO di base. Se a livello di vertice infatti il ruolo principale era stato svolto dai contatti tra i diversi enlaces e jurados, vale a dire tra persone che, come dimostrato dal fatto stesso di ricoprire una carica, erano più combattive e propense all’organizzazione rispetto alla media, all’interno della singola impresa gli attivisti comunisti dovevano fare i conti con una maggioranza operaia che appariva ancora ampiamente demobilitata. I primi risultati in tal senso, non a caso, si ebbero durante il 1965 in quelle imprese (Perkins e Marconi ad esempio) e in quei settori (in primis il metallurgico) in cui si aveva una maggiore presenza di militanti del PCE. Fu però solo alla fine del 1966 che, grazie alle agitazioni connesse alla celebrazione delle elezioni sindacali, si riuscì effettivamente ad articolare una significativa rete di CCOO stabili a livello di base111

.

Le Comisiones madrileñe si configurarono come le principali referenti del nuovo movimento operaio non solo per il grado organizzativo raggiunto, ma anche perché si mossero attivamente per esportare il loro modello in altri punti del paese. La direzione del PCE infatti, considerando la chiara prevalenza comunista nel loro seno e la loro favorevole posizione geografica, ritenne opportuno farne «il motore del movimento operaio a scala nazionale»112. A questo scopo, dalla metà del 1965 Camacho e Ariza viaggiarono in diverse zone della Spagna, tra cui Asturias, Barcelona, Valencia e Andalucía113

, dando istruzioni e stabilendo contatti che sono da considerarsi essenziali tanto per il sorgere di CCOO in molte città, quanto per la successiva creazione della Coordinadora Nacional. Ai colloqui in loco si affiancarono inoltre le connessioni epistolari, tra le quali fu particolarmente intensa quella che la Comisión del Metal della