Il salto qualitativo (1962-1966)
3. Il movimento socio-politico organizzato
Attorno alla metà degli anni Sessanta, soprattutto dopo la loro affermazione nelle elezioni sindacali del 1966, le CCOO chiusero la prima tappa del loro sviluppo e assunsero dei tratti identitari che, grosso modo, restarono poi invariati fino alla loro trasformazione in una Confederación Sindical legale. Si trattò, sostanzialmente, della loro conformazione a un modello strutturale e teorico elaborato prevalentemente dal PCE, e che le Comisiones fecero proprio di pari passo con la loro crescita e con il contemporaneo aumento dell’influenza della linea comunista nel loro seno, arrivando a configurarsi identititariamente come un movimento socio-politico organizzato.
La moltiplicazione delle Comisiones stabili, la loro crescente penetrazione nel Vertical, e la loro progressiva coordinazione a scala settoriale, provinciale e ben presto nazionale, fecero sì che alla loro originaria base essenzialmente movimentista con carattere aperto, che prendeva corpo nelle assemblee, negli scioperi etc., si andasse sovrapponendo, acquisendo una rilevanza sempre maggiore, un’avanguardia organizzata: questa, secondo quanto già delineato dal PCE con la formula della Oposición Sindical, era composta da coloro che venivano eletti dagli operai per formare i nuclei stabili delle Comisiones, e che potevano o meno occupare cariche all’interno della OSE. Questa dialettica movimento/organizzazione portò i comunisti a definire le CCOO, tra il 1966 e il 1977, innanzitutto come un movimento organizzato:
Movimento e organizzazione –ha scritto Sartorius- formano, nelle Comisiones, un’unità dinamica: le Comisiones non sono solamente una cosa o l’altra, bensì l’insieme delle loro relazioni reciproche nel processo della lotta. [...] Le Comisiones Obreras non sono un’organizzazione di affiliati, bensì un movimento organizzato di eletti, di delegati o rappresentanti, di partecipanti alle assemblee, alle azioni etc.166
Da una parte, quindi, si riteneva superata la fase di “immaturità” in cui la
165 Carta de S. Carrillo a D. Ibárruri, 29-10-1966, cit., p. 9. Per la constatazione, da parte socialista, della sconfitta e del declino della UGT: Carta de Benito Alonso a Emilio Fradera, 5-10-1966, in AHFFLC, Fondo Benito Alonso, sig. 137-25.
166 Sartorius N., El sindicalismo de nuevo tipo. Ensayos sobre Comisiones Obreras, Barcelona, Laia, 1975, pp. 113-114, 116.
commissione corrispondeva solo all’assemblea e alla sua emanazione temporanea finalizzata al conseguimento di un obiettivo specifico: dall’altra ci si rendeva comunque conto che dotare le Comisiones di una struttura troppo rigida avrebbe allontanato molti dei partecipanti, i quali non avrebbero accettato di divenire affiliati di un’organizzazione vera e propria, con i suoi statuti e la sua disciplina, soprattutto se influenzata dai comunisti. A ciò si aggiunga che sarebbe aumentato il rischio di subire una maggiore persecuzione da parte del regime. Camacho in proposito ha affermato:
La base del movimento delle CCOO è costituita dalle assemblee dei lavoratori. […] Vale a dire che quella che correntemente si chiama commissione non è nulla più che la parte organizzata del movimento delle Comisiones Obreras. Se fossimo un’organizzazione, ci alieneremmo dalla massa, [...] e arriveremmo anche a ripetere alcuni errori del sindacalismo classico, sclerotizzandoci. D’altra parte però, se non avessimo una parte organizzata, quella che chiamiamo propriamente commissione, correremmo il rischio, con la repressione, di non assicurare la continuità del movimento, o di non raccogliere e accumulare le diverse esperienze nel processo ascendente di lotte e di autocreazione
La scelta del PCE, in modo da poter sfruttare i vantaggi derivanti dall’una come dall’altra forma, fu allora di renderle un movimento con una parte organizzata, però
non un’organizzazione167
, servendosi così di una figura retorica che, come hanno evidenziato Flores e Gallerano, era tipica del discorso dei PC di tutto il mondo, vale a dire l’ossimoro168
.
La parte organizzata delle CCOO era costituita dall’avanguardia che, secondo i comunisti, seguendo un tipico schema leninista doveva sviluppare la sua azione in una duplice prospettiva. Da un lato doveva farsi portavoce delle masse, individuandone i principali bisogni e cercando di soddisfarli efficacemente: sotto questo aspetto, quindi, era tenuta a realizzare un’opera di ricezione e rielaborazione di stimoli provenienti dal basso. Dall’altro, dopo aver ottenuto in questo modo la fiducia e l’appoggio dei lavoratori, doveva dar loro orientamento dall’alto, educandoli, dandogli coscienza di classe e infondendogli spirito combattivo, così da poterli mobilitare per obiettivi sia di ordine economico che politico169
: in questo senso, negli scioperi e nelle altre azioni di protesta, la base movimentista andava ad ampliare momentaneamente l’avanguardia, e ne costituiva la necessaria forza d’urto.
167 Camacho M., Charlas en la prisión…, cit., pp. 77-78.
168 Flores M., Gallerano N., Sul Pci. Un’interpretazione storica, Bologna, Il Mulino, 1992.
169 Lenin V. I., ¿Qué hacer?, cit., pp. 110-126; Id., «Proyecto de resoluciones para el Congreso de unificación del POSDR. Febrero 1906», in Id., Obras Completas, Buenos Aires, Cartago, 1969, Tomo X, p. 162.
Le CCOO, a livello tanto di avanguardia organizzata quanto di base movimentista, si proclamavano plurali e indipendenti rispetto a qualsiasi organizzazione politica170
. Questi tratti, però, erano propri più dell’autorappresentazione e del discorso identitario delle Comisiones, che non della loro realtà fattuale, caratterizzata dall’egemonia di fatto stabilita su di esse dai comunisti. Certamente nel loro seno agirono sempre, seppur in proporzioni diverse a seconda dei momenti e delle zone, militanti di altre forze, così come operai senza affiliazione. Il PCE, tuttavia, riuscì a mettere in atto un processo di progressiva egemonizzazione grazie a diversi fattori: era l’unico gruppo ad aver elaborato una linea d’azione e un approccio sistematico nei confronti delle commissioni sin dai primi anni Cinquanta; destinò al lavoro nel movimento operaio risorse organizzative, economiche e propagandistiche in misura maggiore rispetto alla maggior parte delle altre forze che vi partecipavano; i suoi militanti costituivano una rete estesa su tutto il territorio nazionale, e presentavano grande preparazione politica, disciplina, abnegazione e un elevato spirito combattivo, il che molto spesso li faceva apparire agli operai come i loro migliori rappresentanti. A questi fattori occorre aggiungerne un altro essenziale: il PCE, seppur tra contraddizioni, forzature e valutazioni talvolta errate, riuscì a presentare modus operandi e modalità organizzative che, grazie alla loro dimostrata efficacia, vennero accettati dagli altri elementi che partecipavano alle Comisiones, e incorporati nel bagaglio teorico-pratico di quest’ultime: basti pensare, per esempio, all’entrismo o all’affermazione della necessità di rendere le commissioni permanenti e coordinarle su scala sempre più estesa. L’egemonizzazione di fatto delle CCOO da parte del PCE si può considerare completata nel 1966: esse, infatti, si erano allora già praticamente conformate al modello di opposizione sindacale delineato dal partito e, come abbiamo evidenziato a proposito dei casi più significativi, in tutte le Comisiones stabili vi era una presenza maggioritaria di comunisti. Questi agivano nel movimento operaio applicando, in maniera flessibile per adattarla alle diverse situazioni concrete che si presentavano loro, la linea generale fissata dai vertici del PCE171
. Tale flessibilità, però, non deve essere confusa con una presunta autonomia o indipendenza dei militanti rispetto alla direzione del partito. Affermazioni come la seguente non lasciano spazio a dubbi in proposito:
170 Si vedano ad esempio alcuni manifesti fondativi come Declaración de las Comisiones Obreras de Madrid, giugno 1966, in AHPCE, MO, c. 83, carp. 2; «Declaración de principios de las CC.OO. de Guipúzcoa», 1966, riprodotto in Ariza J., Comisiones Obreras, Barcelona, Avance, 1976, pp. 99-103.
171 Cfr. Carta de (2), 8-11-1966, p. 8, in AHPCE, NyR, Madrid, j. 173; Coloquio obrero: áctas taquigráficas, settembre 1966, cit., p. 547.
Gli enlaces e jurados del Partido non cessano, solo per il fatto di essere stati eletti, di essere membri del Partido. Del resto, se sono stati eletti, è perché il Partido ha deciso che dovevano presentarsi alle elezioni, e tutti i suoi membri hanno lottato per ottenere la vittoria nelle elezioni. Deve essere a tutti ben chiaro che, se sono enlaces, lo sono in quanto comunisti. Sono, per questa ragione, sottomessi alla disciplina di partito, e hanno gli stessi diritti e doveri che tutti gli altri membri devono alla disciplina della nostra organizzazione. Tutto ciò significa che l’attività degli enlaces del Partido deve essere stabilita, determinata e controllata dai Comités del Partido, a cui gli enlaces devono dare rigorosamente conto di tutta la loro attività, e di cui hanno l’obbligo di applicare orientamenti e decisioni172
Se i comunisti nelle CCOO svolgevano un’attività che era evidentemente dettata dal partito e sottomessa alla sua disciplina e al suo controllo, se ne deduce logicamente che, quando essi erano il gruppo più numeroso all’interno di una Comisión, ed era ciò che si verificava nella maggior parte dei casi, questa, anche se non formalmente e a scapito della sua proclamata indipendenza, si trasformava di fatto in una cinghia di
trasmissione del PCE. Nelle riunioni del partito, del resto, si affermava esplicitamente
che doveva essere quest’ultimo a «controllare le C.O.»173
. Ne è un’ulteriore prova, come faceva notare anche una relazione governativa in merito, la coincidenza pressoché esatta che, soprattutto dal 1966 in poi, si aveva tra le linee programmatiche del partito e quelle delle CCOO174
.
Il PCE tentò di risolvere questa contraddizione tra l’egemonia che esercitava sulle Comisiones e la loro proclamata indipendenza, ricorrendo a un altro ossimoro. Si attribuì, infatti, un ruolo non dominante, bensì dirigente. La differenza tra i due termini appare quantomeno capziosa:
Non è lo stesso –ha scritto Sartorius- dominare o dirigere un movimento, uno Stato, etc. Nel primo caso si stabilisce tra il partito, o i partiti, […] e le istituzioni di cui trattasi una connessione meccanica, burocratica, morta; nel secondo invece, una relazione dinamica, democratica, viva175
Mentre nel primo caso, quindi, la linea decisa dai comunisti si sarebbe imposta automaticamente senza ammettere discussioni al riguardo, definendosi dirigente il partito non rinunciava al suo controllo sulle CCOO, ma si diceva comunque disposto a instaurare un dialogo aperto con le altre forze e con l’insieme degli operai che le componevano, rendendoli partecipi dello sviluppo dei propri orientamenti e ascoltando
172 Sobre la cuestión de la Oposición Sindical Obrera, cit., p. 2.
173 Carta de (2), 27-5-1965, p. 7, in AHPCE, NyR, Madrid, j. 60.
174 Informe del Ministerio de Gobernación sobre Comisiones Obreras, 1971, p. 3, in AHPCE, MO, c. 87, carp. 1.
le loro proposte in merito. Per dirla con le parole di Carrillo:
Il ruolo dirigente del Partido è un qualcosa di molto complesso. È vero che, in maniera generale, noi siamo i portatori della linea e delle soluzioni giuste. Però il nostro ruolo dirigente sarà più effettivo, più reale, più completo, se sapremo integrare senza riserve la nostra linea e le nostre iniziative con le iniziative, i giudizi, le opinioni positive degli altri elementi legati alle masse176
Mostrare questo volto dialogante al fine di preservare il carattere plurale delle CCOO e la loro indipendenza formale, risultava necessario per il PCE. Occorre sottolineare, infatti, che le Comisiones si presentavano come un terreno ottimale per stabilire relazioni con elementi di altri gruppi sociali e politici: il partito sperava che tale collaborazione di base realizzata quotidianamente nell’ambito del nuovo movimento operaio con militanti di altre forze dell’opposizione, si sarebbe poi potuta portare anche a livello di vertice, propiziando così la creazione di quell’ampia alleanza antifranchista preconizzata dalla Política de Reconciliación Nacional. Nella stessa ottica, le Comisiones apparivano come il principale strumento con cui rovesciare la dittatura pacificamente, attraverso azioni di massa: per far sì che in esse partecipasse un gran numero di lavoratori, però, era necessario che apparissero come indipendenti e senza un colore politico definito, soprattutto se il colore in questione era il rojo. A questo proposito, è bene sottolineare che i dirigenti comunisti delle CCOO, al fine di dissimulare l’egemonia esercitata dal partito sul movimento organizzato, cercarono sempre di nascondere la loro affiliazione politica, sebbene questa nella maggior parte dei casi fosse palese.
Nella visione del PCE, era necessario assicurare che alle Comisiones partecipasse gran parte della classe operaia anche perché ciò era funzionale a fare in modo che esse potessero configurarsi come l’embrione di quella che, una volta dissolto il Vertical, sarebbe dovuta essere la centrale sindacale unica e unitaria. L’idea del sindacato unitario come strumento principe della lotta dei lavoratori faceva parte del bagaglio teorico comunista sin dai tempi della I Internazionale, ed era basata sulla convinzione che la forza del movimento operaio derivasse principalmente dalla sua unità, in quanto le divisioni inevitabilmente lo indebolivano favorendo la borghesia177
. Il PCE, che aveva fatto sua tale impostazione già durante la II Repubblica e l’aveva rimarcata continuamente nel corso degli anni, la traspose anche nelle Comisiones:
176 Carrillo S., Después de Franco, ¿Qué?, Paris, Editions Sociales, 1965, p. 61.
177 Si veda «Resolución de la Asociación Internacional de los Trabajadores sobre los sindicatos. 1866», riprodotto nell’antologia Marx K., Acerca de los sindicatos, México D. F., Quinto Sol, 1979, pp. 17-19.
queste, dalla metà degli anni Sessanta fino almeno al 1977, affermarono sempre la propria volontà unitaria178
.
Nella prospettiva tracciata dal partito di Carrillo, le CCOO, eventualmente cambiando la propria sigla in seguito ad accordi con gli altri sindacati dell’opposizione, avrebbero dovuto prendere praticamente il posto del Vertical, rilevandone il patrimonio sindacale, ma assicurando dei meccanismi di funzionamento totalmente democratici. Per poter raggungere tale obiettivo, le Comisiones dovevano necessariamente continuare ad apparire come plurali ed indipendenti rispetto a qualsiasi partito, perché altrimenti sarebbe sfumata la possibilità di godere di una base di massa inevitabilmente eterogenea dal punto di vista dell’ideologia politica. È facile intuire gli enormi vantaggi che il PCE avrebbe potuto trarre dall’essere la forza egemone di un sindacato che inglobava nelle sue fila la totalità dei lavoratori spagnoli. È interessante notare che, al fine di assicurare il carattere onnicomprensivo della futura centrale sindacale unica, i comunisti ritenevano che l’affiliazione ad essa non sarebbe dovuta essere volontaria, bensì automatica:
C’è molta gente che, parlando di libertà sindacale, non pensa a una libertà e a una democrazia sindacale effettiva, bensì al pluralismo sindacale. [...] Se confondiamo la libertà sindacale con il pluralismo sindacale, serviremo su un piatto d’argento ai nostri nemici la possibilità di dividere la classe operaia. [...] Stabilire il criterio dell’affiliazione volontaria –che porta con sé la libertà di non affiliarsi e di conseguenza anche il pluralismo sindacale- sarebbe nefasto per i lavoratori179
Occorre inoltre sottolineare che, per il PCE, il tipo di relazione instaurata con le CCOO era utile anche ai fini del reclutamento. Questo, infatti, si sarebbe realizzato attraverso quel modello di adesione al partito che George Lavau, nella sua classificazione delle diverse tipologie di affiliazione al comunismo, ha definito come
adesione-impregnazione: quest’espressione sta ad indicare l’adesione che avveniva
come conseguenza dell’egemonia comunista in un ambiente concreto180 ossia, per quanto riguarda il nostro caso specifico, nelle CCOO e, eventualmente, nella futura centrale sindacale unica. A questo proposito, sono illuminanti le seguenti parole di Carrillo:
L’immensa maggioranza di coloro che oggi firmano petizioni dicendo di stare con le Comisiones
178 Si veda Ante el futuro del sindicalismo, 31-3-1966, in AHPCE, MO, c. 83, carp. 2.
179 Opiniones de (1) sobre el anteproyecto de C.O., 10-4-1967, p. 2, in AHPCE, MO, j. 190.
Obreras, domani firmeranno il bollettino di adesione al Partido Comunista, quando il P. Comunista sarà legale. […] Molta gente che segue oggi le Comisiones Obreras, le segue considerandosi molto vicina al Partido, e molta di questa gente militerà con noi. Incluso molti che oggi non sono comunisti, e che oggi ci danno grattacapi, se avremo un orientamento giusto molti di questi che sono onesti, che sono buoni lottatori, anche se sono cattolici o socialisti, molti di questi verranno al nostro partito181
Le CCOO, come accennato precedentemente, dal 1966 andarono definendosi come un movimento organizzato socio-politico o, detto in altre parole,
fondamentalmente rivendicativo, anche se non esclusivamente rivendicativo182. Avevano un carattere sociale/rivendicativo perché esprimevano e puntavano a dare una soluzione innanzitutto ai problemi economici immediati della classe operaia: presentavano anche dei connotati politici sia perché, in un contesto dittatoriale, molte rivendicazioni che sembravano riguardare esclusivamente il campo lavorativo (come ad esempio il diritto di sciopero e la libertà sindacale) assumevano di fatto un significato politico, sia perché la loro azione aveva effettivamente come fine ultimo l’abbattimento del regime franchista e l’affermazione delle libertà democratiche183
.
La strategia del PCE, sin dalle origini della sua politica sindacale, consisteva nel perseguire successi nelle rivendicazioni economiche immediate, in modo da ottenere l’appoggio delle masse operaie e servirsene, poi, per la lotta anche nel campo propriamente politico. Si partiva così da una prospettiva ridotta (miglioramenti salariali o delle condizioni di lavoro ad esempio), per poi giungere a una globale, ossia il cambiamento di regime. Il partito, dunque, concepiva l’azione sindacale come uno strumento utile per ottenere risultati concreti a breve termine: questi gli avrebbero dato credibilità tra i lavoratori, e fornito così una base di massa da cui partire per la realizzazione di progetti politici a più ampio raggio.
Il PCE, che dopo il fallimento del jornadismo e la mancata politicizzazione degli scioperi del 1962 aveva adottato un atteggiamento cauto al riguardo, preferendo concentrarsi sul radicamento e la strutturazione del nuovo movimento operaio, dalla seconda metà degli anni Sessanta fece in modo le CCOO incorporassero la prospettiva della lotta propriamente politica nel loro bagaglio identitario. È da notare che le Comisiones, nell’ottica del partito, costituivano una riproposizione del modello dei
soviet:
181 Coloquio obrero: actas taquigráficas, settembre 1966, cit., p. 583. Si veda anche Por un Partido Comunista de masas, para acelerar la transición hacia la democracia, aprile 1967, pp. 19-23, in AHPCE, Documentos, carp. 48.
182 Camacho M., Charlas en la prisión…, cit., pp. 44-46, 76.
Le Comisiones Obreras oggi, nel nostro paese, -affermò Carrillo- sono un po’ quello che erano i soviet operai prima della rivoluzione di Febbraio, quando ancora non erano organi del potere, né organi di dualità di potere. Quando erano quello che sono oggi le Comisiones Obreras: da un lato uno strumento per la difesa degli interessi immediati dei lavoratori; dall’altro, uno strumento di lotta politica dei lavoratori, in un paese in cui l’autocrazia aveva liquidato i sindacati e le forme di espressione democratica, e gli operai [...] creavano queste forme di democrazia propria per organizzare la loro lotta184
A mano a mano che le CCOO andavano acquisendo una struttura meglio definita e una presenza pubblica significativa, e via via che cresceva l’egemonia comunista nel loro seno, il PCE spinse quindi per far sì che nelle loro dichiarazioni e nei loro programmi venissero inseriti anche obiettivi di segno chiaramente politico. A Madrid, grazie al pionieristico auge sperimentato dalla Comisión del Metal, i comunisti si mossero in tal senso già dal 1965:
Dobbiamo trovare una congiuntura propizia –scriveva un militante madrileño alla direzione del partito- per fare in modo che nelle assemblee, e persino nel programma delle Comisiones, [...] possa essere introdotta la domanda generale di democrazia. Sono consapevole che questo è un gran salto in avanti, e che non si può realizzare meccanicamente in qualunque momento, però mi sembra che, per come stanno andando le cose, è un salto che ci dobbiamo preparare a fare alla prima occasione possibile185
Il Gobernador Civil della capitale, in effetti, nel 1966 faceva notare che nel corso dell’anno le proteste operaie, soprattutto quelle che avevano interessato il settore metallurgico, avevano presentato «un grande fondo politico»186
. Per quanto riguarda le altre zone della Spagna, da un punto di vista generale si può affermare che la politicizzazione delle CCOO, come avremo modo di vedere meglio nei prossimi capitoli, si ebbe chiaramente a partire dal 1967, soprattutto in seguito alla creazione della Coordinadora Nacional e come risposta all’inasprirsi della repressione.
Occorre evidenziare che, a metà degli anni Sessanta, il PCE si interrogava sul ruolo politico che le Comisiones avrebbero potuto svolgere non solo nella lotta contro la dittatura, ma anche nel quadro del futuro Stato democratico post-franchista. Ciò si