dall'altro, però, attuare pubblicamente li esponeva a maggiore visibilità, e diveniva perciò più agevole per le autorità individuare tra di loro quelli più combattivi, e colpirli di conseguenza con provvedimenti che potevano andare da semplici multe, alla prigione quando si riusciva a risalire ai loro vincoli politici. Tuttavia, a ben vedere, il partito traeva vantaggio anche dallo stesso arresto dei suoi militanti, poiché in tal modo, indirettamente, dimostrava alla società spagnola che i comunisti erano la forza più attiva contro la dittatura, ed incentivava a mettere in moto mobilitazioni di sostegno151
. Il dibattito su questa doppia dimensione del rapporto entrismo-repressione restò una costante all'interno non solo del PCE, ma dell'antifranchismo in generale, fino alla caduta del regime: vedremo infatti che in più momenti, quando la longa manus della dittatura colpì con maggiore durezza, ci fu sempre chi propose di tornare ad agire nella piena clandestinità, scontrandosi con coloro che sostenevano che proprio per esser meno vulnerabili bisognava continuare a muoversi alla luce del sole e a far perno sulle posizioni legali.
3. La Política de Reconciliación Nacional
Nel 1956, in occasione del ventesimo anniversario dell'inizio della Guerra Civile, il PCE lanciò la Política de Reconciliación Nacional, che costituì poi la base fondamentale della strategia comunista fino alla fine del franchismo e nel corso della successiva transizione alla democrazia152
. Con essa il partito invitava tutte le organizzazioni e tutti i gruppi socio-politici antifranchisti a unirsi, creando così un fronte comune in grado di ristabilire, senza far ricorso alla violenza, le regole del gioco democratico in Spagna: i comunisti, infatti, erano consapevoli che solo attraverso una vasta ed eterogenea alleanza di tutte le correnti ostili al regime si sarebbe potuta avere a disposizione la forza necessaria per abbattere pacificamente la dittatura. Per giungere a tale risultato, però, appariva imprescindibile il superamento di tutte quelle ferite, di tutte
150 Carrillo S., Informe sobre problemas de organización, novembre 1954, cit., p. 55.
151 Reunión del Buró Político, 11-3-1957, p. 1, in AHPCE, Documentos, carp. 38.
152 Sulla Política de Reconciliación Nacional si vedano: Tomás F., «El Partido Comunista de España y la primera formulación de la “reconciliación nacional”», in Estudis d'Historia Contemporania del Pais Valencia, n. 2, 1981, pp. 291-324; Sánchez Rodríguez J., Teoría y práctica democrática en el PCE. 1956-1982, Madrid, FIM, 2004, pp. 19-64; i lavori di Erice F., José Valverde M. e Babiano J. contenuti in Papeles de la FIM, n. 24, 2006, pp. 129-179. In italiano può consultarsi Botti A. (ed.), Pacificazione e Riconciliazione in Spagna, numero monografico di Storia e problemi contemporanei, n. 47, 2008.
quelle divisioni, che si erano venute a creare nella società spagnola, ad ogni livello, durante la Guerra Civile, e che continuavano a lacerarla impedendo intese stabili e durature. Risanare queste spaccature era quanto si proponeva la nuova linea inaugurata dal PCE: il nocciolo centrale della sua proposta infatti, come lasciava intuire il nome stesso, consisteva nella riconciliazione di tutti i settori della società spagnola, eccetto quelli dichiaratamente franchisti, lasciando da parte vecchie rivalità e rancori che, essendo fattori di separazione all’interno del campo democratico, non avevano altro effetto se non quello di favorire il perpetuarsi della dittatura.
La nuova politica, abbozzata in un carteggio tra Carrillo e Pasionaria153
, venne poi delineata in una sessione del Buró Político in aprile154
, resa pubblica con un manifesto diffuso in giugno155
e discussa collettivamente dal Comité Central in agosto156
. Essa non costituì una vera e propria rottura con la traiettoria seguita dal partito fino a quel momento: si trattò invece, per molti versi, di una sistematizzazione di alcuni dei principali aspetti che avevano caratterizzato la linea del PCE prima del 1956, e di una loro evoluzione concorde con gli importanti cambi che si stavano producendo tanto nella situazione spagnola quanto in quella del mondo comunista. La Política de Reconciliación Nacional, del resto, aveva come nocciolo un appello unitario di cui il partito si era già fatto portavoce sia con la Unión Nacional che con la formulazione del Frente Nacional Antifranquista. I comunisti però, nel 1956, giunsero alla conclusione che la debolezza principale di queste proposte consisteva nel fatto che avevano come principali destinatari le organizzazioni antifranchiste tradizionali, e si inserivano in uno schema interpretativo delle divisioni socio-politiche che era ancora quello tipico della Guerra Civile. Era arrivato invece il momento, secondo il partito, di orientarsi maggiormente verso le nuove forze che stavano sorgendo all'interno del paese, e che avrebbero svolto «un ruolo di primo piano nella lotta per i cambi poltici»157
.
153 Nel marzo del 1956 Carrillo scrisse alla Ibárruri: «Credo che bisognerebbe dare la prospettiva di un periodo in cui si metta fine alle guerre civili, ai pronunciamientos e agli interventi stranieri che hanno insanguinato il suolo spagnolo durante il XIX e XX secolo; un periodo in cui i disaccordi si risolvano civilmente, nel terreno della legalità democratica, una legalità in cui trovino posto sia coloro che difesero la Repubblica, sia coloro che la combatterono». Carta a Dolores, 11-3-1956, p. 9, in AHPCE, Dirigentes, c. 30.
154 Reunión del Buró Político del Partido Comunista de España, aprile 1956, in AHPCE, Documentos,
Reuniones y Plenos (RyP).
155 Declaración del Partido Comunista de España. Por la reconciliación nacional, por una solución democrática y pacífica al problema español, giugno 1956, in AHPCE, Documentos, carp. 37.
156 Pleno del Comité Central del Partido Comunista de España, 25 luglio-4 agosto 1956, in AHPCE,
Documentos, RyP. Prima della celebrazione della sessione plenaria del Comité Central, la direzione aveva raccolto le opinioni dei suo principali membri a proposito della nuova politica: cfr. Opiniones, sugerencias y observaciones al proyecto de documento del Comité Central, luglio 1956, in AHPCE, Documentos, carp. 37.
157 Cfr. l'intervento di Dolores Ibárruri in Reunión del Buró Político del Partido Comunista de España, aprile 1956, cit., p. 3.
Tra queste spiccava il movimento studentesco, che aveva fatto la sua irruenta apparizione sulla scena socio-politica nel febbraio precedente. La riorganizzazione del mondo accademico spagnolo dopo il 1939 era stata coerente con i tratti principali del nuovo Stato. Venne adottato anche in questo campo, infatti, un sindacato unico, il Sindicato Español Universitario (SEU), che fu organizzato seguendo un modello simile a quello del Vertical, e che prevedeva l'inquadramento obbligatorio, al suo interno, tanto dei professori quanto degli studenti. La finalità di tale struttura, come esposto nella Ley de Ordenación Universitaria del 1943, consisteva nel far sì che l’insegnamento universitario fosse assolutamente conforme ai valori della Falange158
. Durante la prima metà degli anni Cinquanta, grazie anche all'impulso riformista dato da Joaquín Ruiz Giménez, nominato nel 1951 ministro di Educación Nacional, all'interno del mondo universitario e intellettuale si erano andate manifestando attitudini critiche che esplosero quando, al principio del 1956, un gruppo di studenti madrileñi redasse e diffuse un manifesto con cui si chiedeva la celebrazione di un Congreso Nacional de Estudiantes al fine di dare una struttura rappresentativa all'organizzazione sindacale universitaria. Questo fu all'origine di varie iniziative nelle diverse Facoltà della capitale, che culminarono, tra il 2 e il 9 febbraio, in notevoli manifestazioni di piazza e scontri tra polizia e studenti tanto nelle strade quanto nei locali universitari. La reazione governativa non si fece attendere: venne chiusa momentaneamente l'Università di Madrid, fu decretato lo stato d'eccezione, le forze dell'ordine realizzarono un'ondata di detenzioni, e vennero destituiti dalle loro cariche Ruiz Giménez e Laín, il rettore della Complutense159
.
Questi avvenimenti ebbero un enorme impatto sull'opinione pubblica. Molti degli studenti che vi avevano preso parte, infatti, provenivano da famiglie borghesi, molte delle quali avevano appoggiato il levantamiento del '36. I fatti di febbraio, dunque, si configuravano come la ribellione dei figli dei vincitori contro il regime che sostenevano i loro padri. Il PCE, che già da qualche anno stava organizzando propri nuclei all'interno dell'università160
, fu molto colpito dalle mobilitazioni studentesche di Madrid, tanto che queste possono essere considerate come uno dei fattori chiave che spinsero il partito a formulare la Política de Reconciliación Nacional. Esse influirono in questo senso sotto diversi aspetti. Resero evidente, innanzitutto, che in Spagna era
158 Maravall J. M., Dictadura y disentimiento político. Obreros y estudiantes bajo el franquismo, Madrid, Alfaguara, p. 157; Ruiz Carnicer M. A., El Sindicato Español Universitario (SEU), 1939-1965. La socialización política de la juventud universitaria en el franquismo, Madrid, Siglo XXI, 1996.
159 Lizcano P., La generación del 56. La Universidad contra Franco, Madrid, S&C, 2006.
160 Nieto F., «La constitución de la organización comunista de los intelectuales. Madrid, 1953-1954», in Espacio, Tiempo y Forma, n. 20, 2008, pp. 229-247.
cresciuta una nuova generazione che non aveva vissuto la Guerra Civile, e che di conseguenza pensava ed agiva al di fuori degli schemi ereditati dal conflitto161
.
Se i comunisti volevano stringere legami con questi giovani dovevano dunque rinnovare il proprio lessico e la propria griglia teorica, ridimensionando i riferimenti a questioni passate e quindi aliene alle nuove generazioni, e formulando invece una proposta tutta protesa verso il futuro. Le mobilitazioni universitarie di febbraio influirono sull'elaborazione della nuova politica del PCE anche perché, proprio per la questione generazionale ad esse connessa, contribuirono a convincere il partito che i tempi erano maturi per far sì che la riconciliazione degli spagnoli si presentasse come una possibilità concreta162
: si affacciavano infatti alla vita pubblica sempre più giovani che percepivano come estranee le vecchie rivalità e contrapposizioni, e che perciò erano disposti ad accantonarle definitivamente. Non a caso, nelle manifestazioni di febbraio c'era stata collaborazione tra “i figli dei vincitori e quelli dei vinti”.
Le proteste studentesche avevano sottolineato, inoltre, l'acutizzarsi di un fenomeno che si andava delineando già da qualche anno, e che era individuato dal PCE come uno dei fattori che rendevano ipotizzabile la riuscita della sua proposta di riconciliazione nazionale: l'emergere di un'opposizione al franchismo all'interno degli stessi gruppi socio-politici che lo sostenevano. Basti pensare che, come conseguenza dei fatti di febbraio, venne detenuta una personalità del calibro di Dionisio Ridruejo, considerato dalla dittatura come uno degli ispiratori ideali della mobilitazione universitaria: l'ex Director General de Propaganda del bando franchista durante la Guerra Civile, nonché volontario della División Azul, dai primi anni Cinquanta si era infatti pronunciato sempre più esplicitamente a favore della liberalizzazione del regime
163
.
Dal 1950-1951, inoltre, si era andata progressivamente accentuando una dissidenza di segno cattolico che si declinava sia in una vertente operaista che in una politica: la prima, sviluppata attraverso la Hermandad Obrera de Acción Católica (HOAC) e la Juventud Obrera Cristiana (JOC), ossia le frange operaie dell'Acción Católica (AC), e ispirata alla dottrina sociale della Chiesa, era finalizzata a occupare il posto lasciato vuoto dagli storici sindacati di classe tutelando i lavoratori di fronte all'inefficacia del Vertical; la seconda invece andava pian piano assumendo la
161 Declaración del Partido Comunista de España. Por la reconciliación nacional, por una solución democrática y pacífica al problema español, giugno 1956, cit., p. 3.
162 Si veda l'intervento di Carrillo in Reunión del Buró Político del Partido Comunista de España, aprile 1956, cit., pp. 15 e seg.
163 Gracia J., La vida rescatada de Dionisio Ridruejo, Barcelona, Anagrama, 2008; Morente F., Dionisio Ridruejo: del fascismo al antifranquismo, Madrid, Síntesis, 2006.
fisionomia di un partito democratico-cristiano164
. Entrambe avevano come scopo quello di preparare un fronte cattolico-liberale in grado di candidarsi alla guida del paese nel post-franchismo. Non bisogna poi dimenticare l'esistenza di un'opposizione monarchica al regime del Caudillo: questa, firmando già nel 1948 con i socialisti il Pacto de San Juan de Luz, si era resa protagonista di quello che può esser considerato come il primo vero e proprio episodio di riconciliazione nazionale165
. La stessa borghesia infine, sin dallo sciopero di Barcelona del 1951, mostrava segni di malcontento nei confronti della dittatura, dovuti per lo più al pessimo andamento dell'economia, e si faceva portatrice di istanze liberalizzanti.
Il PCE osservava con estremo interesse questi fenomeni, e ne deduceva che il franchismo era in crisi, dato che ormai le sue basi socio-politiche erano ridotte ai minimi termini, e riusciva a sussistere solo grazie all'appoggio datogli dagli USA, dai latifondisti, dall'oligarchia finanziaria e dai settori più reazionari della Chiesa e dell'Esercito. Non solo: stava implodendo perché si stavano acutizzando sempre di più i contrasti tra le diverse famiglie che lo componevano166
. L'analisi comunista senza dubbio esagerava nel sottolineare la debolezza della dittatura, ma comunque conteneva elementi veritieri. Lo stesso cognato di Franco nel febbraio del 1956 annotava nel suo diario che il regime stava «perdendo simpatie»167, e all'interno dell'establishment governativo si stava effettivamente sviluppando uno scontro che aveva come oggetto l'istituzionalizzazione del franchismo: i progetti di Arrese a questo proposito, volti a garantire il predominio della Falange, incontravano dura resistenza da parte delle altre famiglie politiche168
. Queste difficoltà, però, vennero risolte almeno in parte con il nuovo Governo nominato l'anno successivo e con il conseguente avvio della liberalizzazione economica, che permisero poi alla dittatura, contrariamente alle aspettative comuniste, di resistere fino alla morte del suo leader.
Il PCE comunque, stando alla sua analisi secondo cui il regime era un'oligarchia ormai priva del sostegno socio-politico di cui aveva goduto nei suoi primi anni, ne deduceva che sarebbe bastato un ampio accordo tra i diversi settori antifranchisti, attualmente divisi da vecchie rivalità e rancori, per provocarne pacificamente la caduta. Il crescente dissenso del resto, secondo quest'interpretazione, non era ancora stato in
164 Tusell J., La oposición democrática al franquismo..., cit., pp. 314 e seg.
165 Hernando L., «Buscando el compromiso: la negociación del Pacto de San Juan de Luz», in Espacio, Tiempo y Forma, n. 18, 2006, pp. 225-244.
166 Declaración del Partido Comunista de España. Por la reconciliación nacional, por una solución democrática y pacífica al problema español, giugno 1956, cit., p. 24.
167 Franco Salgado-Araujo F., Mis conversaciones privadas con Franco, Barcelona, Planeta, 1976, p. 164.
168 Molinero C., Ysàs P., La anatomía del franquismo. De la supervivencia a la agonía, 1945-1977, Barcelona, Crítica, 2008, pp. 27 e seg.
grado di abbattere il Caudillo solo perché quest'ultimo, alimentando con la sua propaganda le spaccature ereditate dalla Guerra Civile, era riuscito a mantenere l'opposizione frammentata e a impedire quindi che si creasse un ampio fronte politico unitario che reclamasse la fine della dittatura. Il partito, di conseguenza, con il lancio della Política de Reconciliación Nacional assumeva come suo obiettivo primario quello di «unire le forze di destra e di sinistra su una base minima: il ristabilimento delle libertà democratiche»169
, e sottolineava:
Al di fuori della riconciliazione nazionale non c'è altro cammino che quello della violenza: violenza per difendere la situazione attuale prossima al crollo; violenza per rispondere alla brutalità di coloro che, sentendosi condannati, ricorrono ad essa per mantenere la loro dominazione. Il Partido Comunista non vuole marciare su questo cammino, a cui tante volte è stato lanciato il popolo spagnolo. [...]
Il trionfo della democrazia in Spagna è ineluttabile. E l'interesse non solo delle masse, ma anche della borghesia nazionale, è che i cambi politici in Spagna si realizzino senza violenza. Propugnando il ristabilimento delle libertà e la soppressione della dittatura attraverso la via pacifica, noi comunisti vogliamo evitare nuove sofferenze al popolo, nuove tragedie al paese170
Il PCE segnalava di conseguenza il movimento studentesco e l'opposizione liberale e cattolica come nuovi punti di riferimento ineludibili nell'elaborazione di una strategia di lotta comune contro Franco. In parte si era già espresso in questo senso nel V Congresso: gli avvenimenti più recenti avevano però fatto sì che queste forze assumessero ora agli occhi dei comunisti una rilevanza assolutamente di primo piano, pari almeno a quella delle tradizionali organizzazioni di sinistra171
. Il partito si diceva inoltre convinto che questi gruppi avrebbero ben accolto la Política de Reconciliación Nacional perché:
Da parte di tutti in generale c'è un desiderio di riconciliazione, di cancellare la linea divisoria della guerra, di colmare questo fosso tra gli spagnoli. Questo è un sentimento generale. Quest'idea della riconciliazione nazionale credo che sia ampiamente diffusa, al lato dell'idea che non si ripeta la guerra civile. [...] Il fatto che il Partito ponga tale questione [...] accrescerà il nostro prestigio e la nostra autorità nel paese172
169 Intervento di Carrillo in Reunión del Buró Político del Partido Comunista de España, aprile 1956, cit., p. 21.
170 Declaración del Partido Comunista de España. Por la reconciliación nacional, por una solución democrática y pacífica al problema español, giugno 1956, cit., pp. 3, 28.
171 Si vedano gli interventi di Carrillo e Claudín in Reunión del Buró Político del Partido Comunista de España, aprile 1956, cit., pp. 21, 110 e seg.
Lo stesso PCE, in ogni caso, si rendeva conto che probabilmente la sua proposta avrebbe incontrato ostacoli nell'essere accolta dagli altri settori dell'opposizione, non tanto a causa dei suoi contenuti quanto per la sua provenienza, data la diffusa sfiducia nei confronti dei comunisti173
. Questi ultimi quindi, per scardinare tali diffidenze, formulando la Política de Reconciliación Nacional cercarono anche di rinnovare il proprio bagaglio teorico e di mettere da parte i toni più estremisti che avevano adottato fino a quel momento. Si presentarono perciò come una forza nazionale, e si dichiararono a favore del pluralismo e del sistema di democrazia parlamentare. Nella dichiarazione che inaugurava la nuova politica, ad esempio, si affermava:
Nessun Partito politico gode oggi dell'appoggio della maggioranza degli spagnoli. La vita impone una politica di coalizioni di forze politiche sulla base di programmi minimi comuni. La vita impone che si trovi un terreno nel quale tutti possiamo convivere, e dove ognuno possa propugnare liberamente le proprie idee e soluzioni. Questo terreno [...] non può essere altro che quello della democrazia parlamentare. Per raggiungere questo terreno occorre stabilire un'intesa tra tutte le forze in disaccordo con la dittatura franchista174
A proposito della fase di transizione dalla dittatura al futuro Stato democratico, il PCE sosteneva che, una volta che l'ampia coalizione antifranchista avesse abbattuto il regime, si sarebbe dovuto nominare un Governo provvisorio: questo, dopo aver abolito il sistema a partito unico e ristabilito le libertà democratiche, avrebbe proceduto alla convocazione di elezioni costituenti. I comunisti avevano adottato posizioni simili già nel V Congresso: con la Reconciliación Nacional, sostanzialmente, aumentavano la loro moderazione al fine di facilitare l'avvicinamento ai possibili alleati. Va letta in questo senso la loro disponibilità ad appoggiare persino un Governo provvisorio in cui non avessero avuto rappresentanti175
. Lo stesso dicasi per l'assenza, nella dichiarazione di giugno, di riferimenti non solo alla costruzione del comunismo, ma anche alla Repubblica. Questo silenzio rispondeva a una duplice esigenza: parlare della causa repubblicana significava inevitabilmente fare riferimento alla Guerra Civile, e ciò sarebbe stato palesemente in contrasto con la stessa proposta di riconciliazione e di superamento del passato; occorre inoltre considerare che tra le nuove forze che si
173 Nadal M., «Los problemas de la reconciliación nacional», Mundo Obrero, ottobre 1956.
174 Declaración del Partido Comunista de España. Por la reconciliación nacional, por una solución democrática y pacífica al problema español, giugno 1956, doc. cit., p. 28.
175 Intervento di Carrillo in Reunión del Buró Político del Partido Comunista de España, aprile 1956, cit., p. 29.
opponevano al franchismo c'erano anche quelle che erano a favore dell'istituzione di una Monarchia costituzionale, e quindi per il momento era meglio tacere su questo punto per mantenere aperte le porte a una eventuale collaborazione. La decisione sulla futura forma-Stato sarebbe stata presa dal popolo spagnolo mediante un apposito referendum.
Il PCE, in tal modo, mostrava una spiccata propensione al dialogo, e iniziava a costruire una nuova immagine di sé: quella di un attore politico ragionevole e responsabile. Sebbene questo nuovo corso non diede risultati immediatamente, dato che le condizioni non erano ancora mature affinché si costituisse un ampio blocco