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CAPITOLO 3. LA FORMAZIONE ESPERIENZIALE DAL CONCETTO DI FORMAZIONE ALLA CAPACITY BUILDING

3.3 I modelli teorici di riferimento

3.3.4 L’approccio delle Comunità di Pratica CoP

La comunità di pratica o communities of practice (la cui sigla è COP) è un’aggregazione informale di attori che, nell’organizzazione, si costituiscono spontaneamente attorno a pratiche di lavoro comuni nel cui ambito sviluppano solidarietà organizzativa sui problemi, condividendo scopi, saperi pratici e linguaggi e generando, per questa via, forme di “strutturazione” dotate di tratti culturali peculiari e distintivi.47

Si tratta di gruppi che:

- nascono attorno ad interessi condivisi (in genere problemi comuni da gestire e risolvere in condizioni di interdipendenza cooperativa);

- si alimentano di contributi e di impegni reciproci;

- durano fino a quando persistono gli interessi comuni e fino a quando l’energia che alimenta l’insieme riesce a riprodursi con regolarità;

- sono tenute in vita da un presupposto di fondo: la relativa libertà da vincoli organizzativi di tipo gerarchico.

La comunità di pratica si caratterizza, in primo luogo, per la realizzazione di un’intrapresa comune. Come membri di una comunità di pratica (cosa molto frequente nella nostra vita e nel nostro lavoro) noi dobbiamo far fronte a obiettivi comuni e dobbiamo negoziare continuamente al fine della loro realizzazione. In ogni comunità esiste, poi, un impegno reciproco: se sono membro di una comunità, condivido con i miei colleghi una certa identità attraverso il senso dell’azione comune. Nell’interpretazione

della realtà esterna con cui veniamo in contatto dobbiamo preoccuparci dei valori comuni e dell’aiutarci reciprocamente.48

Gli elementi essenziali di una comunità di pratica sono:

1) condivisione dell’esperienza (un compito complesso e le sue difficoltà);

2) prossimità comunicativa (che rende possibili relazioni sociali e scambi di esperienze); 3) spontaneità ed informalità delle relazioni (esse si sviluppano negli interstizi della vita organizzativa a prescindere dalle regole formali dell’organizzazione);

4) cooperazione (adattamento reciproco e sostegno reciproco davanti ai problemi da risolvere);

5) improvvisazione (davanti al problema che non si riesce a risolvere si procede per prova ed errore inventando alla fine la soluzione);

6) narrazione (il racconto di un’esperienza di successo non solo, attraverso l’ordine logico della sua ricostruzione, trova una formalizzazione ed una cristallizzazione utile per il futuro, ma riesce anche ad essere comprensibile agli altri colleghi. Diventa parte integrante della memoria collettiva del gruppo);

7) identità (nella misura in cui l’insieme si riconosce nel gruppo e vive come proprio il patrimonio delle conoscenze generate da tutti, il senso di appartenenza si rafforza, si infittisce la “produzione” di culture e linguaggi di gruppo).

Il costrutto di comunità di pratica è stato sviluppato all’inizio degli anni Novanta negli Stati Uniti a partire dal lavoro di ricerca di due antropologi dell’apprendimento: Jean Lave e Etienne Wenger49, nell’ambito di un filone di ricerca di matrice sociologica ed antropologica, che non si riconosceva più in una visione passiva e mentalistica del processo di apprendimento pensato come una semplice acquisizione meccanica di nozioni astratte e formali proposte dall’esterno.

Etienne Wenger, massima esperto internazionale sull'argomento, definisce le comunità di pratica utilizzando tre indicatori:

1. l'impegno in una qualsiasi attività; 2. la forte coesione sociale che le unisce; 3. la condivisione di una "cultura" specifica.

Il legame che si crea tra le persone che ne fanno parte è dovuto al fatto che tutti i partecipanti credono in quello che fanno: si impegnano in una attività collaborativa

48

Wenger E. (1998), Communities of Practice. Learning, Meaning and Identity, Oxford, Oxford University Press.

49

Lave J., Wenger E. (1990), Situated learning: legitimate peripheral partecipation, Cambridge, Cambridge University press.

perché li accomuna un interesse, un obiettivo o una necessità che deve essere affrontata. La passione che pongono in ciò che realizzano insieme non si esaurisce però nel raggiungimento di un obiettivo prestabilito. La vera motivazione per cui queste persone sono propense a collaborare tra loro è data dalla voglia di intraprendere un percorso di crescita comune.

Le comunità di pratica non sono quindi semplicemente un gruppo di persone che si scambiano informazioni durante una pausa: sono un gruppo di persone che hanno una storia in comune. Esse condividono una "cultura”, hanno un proprio linguaggio, un vocabolario e un modo di esprimersi che si crea con il passare del tempo. Il loro forte senso di coesione si sedimenta e rafforza grazie ad una stessa modalità di interpretazione degli eventi che si presentano.

Il fulcro principale su cui si sviluppa la comunità di pratica è l’apprendimento: riconosciuto come un processo di natura attiva, caratterizzato dalla partecipazione e dal coinvolgimento dell’individuo all’interno di un determinato contesto d’azione nel quale si trova ad operare.

Le comunità di pratica si basano sull'assunto che l'apprendimento è un processo intrinsecamente sociale e non esclusivamente individuale: ciascuno possiede un bagaglio di esperienze, più o meno consapevole, che può essere messo in condivisione via via che la collaborazione tra i membri procede. L'apprendimento è inoltre "situato" non rispetto ad uno spazio tempo, quanto in una "pratica", intesa come "prassi" lavorativa.50

Un aspetto essenziale dell’interesse per le comunità di pratica riguarda i fenomeni dell’apprendimento. Le comunità di pratica non esistono in natura, sono solo modelli di interpretazione di realtà sociali che possono contribuire a meglio comprendere e intervenire sulle realtà stesse. Ciò che vale veramente la pena di mettere a fuoco quando utilizziamo il costrutto “comunità di pratica” è che esso ci immette su fenomeni di apprendimento.

Apprendimento ovviamente da intendersi non in termini di apprendimento individuale o di semplice trasmissione di conoscenze, ma come apprendimento che fa tutt’uno con la pratica e con il tessuto di relazioni in cui la pratica è inserita generando opportunità di innovazione.

50

Lave J., Wenger E. (1990), Situated learning: legitimate peripheral partecipation, Cambridge,

L’apprendimento, dunque, da fatto esclusivamente individuale e mentale diviene un fenomeno sociale e collettivo, in cui le dinamiche cognitive sono inscindibili da quelle sociali. Questa nuova visione implica una forte correlazione tra apprendimento e identità: infatti, apprendere all’interno di una comunità significa imparare ad essere e ad agire come membro della comunità, anziché acquisire semplicemente un insieme sterile di nozioni ed informazioni. In tal modo, la dimensione sociale e quella culturale svolgono un ruolo centrale nella costruzione dell’identità e della competenza umana, costruendo un processo di apprendimento che trasforma la capacità dell’individuo di operare nel mondo, modificando contemporaneamente la sua identità e i suoi modelli comportamentali.

CAPITOLO 4. IL SISTEMA DI GESTIONE DEL SITO UNESCO "VENEZIA E LA SUA