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L’approccio giuridico

2. I beni comuni

2.4. I beni comuni in Italia

2.4.2. L’approccio giuridico

Un altro approccio tipicamente italiano nei confronti del tema dei beni comuni è quello che ho definito «giuridico» perché maggiormente interno all’ambito scientifico della giurisprudenza e pertanto teso a trovare soluzioni che si muovano al suo interno. Per descriverlo prenderò in analisi le posizioni di Stefano Rodotà – già parzialmente affrontate con l’analisi della proposta della commissione Rodotà – e di Luigi Ferrajoli.

In termini generali gli interessi comuni ai pensatori appartenenti a questo approccio e che muovono la loro riflessione sono quelli di garantire alla persone il godimento dei diritti fondamentali e, in quest’ottica, quindi individuare le modalità di uso e gestione dei beni che contribuiscono a garantirli. In comune con i «benecomunisti» mostrano un’avversione nei confronti della privatizzazione del mondo, sia per quanto riguarda i beni materiali e immateriali ritenuti fondamentali che per quanto riguarda le relazioni sociali. I termini di questa opposizione sono diversi perché laddove alcuni «benecomunisti» si spingevano a proporre una sostituzione dell’ordine di mercato con una gestione in comune, i rappresentanti dell’«approccio giuridico» si limitano ad affiancare al privato la strategia dei beni comuni, ambendo ad arginare l’invasione del mercato nei confronti di determinati beni e di certe relazioni. Citando Rodotà, come orizzonte a lungo termine i beni comuni si presentano

Come una decisiva opportunità per affrontare la questione essenziale di uno «human divide», di una disuguaglianza radicale che incide sulla stessa umanità delle persone, mettendo in discussione la dignità e la vita stessa.227

con uno sguardo di attenzione anche nei confronti delle future generazioni.

Le distanze di questo fronte nei confronti dei benecomunisti riguardano almeno altri tre punti e sono ben sintetizzate dalla posizione di Rodotà. Innanzitutto vi è un netto rifiuto di una qualsivoglia rivalutazione del passato o nostalgia di un medioevo idealizzato.

Questo è un punto da considerare con attenzione, non per liberarsi dal passato, ma perché talune ricostruzioni in materia di beni comuni portano con sé, espliciti o impliciti, chiari riferimenti alla premodernità, di cui talora si propone una rivalutazione.228

227 AA. VV. Oltre il pubblico e il privato. Per un diritto dei beni comuni, Ombre corte, Verona 2012, p. 332 228

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In secondo luogo l’orizzonte comunitario viene considerato inadeguato per interpretare teoricamente e gestire praticamente i beni comuni così come si sono configurati nell’attualità. Sempre citando Rodotà:

La parola «comune» può indurre un equivoco, che consiste nel ritenere che la dimensione loro propria sia quella comunitaria. […] Nella fase che stiamo vivendo, invece, un tratto caratteristico dei beni comuni consiste nel movimento ascensionale che li ha portati dalla periferia al centro del sistema, rendendo quasi sempre improponibili le suggestioni tratte da modelli del passato.229

Inoltre, i beni comuni così intesi sono una questione di carattere globale o comunque che trascende sicuramente il recinto della comunità e ciò implica quindi anche un rifiuto nei confronti di tutte quelle posizioni che propongono approcci gestionali troppo decentrati e locali.

Infine è ben sottolineata la necessità di un costante riferimento agli interessi concreti che i beni in questione dovrebbero soddisfare. Infatti,

Se si fa astrazione dai soggetti e dai bisogni ai quali i beni comuni sono collegati, si imbocca una strada pericolosamente vicina a quella che ha portato alla costruzione della natura come «soggetto morale», con i conseguenti interrogativi intorno a chi sia legittimato a parlare in suo nome e alle tentazioni autoritarie di chi ritiene la sua tutela sottratta a qualsiasi procedura democratica.230

Da questo passo emerge un’evidente insofferenza nei confronti di quelle posizioni che si appellano a entità astratte e di carattere olistico – l’ “intelletto generale”, la “pacha mama” – per fondare strategie di tutela nei confronti di determinati beni.

La posizione di Rodotà si muove all’interno del “costituzionalismo dei diritti fondamentali”231

e si propone di trovare un posizionamento giuridico alla categoria dei beni comuni. La definizione proposta dalla commissioni Rodotà è stata già affrontata in precedenza, quindi mi concentrerò solo su altri aspetti complementari del contributo del giurista italiano.

229 Ibid p. 327

230 Ibid p. 330

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Il presupposto di partenza è il riconoscimento delle sempre più numerose nuove dimensioni di grande rilevanza per la qualità della vita delle persone che rischiano di essere sottratte dall’accesso collettivo a causa degli interessi delle grandi corporations capaci di sfruttare le possibilità offerte dai recenti sviluppi tecno-scientifici. Solo per citare due esempi, la possibilità di un controllo del web che potrebbe rendere non più libera la circolazione delle informazioni e i brevetti sui farmaci che li renderebbero inaccessibili alla maggioranza degli esseri viventi. L’attenzione di Rodotà è sempre rivolta, non solo ai bisogni degli esseri viventi attuali, ma anche a quelli delle generazioni future e, seppur in maniera meno esplicita e dettagliata, anche della natura. In questa ottica, come nota Rodotà, il cortocircuito tra beni comuni e diritti acquisisce tutto un altro significato:

Non siamo, allora, di fronte ad una semplice associazione tra diritti fondamentali e beni comuni, bensì alla produzione di beni comuni attraverso i diritti fondamentali.232

I beni comuni si configurano, quindi, a partire dalla loro capacità di soddisfare i criteri propri dei diritti fondamentali e rispondono alla loro funzione sottraendosi alla dimensione del mercato e della proprietà per garantire i diritti stessi. L’obbiettivo è quello di garantire l’accesso a questi determinati beni al numero più ampio di persone in modo da espandere in modo sempre più crescente le garanzie offerte dai diritti fondamentali. Come suggerisce Vitale, il cambio di paradigma proposto da Rodotà rientra in quell’approccio definibile come “costituzionalismo dei bisogni”233

. Come già precedentemente accennato, questa prospettiva, avendo un orizzonte globale, si configura come uno strumento adatto a contribuire alla risoluzione dello «human divide» inteso in senso lato.

Anche questa proposta appare molto distante dagli schemi della Ostrom. Se infatti nell’autrice americana l’attenzione era rivolta alle caratteristiche del contesto e alla procedura per individuare forme di gestione diretta di beni condivisi da parte delle comunità, in Rodotà l’interesse è rivolto alle caratteristiche dei beni in questione, alla loro tutela giuridica e alla loro distribuzione collettiva. Al di là dell’evidente lontananza di taglio teorico, i beni comuni intesi da Rodotà sono beni completamente diversi dai commons della Ostrom e devono essere individuati dai regolatori pubblici che stabiliranno

232

AA. VV. Oltre il pubblico e il privato. Per un diritto dei beni comuni, Ombre corte, Verona 2012, p. 330

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Quali beni possono essere accessibili attraverso gli ordinari meccanismi di mercato e quali, invece, debbano essere sottratti a questa logica.234

Rodotà non aggiunge molto altro riguardo a questo ed è possibile ritenere che il faro che dovrà guidare questo lavoro di individuazione sarà quello della rispondenza dei beni in questione alle pretese avanzate dai diritti fondamentali.

Questa impostazione fa evidentemente venir meno l’anelito verso un modello di gestione diretta da parte delle comunità come quello proposto dalla Ostrom e il timore che le decisioni del pubblico possano essere influenzate da altri fattori si nasconde costantemente dietro l’angolo. Secondo Enrico Grazzini, Rodotà confonde

I beni comuni, come i pascoli e Internet, con i beni di merito, come il cibo e l’acqua, che hanno un particolare valore sociale e che giustamente devono diventare diritti universali235,

e suggerisce di attribuire alle comunità i diritti di proprietà dei commons e – seguendo la proposta di Peter Barnes – di “incoraggiare la costituzione di un Terzo Settore di enti economici, come le fondazioni e le cooperative, per salvaguardare lo sviluppo di beni come l’ambiente, la cultura, internet, l’informazione”236

.

Questa critica riporta l’attenzione sulla definizione dell’insieme dei beni comuni e su quali beni questo debba effettivamente comprendere. È già emerso a sufficienza che riguardo a tal questione il caos regna sovrano. Il tentativo di Rodotà è stato anche quello di offrire una definizione formale di beni comuni che fosse capace di emancipare la questione da questa tipologia di dibattito. Sembra più opportuno invece domandarsi perché Rodotà abbia voluto usare l’etichetta di beni comuni nonostante la sua proposta presenti una chiarezza e una coerenza concettuale e giuridica che altre proposte sui beni comuni non hanno e, per di più, queste siano esplicitamente condannate. Probabilmente sarebbe stato da un punto di vista strategico più efficace e meno ambiguo usare un’altra formula, quanto meno per non essere associato a posizioni dalla quali vuole dichiaratamente emanciparsi.

A questo proposito una proposta che sembra condividere prospettiva e strumenti con quella di Rodotà, ma che sceglie di non conformarsi al linguaggio dei beni comuni è quella

234 AA. VV. Oltre il pubblico e il privato. Per un diritto dei beni comuni, Ombre corte, Verona 2012, p. 331 235Enrico Grazzini Beni comuni e diritti di proprietà. Per una critica della concezione giuridica,

http://temi.repubblica.it/micromega-online/beni-comuni-e-diritti-di-proprieta-per-una-critica-della- concezione-giuridica/, p. 8

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di Luigi Ferrajoli. È interessante notare che, in questo caso, la dialettica è tutta interna al medesimo schieramento, quello che ho definito «giuridico».

L’allarme nei confronti della potenziale invasione del mercato in ambiti di interesse collettivo e l’impellenza di tutelarli sono elementi condivisi dai diversi autori che si sono occupati di beni comuni. Ferrajoli in Principia iuris237 avanza una proposta indirizzata a rispondere a queste esigenze cercando di ripristinare e di articolare lo spazio giuridico che dovrebbe spettare all’utilità pubblica. La sua strategia è quella di

Costruire un «costituzionalismo di diritto privato» che si aggiunga al costituzionalismo di diritto pubblico e sia inteso a limitare i poteri economici e in generale le «potestà private».238

Secondo Ferrajoli la categoria dei beni comuni allude a una quantità di domini empirici troppo diversi tra loro e così perde la possibilità di inserirsi nel linguaggio del diritto, non risulta chiara né tantomeno pragmaticamente efficace. Per individuare la categoria dei beni vitali propone l’istituzione di una macro-categoria, quella dei beni fondamentali. Questi posso essere individuati

Quale sotto-classe della classe dei beni, in aggiunta e in opposizione alla sotto-classe dei

beni patrimoniali; i primi definibili come i beni che formano oggetto di diritti fondamentali; i secondi come i beni che formano oggetto di diritti patrimoniali.239

I beni fondamentali, in quanto vitali, devono essere garantiti indifferentemente ed equamente a tutti e, quindi, sottratti alla sfera del mercato. Questi possono essere a loro volta suddivisi in tre sotto-categorie: i beni comuni – i beni naturali collettivi che devono essere liberamente usati –, i beni personalissimi – come il corpo umano, che rappresentano “i diritti fondamentali di immunità”240

– e i beni sociali – “oggetto dei diritti fondamentali sociali”241

come quello alla salute, alla sussistenza e all’informazione. Così facendo,

237 Luigi Ferrajoli Principia juris. Teoria del diritto e della democrazia, Laterza, Roma 2007 238

Ermanno Vitale Contro i beni comuni. Una critica illuminista, Laterza, Bari 2013, p. 98

239 AA. VV. Tempo di beni comuni. Studi multidisciplinari, Ediesse, Roma 2013 p. 141 240 Ibid p. 142

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La categoria dei beni fondamentali si configura come una categoria parallela e corrispondente a quella dei diritti fondamentali, che si oppone ai beni patrimoniali nello stesso modo in cui i diritti fondamentali si oppongono ai diritti patrimoniali.242

In questa opposizione si genera quello spazio giuridico teso a tutelare l’accesso collettivo a quei beni vitali e di utilità condivisa. Per rendere possibile tutto questo Ferrajoli invoca una nuova fase del costituzionalismo che sia capace di affrontare il capitalismo contemporaneo. Definire alcuni beni vitali come fondamentali significa rimuoverli da ogni tipo di gestione politica o di mercato e tutelare il loro accesso a tutti. Questo obbiettivo a sua volta potrà essere raggiunto attraverso il loro riconoscimento “come beni costituzionali, cioè previsti come fondamentali da costituzioni rigide”243

. Ferrajoli inserisce i beni fondamentali – categoria che comprende la sotto-categoria dei beni comuni – all’interno di una proposta strutturata che riguarda sia i diritti fondamentali che i conseguenti limiti costituzionali da porre ai diritti patrimoniali. In questo modo delimita nettamente l’insieme dei beni comuni, evitando il rischio di definizioni troppo formali ed esiti fumosi dovuti all’onnicomprensività della categoria, e, inserendoli all’interno dei sovra-insieme dei beni fondamentali, ne garantisce la loro tutela giuridica, garantendoli collettivamente. Quindi, mentre Rodotà assegna una nuova etichetta all’ormai precocemente logorata categoria dei beni comuni, Ferrajoli la delimita e la inserisce in una strategia legata al ripensamento del costituzionalismo contemporaneo. In particolare pone come necessario lavorare sul costituzionalismo del diritto privato in modo da stabilire i limiti del mercato: limiti interni – le garanzie del mercato – e limiti esterni – le garanzie dal mercato244. La sua proposta appare decisamente meno ambigua rispetto a quelle dei benecomunisti, ma anche, sebbene in misura minore, a quella di Rodotà e più solida e percorribile. Prima di passare oltre, resta da prendere in esame l’ultimo fronte dei beni comuni in Italia, quello dell’«etica della cura».