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Il surriscaldamento climatico

Come già brevemente accennato il “Riscaldamento globale”, in inglese “Global warming”, – più raramente, ma forse più correttamente chiamato anche “Surriscaldamento globale” – è uno degli aspetti più rilevanti all’interno del dramma ambientale. Si situa all’interno dei fenomeni di “Cambiamento climatico”, dall’inglese “Climate change”, anche se è venuto a caratterizzare così fortemente la nostra epoca che quest’ultimo è sovente usato in modo improprio come suo sinonimo. In questa sede useremo questi termini in modo indifferente.

Come ci suggerisce Anthony Giddens il riscaldamento globale si riferisce al fatto che

Le emissioni di gas serra prodotte dall’industria moderna stanno provocando il riscaldamento del clima terrestre, con conseguenze potenzialmente devastanti per il futuro.38

Il cosiddetto “Effetto serra” è quel fenomeno atmosferico e climatico che permette a un pianeta di trattenere nella propria atmosfera parte dell’energia emanata dalla propria stella madre. I gas serra – i principali sulla terra sono Vapore acqueo (H2O), anidride carbonica (CO2), protossido di azoto (N2O), metano (CH4) ed esafluoruro di zolfo (SF6) – sono appunto quelli responsabili di questo effetto perché riescono a trattenere buona parte della radiazione infrarossa emessa dalla terra. All’aumento della percentuale di questi gas

37 Jonas Hans Sull’orlo dell’abisso. Conversazioni sul rapporto tra uomo e natura (1993),

Einaudi, Torino 2000

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nell’atmosfera corrisponde un relativo aumento della radiazione trattenuta e quindi un conseguente aumento della temperatura. È proprio quello che sta accadendo attualmente a livello di cambiamento climatico.

I responsabili dell’emissioni di questi gas sono gli esseri umani con il loro apparato industriale di produzione e con il loro stile di vita quotidiano, infatti:

Dopo la prima Rivoluzione industriale e soprattutto nel ventesimo secolo, le attività industriali basate sul consumo di combustibili fossili hanno aumentato la concentrazione di gas serra nell’atmosfera: tra il 1970 e il 2005, le emissioni derivanti da attività umane sono aumentate del 70%.39

Di conseguenza,

La temperatura media mondiale è cresciuta di circa 0,8° dal 1901. La temperatura della terra non solo sta aumentando, ma lo fa a un ritmo sempre più incalzante. Dal 1880 al 1970, la temperatura media globale è aumentata di circa 0,03° ogni decennio. Nel periodo successivo al 1970, l’aumento è stato in media di 0,13° al decennio. […] dal 1950 ogni decennio è stato mediamente più caldo del precedente.40

Questi dati appaiono già di per sé allarmanti, ma se non riusciremo a ridurre il livello di emissioni prodotte dall’impresa umana la situazione non potrà che peggiorare esponenzialmente: nei prossimi anni l’innalzamento della temperatura medie potrebbe essere almeno di 0,2° gradi per decennio e raggiungere un aumento globale che potrebbe oscillare tra 1,8° e 4° alla fine del Ventunesimo secolo. Un tale surriscaldamento comporterebbe l’estinzione di molte specie animali e vegetali, un significativo innalzamento del livello dei mari, lo sconvolgimento dell’attuale assetto climatico e potrebbe giungere fino a compromettere le possibilità di esistenza dell’uomo sulla terra.

Questi dati sono scientificamente incontrovertibili ed evidenti; solo un gruppo di scettici non crede nell’origine umana del riscaldamento globale, probabilmente per difendere gli interessi di lobbies di industriali41.

Inoltre buona parte degli esseri umani, nonostante siano perfettamente consapevoli dell’esistenza del problema, non sembrano nemmeno pensare a cambiare condotta. Questo

39 Gianfranco Pellegrino Etica del cambiamento climatico in (a cura di) Piergiorgio Donatelli Manuale di

etica ambientale, Le Lettere, Firenze 2015, pp. 108-109

40 Anthony Giddens La politica del cambiamento climatico, Il sagiatore, Milano 2015, p. 20 41

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è anche dovuto a quello che lo stesso Gidden ha definito in modo abbastanza autoreferenziale il “Paradosso di Giddens”, secondo il quale

Non essendo i pericoli prodotti dal riscaldamento globale tangibili, immediati e visibili nel corso della vita quotidiana, molti se ne stanno con le mani in mano e non fanno niente di concreto per evitarli.42

Questo aspetto legato alla percezione del problema è sicuramente rilevante, ma non è l’unico che produce l’inazione individuale. Un altro aspetto, più legato alla sfera motivazionale, è quello per cui il singolo individuo è portato a reputare il cambiamento della propria condotta come ininfluente se paragonato all’incommensurabilità del problema. In ogni caso se continuiamo ad aspettare che la situazione si faccia più grave e pericolosa rispetto a quella attuale prima di agire seriamente, rischiamo che a quel punto sia davvero troppo tardi.

A livello di politica globale sono stati tanti i summit e i negoziati internazionali che si sono successi negli ultimi venticinque anni. Il più famoso tra questi e quello che regola tuttora l’ambito delle emissioni è il “Protocollo di Kyoto”, redatto nel dicembre del 1997 nella città giapponese. Questo imponeva ai paesi firmatari di ridurre le emissioni in media del 5,2 per cento rispetto al livello del 1990 entro il 2008/2012. Tra i paesi industrializzati, solo gli Stati Uniti d’America e l’Australia non sottoscrissero l’accordo. Molti dei paesi coinvolti hanno raggiunto l’obbiettivo e lo hanno anche superato, ma in questo risultato non possiamo non considerare anche l’influenza della recessione. Con l'accordo di Doha l'estensione del protocollo è stata prolungata dal 2012 al 2020, con ulteriori obiettivi di taglio delle emissioni serra. Il protocollo di Kyoto ha introdotto anche il cosiddetto “Mercato del carbonio” che permetteva ai paesi industrializzati di vendersi l’un l’altro “unità di riduzione delle emissioni”. Questo ha generato sicuramente tante transazioni, ma non sembra essere stato determinante nella riduzione del quantitativo delle emissioni. Sicuramente è un’ulteriore conferma di come il modello economico sia centrale e venga usato anche per affrontare problemi ambientali.

Indipendentemente da ogni valutazione dell’efficacia, il divario tra la lentezza dei negoziati e la velocità dell’instancabile procedere del riscaldamento climatico resta comunque eccessivo. È sempre più necessario giungere ad azioni concrete che comportino

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un cambiamento di rotta prima che il problema si aggravi a tal punto da rischiare di comportare l’estinzione del genere umano dalla faccia della terra.

Il fenomeno del riscaldamento climatico ha una rilevanza primaria all’interno del contesto ambientale nel quale ci troviamo. Questo per varie ragioni di ordine diverso tra loro, ognuna delle quali è capace di far emergere una caratteristica diversa del problema ambiente e, quindi, di renderlo maggiormente chiaro ai nostri occhi con la speranza che questo serva a farci cambiare condotta. Queste ragioni possono essere descritte a partire dalle tre dimensioni fondamentali del nostro orizzonte temporale.

In primo luogo, il processo di cambiamento climatico in atto rivela quali sono le sue cause in un passato che continua a rinnovarsi quotidianamente e quindi si trasforma in presente. Queste sono da individuare principalmente nelle fonti energetiche impiegate dall’impresa umana per produrre beni e per garantire il mantenimento dello standard di vita agli abitanti del cosiddetto “mondo sviluppato”. Il riscaldamento climatico si configura così come effetto ambientale sommatorio di tutte le singole azioni – dai piccoli atti quotidiani, come usare la macchina per andare a fare la spesa, ai grandi processi produttivi – compiute dal genere umano. In questo modo manifesta la dannosità degli effetti cumulativi dell’impresa umana a livello di impatto ambientale e impone di prenderli in considerazione nel loro insieme in un ottica olistica e ad ampio raggio spazio-temporale per trovare soluzioni al problema.

In secondo luogo, il riscaldamento globale ci rivela qualcosa sul nostro presente essendo letteralmente un termometro delle misere condizioni del nostro pianeta e, come se questo non bastasse, in terzo e ultimo luogo, i suoi effetti retroattivi sull’ambiente indicano quale scenario stiamo offrendo alle future generazioni umane e non umane. Uno studio appropriato di questo fenomeno dovrebbe portare quindi a conoscere quali sono i suoi effetti e le sue cause e quindi ad avere incontrovertibile consapevolezza della tassatività dell’imperativo di riduzione delle emissioni nocive.

Questo fenomeno è pertanto massimamente rilevante anche da un punto di vista etico e politico e, quindi, riveste un ruolo centrale all’interno di questo studio. Come almeno in parte è già emerso, il tema del cambiamento climatico coinvolge da una parte il ripensamento di categorie etiche tradizionali e la riflessione su quale possa essere la spinta motivazionale al comportamento etico dei singoli individui o di gruppi di individui e dall’altra la valutazione sull’efficacia delle misure politiche proposte dalle istituzioni nazionali e internazionali. Secondo questi aspetti le caratteristiche salienti del problema sono molteplici.

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In primo luogo, vi è un’evidente scarto di percezione tra le nostre piccole e apparentemente innocenti azioni quotidiane e l’incommensurabilità e dannosità del fenomeno globale. Come giustamente nota Gianfranco Pellegrino,

Le cause del cambiamento climatico sono azioni apparentemente innocenti, o addirittura encomiabili […]. Affermare che queste azioni in realtà sono immorali o dannose significa andare contro il senso comune e contro molte teorie filosofiche. Accettare l’idea che fare qualcosa per fermare il cambiamento climatico sia un dovere morale urgente ci costringerebbe ad ammettere che gran parte della nostra vita quotidiana sia profondamente immorale.43

Questa dovrebbe essere la conclusione alla quale giungere, quanto meno se la questione viene affrontata dal punto di vista di un’etica consequenzialista. Questa caratteristica ci riporta a quanto è stato già detto sulla dinamica cumulativa degli effetti dell’impresa umana. Ancora Pellegrino ricorda che

Nessun atto singolo sarebbe sufficiente da solo a creare gli effetti perniciosi del riscaldamento globale: certe condotte provocano il cambiamento di temperatura

cumulando i loro effetti.44

Questa peculiarità sicuramente porta indirettamente il singolo individuo a sentirsi anche inconsapevolmente deresponsabilizzato nei confronti degli effetti nocivi delle proprie azione e ad avere difficoltà nell’individuare spinte motivazionali adeguate al cambiamento della propria condotta.

In secondo luogo, gli effetti del riscaldamento globale sono a lungo termine e non vengono percepiti nel quotidiano e anche questa caratteristica contribuisce a far sì che il fenomeno non sia percepito in tutta la sua urgenza e, quindi, al processo di deresponsabilizzare e demotivazione del quale abbiamo appena parlato. Molto probabilmente saranno le generazioni future a subire le più gravose conseguenze. Una battuta attribuita a Groucho Marx che recita più o meno così "Perché dovrebbe importarmene delle generazioni future? Cos'hanno fatto per me?" aiuta a sottolineare il carattere supererogatorio e non reciproco che caratterizza un’eventuale azione degli abitanti del presente in favore di quelli dei posteri. Rinunciare a qualcosa del presente per il

43 Gianfranco Pellegrino Etica del cambiamento climatico in (a cura di) Piergiorgio Donatelli Manuale di

etica ambientale, Le Lettere, Firenze 2015, pp. 112

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bene del futuro richiede sicuramente una grande motivazione. Nei confronti dei danni ambientali a lungo termine il genere umano si trova così in una preoccupante situazione di stallo nella quale tanto più sono necessarie motivazione e responsabilità per mutare la nostra condotta a favore dei posteri, tanto più è difficile percepirle a causa della lontananza temporale degli effetti e della dinamica cumulativa delle nostre azioni. Gli effetti a lungo termine, inoltre, male si addicono, come è già stato sottolineato alla fine del precedente paragrafo, con i tempi troppo brevi dell’avvicendamento politico all’interno delle democrazie occidentali rese pertanto inadeguate a fronteggiare le tematiche legate alla tutela dell’ambiente.

In terzo luogo, è vero che il cambiamento climatico ha degli effetti globali, ma questi, almeno attualmente, non sono distribuiti equamente né da un punto di vista geografico né da un punto di vista sociale. Se il nostro comportamento non muta probabilmente lo saranno in futuro. Allo stato attuale del fenomeno, a livello territoriale sono soprattutto i paesi più bassi sul livello del mare, le piccole isole e le aree a rischio di desertificazione a subire le conseguenze più gravose. A livello sociale sono i più poveri – e, ingiustamente, spesso coloro che nel loro quotidiano producono meno emissioni dannose – a essere più danneggiati sia perché le zone precedentemente elencate sono spesso densamente popolate da persone povere sia perché gli “stati in via di sviluppo” e le persone non abbienti nei “paesi sviluppati” hanno maggiori difficoltà ad affrontare un eventuale aumento di temperatura rispetto ai propri pari più ricchi e, quindi, dotati di maggiori misure di sicurezza e comfort.

Come ricorda Furio Cerutti, il fenomeno del riscaldamento globale rimane invece strettamente globale almeno da tre aspetti:

- La dimensione sistemica, perché è comprensibile solo sulla base di processi fisici riguardanti l’intero pianeta;

- il nesso causale oltre che morale (responsabilità) che lega gli autori con le vittime […], per esempio chi vive in un edificio di Chicago o Berlino con l’aria condizionata e chi fugge dai villaggi costieri allagati del Bangladesh;

- il destino di agire in comune, una caratteristica essenziale delle sfide globali: il problema può essere affrontato solo agendo insieme in maniera cooperativa.45

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L’insieme di queste caratteristiche del fenomeno chiama in causa la necessità di trovare una soluzione politica sicuramente globale e intergovernativa, ma che sappia anche individuare inedite strategie di giustizia distributiva e compensativa.

In ultimo luogo, questo fenomeno non ha solo effetti geograficamente distribuiti in modo differente, ma anche cause che possono essere individuate soprattutto in determinate aree del mondo, soprattutto quelle dove risiedono le grandi potenze industriali. Come giustamente fa notare Pellegrino,

Il cambiamento climatico è sintomo di una distribuzione disuguale di una specifica risorsa comune limitata – la capacità del pianeta di assorbire le emissioni di gas serra. Nel loro sviluppo economico, le potenze industriali hanno utilizzato una porzione eccessiva della capacità del pianeta di riequilibrare la concentrazione di gas serra nell’atmosfera, violando l’eguale diritto di ogni nazione a promuovere il proprio sviluppo economico.46

Se consideriamo che un quantitativo minimo di emissioni sia necessario per raggiungere quello sviluppo che consenta a molte nazioni di uscire dalla povertà, la questione del riscaldamento globale pone sfide non solo relative alla giustizia globale distributiva e compensativa, ma anche al diritto allo sviluppo di nazioni povere. Questo diritto potrebbe prevedere un trattamento favorevole a livello di limite di emissioni dannose da concedere loro fino a un certo livello di sviluppo e in modo inversamente proporzionale, invece, uno maggiormente gravoso da riservare ai paesi già fortemente industrializzati che dovrebbero, tra l’altro, rivestire il ruolo di trascinatori in questa lotta.

Questa analisi conduce alla conclusione che il tipo di responsabilità che abbiamo nei confronti del riscaldamento globale ha delle caratteristiche del tutto peculiari ed inedite.

La nostra responsabilità per il cambiamento climatico è al tempo stesso non locale (si estende nello spazio e nel tempo ben al di là della portata e della vita stessa degli agenti), non causale (si è responsabili anche se le proprie azioni non sono, da sole, una causa necessaria e sufficiente dell’effetto considerato […]), contributiva [le proprie azioni che comportano emissioni dannose contribuiscono all’aumento della temperatura]. Infine la responsabilità per il cambiamento climatico è collettiva: nessuno può essere singolarmente responsabile di una così complessa catena causale.47

46 Gianfranco Pellegrino Etica del cambiamento climatico in (a cura di) Piergiorgio Donatelli Manuale di

etica ambientale, Le Lettere, Firenze 2015, p. 121

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Come è già ampiamente emerso, il tema del riscaldamento climatico rappresenta una sfida da porci per mantenere le condizioni ambientali tali da rendere possibile la vita sulla terra. Da un punto vista filosofico questa sfida risulta molto fertile perché per affrontarla in modo adeguato sembra richiedere un radicale ripensamento delle nostre categorie etiche e dei nostri strumenti politici tradizionali. Da un punto di vista etico, in particolare, è necessario compensare la mancanza di percezione della responsabilità e il deficit motivazionale individuale. A livello politico, invece, dobbiamo acquisire un approccio che sappia essere globale – sia nei termini di considerare il fenomeno nella sua globalità che in quelli di affrontarlo con una prospettiva geografica globale –, dotato di un sguardo rivolto al futuro e che intenda la comunità politica umana nel suo complesso. Il processo di surriscaldamento globale è una delle questioni che per queste ragioni Cerutti inserisce in quelle che definisce sfide globali48 per l’umanità proprio perché richiedono una strategia internazionale, collettiva e cooperativa. Questa condizione rende il caso di studio del cambiamento climatico un terreno molto fertile per pensare e saggiare l’efficacia motivazionale di proposte etiche e quella pratica di proposte politiche indirizzate più in generale alla tutela dell’ambiente e per questo è stato e verrà preso in considerazione all’interno di questo lavoro.

Alcune delle possibili soluzioni che sono state prospettate fino ad ora e dei passi da compiere a livello politico per ridimensionare la gravità del problema sono: coinvolgere attivamente i singoli stati e la comunità degli stati globale, imporre la tematica nelle agende politiche, stimolare conoscenza e formazione e , quindi, responsabilità e attitudine al cambiamento dei nostri comportamenti, istituire una cornice economica e fiscale adeguata che non si serva solo di tassazioni (es. carbon tax), ma anche di incentivi per i comportamenti virtuosi, far leva sul tema della sicurezza energetica e sviluppare e implementare maggiormente le fonti di energie rinnovabili49.

Proprio per le sue caratteristiche peculiari, più avanti ci sarà modo di accennare al riscaldamento globale per mettere alla prova diverse proposte di utilizzo del concetto di “beni comuni” per rispondere al problema ambientale.