• Non ci sono risultati.

«Bisogna ascoltare se si desidera essere ascoltati»: così afferma La Rochefoucauld (2001, p. 335) nell’opera Massime, che ci introduce all’arte dell’uso della parola. In effetti, non è possibile trattare il tema del dialogo, dell’importanza della parola negli scambi educativi, senza mettere al centro della riflessione la necessità di ascoltare, prima ancora di parlare e, dunque, l’importanza di insegnare o di educarsi per imparare ad ascoltare.

Dunque, bisogna ascoltare, se si vuole essere ascoltati e, continua l’autore (ibid.), «bisogna lasciare agli altri la libertà di farsi capire e perfino di dire delle cose inutili. Invece di contraddirli e di interromperli, come si fa spesso, si deve penetrare nella loro mentalità e nei loro gusti, far vedere che si capiscono, parlare di ciò che li riguarda, lodare le cose meritevoli di lode che dicono e far mostra di lodarli più per discernimento che per compiacenza» (ibid.). In queste poche righe si tratteggia proprio una disposizione all’ascolto dell’altro che passa, appunto, dal parlare con l’altro. Così, continua il testo citato, non si deve mai parlare con aria di importanza, né dobbiamo usare termini o parole più grandi di ciò che si sta affermando, non bisogna essere sempre al centro della conversazione e, dunque, bisogna fare-come-se non si guidasse la comunicazione, lasciando all’altro la libertà e lo spazio per esprimersi (ibid., p. 336), in realtà, per essere e per affermare il proprio sé più vero e più autentico.

La parola e l’ascolto non possono mai essere l’una senza l’altro. Non ci può essere parola senza un ascolto profondo e attento. Potremo affermare che proprio l’ascolto rende viva la parola e dà corpo alla possibilità del dialogo. Parola e ascolto sono legati da una trama inscindibile anche se il rumore quotidiano e elevato cancella questa indissolubilità e costituisce, oggi, la parola come atto individuale, solipsistico e vuoto. Se nessuno ascolta le parole, queste sono vuote e prive di senso. Infatti, l’orientamento di significato, che la direzione di senso costituisce per ogni affermazione e per ogni comunicazione, ha ragione di esistere solamente in funzione di un ascoltatore che accoglie la parola, la fa propria, per farla divenire conversazione personale. La fa transitare, la fa circolare, da discorso privato diviene discorso pubblico, di pubblico dominio, aperto al senso della condivisione. Proprio l’ascolto permette alla parola di essere il supporto della comunicazione più socievole, come Simmel attesta: la comunicazione che è conversazione. Infatti, Simmel (1997) afferma, solamente la conversazione trattiene lo spirito della socievolezza, della gratitudine, della discrezione. In una unica categoria, solamente la conversazione concede il rispetto del limite che sempre l’altro ci pone.

Comunicazione, conversazione, parola e ascolto sono inscindibilmente legati per costruire il senso della comunità che educa attraverso e con il linguaggio, la parola e il suo ascolto. Quando si educa all’ascolto non lo si fa mai come atto individuale. L’educazione all’ascolto non è solamente disposizione ad un comportamento personale, è sempre educazione alla comunità. Nella relazionalità circolare del dialogo,

dell’ascolto, del dare e del riprendere la parola si situa la costruzione di una comunità che, nell’uso, diviene esperta della comunicazione/conversazione e a queste si forma, ma anche tramite queste si tras-forma.

Rogers ha scritto pagine intense sull’ascolto profondo, detto anche ascolto attivo, che la vera e autentica comunicazione/conversazione deve mettere in atto. «Il primo semplice sentimento che vorrei parteciparvi è la gioia che provo quando posso realmente ascoltare qualcuno. […] Credo di sapere perché mi piaccia così tanto ascoltare qualcuno. È stato grazie all’ascolto delle persone che ho imparato tutto ciò che so circa gli individui, la personalità, le relazioni interpersonali. Vi è un’altra soddisfazione peculiare nell’ascoltare realmente qualcuno, poiché al di là del messaggio immediato della persona, indipendentemente da quale esso sia, c’è l’universale. Dietro tutte le comunicazioni personali che realmente ascolto sembrano esserci delle ordinate leggi psicologiche, aspetti dello stesso ordine che troviamo nell’universo come un tutto. Così, c’è al tempo stesso la soddisfazione di ascoltare questa persona e la soddisfazione di sentirsi in contatto con ciò che è universalmente vero» (Rogers, 1980, p. 13). Queste parole di Rogers ben illustrano il nesso fra la comunicazione/conversazione, l’ascolto, l’uso della parola come ponte verso l’altro. Attraverso l’ascolto e

insieme all’interlocutore si costruisce un orizzonte di senso comune che apre ad un respiro sociale e

comunitario, Rogers lo chiama “universale”, se l’ascolto che viene messo in atto è profondo, autentico, vero. «Quando dico che gioisco nell’ascoltare qualcuno, intendo naturalmente un ascolto profondo. Voglio dire che presto attenzione alle parole, ai gesti, ai pensieri, ai toni sentimentali, al significato personale e anche al significato che è sotteso all’intenzione cosciente di colui che parla» (ibid.).

Cosa vuol dire “ascoltare” profondamente? Significa comprendere il messaggio umano che soggiace alla comunicazione più superficiale. Ancora una volta, Rogers è estremamente esplicito affermando che ascoltare significa proprio essere disposti a cogliere il «profondo lamento umano che giace sconosciuto e sepolto molto al di sotto della superficie della persona» (ibid.). Bisogna imparare a percepire i suoni e i gesti che l’altra persona invia al proprio interlocutore, infatti, continua Rogers: «Può esservi in me una risonanza così profonda per ciò che [l’altro] dice al punto di intuire i significati che egli teme e tuttavia vorrebbe comunicare, come fa con quelli che conosce?» (ibid.).

L’ascolto autentico dispone doppiamente al cambiamento. Tale cambiamento riguarda il soggetto di ascolto, che si fa prodigo nel percepire, nel sentire, nel divenire essere risonante le emozioni dell’interlocutore, come anche i pensieri, i desideri e gli atti intenzionali in genere. Il cambiamento interessa, però, anche l’oggetto dell’ascolto, appunto l’interlocutore, che liberato dai lacci delle convenzioni emotive e morali si trova spiazzato dalla libertà di poter “essere” come non avrebbe mai pensato, in quanto l’ascolto autentico libera l’interiorità di ogni soggetto, permette di essere come non si sarebbe mai pensato, così tanto si è imprigionati nelle convenzioni sociali. Quando accade di ascoltare, si può accedere a una autenticità dell’essere e, dunque, anche dell’esistere.

Come si ascolta? Attraverso il messaggio-io, afferma Rogers, che al posto del messaggio-tu di cui sono densamente popolate le nostre conversazioni, dispone all’altro e ci permette di decentrarsi dal nostro punto di osservazione. Si ascolta anche attraverso la riformulazione del messaggio, che permette all’interlocutore di comprendere che siamo parte anche del suo universo linguistico. Infine, tecnicamente si ascolta facendo un buon uso della metacomunicazione che permette di comprendere le contraddizioni fra ciò che si afferma e il modo con cui lo si afferma6.

Non solo è necessario ascoltare, ma è altrettanto importante capire che bisogna essere ascoltati. In entrambe le direzioni l’ascolto deve essere autentico, sensibile e congruente: autentico perché vero, sensibile perché curato, congruente perché consapevole. L’autenticità è una qualità inafferrabile, complessa e altamente articolata. Per quanto il rimando iniziale sia a Heidegger (1927) che usa la nozione di autentico e inautentico in relazione alla cura e alla vita, è possibile affermare che un ascolto autentico è tale da essere un ascolto, genuino, sincero, spontaneo, non costruito e schietto, da una parte, leale, giusto, vero, dall’altra7. Un ascolto sensibile è un ascolto che si prende cura dell’interlocutore nel senso che sa orientarsi verso i taciti atteggiamenti, sa leggere oltre l’apparenza e sa essere responsabile di ciò che gli giunge dall’altro. Infine, un ascolto congruente è tale da essere pienamente consapevole dell’esperienza del momento (cfr. Rogers, 1980, p. 19), appunto dei dati emotivi, affettivi, cognitivi, percettivi e inconsci che dall’altro giungono attraverso la persona e i suoi atti. La congruenza è una consapevolezza del momento presente, è una pienezza di vissuto che rende la comunicazione/conversazione realmente empatica.

L’ascolto profondo, che qui viene chiamato autentico, risulta essere uno strumento e, contemporaneamente, una disposizione, in quanto agire una comunicazione secondo le indicazioni

6

Per le tecniche di comunicazione attraverso l’ascolto profondo cfr. Liss (2004).

7

Cfr. Mancuso (2009). Nel testo, l’autore esamina il concetto di autenticità a partire dalla riflessione heideggeriana, passando per Montaigne, Agostino e Bonhoeffer.

richiamate non rimanda solamente all’atto di una esecuzione secondo certe regole, ma è sempre manifestazione evidente di un comportamento, appunto di una comunicazione formativa.

Dunque, la formazione richiama la comunicazione e la comunicazione intenzionale è sempre densamente formativa per ogni soggetto che la agisce, ma in questa «eterna ghirlanda brillante» (Hofstadter, 1979) l’ascolto è perno centrale della relazione fra le persone, senza il quale la comunicazione non potrebbe essere data.