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Parlare di comunicazione in ambito pedagogico è tanto importante, quanto diffuso. Ormai, al pari di altri campi di indagine, in psicologia, in sociologia, in psicoanalisi, in ingegneria dei sistemi, in linguistica, solo per citare alcuni settori di ricerca che da varie prospettive si occupano di comunicazione, anche in ambito pedagogico, il tema della comunicazione/relazione è divenuto centrale per comprendere i più importanti passaggi educativi e formativi della nostra contemporaneità.

Se, da una parte, la comunicazione è una tematica dalle molte sfaccettature e interpretazioni, in toni certamente meno amplificati sentiamo parlare di comunicazione formativa. La dizione è stata coniata dalla riflessione congiunta che due studiosi, Franco Cambi e Luca Toschi, hanno svolto a partire da un volume che aveva come asse centrale di indagine la comunicazione e le sue strategie, i suoi modelli, le sue interpretazioni (Cambi - Toschi, 2006). Tuttavia, fin dalla fine degli anni Novanta del Novecento, in campo pedagogico si è andata sempre più espandendo una sensibilità raffinata e importante riguardo ai temi della relazione e della comunicazione educativa. In tal senso, per rimanere appunto dentro lo spazio della pedagogia italiana, alcuni autori si sono incaricati di arare gli studi sulla relazione/comunicazione e vale la pena ricordare un volume monografico della rivista Studium Educationis, curato da Mariagrazia Contini1, che è anche una delle pedagogiste che maggiormente hanno lavorato sul senso pedagogico della relazione educativa e della comunicazione2. Lo sforzo di riflessione ha coinvolto anche Rita Fadda (1990; 1997; 2002; 2007) e Leonardo Trisciuzzi (1999a; 1999b), come pure Carlo Fratini (2003; 2008)che in vari luoghi hanno sempre reso centralità piena allo strumento comunicazione per la costruzione di pratiche educative nei processi di insegnamento/apprendimento e non solo.

È necessario anche ricordare il lungo lavoro psicopedagogico che attorno alla comunicazione ha svolto Lucia Lumbelli (1974; 1987)3 fin dagli anni Settanta del Novecento. Certamente, è difficile essere esaustivi su un terreno di frontiera disciplinare quale è, appunto, quello della comunicazione/relazione.

Alla base del significato profondo che la comunicazione riveste per la crescita del bambino e per la strutturazione del soggetto/persona si situa il senso che la relazione ha per la vita umana. Siamo esseri relazionali, nasciamo in relazione con la madre e proprio la relazione materna influenza ogni passaggio della crescita umana. Il legame di attaccamento che si determina durante il primo anno di vita costituisce il modello per la relazione e i legami del futuro che ogni soggetto attiverà durante l’arco della propria esistenza. Il senso del legame, della relazione appunto, illumina e segna ogni passaggio della vita dell’uomo.

1 Cfr. Contini, M. (a cura di), Pedagogia della comunicazione, Studium Educationis, 4, 2000. Nel volume monografico si trovano

articoli di Piero Bertolini, Matilde Callari Galli, Franco Cambi, Andrea Canevaro, Mariagrazia Contini, Duccio Demetrio, Rita Fadda, Maurizio Fabbri, Franco Frabboni, Luciano Galliani, Antonio Genovese, Silvia Kanizsa, Diega Orlando Cian, Simonetta Ulivieri. Come si evidenzia dagli autori, sono presenti almeno tre importanti scuole pedagogiche italiane: quella bolognese, quella veneta e quella fiorentina. Tali scuole hanno lavorato sul fronte pedagogico per dissodare il terreno arduo degli studi sulla comunicazione nati in ambiti filosofici e sviluppati poi da settori della psicologia e della psichiatria.

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Il lavoro pedagogico di Mariagrazia Contini ruota intorno a due tematiche prevalenti: l’una riguarda il paradigma formativo delle emozioni e dei sentimenti e l’altra il paradigma che approfondisce, elabora, arricchisce il senso della comunicazione su ogni frontiera educativa. Cfr. Contini (1980; 1987; 1992; 2002).

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I lavori di Lucia Lumbelli rimangono fondamentali perché hanno introdotto in ambito pedagogico la figura di Carl Random Rogers che è uno dei più importanti studiosi di comunicazione del Novecento. A tal proposito cfr. Lumbelli, L., Introduzione all’edizione italiana, in Rogers, C. R. (1951), Terapia centrata sul cliente, La Nuova Italia, Firenze, 1997, pp. VII-XXXIII.

La comunicazione rappresenta la qualità della relazione, è la modalità attraverso cui ogni relazione viene espressa. Per questo c’è un rapporto denso e virtuoso fra la relazione, la comunicazione e la formazione. Ogni soggetto è la propria formazione, ma anche la propria comunicazione. Già Dewey, nell’incipit così densamente ricco di brillanti passaggi pedagogici del testo Democrazia e Educazione (Dewey, 1916), aveva affermato con forza questa circolarità, e aveva teorizzato che proprio a causa della comunicazione che si attiva fra gli uomini si ha la costruzione della comunità educante, ambiente di vita e veicolo di passaggio di ogni atto educativo e formativo.

La comunicazione formativa è un felice dispositivo linguistico che ci consegna, però, il paradigma stesso del nostro modo di essere-con-gli-altri. Infatti, gli altri, l’altro, il volto dell’altro, formano e danno forma alla costruzione dell’esistenza di ogni uomo. E, contemporaneamente, danno forma all’essenza stessa di ogni uomo. Come?

In primo luogo, la comunicazione, attraverso la parola, il legame, la relazione, dà forma ai soggetti che si trovano ad inter-agire in modo intenzionale, ma anche, talvolta, in modo fortuito o non pienamente consapevole. Proprio il rispecchiamento che ciascun essere umano mette in atto nei confronti dell’altro, del volto dell’altro4, ci mostra quanto la comunicazione dia forma alla reciprocità delle singole soggettività. Tuttavia, questo rispecchiamento relazionale, che innesca la comunicazione come forma, non attiene solamente alla dimensione dell’esteriorità fisica, bensì sostiene proprio il rapporto mentalizzante5 che fin dalla nascita ogni bambino, prima, e ogni adulto poi, costruiscono per rapportarsi all’altro, ma anche per comunicare con l’altro, per vivere con gli altri, per dare forma a sé attraverso e con gli altri.

Non solo la comunicazione forma il soggetto/persona, ma è la formazione che agisce attraverso e con la comunicazione. Sappiamo che l’educazione è una galassia di concetti che si dispiegano sincronicamente e diacronicamente nello sviluppo umano (cfr. Cambi, 2008). Il soggetto/uomo/persona nasce in un rapporto comunicativo, in una relazione con la madre che modella la mente del bambino, il suo modo di essere e di entrare nel mondo. La comunicazione materno-infantile forma entrambi i soggetti della relazione in modo ineguagliato da altre relazioni umane. L’azione biologica della relazione madre-bambino, in realtà, trattiene un elevato e denso tasso di formazione del sé, per ogni singolo soggetto, e del noi per la coppia che si è venuta a costituire. Come non affermare che, in tal caso, la comunicazione consegna la forma dell’essere attraverso la dimensione della crescita biologica?

Il secondo passaggio dell’educazione attraverso cui ogni essere umano entra a far parte della comunità/società nella quale si trova a nascere e a vivere è quello che riguarda l’inculturazione. Ogni bambino impara le regole dell’appartenenza attraverso la comunicazione culturale, appunto; è mediante e con la relazione/comunicazione educativa che in famiglia, prima, e a scuola, poi, il bambino apprende a stare nel proprio ambiente di crescita che avrà regole, stati di vita e modalità sociali propri e differenziati, a seconda della cultura di riferimento. In tal caso, la comunicazione modella, appunto forma, il bambino e la sua mente all’apprendimento della cultura di base a cui di fatto appartiene per nascita. In tal senso, un bambino apprende socialmente e culturalmente il modo delle relazioni attraverso cui il proprio ambiente si esprime. Non solo è determinante l’apprendimento linguistico come la psicologia dello sviluppo insegna, ma sono tanto importanti la “maniera”, i “modi”, ovvero gli “usi”, attraverso cui la parola comunicativa e relazionale viene esercitata dall’ambiente, costituito dai genitori, dai familiari, e poi, dagli educatori e dagli insegnanti.

Nel terzo passaggio, quello relativo all’educazione intesa come apprendimento, la comunicazione agisce come medium per la conoscenza dei saperi e delle discipline. In questa fase, la comunicazione modella il soggetto attraverso la conoscenza. Nel quarto passaggio che riguarda la declinazione dell’educazione come formazione, il soggetto/uomo agisce una comunicazione interiore e profonda con il proprio sé. La comunicazione è formativa in quanto modella e forgia attraverso l’educazione/formazione il soggetto che vive in una società di uguali/diversi nei quali si rispecchia e dai quali si differenzia. Le tappe, precedentemente scandite, sottolineano l’intenso legame fra il concetto di comunicazione e quello di formazione e tentano di interpretare la nozione di “comunicazione formativa” alla luce del concetto di educazione, da una parte, e di comunicazione, dall’altra (cfr. Cambi, 1999).

Oltre ai passaggi precedentemente delineati, la dizione comunicazione formativa coglie pienamente il significato della comunicazione che, come termine, deriva la propria origine etimologica da communis, comunità, ma anche da cum munus, la cui traduzione è appunto con dono. Ma il munus latino è un dono particolare. Differentemente dal donum, il munus è un dono che non chiede nulla in cambio. Colui che dona

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Da Lévinas a Ricoeur, da Winnicott a Bowlby, molti sono gli autori che spiegano e approfondiscono questi passaggi.

il munus non si aspetta nulla in contraccambio. Alla radice della comunità si situa la comunicazione che dona in modo disinteressato (cfr. Esposito, 1998).

Che cosa si dona? La parola, la presenza, l’ascolto. Il legame, la relazione sociale, la comunicazione sono atti/azioni che non chiedono il pegno, che non chiedono la restituzione. Così facendo attivano la circolarità donativa della comunicazione che dà forma ai soggetti interpretando il senso dell’umanità più prossima. La comunicazione più vera e profonda consegna all’uomo, al bambino, all’adolescente, al giovane adulto, all’anziano, nelle varie fasi della vita, il senso che siamo legati gli uni agli altri da un munus che è circolazione continua di una umanità.

Successivamente, le società alterano il senso del munus fino a farlo scomparire, fino a disperderlo nell’annullamento della comunicazione stessa. La storia ci insegna quanto l’uomo abbia lottato per abbattere il munus e per ripristinarlo in una alternanza di fragili equilibri. Attualmente, nelle condizioni di vita dell’uomo occidentale, il munus è solo nomadicamente riconoscibile in certe forme di solidarietà sociale, di responsabilità civile, di impegno etico. Compito della formazione è riattivare in una comunità educante proprio il senso profondo del munus, origine di una comunicazione che non solo lega ogni uomo all’altro uomo, ma si fa portatrice di valori, di cura, di beni civili, di diritti umani.

Allora, alcuni strumenti che primariamente possono ri-attivare una comunicazione formativa a tutti i livelli dell’esperienza sociale sono proprio ciò attraverso cui la comunicazione rimane viva: l’ascolto, la parola, il silenzio, il dialogo, l’incontro. Ma, oltre ognuno di questi strumenti, si situa una disposizione all’ascolto, al dialogo, alla conversazione, all’incontro che al di là di tutto è il modo in cui l’uomo può farsi davvero interprete della comunicazione di sé più profonda.