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L’assistenza all’esterno dei figli minori

L’art. 21 bis ord. pen., che prevede la misura dell’assistenza all’esterno dei figli minori, è stato introdotto nell’ordinamento penitenziario dalla già citata l. n. 40 del 2001, nonché riformata dalla l. n. 62 del 2011, due interventi legislativi che hanno in comune la finalità di tutela del rapporto tra genitori detenuti e figli minori. Il legislatore, con la misura in questione, aggiunge al novero delle misure a tutela della genitorialità, una previsione che consente di salvaguardare la funzione genitoriale nonostante il condannato sia detenuto o detenuta. Nella stessa relazione illustrativa al d.l. si dichiara che il fine della misura è quello di contemperare due esigenze, da un lato quella di general- prevenzione, attraverso la certezza dell’esecuzione penale, dall’altro la continuità del rapporto madre-figli, seppure con modalità ridotte rispetto alla detenzione domiciliare speciale, in quanto parte della giornata viene comunque trascorsa in carcere. Anche tale misura muove dalla consapevolezza di quanto sia

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fondamentale nell’età dello sviluppo del bambino la presenza della figura genitoriale e dunque la non interruzione della relazione.346 La misura in esame si innesta su quella del lavoro all’esterno, previsto dall’art. 21 ord. pen., dal momento che quest’ultimo ha una portata applicativa ampia. Infatti, benché l’attività principale e originaria per il cui svolgimento è concedibile la misura sia quella lavorativa, anche ulteriori attività sono state oggetto del suo utilizzo. Lo stesso art. 21 prevede al 4° c. la possibilità di concessione al fine di partecipare a corsi di formazione professionale che avvengano fuori dall’istituto, e l’estensione ulteriore è avvenuta anche ad opera della giurisprudenza, che l’ha concessa ad es. per consentire a condannati tossicodipendenti la partecipazione giornaliera ad attività finalizzate al recupero in istituto extrapenitenziario347, o per la frequentazione di istituti scolastici a minori348. Dunque, l’introduzione per via legislativa di una previsione che estende l’applicazione dell’istituto all’attività di cura ed assistenza del figlio minore appare coerente, considerando che nella relazione al d.d.l. a questa viene attribuito un ruolo nel processo di risocializzazione pari all’attività lavorativa 349.

Il collegamento con l’istituto del lavoro all’esterno emerge nel rinvio che l’art. 21 bis c. 1 fa all’art 21, ai fini dell’individuazione dei presupposti di applicazione della misura, (“concedibile alle condizioni previste dall’art. 21”), oltre che dall’applicabilità delle

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MARCHETTI M.R., sub art. 21 bis, in DELLA CASA F.,GIOSTRA G,op. cit., p. 294.

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C. 28.10.1991, R. pen., 1992, p. 991.

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C. 30.3.1993, A. n. proc. pen.,1993, p. 788.

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Cfr. Relazione al d.d.l., di iniziativa del dep. Finocchiaro, in Atti Camera, XIII leg., stamp. n. 4426.

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disposizioni sul lavoro all’esterno in quanto compatibili (art. 21 bis c. 2).

Ai fini della concessione è necessario che sia prevista la possibilità di ammettere il soggetto al lavoro all’esterno nel suo programma di trattamento; in caso affermativo la direzione dell’istituto potrà disporre la misura (art. 48 c. 1 reg. esec.) e se il provvedimento che la dispone supera il vaglio del magistrato di sorveglianza, questa sarà eseguibile. In prima battuta, dunque, svolge un ruolo importante l’équipe interdisciplinare, che valutando la personalità del soggetto attraverso l’osservazione scientifica, ne individuerà i bisogni e predisporrà il programma di trattamento. Se questo prevede la possibilità di disporre la misura, il direttore formulerà la proposta motivata di concessione, una volta verificata la sussistenza dei requisiti formali e sostanziali di legge, e trasmetterà il provvedimento al magistrato di sorveglianza. Questi dovrà tenere conto degli elementi indicati dall’art. 48 c. 4 ai fini della decisione, e cioè del tipo di reato, della durata effettiva o prevista della misura privativa della libertà e della residua parte di essa, del pericolo di commissione di altri reati. Inoltre, si aggiungono i requisiti specifici richiesti dall’art. 21 bis, e cioè l’essere madre (condannata o internata) di un bambino di età inferiore ai dieci anni, o padre detenuto di un bambino di età inferiore ai dieci anni, se la madre è deceduta o impossibilitata e non ci sono altri a cui affidarlo.

Anche questa misura, come la detenzione domiciliare ordinaria e speciale già esaminate, assegnano al padre un ruolo residuale, addirittura subordinandolo ad altre persone nell’affidamento.

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Giustamente la norma dà priorità alla madre non preferendole altri soggetti nell’affidamento, e non convince l’idea che ciò avvenga per il padre, se lo scopo è tutelare il figlio350.

Dato positivo nel senso di tutelare il minore sta nel fatto che la norma non richieda che i genitori siano uniti da matrimonio351. Il provvedimento con cui il magistrato concede la misura dovrà contenere una serie di elementi specifici, tra cui: le generalità del figlio e le sue specifiche esigenze, l’indicazione del luogo in cui egli vive e in cui dovrà recarsi il genitore per assisterlo, gli orari in cui il genitore potrà permanere all’esterno del carcere e quelli di rientro, le eventuali operazioni di controllo della polizia, dell’ufficio di esecuzione penale esterna e dei servizi sociali territoriali352.

L’art. 21 non prevede come condizioni per la concessione della misura l’aver espiato un quantum minimo di pena, tranne che (1° c. art. 21 bis) per chi sia stato condannato alla pena della reclusione per un delitto indicato all’art. 4 bis c. 1, 1 ter e 1 quater ord. pen. In questi casi, il condannato deve aver espiato almeno un terzo della pena e comunque non oltre i cinque anni, o se si tratta di ergastolano, almeno dieci anni. Si rileva che ponendo tali condizioni la norma finisca per essere scarsamente applicabile a vantaggio della detenzione domiciliare speciale, che ad essa si sovrappone, col risultato di essere preferibile perché più favorevole per il soggetto condannato, laddove ne soddisfi i

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MARCHETTI M.R., sub art 21 bis, in op. cit., p. 295.

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MASTROPASQUA G., op. cit., p. 75.

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presupposti353. Inoltre, se la ratio è tutelare la relazione genitore- figlio, la norma tradisce sé stessa, interrompendo la funzione genitoriale con la pretesa che il soggetto abbia scontato un minimo di pena in carcere.

Una seconda ipotesi in cui si potrebbe pensare ad una difficoltà applicativa dell’istituto riguarda i soggetti sottoposti al regime di sorveglianza particolare ex art. 14 bis ord. pen., considerando la pericolosità di tali soggetti. Tuttavia è solo l’art. 20 ord. pen., che disciplina il lavoro all’interno del carcere, a prevedere l’esclusione per questa categoria di detenuti, e non le norme sul lavoro all’esterno e sull’assistenza all’esterno dei figli minori. Infatti se i sottoposti al regime particolare sono considerati pericolosi per la loro condotta all’interno del carcere e nelle relazioni con gli altri detenuti e il regime è volto a limitarne i contatti nell’ambiente penitenziario, problemi di applicazione non vi sarebbero rispetto al lavoro e all’assistenza all’esterno, che avendo luogo fuori dall’istituto penitenziario, escluderebbe tali contatti354

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Una condizione ostativa alla concessione della misura sarebbe poi la decadenza del padre o della madre dalla responsabilità genitoriale sul figlio, ai sensi dell’art. 330 c.c., per espressa previsione dell’art. 6, l. n. 40 del 2001, che dispone altresì che nel caso in cui la decadenza intervenga quando sia già stata concessa la misura, questa venga revocata immediatamente. Il successivo art. 7 l. n. 40 del 2011 tuttavia prevede che la concessione del beneficio determini la sospensione delle pene accessorie della

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MARCHETTI M.R., sub art 21 bis, in op. cit., p. 295.

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decadenza dalla responsabilità genitoriale ovvero della sospensione dall’esercizio della stessa, per la durata dell’applicazione, con dubbi di coordinamento gli artt. 6 e 7. La dottrina, nel caso della misura in questione, tende ad interpretare le due norme nel senso di ritenere che la pena accessoria non operi quando il genitore non abbia commesso un reato contro in figlio, e al contrario operi se egli abbia commesso un reato a danno di questi, perché sarebbe paradossale in tal caso concedergli una misura gli che permetta di frequentare il figlio nei cui confronti abbia commesso reato.

Per quanto riguarda le ipotesi di revoca della misura, si applica la disciplina dettata dall’art. 48 reg. esec. per il lavoro all’esterno, che pertanto avverrà se il condannato non rispetta le prescrizioni e gli orari di rientro indicati nel provvedimento che dispone la misura. La revoca diverrà esecutiva dopo che il magistrato di sorveglianza l’avrà approvata, mentre nel frattempo il direttore dell’istituto potrà sospendere la misura.

E’ interessante ricordare la previsione di cui all’art. 47 quinquies 8° c., che concede al condannato genitore che abbia usufruito della detenzione domiciliare speciale di richiedere al Tribunale di sorveglianza, al compimento del decimo età del figlio la proroga della misura, in alternativa alla quale l’organo potrà concedere l’istituto dell’ammissione all’assistenza all’esterno. Il Tribunale sceglierà discrezionalmente, anche tenendo conto della richiesta dell’interessato, qualora sussistano i presupposti per l’applicazione di entrambi gli istituti, e non essendo neppure preclusa l’applicazione di altre misure (ad es. l’affidamento in prova al

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servizio sociale). Non mancano le critiche della dottrina di fronte alla possibilità introdotta dal legislatore, in quanto in tal modo i presupposti di applicazione originari della misura verrebbero superati, anche in ipotesi fino alla maggiore età del figlio, con il rischio di strumentalizzazioni di tali istituti355.

5. Le visite al figlio minore infermo o al figlio affetto da