• Non ci sono risultati.

3. La detenzione domiciliare

3.2. La detenzione domiciliare speciale

La seconda forma di detenzione domiciliare che si prende in esame è quella prevista all’art. 47 quinquies ord. pen., introdotta dalla l. n. 40 del 2001. Tale misura può essere disposta in presenza dei seguenti requisiti:

1. non rientrare nei presupposti per l’applicazione della detenzione domiciliare ai sensi dell’art. 47 ter (in sostanza, dover scontare una pena superiore a quattro anni330);

2. prole di età inferiore ai dieci anni;

3. possibilità di ripristinare la convivenza con il figlio, grazie alla concessione della misura;

4. aver espiato almeno un terzo della pena, o in caso di ergastolo almeno quindici anni;

5. insussistenza di un pericolo concreto di commissione di altri reati;

6. non essere decaduti dalla responsabilità genitoriale ex art. 330 c.c.

La misura è prevista per le madri e per i padri che soddisfino gli stessi presupposti quando la madre sia deceduta o impossibilitata a occuparsi dei figli (manca in questo caso il termine

329

CANEPA M.,MERLO S., op. cit., p. 330-331.

330

151

“assolutamente”) e non vi siano altri soggetti a cui sia possibile affidare i figli (condizione ulteriore non richiesta nell’art. 47 ter c.1). Si rileva che la norma assegna al padre un ruolo davvero marginale con tale previsione, preferendogli nella cura del figlio, soggetti come persone fisiche o giuridiche estranee ai congiunti e conviventi, con dubbi sulla legittimità costituzionale della stessa331.

La norma avrebbe carattere residuale rispetto alla misura della detenzione domiciliare ordinaria di cui all’art. 47 ter c. 1 lett. a) e b), essendo applicabile quando la madre o il padre non possano beneficiarvi. In tal modo si è voluto ampliare la possibilità per i genitori condannati di non permanere in carcere, avendo figli in tenera età, con un opera di bilanciamento fra pretesa punitiva e special-preventiva e tutela dell’infanzia332.

Sottolineiamo che fra le altre differenze fra le due misure in esame, mentre la detenzione domiciliare ordinaria prevede un tetto massimo di pena da scontare, anche residuale, quella speciale non lo prevede, richiedendo però che si sia espiata già un minimo di pena sul totale inflitto. Un dato comune alle due ipotesi è la possibilità di concessione anche in assenza di matrimonio fra i due genitori333. Per quanto riguarda la possibilità di ottenere la detenzione domiciliare speciale in via provvisoria per effetto di provvedimento cautelare del magistrato di sorveglianza, tale

331

MASTROPASQUA G., op. cit., p. 101.

332

SCOMPARIN L.,op. cit., p. 299.

333

152

soluzione non sembrerebbe possibile stando al dato letterale della norma334.

Molto importante è la previsione di cui al c. 8 dell’art. 47 quinquies ord. pen., per cui il genitore che abbia già ottenuto la misura, può chiedere di ottenere la proroga della stessa, quando il figlio compia i dieci anni di età, al Tribunale di sorveglianza. In tal caso questo potrà disporla se sussistono nei confronti del soggetto i presupposti per l’applicazione della semilibertà ex art. 50 c. 2-3- 5. In alternativa il Tribunale potrà disporre la concessione del beneficio dell'ammissione all'assistenza all'esterno dei figli minori, previsto dall'articolo 21 bis ord. pen., tenuto conto del comportamento dell'interessato nel corso della misura, desunto dalle relazioni redatte dal servizio sociale, ai sensi del comma 5, nonché della durata della misura e dell'entità della pena residua. Come accennato nel par. precedente, l’ambito di applicazione della detenzione domiciliare speciale (e ordinaria nelle ipotesi delle lett. a) e b), art. 47 ter) è stato esteso dalla sent. 239/2014 C. Cost. nei confronti dei condannati per i reati di cui al 4 bis 1 c. Si ricorda infatti che rispetto a tali soggetti opera il generale divieto di concessione di misure alternative (tranne la liberazione anticipata), salvo che essi collaborino con la giustizia a norma dell’art. 58 ter ord. pen., ovvero che tale collaborazione sia impossibile, inesigibile, irrilevante. La citata sent. produce l’effetto di eliminare dal novero delle misure alternative precluse in assenza di collaborazione, la detenzione domiciliare. La sent. si origina da un’ordinanza del Magistrato di sorveglianza di Firenze

334

153

del 31.01.2013, con cui questi solleva la questione di costituzionalità, in riferimento agli artt. 3, 29, 30, 31 Cost., dell’art. 4 bis c. 1 nella parte in cui include nel divieto di concessione dei benefici penitenziari, per i detenuti e gli internati che abbiano commesso gravi reati e non collaborino con la giustizia, anche la detenzione domiciliare speciale. La Corte, nell’accogliere l’istanza, afferma che la detenzione domiciliare si caratterizza per l’avere, oltre alla pur presente finalità di reinserimento sociale del condannato, che condivide con le altre misure alternative, quella di protezione di un soggetto distinto, il minore in tenera età, e del suo interesse ad un “rapporto il più possibile normale” con la madre o, in alternativa, il padre335. Pertanto, assoggettare la detenzione domiciliare speciale allo stesso regime delle altre misure, significa accomunare fattispecie molto diverse, violando il principio di ragionevolezza di cui all’art. 3 Cost. Si trascurerebbe la “diversità ontologica” esistente tra le misure alternative che hanno come fine la risocializzazione e la detenzione domiciliare speciale che mira invece soprattutto a proteggere il minore, il cui interesse, definito, “superiore” sarebbe in tal modo sovrastato dalla pretesa punitiva statale, addossando ingiustamente sul minore le conseguenze delle scelte criminose del genitore ed il rifiuto o l’impossibilità di collaborazione336

. La Corte aggiunge che il divieto in questione, la cui ratio è l’incentivo alla collaborazione come strategia di contrasto alla criminalità organizzata, se trova giusta applicazione rispetto alle misure costruite solo in chiave di progresso trattamentale del

335

Cfr. Corte Cost. 2014, n. 239, in Giur. cost., 2014, p. 3923.

336

154

condannato, non sembra corretto nei confronti della detenzione domiciliare che è finalizzata a tutelare l’interesse di un soggetto diverso quale il minore; e ancora afferma che la subordinazione dell’accesso alle misure alternative ad un presupposto legale di ravvedimento, quale la collaborazione, può giustificarsi nel caso di misure con l’unico scopo della risocializzazione del condannato, ma non nei confronti di una che ha come oggetto un interesse esterno337. La norma inoltre violerebbe gli artt. 29, 30 e 31 Cost., non tutelando la famiglia, impedendo ai genitori di esercitare il diritto-dovere all’educazione dei figli ed il diritto di questi a essere educati, e non proteggendo l’infanzia.338

La Corte, peraltro, sottolinea che “nemmeno l’interesse del minore a fruire in modo continuativo dell’affetto e delle cure materne, malgrado il suo elevato rango, forma oggetto di protezione assoluta, tale da sottrarlo ad ogni possibile bilanciamento con esigenze contrapposte, pure di rilevo costituzionale, quali quelle di difesa sociale, sottese alla necessaria esecuzione della pena inflitta al genitore in seguito alla commissione di un reato”. Infatti, proprio un’esigenza di bilanciamento fra i suddetti interessi, sta alla base del requisito di accesso alla detenzione domiciliare speciale costituito dall’assenza di pericolo di commissione di altri reati. Tale requisito di pericolosità sociale va però verificato caso per caso dal giudice e non fatto discendere dall’indice presuntivo della mancata collaborazione, come l’art. 4 bis c. 1 prevedeva. Ecco il nodo centrale della decisione della Corte: mentre per la generalità dei condannati, è il giudice a verificare la presenza o l’assenza

337

Corte Cost. 2014, n. 239, in Giur. cost., 2014, p. 3923.

338

155

della pericolosità sociale, per i condannati per i reati di cui al 4 bis c. 1 si presume in modo assoluto che in difetto di collaborazione con la giustizia vi sia pericolosità sociale. La Corte dunque critica, come già più volte, il ricorso ad un meccanismo presuntivo che solleva il giudice da una valutazione concreta, e in questo senso la sentenza segna un passo di rilievo nel percorso di distacco dalle preclusioni fondate su “automatismi presuntivi”, presunzioni irragionevoli se non basate su solidi dati statistici o come in questo caso, non adeguatamente bilanciate rispetto a interessi superiori alle istanze di difesa sociale339.

La Corte inoltre dichiara illegittimo l’art. 4 bis c. 1 anche in relazione alla detenzione domiciliare ordinaria nelle ipotesi di cui alle lett. a) e b), ferma restando la condizione di insussistenza del pericolo di commissione di altri reati. I giudici riconoscono infatti che, avendo le due misure identiche finalità, sarebbe irragionevole che la detenzione ex art. 47 ter lett. a) e b) avesse una diversa regolamentazione. In particolare si rileva che tale estensione fosse indispensabile al fine di evitare “l’instaurazione di un irragionevole divario trattamentale in peius nei confronti dei condannati a pene inferiori”340.

A tal proposito viene rilevato come la Corte avrebbe potuto spingersi fino ad estendere la declaratoria di illegittimità anche nei confronti dell’art. 21 bis ord. pen. che prevede la misura

339

Così SIRACUSANO F., Detenzione domiciliare e tutela della maternità e dell’infanzia:

primi passi verso l’erosione degli automatismi preclusivi penitenziari, in Giur. Cost., 2014,

p. 3940, secondo cui tale intervento può essere significativo nella direzione di un “auspicabile revisione del regime di preclusioni legali all’accesso alle misure extracarcerarie, fondate su tipizzazioni che «non appaiono consone ai principi di proporzione e individualizzazione della pena caratterizzanti il trattamento penitenziario» (C. Cost., 306/’93)”.

340

156

dell’assistenza all’esterno dei figli minori, ed è richiamata espressamente dall’art. 47 quinquies c. 8 lett b) come alternativa possibile alla proroga della detenzione domiciliare speciale richiesta dall’interessato, avendo chiaramente le stesse finalità e inserendosi nel processo di graduale ampliamento di istituti a tutela del mantenimento del rapporto tra genitori condannati e figli minori341.

3.3. Contenuto, procedimento di concessione e revoca della