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Le visite al figlio minore infermo o al figlio affetto da

L’art. 21 ter ord. pen., introdotto nell’ordinamento con la l. n. 62 del 2011 e modificato con la l. n. 47 del 2015, si pone nel novero delle misure volte a dare sostegno al figlio minore di madre (o padre) detenuta, nello specifico aspetto della tutela della salute356. La norma infatti permette la vicinanza materiale del genitore al figlio minore ovvero al figlio affetto da handicap grave a prescindere dall’età, in situazioni in cui sia in gravi condizioni di salute, manifestando una finalità chiaramente umanitaria. Ciò sta anche alla base del fatto che la norma in esame abbia avuto immediata efficacia in seguito alla sua promulgazione, a differenza di altre norme contenute nella stessa l. n. 62 del 2011, per le quali si rimandò l’entrata in vigore a partire dal 1.1.2014 o subordinandole all’attuazione del “piano carceri”.

L’art. 21 ter ord. pen. va analizzato nelle due diverse ipotesi previste, rispettivamente al 1° c. ed al 2° c. Per completezza occorre tuttavia precisare che entrambe le previsioni che saranno

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CANEVELLI, Dir. pen e proc., 2001, p. 813.

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CESARIS L., sub art. 21 ter, in DELLA CASA F., GIOSTRA G.(a cura di), Ordinamento Penitenziario Commentato,2015,p. 297.

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illustrate si applicano non solo al figlio ma anche al coniuge o convivente affetto da handicap grave ai sensi dell’art. 3 c. 3 l. n. 104 del 1992.

Il 1° c. consente alla madre o (in alternativa) al padre condannati, internati o imputati, nel caso di imminente pericolo di vita o di gravi condizioni di salute del figlio minore anche non convivente, o nel caso di figlio affetto da handicap in situazione di gravità357, di fargli visita. E’ importante sottolineare che la norma, a conferma del carattere umanitario della misura, non pone limiti di età per il figlio, salvo il fatto che sia minorenne, e nemmeno questo requisito nel caso di figlio affetto da handicap, inoltre non rileva che il figlio sia convivente. Non si pongono limitazioni neppure dal lato del genitore, né per la madre né per il padre, per il quale in genere si subordinano questi benefici alla morte o impossibilità della madre.

Dall’espressione utilizzata dalla norma (“sono autorizzati”) si sarebbe propensi a ritenere che l’organo competente a disporre il permesso non potrebbe rifiutarlo, configurando la norma un vero e proprio diritto, qualora vengano esaudite tutte le condizioni richieste (rapporto di parentela, minore età del figlio e gravi condizioni di salute, o condizione di handicap in situazione di gravità)358. Competente a disporre la misura è il magistrato di sorveglianza, con provvedimento, o in caso di “assoluta urgenza” il direttore dell’istituto, senza necessità di successiva convalida da parte del primo, sembrerebbe. La competenza spetta al magistrato

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Ai sensi dell’art. 3 c. 3 l. n. 104 del 1992, accertata ai sensi dell’art. 4 della stessa legge.

358

FIORENTIN F., Esecuzione penale e misure alternative alla detenzione, Milano, 2013, p. 336.

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di sorveglianza anche nell’ipotesi degli imputati, per le esigenze di celerità che caratterizzano queste situazioni.

La norma nulla dispone in merito al procedimento di concessione del beneficio o sui tempi di concessione, né sulla durata del permesso e sulle eventuali prescrizioni che possono essere disposte. Solo nel caso in cui il figlio sia ricoverato in ospedale, si connettono le modalità della visita alla durata del ricovero e al decorso della patologia. Per espressa previsione della norma, nel provvedimento che concede l’autorizzazione alla visita, si dovranno indicare anche le cautele da prendere nei confronti dell’interessato (art. 21 ter c. 1), con richiamo alle “cautele previste nel reg. esec.”, senza specificare quali norme. L’accostamento, secondo alcuni, di tali permessi ex art. 21 ter ord. pen. con quelli ex art. 30 ord. pen. inducono a ritenere che il riferimento sia all’art. 64 reg. esec., che prevede per il caso in cui sia concesso il permesso di necessità, l’accompagnamento della scorta, in considerazione della personalità del soggetto e dell’indole del reato. Il magistrato godrà quindi di ampia discrezionalità nello stabilire la durata del permesso, l’eventuale presenza della scorta, il divieto di avere contatti con altre persone, ecc359.

La norma non prevede esplicitamente nemmeno un mezzo di impugnazione del provvedimento con cui il magistrato di sorveglianza decide, di cui peraltro non si esplicita la forma.

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L’accostamento con l’istituto dei permessi premio induce alcuni a mutuarne il procedimento360.

Si segnala da più parti, come accennato, la similitudine di tale nuovo istituto con quello già previsto dei permessi di necessità, ex art. 30 ord. pen, che permette l’uscita dal carcere in condizioni di “imminente pericolo di vita” di familiari361

. Entrambi sarebbero infatti, in fin dei conti, permessi che concedono di uscire dal carcere per scopi umanitari, e nel dettaglio per motivi di salute della persona cara al ristretto. La similitudine delle norme avrebbe potuto giustificare la collocazione delle visite ai minori di seguito a quella dei permessi di necessità, ma forse si è preferito accorparla alla norma sull’assistenza all’esterno dei figli minori (art. 21 bis), essendo, entrambe, norme che muovono dalla volontà di tutelare nello specifico il minore nel suo rapporto con il genitore condannato.

Soffermandoci ora sul 2° c. dell’art. 21 ter ord. pen., questo prevede la possibilità di assistenza al figlio durante visite specialistiche relative a gravi condizioni di salute, da parte di madre condannata, imputata o internata di un bambino di età inferiore ai dieci anni anche non convivente con lei, o madre di un figlio affetto da handicap in situazione di gravità, ovvero al padre, nelle stesse condizioni, qualora la madre sia deceduta o assolutamente impossibilitata. In questa seconda ipotesi ritornano le classiche condizioni limitative della detenzione domiciliare, rispetto all’età del figlio, e la funzione subordinata del padre.

360

CESARIS L., sub art. 21 ter, in op. cit.,p. 300

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Suscita perplessità tale limitazione rispetto a quella del 1° c., perché, si rileva, anche un figlio ultradecenne può avere bisogno dell’assistenza genitoriale durante le visite mediche. Peraltro si sottolinea che tale presenza sarebbe di supporto solo affettivo in tutte quelle ipotesi in cui il condannato decada dalla responsabilità genitoriale, mentre sarebbe l’altro genitore o il tutore a dover dare le autorizzazioni eventualmente necessarie. Pertanto la vicinanza sarebbe piuttosto su un piano emotivo, e lo scopo della norma quello di mantenere il rapporto genitore-figlio362.

Altra differenza rispetto all’ipotesi del 1° c. riguarda l’organo competente a emettere il provvedimento: mentre il 1° c. prevede in tutti i casi, una competenza unificata del magistrato di sorveglianza o in casi di urgenza del direttore, nel 2° c. si fa riferimento al “giudice competente”, in relazione dunque alla fase processuale dell’interessato. Mancando indicazioni specifiche, sembra doversi fare riferimento alla disciplina prevista per i permessi di necessità e per i ricoveri in luoghi esterni di cura, deducibile dal combinato disposto dell’art. 11 c. 2 ord. pen. e 240 disp. coord. c.p.p., così che per gli indagati è competente il gip fino all’esercizio dell’azione penale, poi il giudice competente fino alla pronuncia della sentenza di primo grado e poi il magistrato di sorveglianza. La diversità di organi competenti, fra 1° e 2° c., potrebbe forse giustificarsi con la maggiore urgenza che caratterizza la prima ipotesi, che dunque richiederebbe l’intervento del magistrato di sorveglianza, a cui si attribuisce tradizionalmente una maggiore celerità nelle decisioni rispetto al giudice

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procedente, anche se alla luce delle recenti modifiche legislative che hanno accresciuto le competenze del magistrato di sorveglianza, anch’egli appare sovraccaricato di istanze363.

La norma impone che il giudice debba emettere il provvedimento di concessione non oltre le ventiquattro ore precedenti alla visita. In tal caso sembrano non considerarsi quei casi in cui il giudice riceva l’istanza dall’interessato entro un termine inferiore, anche se c’è chi ritiene che la concessione possa ugualmente avvenire, purché sia ancora possibile effettuare la visita364. Inoltre, data la brevità del termine, difficilmente saranno possibili accertamenti sulla pericolosità del richiedente e sull’eventuale necessità di cautele, con la conseguenza secondo alcuni, che a meno che il soggetto non goda già di altri benefici dei quali possa si possano applicare le stesse misure di sicurezza, si prevederà la scorta e le altre cautele previste dal reg. esec.

Nessuna previsione normativa circa la possibilità di impugnare un eventuale provvedimento di diniego, ma c’è chi sostiene365

che sarebbe applicabile l’art. 30 bis ord. pen. sul reclamo in materia di permessi, per la menzionata analogia tra i due istituti nonché la rilevanza dell’interesse in gioco, la tutela del minore, anche se tale opinione non è unanime366. Se si ritiene impugnabile il provvedimento, il corollario è la motivazione come elemento necessario dello stesso, ai fini della conoscibilità delle ragioni alla base della decisione del giudice e poter opporvisi. La possibilità di

363

CESARIS L., sub art. 21 ter, in op. cit.,p. 300.

364

FIORENTIN F.,op. cit., p. 337.

365

CESARIS L., sub art. 21 ter, in op. cit.,p. 300.

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reclamo sarebbe inoltre concessa anche al p.m., in aggiunta all’interessato.

Come emerge dall’esame dell’art. 21 ter, la nuova norma lascia molte questioni in sospeso, con la conseguenza di dover ricostruire la disciplina in modo interpretativo. Tale situazione è stata causata dalla rapidità con cui si volle giungere all’emanazione della legge, che ha lasciato irrisolte questioni delicate, rispetto alle quali anche nella fase dei lavori preparatori si sottolineava l’opportunità di approfondire367

.

6. Altre misure a sostegno della genitorialità

Per completezza è opportuno segnalare altre previsioni contenute nella l. n. 354 del 1975, che si inseriscono nel quadro di tutela e sostegno alla detenuta incinta e madre nonché all’infanzia.

Innanzitutto, l’art. 11 ord. pen., che detta disposizioni generali sulla presenza del servizio sanitario in carcere, all’8° c. prevede che in ogni istituto penitenziario per donne sia in funzione uno specifico servizio di assistenza sanitaria alle detenute gestanti e puerpere. In aggiunta, l’art. 19 c. 1 reg. esec., prevede, sempre per tale tipologia di condannate, l’assistenza di specialisti in ostetricia e ginecologia, incaricati o professionisti esterni.

Oltre a ciò, l’art. 11 c. 9 consente alle madri detenute, per evitare l’interruzione della funzione materna, di tenere il figlio con sé fino all’età di tre anni, predisponendo al fine della loro cura ed assistenza la realizzazione di asili nido e reparti ostetrici nelle

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sezioni o istituti dove questi si trovino, dove si assicura anche la presenza di pediatri (art. 19 c. 3 reg. esec.). Il reg. esec. prevede inoltre che i bambini che si trovino in istituto insieme alle madri vengano coinvolti in attività ricreative e formative secondo la loro età, interne all’istituto o esterne ad esso, anche in asili nido del territorio, previo consenso della madre e con l’ausilio dei servizi pubblici territoriali e del volontariato (art. 11 c. 6 reg. esec.). Si rileva peraltro che la possibilità per la madre di tenere con sé il bambino in carcere non sia del tutto positiva, da un lato perché non elimina ma semplicemente ritarda il momento della separazione con il figlio, con effetti forse peggiori rispetto ad un distacco immediatamente successivo al parto, inoltre provocherebbe danni allo sviluppo psico-fisico del bambino, sottoponendolo ad una deprivazione affettiva, sensoriale e sociale368. Inoltre, appare forse preferibile non stabilire un criterio rigido e standard legato all’età del figlio, ma preferire una valutazione individualizzata ad opera di esperti dell’età evolutiva, per individuare il momento più opportuno al distacco369.

Un’altra norma che manifesta un riguardo nei confronti del tema in esame, è l’art. 39 c. 3 ord. pen., che individua le sanzioni disciplinari. La norma, nel prevedere il novero delle sanzioni che possono essere comminate nei confronti dei detenuti che commettono infrazioni disciplinari, stabilisce che la sanzione dell’esclusione dalle attività in comune venga sospesa fino a sei mesi nei confronti di donne gestanti e puerpere e fino a un anno

368

MASTROPASQUA G., op. cit., p. 68.

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Sulla questione e in generale sul tema della presenza del bambino in carcere, v. MAROTTA

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nei confronti di madri che allattano. La sanzione prevede una situazione di isolamento ed esclusione dalle attività in comune con gli altri detenuti, presentandosi così non scarsamente afflittiva sul piano psicologico (pur consentendo i contatti con i familiari), ed infatti si prevede un costante controllo sanitario al fine di assicurarsi che il soggetto possa tollerare tale situazione370. In questo senso, ispirata ad una finalità umanitaria e di tutela della salute è la sospensione nei confronti di detenuti in condizioni di salute incompatibili, certificate dal sanitario (art. 80 c. 3 reg. esec.), e nei confronti delle detenute incinte e madri che allattano. La previsione mostra una particolare cautela nei confronti delle detenute che si trovino nelle condizioni descritte, manifestando consapevolezza della fragilità e delicatezza che le caratterizzano. Altra previsione che merita attenzione è quella di cui all’art. 50 c. 7 ord. pen. L’art. 50 disciplina la misura alternativa della semilibertà, e nel caso in cui destinataria di essa sia una detenuta madre di bambino di età inferiore ai tre anni, il 7° c. le attribuisce il “diritto di usufruire della casa per la semilibertà” di cui al vecchio art. 92 reg. esec. 1976, ora art. 101 c. 8 dell’attuale reg. esec. Quest’ultimo prevede che possono essere istituite delle sezioni autonome di istituti per la semilibertà in edifici, o parti di essi, di civile abitazione. Si tratta di una previsione che si limita a stabilire determinate modalità esecutive della misura alternativa, nel dettaglio il luogo (un’abitazione civile invece che l’istituto penitenziario), permettendo alla madre di assistere più facilmente il figlio, evitando i traumi psicologici connessi alla vita in carcere

370

COPPETTA M.G., sub art. 39, in DELLA CASA F.,GIOSTRA G.(a cura di),Ordinamento Penitenziario Commentato,2015.

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e favorendo la socializzazione del bambino (anche se si rileva come la magistratura di sorveglianza non dovrebbe mai rinunciare alla verifica nel caso concreto dell’idoneità della madre richiedente la semilibertà di prendersi cura del figlio)371. Occorre precisare che la detenuta non acquisisce nessun diritto alla concessione della semilibertà per il fatto di essere madre di un bambino di età inferiore ai tre anni, dovendo comunque soddisfare i criteri previsti dall’art. 50, ma ottenendo solo il diritto ad una particolare modalità esecutiva372. Si ritiene che la previsione includa i figli legittimi, legittimati, naturali, riconosciuti e non, e i figli adottivi, escludendo solo le situazioni di affidamento adottivo e preadottivo373, e non si richiede il requisito della convivenza fra madre e figlio. Tale requisito, richiesto ai fini della concessione della detenzione domiciliare ordinaria (art. 47 ter lett. a e b), segnerebbe la differenza fra i due istituti, nel senso che mentre quest’ultima sarebbe volta a evitare che la relazione madre-figlio debba avvenire in un contesto carcerario, la semilibertà svolta in abitazione civile avrebbe maggiore finalità rieducativa, anche se contestualmente si produrrebbe un effetto di sostegno alla prole374.

371

MASTROPASQUA G., op. cit., p. 91.

372

Così FASSONE-BASILE-TUCCILLO, CASAROLI, PALAZZO, in PRESUTTI A., sub art. 50, DELLA CASA F.,GIOSTRA G.(a cura di), Ordinamento Penitenziario Commentato,2015,p. 638.

373

Così PALAZZO F., La disciplina della semilibertà: evoluzione normativa ed ampiezza

funzionale di un “buon” istituto, in GREVI V., L’ordinamento penitenziario tra riforma ed

emergenze,1994, p. 422.

374

PRESUTTI A., sub art. 50, DELLA CASA F., GIOSTRA G. (a cura di), Ordinamento Penitenziario Commentato,2015,p. 638.

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Conclusioni

L’obiettivo dell’elaborato era quello di individuare il ruolo della famiglia nella detenzione e l’effettivo spazio che la legislazione italiana le riserva, attraverso l’analisi degli istituti giuridici a tal fine predisposti.

Dall’esame della normativa interna, condotta concentrandoci sugli strumenti più significativi nel mantenimento della relazione detenuto-familiari, con particolare attenzione al profilo della tutela della genitorialità e dell’infanzia, oltre che alla questione dell’effettività del diritto all’affettività-sessualità intramoenia, emerge la consapevolezza del legislatore in relazione all’importanza che riveste la famiglia per il soggetto privato della libertà personale. La cura di tale relazione, considerata centrale sia ai fini della riuscita dell’azione rieducativa, che imposta dalla connotazione umanitaria della pena che l’ordinamento accoglie, nonché dal dovere di sostegno dello Stato alla famiglia, viene attuata attraverso una rete di misure che vanno dai tradizionali istituti come i colloqui, i permessi, la corrispondenza, alle misure alternative che favoriscono la coltivazione dei rapporti familiari attraverso l’espiazione della pena fuori dal carcere.

Se l’attenzione alla sfera affettivo-relazionale di detenuti ed internati fu un elemento di innovazione e di rottura con il passato della riforma del 1975, si può affermare che questa tendenza, fortunatamente, non si è arrestata negli anni, arricchendosi il quadro normativo di ulteriori strumenti per effetto di interventi

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successivi. L’attenzione al tema non si è ancora sopita, come dimostrano ad es. gli interventi ad ampio raggio del 2001 e del 2011, che si sono mossi soprattutto nella volontà di tutelare l’infanzia, eliminando la c.d. “carcerazione dei figli minori”. Oltre a ciò, si segnalano le numerose proposte legislative che si stanno susseguendo da anni sul tema del diritto dei detenuti ai “colloqui intimi” con i loro partner all’interno del carcere, frutto di un dibatto che divide politica e società. All’interno della tendenza a valorizzare la sfera affettiva e i rapporti familiari, ha certamente giocato negli anni un ruolo importante la Corte Costituzionale, che con i suoi interventi ha rimosso situazioni normative di disparità e di ostacolo al godimento di alcuni istituti, con un’azione di promozione nell’ambito in esame.

All’esito dello studio condotto, possiamo affermare che lo stato attuale della legislazione penitenziaria in materia di rapporti familiari appare, nel complesso, abbastanza soddisfacente, soprattutto in relazione alla tutela della maternità e dell’infanzia. Numerose previsioni consentono inoltre al condannato di espiare la pena fuori dal carcere, in questo modo garantendogli un godimento maggiore del diritto all’affettività. L’aspetto che forse appare più carente e limitante, invece, riguarda coloro che non potendo avere accesso alle misure alternative e ai benefici penitenziari, sono costretti a scontare la pena in carcere. In tali situazioni gli strumenti previsti non appaiono sufficienti a tutelare in modo pieno la sfera affettiva dei detenuti, con evidenza nella disciplina dei colloqui. Forse lo sforzo del legislatore potrebbe concentrasi su quest’aspetto, prendendo spunto dalle esperienze di

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altri paesi nonché dalle indicazioni della giurisprudenza europea, per garantire, magari attraverso una migliore regolamentazione dei colloqui e l’eventuale apertura all’istituto dei “colloqui intimi”, un maggiore godimento del diritto alle relazioni affettive e familiari per chi si trova a scontare la pena in carcere.

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