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L’attualità del pericolo di reiterazione del reato

Capitolo 2: Le nuove esigenze cautelari

2. Il nuovo e controverso requisito dell’attualità del periculum

2.3. L’attualità del pericolo di reiterazione del reato

L’introduzione del nuovo requisito d’attualità del pericolo coinvolge anche l’esigenza cautelare di cui alla lettera c dell’art. 274, quell’esigenza che, in dottrina, viene spesso indicata avere funzione c.d. specialpreventiva: in pratica, la presenza di questo periculum comporterebbe l’adozione di una misura cautelare affinché l’imputato non sia nelle condizioni di delinquere ulteriormente, compiendo delitti della stessa specie di quello per cui si procede oppure altri delitti nei quali è insita, per il legislatore, una particolare efferatezza, dalla quale discenderebbe, quindi, una inequivocabile pericolosità sociale del soggetto in vinculis. Ora, prospettare una tale esigenza, a protezione, fondamentalmente, della collettività, potenzialmente esposta alla personalità proclive a delinquere dell’imputato, significa indubbiamente scontrarsi con l’inviolabile principio di presunzione d’innocenza: infatti, il giudizio prognostico che il giudice è tenuto a dare sull’imputato per poter applicare la misura cautelare è basato, da una parte, sui gravi indizi di colpevolezza raccolti dall’accusa; dall’altra, dalla presunta pericolosità sociale che il giudice stesso riesce a desumere (o forse, a presumere) da tutta una serie di elementi vari ed

44 F. MORELLI, L’allentamento delle presunzioni legali e giurisprudenziali, in Le misure cautelari personali nella strategia del “minimo sacrificio necessario”, a cura

eterogenei, che vanno dalla presenza, ma anche dall’assenza, di precedenti penali, alla modalità e alle circostanze del fatto per cui si procede, fino a prendere in considerazione la gravità del titolo di reato. Senza dilungarci su quest’ultimo specifico aspetto, che sarà oggetto di analisi in seguito, è opportuno notare come, stando così le cose, l’esigenza cautelare in esame rischia di trasformarsi in un passe- partout per l’erogazione di misure basate, più che altro, sugli indizi di colpevolezza raccolti, in un momento in cui la verità processuale è ben lontana dall’essere raggiunta e cristallizzata; il periculum finisce per essere ritenuto sussistente sulla base di un giudizio sulla persona dell’imputato sulla base delle presunzioni più svariate. Basti pensare che la presenza di precedenti penali è, tradizionalmente, uno dei segnali più forti dai quali desumere la pericolosità dell’imputato, intendendosi con tale termine non soltanto i precedenti risultanti dal certificato penale, ma anche i procedimenti pendenti a carico dell’imputato45; e tuttavia nemmeno l’incensuratezza esclude di per sé

il pericolo di recidiva, come ha cura di precisare la Suprema Corte, sostenendo che “gli elementi per una valutazione di pericolosità

possono trarsi anche solo da comportamenti o atti concreti – non necessariamente aventi natura processuale – in difetto di precedenti penali, poiché, diversamente opinando, l’incensurato che tenesse un comportamento processuale corretto si porrebbe automaticamente al di fuori di una diagnosi di pericolosità”46; in altre parole, quindi, se i precedenti penali rappresentano quasi sicuramente una strada spianata verso la restrizione della libertà, “la pregressa incensuratezza

dell’indagato ha valenza di mera presunzione relativa di minima pericolosità sociale, che ben può essere superata valorizzando l’intensità del pericolo di recidiva desumibile dalle accertate modalità

45Lo ha stabilito Cass. 12.11.2013, n. 7045. 46Cass. 25.09.2014, n. 5644.

della condotta in concreto tenuta”47. In sintesi, sembra che il

periculum libertatis relativo alla reiterazione del reato sia una sorta di

vaso di Pandora in cui far ricadere, nel dubbio, ogni persona sospettata di aver commesso un reato: e non è affatto un caso che tale esigenza di gran lunga superi le altre due in termini di frequenza applicativa. Il quadro prospettato, già abbastanza inquietante, risulta aggravato da un’ulteriore considerazione: e cioè il fatto che l’esigenza cautelare in esame, oltre ad avere funzione specialpreventiva, sempre più spesso di recente è andata ad assumere anche una sfumatura di prevenzione generale, nel senso che, a causa dell’interminabile lunghezza della macchina processuale, finisce anche per rispondere alle esigenze dissuasive, nei confronti della collettività, dalla commissione di reati, funzione che da sempre è esclusiva della pena. In questo modo, la presunzione d’innocenza finisce per essere inevitabilmente compromessa: un soggetto, sospettato di aver commesso un certo reato sulla base delle risultanze delle indagini accusatorie, spesso ancora non ultimate, viene per ciò solo posto in una condizione restrittiva della libertà personale, in quanto il giudizio di pericolosità, come esplicitato, tende ad appiattirsi sugli indizi di colpevolezza; e ciò allo scopo non soltanto di evitare che costui perseveri nel delinquere, ma anche per dissuadere la società intera dal commettere reati, e allo stesso tempo per rassicurarla.

La riforma, in questo frangente, ha il merito di correggere tali deviazioni rispetto alla funzione primaria delle misure cautelari, agganciando il requisito d’attualità a quello, già presente, della concretezza: in tal modo, “la misura cautelare non potrà più prevenire

una situazione pericolosa, ma si dovrà limitare ad intervenire in un frangente già pericoloso, per evitare e prevenire l’evento dannoso”48.

47Cass. 23.10.2012, n. 4820.

48 F. MORELLI, L’allentamento delle presunzioni legali e giurisprudenziali, in Le misure cautelari personali nella strategia del “minimo sacrificio necessario”, a cura

E ciò interviene a modificare una prassi giurisprudenziale radicata, allorché l’imputato, sospettato di aver commesso un certo reato anche in ragione di un certo impiego o di una certa qualifica, si dimetta ovvero non rivesta più tale qualifica all’interno dell’organigramma dell’azienda, e tuttavia venga raggiunto da una richiesta cautelare sulla base del pericolo di reiterazione del reato: ebbene, la giurisprudenza, prima della riforma, era spesso persuasa che tale pericolo potesse sussistere nonostante la dismissione dall’ufficio dell’imputato, ritenendola irrilevante e motivando l’applicazione delle misure sulla base del fatto che “la valutazione prognostica sfavorevole sul pericolo

di reiterazione di delitti della stessa specie di quelli per cui si procede non è impedita dal fatto che l’incolpato abbia dismesso l’ufficio o la funzione, nell’esercizio dei quali ha realizzato la condotta criminosa”49, ritenendo che l’imputato potesse comunque reiterare la sua condotta criminosa avvalendosi di ex sottoposti e collaboratori. Tale impostazione non può ora, dopo la riforma, trovare alcuno spazio: e ciò è testimoniato proprio dall’inversione di tendenza nell’orientamento della Corte di Cassazione, la quale, confrontandosi con un caso relativo all’impiego dell’imputato presso una nuova azienda, con mansioni diverse dalle precedenti, ha deciso di non poter ritenere, in quel caso, sussistente il pericolo di reiterazione del reato, essendo cessato il rapporto di lavoro dell’imputato con la prima azienda, per il solo fatto che la nuova attività lavorativa dell’imputato operasse in un settore merceologico affine a quello della precedente azienda (nel caso di specie, si trattava in entrambi i casi di aziende incaricate della gestione e dello smaltimento dei rifiuti)50.

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