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Le misure coercitive nell'ottica della presunzione di non colpevolezza

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Academic year: 2021

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UNIVERSITÀ DI PISA

Dipartimento di Giurisprudenza

Corso di Laurea Magistrale in Giurisprudenza

TESI DI LAUREA

Le misure di coercizione personale nell’ottica della presunzione di

non colpevolezza

(

chiaroscuri della riforma attuata dalla l. 47/2015)

Il candidato Il relatore

Elena Crispino Prof. Luca Bresciani

(2)

Indice

Introduzione...5

Capitolo 1: L’avvento di una nuova cultura garantista?...8

1. Custodia carceraria: maneggiare con cura...8

2. Il percorso in parlamento: un iter

travagliato…………...14

2.1. Gli inizi: la proposta di legge Ferranti………...14

2.2. Il primo passaggio alla Camera………...16

2.3. Il passaggio in Senato e il braccio di ferro tra le due

camere………....21

2.4. Ricapitolando………...25

Capitolo 2: Le nuove esigenze cautelari………..28

1. I problemi relativi alla valutazione delle esigenze

cautelari………...28

2. Il nuovo e controverso requisito dell’attualità del periculum....31

2.1. Il rapporto tra attualità e concretezza nella giurisprudenza

della Cassazione………...31

2.2. L’attualità del pericolo di fuga………...36

2.3. L’attualità del pericolo di reiterazione del reato……...40

2.4. Il paradosso del detenuto per altra causa………...44

3. L’irrilevanza del nomen iuris nella valutazione delle esigenze

cautelari………...46

3.1. Titolo di reato o

fatto-reato?...46

(3)

3.2. Un obiter dictum: il delitto di finanziamento illecito dei

partiti………...50

Capitolo 3: Le strategie di contenzione del periculum libertatis alternative alla

detenzione………...53

1. Il cumulo delle misure: la creazione di una cautela tailor

made………...54

1.1. Il superamento dell’orientamento formalistico della Corte di

Cassazione………...54

1.2. Il cumulo in fase statica………..58

1.3. …e in fase dinamica: cumulo in peius e cumulo in

melius………...61

2. Le nuove misure interdittive………...63

2.1. L’ampliamento dei termini di durata: un toccasana per il

minimo sacrificio

necessario………....……...63

2.2. Un caso particolare: la quaestio dell’interrogatorio

preventivo per le ipotesi di sospensione da pubblico

ufficio………...…………...66

3. Il braccialetto elettronico………...70

3.1. Un nuovo onere motivazionale………...70

Capitolo 4: Il minoico labirinto delle presunzioni d’adeguatezza della sola

custodia in carcere……….77

1. Le presunzioni assolute...80

1.1. Il delitto di associazione per delinquere di stampo

(4)

1.2. I delitti di associazione terroristica e associazione

sovversiva...89

2. Le presunzioni relative...91

2.1. La presunzione relativa per gli altri reati: l’alibi fornito dalla

Corte Costituzionale...91

3. I risvolti applicativi della disciplina speciale...96

3.1. Una probatio diabolica per l’imputato...96

Capitolo 5: Gli “obblighi di stare”: le ambiguità della nuova

disciplina………...103

1. Le conseguenze della violazione degli obblighi di stare sullo

status cautelare: a metà tra sicurezza e ritorsione...103

1.1. La deroga della deroga: uno sguardo sul parametro

legislativo della “lieve entità”...103

Conclusioni...114

Bibliografia...117

(5)

INTRODUZIONE

L'elaborato si propone di analizzare in maniera critica le novità normative introdotte dal legislatore nel sistema delle cautele personali con la legge 47 del 2015, raffrontando i nuovi meccanismi e le nuove regole valutative introdotte con il parametro costituzionale della presunzione d'innocenza. La riforma in esame, infatti, arriva dopo un periodo, quello degli ultimi vent’anni, caratterizzato da tendenze legislative di stampo securitario: l’obiettivo del legislatore, per molto tempo, è stato quello di ridurre il più possibile la discrezionalità giudiziale nell’applicazione delle misure coercitive, ai fini di rendere più semplice il ricorso alla più afflittiva di esse, la custodia cautelare in carcere, la cui finalità, irrimediabilmente, andava ad assorbire, almeno in parte, la finalità punitiva e repressiva che sarebbe, invece, propria della pena scaturita da una condanna definitiva, la quale presuppone, ovviamente, la certezza giuridica della responsabilità penale della persona in vinculis. Le ragioni di questo favor normativo per la custodia carceraria sono molteplici, e sono riscontrabili, soprattutto, da una parte, nella percepita eccessiva longevità della macchina processuale, la quale rimanda a un momento di molto successivo, rispetto alla raccolta della notitia criminis, la cristallizzazione dell’addebito in capo ad un soggetto colpevole; d’altra parte, è innegabile che molte delle scelte restrittive compiute dal legislatore negli anni recenti, a partire dall’introduzione degli automatismi cautelari nei confronti degli imputati per crimini di mafia fino alle presunzioni inserite dal “pacchetto sicurezza” nel 2009, fossero pensate, inizialmente, per reagire a emergenze contingenti reputate, nel particolare momento storico in cui furono introdotte, massimamente allarmanti, salvo poi andare a depositarsi definitivamente e senza alcun ripensamento nel codice di procedura penale, passando, grazie alla conversione dei decreti-legge da cui avevano origine, dall’essere

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provvedimenti eccezionali a normativa di riferimento, seppur derogatoria.

E’ questo il contesto da tener presente per comprendere la novità dirompente della riforma in esame: una riforma che, innanzitutto, restituisce la potestà legislativa in materia di coercizione cautelare al Parlamento, dopo anni di decretazioni d’urgenza basate sulle necessità del momento: tale ruolo centrale del Parlamento è metafora dell’importanza attribuita a questo testo normativo, che intende, finalmente, operare un tentativo di sistemazione razionale delle discipline alluvionali stratificatesi nel corso del tempo. Ma soprattutto, la legge 47 del 2015, come si vedrà nel corso di questo lavoro, rappresenta il primo ripensamento globale della politica processuale portata avanti sino a qui: per mezzo di questo testo, infatti, il legislatore intende recuperare le basi di quella cultura garantista che ha origine e fondamento all’interno della Costituzione, e che aveva trovato spazio all’interno del codice del 1988, per essere poi repentinamente accantonata; quella cultura che parte dalla presunzione di non colpevolezza, limite intrinseco del potere di coercizione cautelare, baluardo a difesa della libertà personale degli imputati, che troppo spesso hanno visto compresse le loro garanzie in nome di non meglio precisate esigenze di sicurezza collettiva; quella cultura basata sul principio del minor sacrificio necessario, che impone che la reazione cautelare ai pericoli posti dall’imputato sia sì efficace, ma anche minimamente lesiva dei diritti dell’imputato stesso, che per l’ordinamento non è considerato colpevole sino alla condanna

definitiva.

Fatte queste doverose premesse, dunque, il presente lavoro andrà ad analizzare le più rilevanti novità della suddetta legge, alla luce del dichiarato intento di ripristinare una cultura delle cautele penali

fondata sul pieno rispetto della presunzione di innocenza, così come

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cautelare in carcere, al fine di verificare se la riforma, sicuramente apprezzabile negli obiettivi, sia ugualmente apprezzabile nei risultati. Nel capitolo I, si presenta il problema dell'eccessivo ricorso alla coercizione processuale, con le sue conseguenze negative; in seguito, si ripercorre brevemente l'iter legislativo, mettendo in luce gli iniziali obiettivi della riforma e la loro progressiva erosione durante il percorso parlamentare.

Nel capitolo II, inizia la vera e propria analisi delle novità della riforma, concentrandosi primariamente sulle modifiche all'art. 274 c.p.p., norma chiave nell'apprezzamento dei pericula libertatis che giustificano l'intervento cautelare.

Nel capitolo III, si ha riguardo al tentativo, parzialmente riuscito, della legge 47/2015 di ampliare la rosa delle alternative alla detenzione cautelare a disposizione del giudice, al fine di rendere realmente effettivo il carattere di extrema ratio della custodia carceraria; si analizzano quindi brevemente la possibilità di cumulo delle misure, le rilevanti modifiche apportate alle misure interdittive e infine l'onere motivazionale rinforzato, per il giudice, qualora eroghi la custodia carceraria anziché prediligere la misura domestica con applicazione contestuale del controllo elettronico.

Nel capitolo IV, si esaminano le novità della riforma sull'art. 275, comma 3 c.p.p. e sulle presunzioni di adeguatezza ivi contenute, dall'erosione (e riconferma per alcuni reati gravi) della presunzione assoluta di adeguatezza della sola custodia carceraria, all'esame di quei reati che sono invece, ad oggi, colpiti da presunzione soltanto relativa; si analizzano criticamente, inoltre, le conseguenze applicative dei meccanismi presuntivi menzionati sull'iter cautelare.

Nel capitolo V, infine, si analizza l'alleggerimento delle presunzioni circa la violazione degli obblighi di stare da parte dell'imputato sottoposto alla misura domestica, cercando di comprenderne la portata più o meno innovativa.

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CAPITOLO 1: L’AVVENTO DI UNA NUOVA

CULTURA GARANTISTA?

1. Custodia carceraria: maneggiare con cura

Il settore del diritto processuale penale è da sempre campo eletto per lo scontro tra l’esigenza collettiva dell’effettività della giustizia penale, riconosciuta anche dalla Costituzione all’art. 13 (il quale legittima anche esplicitamente, al comma 5, l’uso della carcerazione preventiva) e la tutela dei diritti individuali: un equilibrio ragionevole tra queste diverse forze non è facile da trovare, come testimoniano i tentativi, anche risalenti, di trovare il giusto bilanciamento tra il suddetto art. 13 e l’art. 27, comma 2, che sancisce la presunzione di non colpevolezza. Già negli anni Settanta, la Corte Costituzionale statuiva con decisione: “in linea di principio, si deve riconoscere che la detenzione preventiva

- esplicitamente prevista dalla Costituzione (art. 13, ultimo comma) - va disciplinata in modo da non contrastare con una delle fondamentali garanzie della libertà del cittadino: la presunzione di non colpevolezza dell'imputato. Il rigoroso rispetto di tale garanzia - che vincola, per altro, non il solo legislatore, ma anche le pubbliche autorità (polizia giudiziaria, pubblico ministero e giudice), alle quali sono affidate le attività processuali - necessariamente comporta che la detenzione preventiva in nessun caso possa avere la funzione di anticipare la pena da infliggersi solo dopo l'accertamento della colpevolezza: essa, pertanto, può essere predisposta unicamente in vista della soddisfazione di esigenze di carattere cautelare o strettamente inerenti al processo” 1 , chiarendo, così, per la prima volta, il legame indissolubile tra le norme costituzionali succitate. Più di recente, ancora, la Consulta, nella sentenza 265/2010, andando ad erodere la portata dei meccanismi presuntivi presenti all’interno dell’art. 275, comma 3, ha avuto cura di precisare che “l’antinomia tra tale

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presunzione [di non colpevolezza] e l’espressa previsione, da parte della stessa Carta costituzionale, di una detenzione ante iudicium (art. 13, quinto comma) è, in effetti, solo apparente: giacché è proprio la prima a segnare, in negativo, i confini di ammissibilità della seconda. Affinché le restrizioni della libertà personale dell’indagato o imputato nel corso del procedimento siano compatibili con la presunzione di non colpevolezza è necessario che esse assumano connotazioni nitidamente differenziate da quelle della pena, irrogabile solo dopo l’accertamento definitivo della responsabilità: e ciò, ancorché si tratti di misure – nella loro specie più gravi – ad essa corrispondenti sul piano del contenuto afflittivo. Il principio enunciato dall’art. 27, secondo comma, Cost. rappresenta, in altre parole, uno sbarramento insuperabile ad ogni ipotesi di assimilazione della coercizione processuale penale alla coercizione propria del diritto penale sostanziale, malgrado gli elementi che le accomunano”2. Tanto l’art.

13 quanto l’art. 27, dunque, appaiono come punti di riferimento, per il legislatore e per il giudice, ai fini di creare e applicare una coercizione cautelare il più possibile efficace e, allo stesso tempo, rispettosa delle garanzie di libertà personale che la carta fondamentale fornisce: punti di riferimento, tuttavia, troppo spesso ignorati dalla legislazione più recente, che ha reso, in vari modi, più semplice il ricorso alla detenzione ante iudiciuum. Tale tendenza normativa, che trova il suo fondamento soprattutto nelle esigenze di rassicurazione della collettività, ha comportato l’allontanamento della disciplina delle misure cautelari personali dai capisaldi garantisti sanciti nella Costituzione, capisaldi che ora il legislatore, con la riforma in esame, sembra aver inteso recuperare: obiettivo dichiarato della legge 47 del 2015 è, infatti, quello di “ripristinare una cultura delle cautele penali

fondata sul pieno rispetto della presunzione di innocenza e sulla funzione strumentale del processo delle misure di contenimento

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anticipate”, all’insegna dei “principi di extrema ratio e di favor

libertatis”3. E’ chiaro che, a tal proposito, per quanto la prevenzione

dei delitti e il contenimento della pericolosità sociale di chi tali delitti compie siano sicuramente esigenze importanti alle quali l’ordinamento è chiamato a rispondere, il ricorso smodato e spasmodico alla custodia carceraria non può e non deve rappresentare l’unica risposta, pena le gravi conseguenze con le quali la società attuale è costretta a fare i conti; prima fra tutte, il problema del sovraffollamento carcerario, che continua a essere uno dei mali più endemici dell’attuale sistema processuale penale; non sembrerebbe ragionevole, tuttavia, pensare di poter affrontare e risolvere questo problema attraverso interventi occasionali, concepiti quali tamponi su una ferita devastante che è più profonda di quanto si possa percepire. Il sovraffollamento carcerario, lungi dall’essere un problema a sé stante, risulta essere, come già accennato, una delle più evidenti conseguenze della cultura giustizialista che ha permeato e permea la società moderna, legislatore compreso: in altre parole, bisogna trovare il coraggio di affrontare una volta per tutte la mentalità distorta secondo la quale chi è soltanto sospettato di un delitto deve essere necessariamente posto in carcere. Del resto, il codice di procedura penale offre tutta una serie di misure per poter fronteggiare il c.d. periculum libertatis: eppure queste misure sono percepite dai più come blande e inefficaci, laddove la sola misura efficace sembra essere, nel pensiero collettivo, la custodia cautelare in carcere. E tuttavia, se potrebbero farsi molte considerazioni su quanto lo strumento carcerario si sia rivelato sempre più come una risposta completamente inadeguata alla repressione e alla prevenzione dei reati, tanto più tali considerazioni valgono se si riflette sul fatto che la persona in vinculis, nella fase cautelare, è un soggetto sul quale è ancora “tutto da dimostrare”, una persona ancora coperta e tutelata da quel baluardo di civiltà rappresentato dall’art. 27, comma secondo:

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sottoporre l’imputato a restrizioni della libertà personale è già di per sé attività da porsi in essere soltanto qualora strettamente necessario, eppure ci troviamo di fronte ad un contesto politico, culturale e sociale per cui, paradossalmente, l’unico modo per placare la sete di sicurezza è l’applicazione spesso indiscriminata della custodia carceraria, con buona pace della presunzione d’innocenza. La dottrina giuridica e parte della giurisprudenza denunciano ormai da decenni questa situazione di costante sospetto, nella quale chi viene sospettato di un certo delitto finisce per essere travolto in una spirale securitaria fatta di segretezza e di presunzioni, senza che si sia messa la parola “fine” sulla sua vicenda giudiziaria, e a nulla sembrano servire i tentativi di mettere dei paletti per arginare questa deriva inquisitoria: basti pensare che solo pochi mesi fa, la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo è dovuta nuovamente intervenire per chiarire che “la persistenza di un

ragionevole sospetto che la persona arrestata abbia commesso un reato è condicio sine qua non per la legalità della detenzione continua, ma dopo che un certo tempo è trascorso essa non è più sufficiente. In tal caso, la Corte deve stabilire se gli altri motivi forniti dall’autorità giudiziaria continuano a giustificare la privazione della libertà. Qualora tali motivi fossero rilevanti e sufficienti, la Corte deve poi verificare se le competenti autorità nazionali abbiano dimostrato particolare diligenza nel condurre le indagini”4. Senza dilungarci ulteriormente, è appena il caso di ricordare quanto la detenzione preventiva irrazionale produca gravi conseguenze non soltanto sul sistema giudiziario e sul rispetto dei principi costituzionali, ma anche e soprattutto sui soggetti destinatari. In un recente studio a cura della Open Society Foundations, sono state rilevate moltissime conseguenze disfunzionali per l’individuo che hanno radice comune nella detenzione preventiva: “le persone detenute in attesa di processo”, si legge nel report, “non possono lavorare o guadagnarsi da vivere

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mentre sono recluse, e di frequente perdono il lavoro; se la detenzione si protrae a lungo, il loro potenziale di guadagno futuro è incerto”,

con l’ovvia specificazione che “per ogni persona detenuta in via

preventiva che perde il lavoro, c’è una famiglia che ne paga il prezzo”5 ; oltre alle conseguenze eminentemente pratiche, è da sottolineare che il semplice fatto di essere stati incarcerati può portare all’emarginazione degli ex imputati, anche qualora sia stata accertata la loro innocenza.

Le considerazioni fatte mettono in luce che una riforma di tali misure era da tempo percepita come necessaria dagli addetti ai lavori: ne è la prova il fatto che nel 2013 il Guardasigilli nominò una Commissione ministeriale di studio in materia di processo penale, anche chiamata Commissione Canzio (perché presieduta da Giovanni Canzio, all’epoca presidente della Corte d’Appello di Milano e oggi primo presidente della Corte di Cassazione), la quale si occupò di analizzare le maggiori criticità presentate dal corrente assetto processuale penale e stilò, a termine del suo lavoro, un insieme di proposte volte a riformare quelli che erano i profili più incerti della materia. D’altro canto, però, nello stesso periodo il legislatore cominciò a emanare una serie di interventi normativi settoriali, facendo soprattutto ricorso alla decretazione d’urgenza, incidenti proprio sulla materia della cautela preventiva e volti a ridurre, come richiesto dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo6, la popolazione carceraria troppo elevata: interventi

frammentari che certamente non potevano rappresentare una risposta a lungo termine ai rilevanti problemi sorti in materia cautelare. Proprio da questo contesto nasce la proposta di legge C. 631, anche nota come proposta Ferranti, dal nome della deputata proponente: tale disegno di legge, originariamente presentato nel 2012 e poi ripresentato, identico,

5The Socioeconomic Impact of Pretrial Detention. A Global Campaign for Pretrial Justice Report, Open Society Foundations & United Nations Development Program,

2011, pagg. 27-28.

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del 2013, recupera i rilievi mossi dalla Commissione Canzio, con l’obiettivo di raggiungere un assetto della legislazione processuale della custodia cautelare il più possibile attento alla salvaguardia e alla tutela della libertà personale e con l’auspicio di dare inizio, dunque, ad una nuova era garantista, accantonando definitivamente anni di legislazione ispirati unicamente alle logiche securitarie. Ed è proprio dalla proposta C. 631 che parte l’iter parlamentare che porterà alla promulgazione, il 16 aprile 2015, della legge 47, intitolata: “Modifiche

al codice di procedura penale in materia di misure cautelari personali. Modifiche alla legge 26 luglio 1975, n. 354, in materia di visita a persone affette da handicap in situazione di gravità”.

Il percorso parlamentare della legge 47 del 2015 è sintomatico e rivelatore di alcune caratteristiche chiave della riforma nel suo complesso. Innanzitutto, è peculiare e degno di nota il fatto che, in un periodo caratterizzato da legislazione d’urgenza o delegata, in questo caso (come succede da qualche anno a questa parte, in realtà, per l’intera materia penale e processuale) il parlamento abbia rivendicato con forza il suo ruolo primario di legislatore nazionale: ciò è un chiaro indice del fatto che la delicatezza della materia e dei beni giuridici in gioco impone un iter più ragionato, meditato e condiviso da parte dei rappresentanti del popolo, più che risposte frammentarie, contingenti e alluvionali. In questo particolare caso, poi, la discussione e il confronto nel merito della riforma sono stati arricchiti da una doppia navetta parlamentare tra le due camere, a causa delle divergenze, talora anche profonde, sulle modifiche di alcune disposizioni centrali in quest’ambito. Per capire e apprezzare il significato del rimpallo del disegno di legge tra Camera e Senato, ma soprattutto per cogliere appieno la portata più o meno innovativa di alcune delle modifiche introdotte dalla riforma, in una prospettiva che guarda a ciò che è e che sarebbe potuto essere, si impone una breve ma puntuale disamina sulle vicende principali dell’iter parlamentare.

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2. Il percorso in parlamento: un iter travagliato

2.1. Gli inizi: la proposta di legge Ferranti

Come già accennato in precedenza, il percorso che ha portato alla legge succitata ebbe inizio sin dall’estate del 2012, in cui fu avanzata una proposta di legge alla Camera dai deputati Ferranti ed altri; il testo venne ripresentato poi senza variazioni il 3 aprile del 2013 ed abbinato in seguito ad altri progetti aventi la stessa ratio ispiratrice di fondo, ovvero la modifica di alcune cruciali disposizioni del libro IV del codice di procedura penale al fine di ridurre il ricorso alla custodia carceraria. La proposta Ferranti, nella rielaborazione finale, mirava a un intervento il più possibile chirurgico e settoriale, e tuttavia significativo ed efficace: poche disposizioni coinvolte, ma le cui conseguenze sarebbero state rilevanti per teorici e pratici della custodia preventiva. Tra queste, spiccano senza dubbio, oltre all’estensione della durata delle misure interdittive (in modo tale da renderne l’applicazione omogenea a quella delle misure detentive e pertanto più facile il cumulo tra queste), la modifica dei criteri di valutazione delle esigenze cautelari (art. 274 c.p.p., lettere b e c) e dei criteri di scelta tra le diverse misure (art. 275 c.p.p., comma 3).

Per quanto riguarda l’art. 274, la proposta originaria procede in due direzioni: da un lato, uniforma i pericula di cui alle lettere b e c (rispettivamente: pericolo di fuga e pericolo di commissione di altri reati gravi o di reati della stessa specie di quello per cui si procede) al

periculum di inquinamento probatorio di cui alla lettera a,

introducendo anche per questi il criterio dell’attualità, da abbinarsi a quello della concretezza già stabilito; dall’altro, introduce un comma 1-bis in coda all’articolo in esame, prevedendo che “nei casi di cui alla

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può essere desunta esclusivamente dalla gravità del reato imputato. Nei casi di cui alla lettera c del medesimo comma, la sussistenza della situazione di pericolo non può essere desunta esclusivamente dalle

modalità del fatto per cui si procede e la personalità della persona

(sic!) sottoposta alle indagini o dell’imputato non può essere desunta unicamente dalle circostanze del fatto addebitato”. Il nuovo assetto

che la proposta aveva disegnato era stato avallato dalla Commissione ministeriale per la riforma del processo penale presieduta da Giovanni Canzio, e tuttavia non riuscì a diventare legge, a causa dello svuotamento della nuova disposizione dapprima alla Camera e poi, in misura più incisiva, al Senato.

Per quanto riguarda invece l’art. 275, è risaputo come questa sia una delle disposizioni più travagliate dell’intero codice di procedura penale, ed è su di essa, non a caso, che la proposta originaria si è più incisivamente concentrata; e sarà questo il territorio di scontro tra le istanze più progressiste e quelle più conservatrici, tra i parlamentari più garantisti e quelli più giustizialisti, in definitiva tra la Camera e il Senato. La proposta Ferranti incide profondamente sul comma 3 dell’art. 275, spazzando via il doppio binario delle presunzioni di adeguatezza della custodia carceraria (già inaugurato dalla Corte Costituzionale): è lasciato in vita soltanto il meccanismo presuntivo che riguarda i reati di associazione mafiosa, associazione terroristica e associazione sovversiva, il quale prevede una presunzione iuris tantum sull’esistenza delle esigenze cautelari e una presunzione iuris et de iure sull’adeguatezza della sola custodia cautelare in carcere per scongiurare le esigenze cautelari presenti. L’altro meccanismo prevedeva invece, proprio per effetto degli interventi demolitori della Corte Costituzionale, una doppia presunzione semplice, sia per la sussistenza delle esigenze cautelari sia per l’adeguatezza della sola custodia cautelare in carcere: e viene eliminato, nelle idee dei compilatori proponenti, non a causa di un giudizio blando sulla gravità

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dei reati che ne erano colpiti, ma nell’ottica di un rafforzamento della discrezionalità giudiziale, secondo il principio per cui ogni caso concreto può divergere da un altro, seppur simile, e ogni imputato può avere una storia processuale diversa; e allora perché porre un freno alla libertà (non all’arbitrio) decisionale del giudice, comprimendo nello stesso tempo la libertà personale di qualcuno che, ben lungi dall’essere condannato, è semplicemente sospettato di aver commesso un certo reato, per quanto grave, e può non presentare, in concreto, esigenze cautelari così gravi da richiedere necessariamente la misura più restrittiva possibile (con buona pace, tra l’altro, del principio del minimo sacrificio necessario, che dovrebbe essere imperante in materia)?

A queste domande, per molto tempo poste al legislatore dalla dottrina e a lungo rimaste inascoltate, la proposta Ferranti aveva, ragionevolmente, dato credito, rispondendo in modo certo non perfetto, certo non esente da critiche, ma andando finalmente nella giusta direzione. Ed è a questo punto che inizia la battaglia parlamentare, con i compromessi, le rinunce e i rinvii da una camera all’altra, con effetti notevolmente peggiorativi sui punti fermi che questo testo, nel suo piccolo, aveva raggiunto.

2.2. Il primo passaggio alla Camera

Con il primo passaggio alla Camera, il testo della proposta originaria inizia a cedere: subisce trasformazioni importanti che saranno poi rintracciabili nel testo definitivo della legge e alcune delle idee più innovative che avevano trovato spazio vengono ridimensionate ed edulcorate.

Seguendo l’ordine topografico del codice, la prima disposizione a essere rimaneggiata è l’art. 274: è confermata la scelta della proposta originaria di inserire, per i pericula di cui alle lettere b e c, il criterio

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dell’attualità; è abbandonata invece l’idea di inserire il comma 1-bis in calce alla disposizione in esame, preferendo un duplice innesto finale nelle medesime lettere b e c. Tale inciso rappresenta già un primo scricchiolio dei buoni propositi riferibili al testo originario, giacché in questa sede è previsto che le situazioni di concreto e attuale pericolo (di fuga o di commissione di altri reati) non avrebbero potuto essere “desunte esclusivamente dalla gravità del reato per cui si procede”. In realtà, il cambiamento è più stilistico e redazionale che effettivo e resta pur sempre in linea con la ratio, cara ai proponenti, di “evitare che la

sussistenza dei due rischi cautelari possa essere tratta dai (soli) elementi già posti a fondamento della prognosi ex art. 273”7: vale a dire dai soli elementi che determinano la sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza, i quali giustificano la reazione dell’ordinamento in via cautelare preventiva. Tuttavia, è un piccolo cedimento apri-pista a quello che sarà poi lo stravolgimento completo dell’anima dei nuovi criteri di valutazione voluti dalla proposta originaria.

Con riguardo poi al tanto dibattuto terzo comma dell’art. 275, nulla può superare l’ossessione del legislatore per i meccanismi presuntivi: se la proposta Ferranti aveva saggiamente deciso, se non di eliminarli del tutto, almeno di tenere in vita soltanto l’automatismo più rigido, ecco che la Camera di nuovo si fa tentare dalle lusinghe del giustizialismo e dall’ansia securitaria, reintroducendo il meccanismo della doppia presunzione semplice per una cospicua serie di delitti, oltre a ribadire con forza il regime più rigoroso per i delitti inizialmente considerati. Stando all’art. 6 del testo approvato in prima lettura alla Camera, sono colpiti infatti dal regime della doppia presunzione iuris tantum i delitti di cui all’art. 51 commi bis e 3-quater c.p.p., nonché i delitti di cui agli artt. 575, 600-bis comma 1, 600-ter escluso il quarto comma, 600-quinquies e, quando non

7 E. VALENTINI, Le premesse e i lavori preparatori, in AA.VV., La Riforma delle Misure Cautelari Personali, a cura di L. GIULIANI, G. Giappichelli editore, Torino, 2015.

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ricorrano le circostanze attenuanti contemplate, 609-bis, 609-quater e 609-octies c.p. Per la verità, si riscontra, nella discussione parlamentare nella Camera, la presenza di un orientamento ancora maggiormente restrittivo, che proponeva addirittura il recupero dell’intera disciplina introdotta dal “pacchetto sicurezza” nel 2009: e quindi il mantenimento del regime più rigido non soltanto per i reati di associazione mafiosa, associazione sovversiva e associazione terroristica, ma anche per tutta quella serie di reati sopraelencati, con un evidente ritorno ad un sistema disorganico, inquisitorio e oltretutto in palese contrasto con la giurisprudenza costituzionale, la quale aveva demolito il meccanismo presuntivo per reati che non presentassero le esigenze di recisione del legame criminale proprio dei tre reati per i quali l’automatismo rigido era stato mantenuto. Esemplare in tal senso è l’emendamento proposto dall’on. Molteni, il quale, nel riproporre il regime rigido anche per i reati a sfondo sessuale, ritiene necessario superare la stessa giurisprudenza della Corte Costituzionale: in particolare, secondo il deputato, sarebbe lo stesso testo della riforma a scontrarsi con le pronunce della Consulta, dal momento che sottopone al vincolo della presunzione rigida i reati ex artt. 270 e 270-bis in ragione della loro gravità, mentre la Corte Costituzionale espressamente giustifica tale regime in ragione del particolare vincolo associativo che lega l’imputato all’associazione criminosa ex art. 416-bis. Avendo quindi stravolto il criterio sulla base del quale sottoporre le fattispecie al meccanismo rigido, nulla osterebbe, secondo Molteni, all’inclusione in tale novero degli stessi reati a sfondo sessuale, che per gravità egli non considera inferiori a quelli colpiti dall’automatismo8.

Immediata la risposta di alcuni colleghi, propensi invece ad accettare il terzo comma dell’art. 275 c.p.p. nella formulazione meno rigida: in particolare è interessante l’intervento dell’on. Farina, il quale non ritiene che, nel compiere tali scelte di principio, si debba andare

8Atti Parlamentari, XVII legislatura, Camera dei Deputati, II Commissione, seduta

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unicamente alla ricerca del consenso popolare in un’ottica giustizialista, occorrendo invece contemperare tutte le diverse esigenze di rilevanza costituzionale che entrano in campo quando viene toccata la libertà personale dell'individuo 9. Al di là delle scaramucce parlamentari, è impossibile non notare quanto, rispetto alla proposta originaria, avallata anche dalla Commissione Canzio, ci sia stato un notevole passo indietro nel voler riconoscere e tutelare le garanzie dell’imputato in vinculis e in attesa di giudizio: l’auspicato smantellamento totale della doppia presunzione semplice si è subito arenato per far spazio ad un dibattito più o meno giustizialista. Basti pensare che lo stesso on. Farina aveva a sua volta presentato un emendamento nel quale il novero dei reati toccati dal meccanismo presuntivo rigido andava ad allargarsi sensibilmente, per effetto del voluto richiamo ai “delitti commessi avvalendosi delle condizioni previste dall’art. 416-bis ovvero al fine di agevolare l'attività prevista dallo stesso articolo”10. Inevitabilmente, dunque, finisce per emergere l’idea di fondo per cui “la difesa della società dovesse passare attraverso una più facile sottoposizione al carcere degli indagati per i reati che, pur senza alcuna indagine scientifica, erano stati reputati tali da poter destare maggiore allarme sociale”11.

A tale rilevante inversione di tendenza, la Camera aggiunge una serie di ritocchi allo stesso art. 275, andando ad ampliare lo spettro delle disposizioni originariamente coinvolte dalla proposta: in questo senso si segnala l’inserimento del comma 3-bis, che prevede un onere motivazionale rinforzato per il giudice il quale decida di applicare la misura carceraria, dovendo egli specificare per quali ragioni ritiene che le esigenze cautelari del caso concreto non possano essere soddisfatte

9Atti Parlamentari, XVII legislatura, Camera dei Deputati, II Commissione, seduta

28.11.2013, pag. 27.

10Atti Parlamentari, XVII legislatura, Camera dei Deputati, II Commissione, seduta

13.11.2013, Allegato 2, pag. 44.

11 E. MARZADURI, L’applicazione della custodia in carcere alla luce della nuova disciplina delle presunzioni in materia cautelare, in www.lalegislazionepenale.eu.

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dall’applicazione degli arresti domiciliari con i controlli elettronici previsti dall’art. 275-bis (c.d. braccialetto elettronico). Si tratta di una disposizione poco incisiva, sicuramente di stampo più pedagogico che normativo: come scrive chiaramente Paola Borrelli, la scelta della misura che comporta il minor sacrificio per l’imputato si evince chiaramente dall’intero sistema e in particolare dal primo periodo del terzo comma dell’art.275, il quale impone già di considerare la custodia carceraria quale extrema ratio, andando ad applicarla solo laddove ogni altra misura risulti inadeguata; peraltro, tale scelta legislativa potrebbe, secondo l’autrice, addirittura risultare peggiorativa in un’ottica garantista, in quanto, in una situazione di carenza endemica di strumenti elettronici quale quella che caratterizza l’apparato amministrativo processuale, il giudice potrebbe perfino concedere più facilmente la misura più restrittiva, motivando la sua scelta in ragione dell’impossibilità materiale di reperire lo strumento di controllo necessario; con il risultato che “le valutazioni del giudice

della cautela su di un aspetto nevralgico nell’ottica del minor sacrificio possibile” finirebbero per “essere condizionate così pesantemente da una disfunzione di carattere eminentemente pratico, che rischia di rendere, nei fatti, la novella un’operazione di facciata piuttosto che un effettivo argine al ricorso alla custodia in carcere”12.

Un’altra novità rispetto al testo di legge originario riguarda la proposta di abrogazione del comma 1-ter dell’art. 276 e del comma 5-bis dell’art. 284 c.p.p.: si tratta di due disposizioni figlie del c.d. “decreto antiscarcerazioni” (d.l. 24 novembre 2000, n.341, convertito con modificazioni dalla legge 19 gennaio 2001, n.4), che avevano lo scopo di arginare, anche questa volta, la discrezionalità del giudice nel concedere la misura carceraria a chi avesse violato le prescrizioni del c.d. obbligo di stare. Tali disposizioni impongono al giudice di applicare obbligatoriamente e in ogni caso la custodia carceraria nei

12 P. BORRELLI, Una prima lettura delle novità della legge 47 del 2015 in tema di misure cautelari, in www.penalecontemporaneo.it, 2015.

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confronti dell’imputato che abbia violato le prescrizioni connesse con la misura più favorevole degli arresti domiciliari (art. 276, comma 1-ter) e nei confronti dell’imputato che, nei cinque anni precedenti al fatto per cui si procede, abbia riportato una condanna per il reato di evasione. La proposta di abrogazione è significativa dal punto di vista della tutela delle libertà e delle garanzie dell’imputato: l’impossibilità, per il giudice, di poter esaminare nel caso concreto l’offensività della violazione dell’obbligo rivela infatti come la sostituzione in un caso e l’applicazione immediata della custodia carceraria nell’altro finiscano per avere valenza chiaramente punitiva, a scapito del principio per cui le misure cautelari hanno funzione del tutto diversa rispetto alla pena erogata con la condanna definitiva e in nessun caso dovrebbe essere consentita una commistione tra le due finalità.

Ricapitolando, il passaggio alla Camera del disegno di legge ha portato al raffreddamento di alcune nette prese di posizione che avevano trovato spazio nel testo originario; talvolta la scelta è ricaduta su posizioni più tiepide, mentre nel caso delle presunzioni il tentativo di eliminazione del doppio binario è stato completamente scardinato dall’assetto della riforma; sono stati introdotti nuovi spunti, alcuni meramente didattici, altri più importanti al fine di relegare la custodia carceraria a misura restrittiva eccezionalmente erogabile. Nel complesso, dunque, nonostante qualche deviazione, il disegno di riforma ha viaggiato fin qui sui binari tracciati dagli originari proponenti, prima di deragliare del tutto in Senato.

2.3. Il passaggio in Senato e il braccio di ferro tra le due Camere

Si è detto, qualche riga più su, che il disegno di legge in esame ha subito una doppia navetta parlamentare, resasi necessaria a causa di alcune prese di posizione del Senato che hanno sconvolto il testo originario, che aveva invece resistito bene al passaggio alla Camera.

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La prima importante divergenza espressa in Senato rispetto al testo approvato dalla Camera riguarda i nuovi criteri di valutazione delle esigenze cautelari, consistenti nelle modifiche alle lettere b e c dell’art.274: il Senato da una parte ha scelto di confermare l’inserimento del nuovo parametro d’attualità del periculum libertatis; mentre dall’altra ha inserito una rettifica apparentemente lieve, ma in realtà gravida di conseguenze, al doppio inciso finale delle stesse lettere b e c. Viene infatti specificato, questa volta, che la sussistenza delle situazioni di concreto e attuale pericolo non possano essere “desunte esclusivamente dalla gravità del titolo di reato per cui si procede”: è chiara in questo senso l’influenza, esercitata sul Senato, dalle preoccupazioni della magistratura, che aveva paventato l’impossibilità di richiedere e applicare una misura cautelare a chi non avesse precedenti penali, qualora il testo approvato dalla Camera fosse rimasto intatto.

L’art. 274 è stato inoltre ulteriormente ritoccato, nella sua lettera c, a causa della necessità di un suo coordinamento con l’art. 280 c.p.p., novellato nel 2013: a causa di tale intervento, oggi risulta senza alcun dubbio applicabile la custodia carceraria per il delitto di finanziamento illecito dei partiti. I dubbi in tal senso sorgevano a causa del difetto di coordinamento tra le due norme dopo la novella del 2013 sull’art. 280, la quale aveva innalzato i limiti edittali massimi per l’applicazione della custodia carceraria da quattro a cinque anni e previsto un’eccezione espressa proprio per il delitto di finanziamento illecito dei partiti; eccezione espressa che però non era stata specularmente prevista dall’art. 274, lettera c per poter erogare la custodia cautelare in funzione specialpreventiva, e che tuttavia risultava necessario specificare, in quanto il delitto menzionato superava ampiamente il limite edittale massimo di quattro anni di reclusione previsto in via generale dalla norma suddetta. Nonostante l’indubbio merito di aver definitivamente risolto questo equivoco, resta la perplessità per il

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regime di sfavore previsto per questo delitto, comprensibile, si teme, soltanto alla luce di logiche elettorali di captatio benevolentiae nei confronti dell’opinione pubblica.

Fin qui, la Camera si è limitata a recepire le novità introdotte dal Senato, conformandosi a questo atteggiamento di prudenza.

Il vero braccio di ferro tra le due camere ha invece riguardato il comma 3 dell’art. 275 c.p.p. Come detto in precedenza, il testo approvato alla Camera si era già reso protagonista di un dietrofront rispetto al testo della proposta originaria, recuperando il doppio binario del meccanismo presuntivo, previsto per i reati di associazione mafiosa, associazione terroristica e associazione sovversiva nella forma di una presunzione iuris tantum sull’esistenza delle esigenze cautelari e di una presunzione iuris et de iure sull’adeguatezza della sola custodia carceraria; mentre per una serie cospicua di altri reati esso si riduceva a una doppia presunzione semplice su entrambi i profili. Ebbene, a fronte di questa scelta, il Senato introduce delle modifiche addirittura peggiorative di questo assetto: la scelta di Palazzo Madama è nella direzione di estendere il regime presuntivo più severo ai delitti di scambio elettorale politico-mafioso (art. 416-ter c.p.) e di associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti e psicotrope (art. 74 T.U. 309/1990), opzione quest’ultima in palese contrasto con la giurisprudenza della Corte Costituzionale, che con la decisione n. 231 del 2011 aveva già dichiarato illegittima l’estensione del regime presuntivo rigido proprio a tale fattispecie criminosa.

Davanti a tali modifiche, tuttavia, la Camera non cederà, andando a riapprovare, per ciò che concerne l’art. 275, comma 3, il testo che aveva già originariamente approvato, eliminando il riferimento all’art. 74 del Testo Unico sulle sostanze stupefacenti a causa del lamentato contrasto con la citata sentenza della Corte Costituzionale, e il riferimento all’art. 416-ter a causa della non omogeneità di tale delitto

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con le altre fattispecie alle quali il regime più rigido è riservato; la Consulta stessa ha denunciato, nel demolire le varie ipotesi via via accomunate sotto l’egida della più rigida presunzione, come tale regime fosse giustificato al fine di sradicare ogni rapporto della persona in vinculis con l’organizzazione criminale di appartenenza, e pertanto lo ha ritenuto eccessivo per quelle fattispecie in cui non può ravvisarsi un sodalizio permanente tra l’imputato e l’associazione criminosa. Dopo la nuova affermazione dell’originario testo da parte della Camera, la seconda lettura in Senato non ha portato ad altre modifiche, anche se non sono mancate, tramite la proposizione di emendamenti, le sollecitazioni più svariate: dalla proposta di eliminare gli artt. 270 e 270-bis dal novero delle disposizioni più severamente contemplate13 a quella di estendere tale regime più severo ai più svariati delitti, da quelli contro la pubblica amministrazione o contro l’amministrazione della giustizia fino a riproporre ancora una volta l’inserimento degli artt. 416-ter e 74 d.P.R. 309/1990. Proposte di stampo chiaramente populista e giustizialista: esemplari in tal senso le parole del senatore Buccarella, a parere del quale la volontà di non includere nel novero delle disposizioni sottoposte al regime più severo il reato di scambio elettorale politico-mafioso era la prova della “precisa volontà di mantenere un ambito di impunità o comunque di

una punibilità la più lieve possibile” nei confronti della criminalità

organizzata di stampo mafioso14. Ciò che emerge dall’atteggiamento del Senato è la volontà di recuperare le istanze giustizialiste che faticosamente la Camera aveva accantonato, senza peraltro prestare attenzione alla ratio espressa dalle nove sentenze della Corte Costituzionale, con le quali il meccanismo presuntivo rigido era stato

13Sen. Palma, v. Atti Parlamentari, XVII legislatura, Senato della Repubblica, II Commissione, seduta pom. 3.2.2015.

14Sen. Buccarella, v. Atti Parlamentari, XVII legislatura, Senato della Repubblica, Aula, seduta 9.4.2014.

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notevolmente ridimensionato15.

L’atteggiamento prudenziale, con sfumature di giustizialismo, del Senato va a toccare anche la proposta, formulata dalla Camera, di abrogazione del comma 1-ter dell’art. 276 e del comma 5-bis dell’art.284, riguardanti la violazione dell’obbligo di stare. Tale proposta di abrogazione non viene accolta, ma entrambe le disposizioni vengono ritoccate nel senso che l’applicazione della custodia carceraria si renda necessaria “salvo che… il fatto sia di lieve

entità”. Edulcorazione che lascia il tempo che trova e che soprattutto

rischia di porre una scappatoia solo fittizia e sulla carta all’automatismo che, invece, sarebbe stato più opportuno eliminare, alla luce della tutela delle garanzie per l’imputato.

2.4. Ricapitolando…

L’analisi dell’iter parlamentare che ha portato alla promulgazione della legge in esame è chiaramente testimone di quanto la cultura dell’emergenza e dell’ansia securitaria abbia avuto influenza in ambito politico-legislativo e trovi ancora oggi spazio nelle maglie dei vari testi, più volte emendati; e ciò, nonostante la presenza di forti spinte delle istituzioni europee che indicano all’Italia (come in molti altri casi, del resto) la giusta strada. Il fatto che nemmeno davanti ad un’emergenza carceraria allarmante, alla quale è seguita una pesante condanna della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, tali pregiudizi giustizialisti si siano scardinati è, probabilmente, indice che c’è ancora molto da fare per cambiare il modo di concepire la custodia preventiva da parte del legislatore. In particolare, per sradicare dalla mente collettiva del parlamento e di certa opinione pubblica l’idea che la custodia cautelare possa svolgere una funzione suppletiva rispetto alla

15In tal senso si esprime, tra gli altri, E. MARZADURI in L’applicazione della custodia in carcere alla luce della nuova disciplina delle presunzioni in materia cautelare, in www.lalegislazionepenale.eu.

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condanna definitiva, finendo per rappresentare la vera pena da espiare

in medias res: “l’applicazione delle misure cautelari”, ha ancora cura

di precisare la Corte Costituzionale, “non può essere legittimata in

alcun caso esclusivamente da un giudizio anticipato di colpevolezza, né corrispondere – direttamente o indirettamente – a finalità proprie della sanzione penale, né, ancora e correlativamente, restare indifferente ad un preciso scopo”16, essendo invece sua ratio intrinseca “la cautela del processo penale, intesa come protezione del

procedimento di accertamento della verità processuale dagli attacchi o comunque dai fattori di disturbo esogeni”17 . Nonostante le puntualizzazioni effettuate da dottrina e giurisprudenza, la contaminazione della coercizione cautelare con finalità punitive resta ancora, purtroppo, caposaldo centrale soprattutto di una certa parte politica, che, forse più per opportunismo che per profonda consapevolezza giuridica in merito, finisce per barattare le garanzie e la libertà personale dei cittadini per un pugno di voti, cavalcando l’onda emotiva di un elettorato perennemente insicuro e alla ricerca di un nuovo nemico contro il quale puntare il dito, specialmente in un momento di tensioni economiche e sociali come quello che stiamo vivendo da diversi anni. La durata enormemente lunga dei procedimenti in corso, l’attenzione costante e morbosa sui più atroci casi di cronaca da parte di alcuni mass media, la diffusa sfiducia nelle istituzioni, comprese quelle giudiziarie, da parte dei cittadini ha creato in passato un clima di perenne caccia alle streghe, con veri e propri processi televisivi o giornalistici senza possibilità di replica per la persona pubblicamente accusata; clima che genera un’enorme pressione sia sugli organi giudiziari, sia su quelli politici, che, come esposto, non esitano a fomentare queste tendenze giustizialiste pur di venire riconfermati nella successiva tornata elettorale, letteralmente

16Corte Cost., 07.07.2010, n. 265.

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lanciando in pasto all’opinione pubblica e a certa magistratura requirente qualsiasi cittadino che non sia al di sopra di ogni sospetto.

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1. I problemi relativi alla valutazione delle esigenze cautelari

Uno dei profili della disciplina statica sui quali la riforma è incisivamente intervenuta, come rilevato nel primo capitolo, è quello della valutazione delle esigenze cautelari, e tale scelta del legislatore non deve sorprendere: il profilo genetico della misura stessa è tutto deciso, nel suo an, dai parametri che compongono l’art. 274 c.p.p., e non è un caso il fatto che, nel sottoporre alcune fattispecie criminose ad un regime cautelare più severo, la mossa del legislatore sia andata nella direzione di presumere per tali delitti proprio l’esistenza delle esigenze cautelari18. Questo perché, come già sottolineato, l’intervento cautelare è legittimo soltanto nel momento in cui vada a prevenire un pericolo che potrebbe rendersi concreto nelle more del processo: qualora, infatti, fosse applicata una misura coercitiva in assenza di un’esigenza che la legittima, saremmo di fronte ad un uso improprio e scorretto del potere di intervento cautelare, che andrebbe di certo a risolversi nella comminazione di una pena anticipata, in aperto contrasto con i dettami costituzionali. Dovrebbe essere chiara a questo punto allora la preoccupazione e l’attenzione che il legislatore ha prestato a questo profilo, cercando di circoscrivere il più possibile la valutazione giudiziale sui profili relativi all’esistenza delle esigenze stesse: valutazione spesso fumosa, rinchiusa dietro formule di stile, basata su pregiudizi o su supposizioni già effettuate dal pubblico ministero richiedente. Uno studio condotto dall’Associazione Antigone, da sempre in prima linea per garantire e difendere i diritti degli imputati, ha dimostrato, per esempio, come una delle principali

18E’ interessante, a tal proposito, la riflessione di F. CENTORAME, Presunzioni di pericolosità e coercizione cautelare, G. Giappichelli Editore, Torino, 2016, la quale

nota che “a ben vedere, la catalogazione per tipologie di soggetti di reato

rappresenta la via più comoda per ingabbiare un concetto, qual è quello di

pericolosità, altrimenti del tutto sfuggente, in quanto legato indissolubilmente anche a processi interiori dell’uomo e a stati soggettivi non riconducibili, nemmeno in teoria, a previsioni precise o alla sussunzione entro leggi deterministiche”.

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preoccupazioni dei difensori, in sede di incidente cautelare, è che il giudice non faccia valutazioni eque basate su prove e che piuttosto si lasci andare a inferenze basate su presunzioni illegali, cioè irrilevanti per la legge italiana (una su tutte, lo stato di soggiorno irregolare quando si tratta di imputati provenienti da stati non appartenenti all’Unione Europea); inoltre, gli avvocati rilevano come le motivazioni inerenti alla sussistenza delle esigenze cautelari siano spesso meramente formali. Dalla stessa ricerca, che si è occupata di intervistare non solo difensori, ma anche giudici e pubblici ministeri, sono emersi altri dati poco confortanti: la custodia cautelare viene più frequentemente applicata se il soggetto ha precedenti penali, la ragione che più frequentemente porta alla richiesta della misura è il pericolo di reiterazione del reato e la base della scelta è spesso circoscritta alla gravità del reato, dato corroborato dalla circostanza che la misura stessa è applicata più spesso a persone sospettate di aver commesso reati contro la persona particolarmente efferati e crimini di mafia19. Dati preoccupanti, soprattutto se si considera la copiosa giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo in materia: anche se, secondo l’art. 5 par. 1 lett. c della Convenzione, per applicare la detenzione preventiva non è necessario che sussistano sia il periculum

in mora che il fumus commissi delicti, bastando il primo20, tuttavia la

Corte ha più volte precisato come la presunta commissione di un reato è ragione insufficiente per il protrarsi della detenzione, essendo necessario a questo punto sostenerla con elementi che possono

19La custodia cautelare: analisi delle misure alternative e del processo decisionale dell’autorità giudiziaria italiana, a cura di G. PARISI, G. SANTORO, A. SCANDURRA, Associazione Antigone, Dicembre 2015, pagg.33-34.

20Art. 5, par. 1, lett. c CEDU, intitolato “Diritto alla libertà e alla sicurezza”:

“1. Ogni persona ha diritto alla libertà e alla sicurezza. Nessuno può essere privato

della libertà, se non nei casi seguenti e nei modi stabiliti dalla legge:

[…]

(c) se è stato arrestato o detenuto per essere tradotto dinanzi all’autorità giudiziaria

competente, quando vi sono motivi plausibili di sospettare che egli abbia commesso un reato o vi sono motivi fondati di ritenere che sia necessario impedirgli di commettere un reato o di darsi alla fuga dopo averlo commesso”.

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giustificare la continuata compressione della libertà dell’imputato21. Tra questi elementi, la Corte ha chiarito che non è rilevante, ai fini di valutare le esigenze cautelari, quanto il reato sia grave e quante prove vi siano a carico dell’imputato22; in particolare, la Corte esplicita che,

per quanto riguarda il pericolo di fuga, non è rilevante la mancanza di una fissa dimora23 né la circostanza di dover affrontare una lunga carcerazione24 e, per quanto riguarda invece il pericolo di recidiva, deve esservi la prova che tale rischio sia attuale25, e comunque in nessun caso può essere desunto dalla semplice mancanza di un lavoro o di legami familiari e sociali stabili26.

Le prassi devianti sopra descritte hanno spinto il legislatore a modificare i punti nevralgici dell’art. 274: in particolare, ad abbinare il requisito dell’attualità a quello già presente della concretezza del

periculum libertatis, uniformando così le lettere b e c alla lettera a

dello stesso articolo, che già dal 1995 prevedeva la doppia aggettivazione in riferimento al pericolo di inquinamento probatorio; a delimitare la discrezionalità della valutazione giudiziale prevedendo che il concreto e attuale pericolo non possa essere unicamente desunto dalla gravità del titolo di reato; e infine ad inserire una eccentrica disposizione che va a includere il reato di finanziamento illecito dei partiti nel novero di quei delitti il cui pericolo di reiterazione giustifica la custodia carceraria, svincolandolo dai limiti edittali prescritti.

21Da ultimo, come ricordato, v. Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, Balakin c. Moldavia, 26.01.2016.

22Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, Tomasi c. Francia, n. 12850/87, 27.08.1992,

par. 102.

23Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, Sulaoja c. Estonia, n. 55939/00, 15.02.2015,

par. 64.

24Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, I.A. c. France, n. 28213/95, 23.09.1988, par.

87.

25Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, Matznetter c. Austria, n. 2178/64,

10.11.1969, parere concordante di Judge Balladore Pallieri, par. 1.

26Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, I.A. c. France, n. 28213/95, 23.09.1988, par.

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2. Il nuovo e controverso requisito dell’attualità del periculum

Quando, nel 1995, con la l. 332 venne introdotto il requisito dell’attualità del pericolo di inquinamento probatorio, questo cambiamento fu accolto con preoccupazione dalla dottrina, principalmente perché si temeva che, non essendo tale requisito richiesto per gli altri due pericula compresi nell’art. 274, questi ultimi sarebbero stati più facilmente riscontrabili rispetto al primo, essendo l’onere motivazionale meno rigido. In effetti, è ciò che è successo negli anni immediatamente successivi all’intervento legislativo: l’attualità del periculum non era considerata necessaria se non richiesta. La legge 47 del 2015 sceglie chiaramente di invertire questa tendenza, sia per ripristinare l’uniformità dei criteri di valutazione delle esigenze cautelari, sia per sopprimere la prassi che tendeva a riconoscere più agilmente un periculum proprio per l’assenza del richiesto criterio dell’attualità.

2.1 Il rapporto tra attualità e concretezza nella giurisprudenza della Cassazione

Il primo aspetto da chiarire, riguardo al nuovo requisito dell’attualità, è cosa si debba intendere per pericolo attuale, e soprattutto in quale misura tale nuovo attributo possa essere distinto dal pregresso e ribadito criterio della concretezza. Come accennato, la scelta compiuta dal legislatore del 1995 di inserire il criterio dell’attualità per il solo pericolo di inquinamento probatorio, tralasciando gli altri due, era stata criticata dalla dottrina, preoccupata per le prassi devianti che sarebbero potute nascere, in giurisprudenza, a causa di questa dicotomia. In effetti le profezie si avverarono: ben presto i tribunali delle libertà iniziarono ad applicare più agilmente misure cautelari basandole sulle esigenze di cui alle lettere b e c dell’art. 274, cioè quelle fondate sul

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solo criterio della concretezza; e i giudici di legittimità, interrogati sulla legalità di tali decisioni, non furono da meno, postulando un singolare rapporto di specialità tra attualità e concretezza. L’attualità viene concepita dalla Suprema Corte, sin dal 200127, come una sorta di aggravante della concretezza: un certo pericolo sarebbe, secondo tale impostazione, concreto e attuale nel momento in cui vi sia la presenza di occasioni prossime favorevoli alla verificazione di tale rischio. Seguendo sempre la teorizzazione postulata dalla Cassazione, allora, ne consegue che, qualora tali occasioni prossime di fuga o di commissione di un altro reato mancassero, tale circostanza non impedirebbe di riconoscere la sussistenza di un periculum non attuale, ma comunque concreto, e per ciò solo bastante a fondare, insieme ai gravi indizi di colpevolezza, la richiesta e l’applicazione di una misura cautelare. La concretezza, dunque, era condicio sine qua non per poter ritenere sussistente il periculum; l’attualità, invece, era necessaria soltanto per riscontrare un pericolo di inquinamento probatorio, restando, per gli altri due pericula, del tutto eventuale ed accessoria; in pratica, secondo questa impostazione, vi possono essere, e sono tutelabili in via cautelare, dei pericoli concreti e non attuali.

Tale impostazione contrastava con larga parte della dottrina, che già ai tempi della l. 332 del 1995 aveva sottolineato quanto l’aggettivo

attuale posto accanto al requisito della concretezza andasse a comporre

una formula “ad un tempo, pleonastica e ambigua”28: la dottrina era

favorevole ad un’impostazione opposta a quella della Corte di Cassazione, che andasse ad identificare gli aggettivi concreto e attuale come sinonimi. In particolare, scrive Giostra che “vi può essere un

pericolo attuale che non sia concreto (c.d. pericolo astratto), ma è difficilmente concepibile un pericolo concreto coniugato soltanto al passato o al futuro: se il quadro probatorio ha corso o correrà rischi

27Cass. S.U. 11.07.2001, n. 34537.

28 G. GIOSTRA, Per una migliore disciplina della custodia cautelare, in DPP

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di manomissione in presenza di condizioni che, attualmente, fanno difetto, vuol dire che manca, allo stato, un pericolo concreto che possa legittimare una misura cautelare”29; non pare persuaso, tuttavia, di tale identificazione Aiuti, che rintraccia una differenza, seppur minima, fondamentale tra i due attributi: “la concretezza potrebbe infatti

riferirsi ad una dimensione probatoria del pericolo: concreto sarebbe allora solo quel pericolo di cui è provata l’esistenza e il modo di essere. L’attualità invece potrebbe riguardare una dimensione più che altro temporale: attuale sarebbe allora solo quel pericolo che le prove a disposizione conducono a ritenere di imminente realizzazione”30. Lo stato delle cose prima del 2015, dunque, ci offriva un panorama in cui, per riscontrare il pericolo di inquinamento probatorio, era necessario motivare tale pericolo come esistente nella sua dimensione concreta e imminente, mentre le altre due esigenze cautelari, di cui alle lettere b e c dell’art. 274, venivano escluse da tale onere probatorio e motivazionale, in quanto non espressamente toccate dall’attributo dell’attualità. Esemplare, in tal senso, la decisione che si è occupata del caso della nave Costa Concordia: in relazione al pericolo di reiterazione del reato, la difesa eccepiva che, nei delitti colposi, non si potesse guardare solo alla gravità del reato e alla personalità dell’imputato, ma anche alla probabilità che si potessero verificare nuove occasioni in cui l’imputato avrebbe avuto modo di comportarsi colposamente, ed era ragionevolmente plausibile che il comandante non sarebbe stato ingaggiato a breve, dopo il noto disastro. Ebbene, la Cassazione non ritenne di accogliere l’argomento della difesa, sostenendo, in pratica, che il pericolo di reiterazione del reato non dovesse essere anche attuale: bastava che fosse concreto, e cioè che,

29 G. GIOSTRA, Per una migliore disciplina della custodia cautelare, in DPP

1995, pag. 304.

30 V. AIUTI, Esigenze cautelari e discrezionalità giudiziale, in www.lalegislazionepenale.eu.

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avendone l’occasione, il soggetto fosse in grado di delinquere ancora31.

Il che significa che l’attualità è valutata in via ipotetica: “è facile

notare”, nota a tal proposito Aiuti, “come l’allontanamento dal profilo dell’attualità comporti necessariamente anche un allontanamento dal profilo della concretezza, conducendo il giudice a concentrarsi soltanto sull’autore o sull’ambiente in cui è maturato il delitto. In questo modo, però, la presunzione d’innocenza diventa un proclama vuoto mentre la misura cautelare viene a tutti gli effetti concepita come un’espiazione di pena”32.

La legge 47 del 2015 interviene quindi proprio per stroncare queste prassi giurisprudenziali devianti, imponendo che anche la sussistenza dei pericoli di fuga e di reiterazione del reato debba essere valutata alla luce di entrambi i parametri di attualità e concretezza: il legislatore ha deciso, nei fatti, che possono essere pericula libertatis solo quelli concreti e attuali, nel tentativo di “limitare la discrezionalità del

giudice nella valutazione delle esigenze cautelari”33. Tale intento riformatore sembra essere stato percepito sin da subito dalla giurisprudenza di legittimità, che va quindi a correggere il tiro rispetto alle storture delle quali si era, negli anni immediatamente precedenti, resa protagonista, per abbracciare ora una valutazione dei pericula

libertatis più analitica e più rispondente al principio di presunzione

d’innocenza, tale per cui, per non ridurre la misura cautelare a una mera anticipazione della pena, è necessario che le esigenze cautelari vengano adeguatamente riscontrate e puntualmente motivate, pena il pericolo di emanare misure restrittive della libertà personale sulla base dei soli indizi di colpevolezza. La Corte di Cassazione chiarisce il nuovo dettato legislativo formulando una massima di fondamentale importanza: “per ritenere attuale il pericolo concreto”, nel caso di

31Cass. 16.05.2012, n.18851.

32 V. AIUTI, Esigenze cautelari e discrezionalità giudiziale, in www.lalegislazionepenale.eu.

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