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Capitolo 2: Le nuove esigenze cautelari

2. Le presunzioni relative

2.1. La presunzione relativa per gli altri reati: l’alibi fornito dalla Corte Costituzionale

111 S. CARNEVALE, I limiti alle presunzioni di adeguatezza, in La riforma delle misure cautelari personali, AA.VV., a cura di L. GIULIANI, G. Giappichelli editore, Torino, 2015.

Come già accennato, il lavoro demolitorio della Consulta, nel quinquennio che va dalla sentenza 265/2010 alla sentenza 48/2015, è stato tutto orientato all’esclusione, dal novero dei reati più rigidamente disciplinati dal punto di vista cautelare, di una serie di figure criminose che erano, al contrario, state sottoposte al rigido meccanismo presuntivo dal legislatore. A tal proposito, è opportuno far presente che l’ipertrofica preferenza legislativa per la detenzione cautelare non è stata altro che una cartina al tornasole di angosce collettive, strumentalizzate dal legislatore anche e soprattutto per questioni politico-elettorali: il codice, quindi, ha assorbito, col passare degli fattispecie variegate, quasi fosse un vaso di Pandora da riempire con norme alluvionali, create ad hoc per placare “allarmi

sociali…fomentati da spesso morbose e sempre volubili campagne mediatiche”, col risultato che si creano “una molteplicità di procedure penali parallele dove l’impressione è che a qualunque garanzie possa alla bisogna derogarsi”112. E’ chiaro, per certi aspetti, qual è il motivo

di tale ansia securitaria, che nasce nella cittadinanza e intacca inevitabilmente anche l’animo del legislatore: l’endemico problema della lunghezza dei processi in generale, e specialmente di quelli penali, unita alla deplorevolezza di alcuni reati, percepiti dalla cittadinanza come particolarmente esecrabili, crea la sensazione che chi sia indiziato di tali reati non riceva, dallo stato, la punizione che merita; una sensazione falsata dalla paura e dall’ansia sociale determinata dal compimento di questi delitti (non a caso, quasi sempre si tratta di delitti contro la persona), che spinge quindi il legislatore a trovare un’alternativa alla detenzione successiva alla condanna definitiva, per poter placare il malcontento e le angosce collettive. Se così stanno le cose, allora, è indubbio e palese che la misura cautelare adottata, lungi dall’essere strumento per tutelare esigenze

112 S. CARNEVALE, I limiti alle presunzioni di adeguatezza, in La riforma delle misure cautelari personali, AA.VV., a cura di L. GIULIANI, G. Giappichelli editore, Torino, 2015.

endoprocessuali (il pericolo che l’imputato inquini il quadro probatorio, che si sottragga al processo o che nelle more di esso si renda ulteriormente pericoloso), assume totalmente ed inequivocabilmente la funzione di anticipare la pena definitiva, cosa del tutto incompatibile con l’attuale assetto processuale e costituzionale. Tali rilievi, formulati in particolar modo nel 2009, anno in cui, grazie al c.d. “pacchetto sicurezza”, una moltitudine di nuovi reati eterogenei fu sottoposta al più grave automatismo cautelare, furono mossi non soltanto dalla dottrina più garantista, ma anche da quegli autori che, con riferimento alla possibilità di applicare regimi differenti a reati diversi, si esprimevano con favore: secondo tale ricostruzione, infatti, l’accatastamento, all’interno del regime più grave, di fattispecie del tutto eterogenee avrebbe fatto perdere di vista la ratio, a parere di costoro legittima, della differenziazione di trattamento113.

La Corte Costituzionale, nel quinquennio anzidetto, ha cercato di ricondurre ad armonia il sistema, cercando di epurare il regime più grave da tutte quelle fattispecie di reato le quali, a causa dei loro tratti caratteristici, non rappresentavano un allarme tale da dover esservi sottoposte114: per la Consulta, infatti, “per quanto odiosi e riprovevoli,

i fatti che integrano i delitti in questione ben possono essere e in effetti spesso sono meramente individuali, e tali, per le loro connotazioni, da non postulare esigenze cautelari affrontabili solo e rigidamente con la massima misura”, aggiungendo, in maniera significativa, che

113Tra i più autorevoli a sostenere tale posizione, A. BITONTI, alla voce Doppio Binario, in Dig. Pen., III Agg., tomo I, 2005, e A. MARANDOLA, I profili

processuali delle nuove norme in materia di sicurezza pubblica, di contrasto alla violenza sessuale e stalking, in Dir. Pen. Proc., 2009.

114Le fattispecie interessate, brevemente, erano: alcune ipotesi di violenza sessuale,

(sentenza n. 265/2010); il reato di omicidio (sentenza n. 164/2011); il reato di associazione per delinquere finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti (sentenza n. 231/2011); il reato di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina (sentenza n. 331/2011; il reato di associazione per delinquere finalizzata alla contraffazione (sentenza n. 110/2012); alcuni delitti commessi per agevolare l’associazione mafiosa (sentenza n. 57/2013); il reato di violenza sessuale di gruppo (sentenza n. 213/2013); il reato di concorso esterno in associazione mafiosa (sentenza n. 48/2015).

“l’eliminazione o la riduzione dell’allarme sociale cagionato dal reato

del quale l’imputato è accusato, o dal diffondersi di reati dello stesso tipo, o dalla situazione generale nel campo della criminalità più odiosa o più pericolosa, non può essere peraltro annoverata tra le finalità della custodia preventiva e non può essere considerata una sua funzione”, ed è invece, come specificato, “funzione istituzionale della pena perché presuppone, ovviamente, la certezza circa il responsabile del delitto che ha provocato l’allarme e la reazione della società”115.

Date tali premesse, è chiaro che l’opera demolitoria effettuata dalla Consulta ha avuto il merito, non solo di circoscrivere al minimo l’ambito del più grave automatismo cautelare, ma anche quello di ribadire con fermezza le dovute differenze intercorrenti tra la funzione della pena e la funzione della cautela preventiva; ma anche, contemporaneamente, il demerito di aver creato, se possibile, ancora maggior frammentarietà all’interno dell’art. 275, non ritenendo opportuno, per salvaguardare la compatibilità dell’assetto legislativo con la costituzione, azzerare totalmente la presunzione, bensì creando un nuovo meccanismo presuntivo, meno rigido, che comprende una doppia presunzione iuris tantum: una sulla sussistenza delle esigenze cautelari, una sull’idoneità della sola custodia in carcere a contenere le esigenze stesse, entrambe suscettibili di essere rovesciate da prova contraria, di cui è onerato, tuttavia, l’imputato. In definitiva, per la Corte, il nuovo meccanismo creato ha come risultato “una

semplificazione del procedimento probatorio suggerita da taluni aspetti ricorrenti del fenomeno criminoso considerato”116, senza tuttavia soffermarsi su quali dovrebbero essere le ragioni che giustifichino tale semplificazione, così che sembra quasi che “la Corte

115Corte Cost. 07.07.2010, n. 265. 116Corte Cost. 07.07.2010, n. 265.

Costituzionale non si sia realmente posta il problema del fondamento della presunzione relativa”117.

La Consulta ha quindi dato origine ad un sistema ancora più frammentato: tra la disciplina ordinaria, priva di alcun automatismo, e la disciplina più severa, che contempla una presunzione relativa ed una assoluta, si inserisce tale livello intermedio di creazione tutta giurisprudenziale, il che comporta, inevitabilmente, una nuova compressione della libertà personale dell’imputato e della discrezionalità giudiziale: è vero che le fattispecie ivi comprese erano, in precedenza, sottoposte al regime più rigido, ma è altrettanto vero che non esiste alcuna ragione per la quale, avendole sottratte a tale meccanismo, esse debbano vivere nuovamente un trattamento differenziato, anziché tornare a confluire nella disciplina generale, come sarebbe stato più opportuno.

Il legislatore del 2015, sentendosi probabilmente autorizzato a fare ciò proprio a causa delle pronunce costituzionali esaminate, ha ritenuto, andando a ritoccare il comma 3 dell’art. 275 c.p.p., di accogliere passivamente l’assetto cautelare speciale così creato dalla Corte Costituzionale, evitando le molteplici proposte presentate durante l’iter legislativo, che intendevano invece superare, opportunamente, non soltanto l’automatismo più lieve, ma anche quello più rigido. Tale recepimento da parte del legislatore, se possibile, rende ancor più preoccupante l’assetto descritto: creare un nuovo regime speciale non significa soltanto meno ordine nel sistema, ma anche e soprattutto meno garanzie e più oneri probatori addossati all’imputato: a causa della costruzione architettata dalla Consulta e fatta propria dal legislatore, ancora oggi, procedendo per tali reati, al giudice basterà riconoscere che l’imputato non ha dimostrato la totale assenza di

pericula per applicare una misura la cui scelta, sebbene non vincolata

117 E. MARZADURI, L’applicazione della custodia in carcere alla luce della nuova disciplina delle presunzioni in materia cautelare, in

come avveniva in precedenza, procederà pur sempre in senso contrario a quanto vorrebbe il principio del minor sacrificio necessario, e cioè in un ordine che va dalla più grave alla meno afflittiva. Ed è appena il caso di sottolineare questo: e cioè che anche se la Corte Costituzionale ha creato questo nuovo meccanismo per usarlo ai fini di scardinare alcune presunzioni assolute, ciò non significa che quest’ultimo sia immune da dubbi di illegittimità costituzionale, soprattutto alla luce della presunzione d’innocenza; e anzi, ora che il legislatore ha travasato tale presunzione relativa all’interno dell’assetto codicistico, proprio a causa dell’alibi fornito dalla Consulta, c’è il pericolo che in futuro assisteremo ad una dilatazione illimitata proprio di questo nuovo meccanismo presuntivo: “non sembra così infondata l’ipotesi

che il legislatore, fallito il tentativo di espandere il carcere a fini cautelari con presunzioni assolute, ne dilati l’applicazione attraverso meccanismi del medesimo tipo che prevedano, però, la possibilità della prova contraria”118.

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