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Una probatio diabolica per l’imputato

Capitolo 2: Le nuove esigenze cautelari

3. I risvolti applicativi della disciplina speciale

3.1. Una probatio diabolica per l’imputato

Dopo aver analizzato, dal punto di vista concettuale, le presunzioni poste dal legislatore e i problemi che esse presentano già a livello teorico, si andrà ora ad analizzare l’efficacia pratica di quegli stessi meccanismi, mettendone in evidenza le criticità che, lungi dal dissolversi, si fanno ancora più accese sul piano applicativo, rendendo entrambe le presunzioni difficilmente conciliabili con la presunzione d’innocenza.

118 F. MORELLI, L’allentamento delle presunzioni legali e giurisprudenziali, in Le misure cautelari personali nella strategia del “minimo sacrificio necessario”, a cura

Iniziando ad analizzare la presunzione relativa di sussistenza delle esigenze cautelari, essa, com’è ormai noto, comporta che il percorso valutativo, che costituisce la regola generale, viene completamente stravolto: sarà l’imputato a dover dimostrare, in concreto, che non sussistono esigenze cautelari, per poter sfuggire all’applicazione di una misura che, tra l’altro, in alcune circostanze, è obbligatoriamente quella della custodia cautelare in carcere. Da ciò si evince facilmente come, mentre la disciplina generale richiede che, per poter erogare la misura, il giudice debba in concreto valutare che siano riscontrabili esigenze cautelari, in questo caso accade invece che “la misura è

ugualmente adottabile quando i pericula risultino provati, quando sulla loro sussistenza vi sia incertezza, quando manchi qualunque elemento in grado di farne presagire la presenza e ancora quando difettino argomenti capaci di dimostrarne l’assenza, o quelli proposti lascino nel giudice dubbi residui”119. In altre parole, avere elementi che provino l’esistenza di rischi cautelari, non averne, oppure non riuscire a convincere il giudice dell’assenza di tali rischi comporta, dal punto di vista pratico, le stesse identiche conseguenze, e cioè l’applicazione automatica di una misura cautelare; e il peso di tali conseguenze ricade tutto sull’imputato, il quale, per non vedersi ridotto

in vinculis, sarà costretto a dimostrare l’esistenza di un fatto negativo

(l’inesistenza di pericula libertatis), prova di per sé estremamente difficile da fornire, per di più aggravata dalla circostanza che il fatto negativo che bisogna provare, ovvero l’assenza di rischi cautelari, è a sua volta tripartito: in parole povere, per potersi sottrarre a tale presunzione stringente, l’imputato dovrà dimostrare l’inesistenza di rischi di inquinamento probatorio, l’inesistenza del pericolo di fuga, l’inesistenza della possibilità che egli commetta altri reati nelle more del processo, consapevole del fatto che, ove non riesca a dimostrare

119 S. CARNEVALE, I limiti alle presunzioni di adeguatezza, in La riforma delle misure cautelari personali, AA.VV., a cura di L. GIULIANI, G. Giappichelli editore, Torino, 2015.

anche solo uno di tali elementi o laddove il giudice non sia persuaso della sua non pericolosità, gli verrà comminata una restrizione della libertà. Da ciò, è facile comprendere perché, per sconfiggere la presunzione relativa di sussistenza delle esigenze cautelari, occorra una vera e propria probatio diabolica: “è l’imputato a dover provare

come non ci siano ragioni a sostegno della sua restrizione e ciò realizza un’inversione dell’onere probatorio che ben potrebbe determinare limitazioni della libertà personale prive di una finalità legittima, perché si riducono ad un’applicazione anticipata della pena”120 . Quanto appena detto è corroborato, tra l’altro, dalla

circostanza che per evitare l’applicazione della misura, spesso le strategie difensive dell’imputato, più che alla dimostrazione dell’inesistenza di pericula libertatis, sono rivolte alla contestazione della qualificazione giuridica dell’addebito: è così difficile, in concreto, dare prova positiva di un tale fatto negativo tripartito, che risulta più semplice sfuggire al meccanismo presuntivo scardinando un’aggravante o accertando la presenza di un’attenuante121.

La situazione appena esposta, ovviamente, risulta della massima gravità per gli imputati ai quali è contestato uno dei tre reati sottoposti all’automatismo più rigido: per questi ultimi, infatti, saper dimostrare o meno l’insussistenza di rischi cautelari significa, in pratica, riuscire ad evitare il carcere o meno. Per i reati sottoposti, invece, al meccanismo della doppia presunzione relativa per effetto delle sentenze costituzionali prima e della riforma del 2015 poi, il quadro prospettato sembrerebbe ammorbidirsi: a chi fosse imputato per un delitto rientrante in tale meno allarmante novero, infatti, è concessa la possibilità, qualora non riesca a superare la presunzione relativa di

120 F. MORELLI, L’allentamento delle presunzioni legali e giurisprudenziali, in Le misure cautelari personali nella strategia del “minimo sacrificio necessario”, a cura

di D. CHINNICI, Dike Giuridica Editrice, 2015.

121Lo nota S. CARNEVALE, I limiti alle presunzioni di adeguatezza, in La riforma delle misure cautelari personali, AA.VV., a cura di L. GIULIANI, G. Giappichelli editore, Torino, 2015.

sussistenza delle esigenze cautelari, di dimostrare, perlomeno, la possibilità che tali esigenze possano essere efficacemente contenute anche comminando una misura di afflittività inferiore alla custodia carceraria. Tale circostanza sembrerebbe rincuorante, in quanto, anche se la prima presunzione viene a configurarsi come una probatio

diabolica, se non altro in questo caso è possibile evitare, in extremis, il

dispiegamento delle sue più drammatiche conseguenze, cioè l’applicazione automatica della più grave delle misure; tuttavia, questa ricostruzione mostra all’istante i suoi limiti appena ci si discosti da un approccio teorico per guardare al suo lato applicativo. E’ appena il caso di notare, in effetti, come la possibilità di superare la seconda presunzione è inevitabilmente legata a un’analisi puntuale di quali siano le esigenze cautelari del caso concreto: in altre parole, il giudice, per potersi convincere del fatto che i rischi cautelari presenti in quel frangente non richiedano, necessariamente, l’applicazione della custodia in carcere, deve aver esaminato, preliminarmente, quali sono le esigenze cautelari effettivamente presenti, evenienza che, però, è sconfessata dalla struttura stessa del meccanismo legislativo. Com’è possibile ritenere, ad esempio, che l’imputato possa essere efficacemente sorvegliato tramite l’applicazione degli arresti domiciliari, se nessun elemento riguardo l’entità di tali esigenze è stato in prima battuta considerato? “Supporre l’esistenza delle esigenze

cautelari significa pregiudicare sensibilmente la possibilità di rovesciare la presunzione relativa circa l’idoneità della sola custodia carceraria…il giudice non potrà agevolmente dimostrare, sulla scorta degli elementi disponibili, quanto siano idonee anche misure non carcerarie ad assicurare le esigenze recepite nell’art. 274, se alcuna indagine è stata mai condotta su di esse, essendo sostanzialmente affermate in base ad un meccanismo presuntivo”122.

122 F. MORELLI, L’allentamento delle presunzioni legali e giurisprudenziali, in Le misure cautelari personali nella strategia del “minimo sacrificio necessario”, a cura

Da quando emerso in quest’analisi, allora, quelle che vengono dal legislatore identificate come presunzioni relative potrebbero, de facto, tramutarsi in presunzioni quasi assolute: in prima battuta, è affidato all’imputato l’arduo compito di dimostrare l’inesistenza delle tre esigenze cautelari ex art. 274, laddove il percorso valutativo generale impone invece al giudice di ritenerne presente una soltanto; e il mancato superamento di questa ostica presunzione conduce, in alcuni casi, direttamente all’applicazione, ex officio, della custodia in carcere; in altri casi, ad una nuova presunzione fintamente relativa, in quanto, essendo in partenza ritenuti presenti i rischi cautelari, alcuna indagine verrà condotta, in concreto, su di essi, e allora sarà impossibile per il giudice, in assenza di tali elementi, riconoscere la possibilità di evitare la misura carceraria, privilegiando altre misure, giacché non potrà valutare la portata offensiva dei pericula rappresentati, concretamente, dall’imputato. Conseguenze, queste, che mettono seriamente a rischio, ancor di più di quanto rilevato in sede concettuale, la tenuta del sistema e la sua conciliabilità con l’assetto costituzionale e, in particolar modo, con la presunzione d’innocenza: la stessa giurisprudenza costituzionale ha più volte affermato, nelle sentenze citate, che la legittimità delle presunzioni ora considerate è da ritrovarsi proprio nella possibilità, per l’imputato, di fornire la prova contraria rispetto a quanto è presunto sussistente dal legislatore; prova contraria che, come evidenziato, è nella prassi estremamente difficile, se non impossibile, fornire.

Quanto detto, allora, appare ancora più inquietante, nell’ottica garantista, considerando che, a causa dell’iter di svolgimento della macchina processuale in sede cautelare, è effettivamente difficile, per la difesa, portare materialmente all’attenzione del giudice qualsiasi elemento che possa alleggerire la posizione dell’imputato. Innanzitutto, è opportuno porre attenzione alla circostanza che, nelle fasi iniziali del procedimento cautelare, impera il principio della

segretezza dell’indagine: all’inizio, infatti, il giudice ha come referente soltanto il pubblico ministero, e di conseguenza baserà l’ordinanza di applicazione della misura sugli elementi che proprio l’organo dell’accusa avrà rilevato; ora, è vero che, in teoria, il rappresentante dell’accusa dovrebbe portare all’attenzione del giudice anche quegli elementi che vadano a vantaggio dell’imputato, ma, considerando il meccanismo presuntivo operante, è difficile realmente credere che il pubblico ministero intenda sabotare in questo modo il funzionamento della presunzione123; indi per cui, il risultato sarà che, qualsiasi elemento voglia la difesa allegare, sia esso volto a scardinare le presunzioni, sia esso volto a modificare l’addebito contestato all’imputato in modo tale da sfuggire in partenza al meccanismo, tale possibilità potrà efficacemente esperirsi soltanto in un momento comunque successivo all’applicazione della detenzione preventiva ai danni dell’imputato; anzi, è appena il caso di notare come, a causa dei tempi stringenti previsti dalla legge tanto per l’interrogatorio di garanzia quanto per la richiesta di riesame, non è verosimile che la difesa sia pronta, già in queste precoci fasi del procedimento cautelare, a contestare l’applicazione della misura; più facile che riesca a raccogliere elementi significativi e ad allegarli in una richiesta di revoca o di sostituzione della misura applicata, con, tuttavia, un conseguente allungamento del periodo di detenzione preventiva sofferta dall’imputato. Stando così le cose, la presunzione d’innocenza

123Rileva, tuttavia, E. VALENTINI, La domanda cautelare nel sistema delle cautele personali, Bologna, 2012, come, in realtà, la presunzione legislativa è

strutturata in modo tale che, ai fini dell’applicazione della misura cautelare, risultano indifferenti anche gli elementi rilevati dalla pubblica accusa: “ciò che conta è che il

giudice ravvisi le condizioni per il superamento della presunzione; ove la stessa non possa dirsi superata, il giudice dovrà applicare la misura estrema, qualunque fosse il petitum specificato nella domanda del pubblico ministero”. Dello stesso avviso è

F. CENTORAME, Presunzioni di pericolosità e coercizione cautelare, G. Giappichelli Editore, 2016, per la quale “pur trattandosi, con ogni probabilità, di

un’evenienza numericamente irrisoria, è fonte di interesse speculativo l’ipotesi in cui il magistrato dell’accusa, rispetto ad una contestazione cautelare qualificata dal titolo del reato, si determini a richiedere un provvedimento benevolo nei confronti dell’indagato”.

risulta allora massimamente compressa, e vi è chi, in dottrina, suggerisce che per la tenuta costituzionale del sistema sia necessario introdurre, nelle fasi iniziali del procedimento cautelare, forme di contraddittorio anticipato 124 . Tuttavia, un tale ribaltamento del funzionamento generale dell’incidente cautelare non pare auspicabile, a causa delle esigenze di segretezza dell’accusa, volte a salvaguardare il “fattore sorpresa” nell’applicazione della misura stessa, che, se non rispettate, rischiano di inficiare del tutto la possibilità di un intervento efficace e tempestivo; e in particolare, non sembra convincente la posizione per cui, per salvare i meccanismi presuntivi imposti dal legislatore, bisognerebbe stravolgere l’intero iter cautelare, bastando, più ragionevolmente, eliminare proprio quelle stesse presunzioni, evitando cambiamenti eccessivi dal punto di vista dei passaggi procedurali e, finalmente, superando la necessità di prefigurare regimi speciali di ogni sorta, facendo confluire anche questi reati nella disciplina generale e restituendo al giudice la discrezionalità di cui ha bisogno per garantire, ad ogni singolo imputato, un trattamento cautelare personalizzato, nel pieno rispetto, allora sì, della presunzione d’innocenza.

124Per tutti, si veda R. MAGI, Norme processuali, garanzie dell’individuo e custodia cautelare obbligatoria, in Quest. Giust., 2009; è interessante quanto

propone L. GIULIANI, Autodifesa e difesa tecnica nei procedimenti de libertate, G. Giappichelli Editore, 2012, che auspica l’introduzione di un contraddittorio in due tempi: in sede applicativa e in un’udienza successiva, attivabile a richiesta dell’interessato.

CAPITOLO 5: “GLI OBBLIGHI DI STARE”: LE

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