Sotto la specifica voce capacità di autocritica, fortunatamente con
crescenti compagni di avventura, nella comunità penalistica italiana un
ruolo trascinante ha Giovanni Fiandaca.
Nelle sue pagine, si legge non solo disincanto, riprendendo un titolo
della fine degli anni ’90
77, ma anche – ben di più – un’umanissima sof-
ferenza dovuta a una forma di senso di impotenza.
Specialmente in contributi degli ultimi anni, apparsi in particolare su
quella tribuna ispirata e ispirante che è Criminalia, l’autore palermitano
ha saputo ogni volta marcare differenti profili che originano da quel
sentimento di impotenza e da quella sofferenza.
Merita collazionare qui alcuni brani introspettivi e autocritici, per-
ché rare nel panorama complessivo dottrinale sono le messe in pratica
del gramsciano «Voglio che ogni mattina sia per me un capodanno.
Ogni giorno voglio fare i conti con me stesso, e rinnovarmi ogni gior-
no»; concluderò il paragrafo deducendo le conseguenze pertinenti al
metodo della presente ricerca.
In riferimento per esempio ai frequenti strali lanciati contro un legi-
slatore «dilettantesco», apertamente scrive dunque Fiandaca di «super-
bia professorale fuori tempo massimo» quando invece «una parte non
piccola di responsabilità» dell’oggettiva precarietà in cui versa il siste-
ma penale dovrebbe ricadere su una dottrina penalistica inclinante a un
modo di operare «individualistico-solipsistico», ovvero «sempre più
autoreferenziale e sempre meno capace di farsi ascoltare nei circuiti
esterni al dibattito universitario»
78.
77 Cfr. G. FIANDACA, Il sistema penale tra utopia e disincanto, in S. CANESTRARI (a
cura di), Il diritto penale alla svolta di fine millennio, cit., 50-55.
78 G. FIANDACA, Rocco: è plausibile una de-specializzazione della scienza penali-
stica?, cit., 194 e 197; v. già ID., Controllo di razionalità e legislazione penale, in M. BASCIU (a cura di), Diritto penale, controllo di razionalità e garanzie del cittadino.
Atti del XX Congresso Nazionale della Società Italiana di Filosofia Giuridica e Politica
(Verona, 3-5/10/1996), Padova, 1998, 140-141; e, ora, ID., Prima lezione di diritto pe-
nale, cit., 60, 77 e testualmente 193: «È realistico pensare di potere tornare in futuro a svolgere, da studiosi aspiranti a riconquistare il ruolo di intellettuali pubblici, funzioni di élites politico-culturali impegnate a promuovere riforme penali più civili e progredite rispetto al livello di evoluzione che la società nel suo complesso riesca a raggiungere?
A ciò adde una tendenza dottrinale ad affiancare, a indicazioni lode-
volmente analitiche, formulazioni volte invece a «estremizzare per
amor di tesi», mentre poi in ogni caso i dadi della vita pubblica si gio-
cano altrove: non è stato solo un potere giudiziario tentacolare ad allon-
tanare i professori, insieme agli avvocati, dal dibattito pubblico e dai
circuiti della produzione politica ma, si specifica, gli stessi accademici
hanno finito per autoemarginarsi: di qui, la sollecitazione a compiere un
«esame di coscienza»
79.
Se un plausibile motto suona: «rilanciare i grandi principi nello spa-
zio pubblico esterno» (senza tenerli «nel chiuso dei recinti accademi-
ci»), si dovrà però essere consci di come la costruzione di un «sistema
in senso forte» si scontri con l’esistenza di ben quattro culture penali: la
cultura penale dei professori, oggi «carente di una fisionomia identita-
ria», quella di una magistratura a sua volta disomogenea, quella delle
forze politiche e quella della gente comune
80(qui l’implicito auspicio è
che la cultura accademica, senza indulgere a compromessi sui principi
di garanzia individuale, sappia interpretare correttamente le sensibilità
altrui: nell’agorà della pubblica discussione e in sedi istituzionali).
Sempre circa quella che chiamerei questione di efficacia della dot-
trina, fa eco a Fiandaca (e a notazioni di Palazzo riportate nel paragrafo
precedente), oltralpe, Thomas Weigend, osservando che quando
ripiega su posizioni critiche contro un’ipotetica “illiceità” della legisla- zione o della giurisprudenza, la dogmatica mantiene sì la propria purez-
Anche se oggi è forse più ottimistico che realistico pensarlo, impegnarsi nel tentativo di apportare in ogni caso miglioramenti rilevanti al sistema penale vigente è un dovere – prima che scientifico – etico-politico».
79 G. FIANDACA, Populismo politico e populismo giudiziario, in Criminalia, 2013,
98 e 120.
80 Cfr. in questo caso G. FIANDACA, Legislatore e dottrina penalistica: è ancora
possibile un dialogo?, in Criminalia, 2015, 18 e 20. Pone l’indice su come una «situa- zione di conflittualità tra i diversi ‘attori’ del proscenio scientifico-dottrinale [tra “intere ‘scuole’ – e non soltanto singoli autori –”] abbia assunto dei caratteri tali da ostacolare una diretta influenza sulla vicenda normativa» G. DE FRANCESCO, Legislazione, giuri-
za, ma finisce col cedere ad attitudini nostalgiche condannandosi a una sterile protesta81.
Invita ad andare «oltre le passioni tristi» Gabrio Forti, insistendo
sulla «necessità di non arrestarsi alla negatività dell’esistente, ma di
spingersi a esplorarne le cause, ponendosi l’obiettivo di “dare significa-
to all’esperienza” di tale negatività»; in questa chiave, dunque, dovreb-
be essere abbandonato un infruttifero «atteggiamento critico-difensivo,
preoccupato di “bacchettare” le “forze usurpatrici” che minacciano i
sacrosanti diritti di libertà»
82.
In un forum dell’Associazione Italiana dei Professori di Diritto Pe-
nale, incentrato proprio sul simbolismo (e sul populismo), Domenico
Pulitanò scrive di giuristi e penalisti esposti alla «suggestione del pla-
tonismo democratico, dell’idea che il governo competa ai più saggi»
quando invece al raggio d’azione della politica – intesa, si puntualizza,
nel senso nobile del termine – appartengono anche «[r]icerca del con-
senso, attenzione ai giudizi e ai sentimenti della gente, efficacia comu-
nicativa nella rappresentazione di particolari linee politiche». Scelte
politiche fondate su doxa, e non su aletheia, mettono quindi alla prova
la «nostra capacità di dismettere lessico autoreferenziale e presunzioni
di avere la giusta soluzione, e di rendere comprensibili e condivise le
ragioni di un diritto penale extrema ratio»
83.
81 T. WEIGEND, Dove va il diritto penale? Problemi e tendenze evolutive nel XXI
secolo, in Criminalia, 2014, 78.
82 G. FORTI, Le tinte forti del dissenso nel tempo dell’ipercomunicazione pulvisco-
lare. Quale compito per il diritto penale?, in Riv. it. dir. proc. pen., 2016, 1039.
83 D. PULITANÒ, Intervento, in www.penalecontemporaneo.it, 2016, 3 e 7 (dibattito
su La società punitiva. Populismo, diritto penale simbolico e ruolo del penalista); v. anche ID., Riferimenti a valori nel lavoro del giurista, in A. CAVALIERE,C. LONGO-
BARDO,V. MASARONE,F. SCHIAFFO,A. SESSA (a cura di), Politica criminale e cultura
giuspenalistica, cit., 222-223. Sul binomio doxa/aletheia, in dialogo con Pulitanò, ri- flette G. INSOLERA, La produzione del “penale”: tra governo e parlamento maggiorita-
rio, in www.penalecontemporaneo.it, 2016, 2-3. Scrive di «una certa ‘spocchia’ da parte della componente accademica nel gestire i rapporti con la politica» G. DE FRAN- CESCO, Legislazione, giurisprudenza, scienza penale: uno schizzo problematico, cit., 859. Cfr. M. DONINI, Per un codice penale di mille incriminazioni: progetto di depena-
Sotto altro versante Lucia Risicato, nell’introdurre il forum citato, si
chiede se fra le cause di una «deriva populistica imperante» possa an-
noverarsi «un atteggiamento di inerzia, o di rassegnato silenzio, degli
studiosi»; il dubbio pare poi superato dall’autrice, ma non è irrilevante
che sia posto
84.
A sua volta, David Brunelli non rigetta come inspiegabile l’impres-
sione di un «“modello” un po’ logoro», quasi un «gioco di ruolo» o una
«recita» con la quale, senza riuscire davvero a incidere, la dottrina re-
clama dal legislatore un compiuto rispetto dei principi liberali
85; a fron-
te di un dibattito politico-culturale sulla penalità caratterizzato da toni
«liquidi» e relativistici, andranno pertanto moltiplicati gli sforzi: tro-
vando modo di avere più impatto concreto, sempre intingendo la penna
nell’«inchiostro indelebile delle garanzie e dell’eguaglianza dei conso-
ciati»
86.
Ecco, io credo che l’insieme di queste notazioni vada tesaurizzato,
in un duplice senso.
Da un lato infatti questi rilievi (auto)critici per così dire chiudono il
cerchio rispetto alla precedente analisi in tema di “approccio” della dot-
trina al sistema penale-opera collettiva. Se, come abbiamo visto, preva-
le a tutt’oggi un’inclinazione (anche violentemente) critica della com-
ponente accademica verso gli altri formanti (pur dandosi valide ragioni
per uno spirito più cooperativo), coerenza vuole che identico atteggia-
mento critico – anzi, stavolta, autocritico – la dottrina sia capace di
esercitare verso se stessa.
Dall’altro, le riflessioni contenute nel cap. III di questo lavoro (Pars
construens), dove si ragionerà sugli spazi per un accettabile e positivo
simbolismo penale, hanno come presupposto proprio gli insegnamenti
[…] non c’è posto per un qualche Solone. Chi pensa di avere idee forti o conta poco sul piano politico, oppure viene presto addomesticato».
84 L. RISICATO, Introduzione, in www.penalecontemporaneo.it, 2016, 2 (dibattito su
La società punitiva. Populismo, diritto penale simbolico e ruolo del penalista).
85 D. BRUNELLI, Il disastro populistico, cit., 255.
86 D. BRUNELLI, Divagazioni sulle “dimensioni parallele” della responsabilità pe-
nale, tra ansie di giustizia, spinte moralistiche e colpevolezza normativa, in www.pena
lecontemporaneo.it, 2016, 33, negando dunque, non solo per ragioni di identità profes- sionale, che quello accademico rappresenti in ultima analisi «fiero ma sterile atteggia- mento di purezza “ideologica”, in nome di una mitologia cieca ed inconcludente».
di una dottrina flessibile, che sia desiderosa di riflettere su stessa anche
fecondamente “superandosi” o per meglio dire aprendo a profili nuovi o
temporaneamente “dimenticati”, e che non si fermi dunque a una pur
costitutiva pars destruens.
In forza delle premesse poste in questo primo capitolo, l’intero per-
corso di analisi vorrà peraltro essere dialogico (nel significato definito
nei paragrafi precedenti) e autocritico
87.
87 Esercizi di autocritica, in particolare, infra, II.8.3, II.8.4, III.2 sub c) e sub e),