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I L S OBERANO C ONGRESO C ONSTITUYENTE MESSICANO

2. I L C ONGRESSO E A GUSTÍN

Il Congresso dichiarò in un decreto del 21 maggio i motivi che l’avevano spinto a eleggere Iturbide: «las aclamaciones del pueblo, conforme á la voluntad general del Congreso y de la nación»; il rifiuto delle Cortes di Spagna di riconoscere la legittimità del Trattato di Cordoba; la circostanza

103 Cfr. ITURBIDE, Manifiesto… cit., p. 31. Iturbide afferma che i voti a suo favore furono settantasette, aumentando dunque di dieci unità il valore riportato dagli atti; inoltre, in una nota afferma che furono novantaquattro i presenti alla sessione, il che sembrerebbe coerente con quanto solo accennato dagli Actas, che parla di “più di novanta” presenti. Iturbide poi indica in soli due i deputati che si allontanarono al momento della votazione, mentre gli atti del Congresso presuppongono un numero certo maggiore. Altre fonti riportano conteggi diversi: si veda in proposito ROBERTSON,

Iturbide de México… cit., p. 254 – 255 (in nota). In ALAMÁN, Historia de Méjico… cit., V – II, p. 600, si condanna senza appello l’illegalità dell’elezione, facendo presente che il quorum costitutivo dell’assemblea era comunque di centouno deputati: Alamán contava infatti che il Congresso avrebbe dovuto comprendere un totale di duecentodue membri, aggiungendo quindi all’originale valore di centosessantadue, i quaranta rappresentanti del Guatemala. Il problema fondamentale, come si considera in ANNA, El Imperio… cit., p. 81, era però proprio l’insanabile, in quel momento, incertezza sul numero totale dei componenti del Congresso, perché molti non erano stati eletti o comunque non erano ancora arrivati a prendere possesso della carica. È chiaro che, nel dubbio, sarebbe stato meglio evitare potenziali vizi di validità della deliberazione e non procedere alla proclamazione di Iturbide; tuttavia, quel 19 maggio il clima nel salone del Congresso era talmente minaccioso che, come testimoniano i contemporanei, attendere ancora sarebbe stato impossibile.

104 Come si sarebbe deciso il 23 maggio, la formula che avrebbe intitolato i provvedimenti dell’imperatore sarebbe stata «Agustín por la Divina Providencia v por el congreso de la nación, primer emperador constitucional de Méjico»: cfr. ALAMÁN, Historia de Méjico… cit., V – II, p. 609.

per cui, a causa di quello stesso rifiuto, «no obligue su cumplimiento á la nación mexicana, quedando esta en la libertad que el art. 3 de dicho tratado concede al Soberano Congreso constituyente de este imperio para nombrar emperador por la renuncia ó no admisión de los allí llamados». Su questi presupposti, era stato dunque proclamato «D. Agustín de Iturbide, primero de este nombre, bajo las bases proclamadas en el plan de Iguala y aceptadas con generalidad por la nación»105. Il giuramento fu prestato da Iturbide quello stesso giorno: secondo una formula quasi del tutto coincidente con quella dell’art. 173 della Costituzione di Cadice, salvo che per gli indispensabili adattamenti alla situazione messicana e, in particolare, con un riferimento esplicito all’obbligo di osservanza dei decreti del Congresso, Agustín I affermò di non voler essere obbedito nel caso in cui avesse adottato determinazioni contrarie (che sarebbero state nulle e senza alcun valore) agli obblighi appena promessi solennemente. Quindi rivolse un discorso all’assemblea, in cui ripercorreva e giustificava di nuovo i passi dell’indipendenza, soffermandosi sulla logicità originale della chiamata dei Borbone e sulla legittimità della sua elezione, stante il rifiuto della Spagna di riconoscere validità al Trattato di Cordoba; sottolineò poi specialmente la convinzione e la spontaneità del giuramento appena prestato, «acto de reconocimiento á la soberanía de la Nación», e invitò i messicani a “sorvegliare”

105 Cfr. ACC, 21 maggio 1822, p. 308 – 309 S.I. Cfr. il testo del decreto anche nel bando conservato in AGN, Gobernación

sin sección, Caja 50 (40/5 s.s.), esp. 7. Si decise di stralciare dal provvedimento tutte quelle espressioni che avrebbero

potuto far intendere che si era verificata una qualche violenza sul Congresso all’atto dell’elezione. Così, fu solo segnalato che le non meglio precisate “acclamazioni” del pueblo si erano incontrate con la “volontà generale” del Congresso e quella della Nazione (che, in questi termini, suonavano come due cose diverse). Anche il giorno 22, discutendo del tenore del manifesto del Congresso da emanare per celebrare la proclamazione, si dibatté su che profondità dare al resoconto degli avvenimenti del 18 e 19 maggio: in questo senso, il deputato Argandar sottolineò che la pubblicità dei lavori delle autorità era un fondamento principale di ogni sistema liberale. Bisognava sottolineare l’illiberalità del rifiuto, da parte delle Cortes di Madrid, di riconoscere la validità del Trattato di Cordoba: secondo Becerra, membro della commissione che aveva elaborato il manifesto, il documento era teso proprio a sottolineare come la Spagna, appunto, proclamasse i valori liberali solo quando trattava dei propri affari. Cfr. ACC, 22 maggio 1822, pp. 313 – 314 S.I. Da parte sua, la Gaceta

del Gobierno Imperial de México, 24 aprile 1822, pp. 319 e ss., si impegnò immediatamente a dimostrare, attraverso la

pubblicazione di corrispondenze di Jefes Políticos e altri personaggi di alcune delle province più vicine alla capitale, la portata nazionale del consenso («la voluntad es general») all’elezione del Libertador Iturbide.

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la sua condotta106. Altri due proclami, agli «habitantes del Imperio Mexicano»107 e all’«Ejercito»108,

completarono gli adempimenti retorici del nuovo monarca.

L’aver colmato la “falta” dell’imperatore apriva ora nuove questioni sull’ordinamento dello Stato109, in particolare quelle attinenti (soprattutto tenendo presente il modello gaditano) alla disciplina e allo sviluppo di attribuzioni o prerogative regie110. In particolare, le questioni più rilevanti

106 Il discorso di Iturbide al Congresso non brillò per innovatività, se non in alcune note che curiosamente lo contraddistinsero: in particolare, l’imperatore, ripetendo di aver salvato la patria dalla rovina grazie alla sua iniziativa indipendentista e di averle restituito antichi diritti usurpatile da trecento anni di dispotismo, affermava che il principale di quei diritti consisteva nello scegliere «un hombre que puesto a su cabeza la dirigiese, la amase la defendiese; éste el

Príncipe, éstas sus virtudes». Per dar corso a questo giusto diritto, «llamé, no vi otro modo, a reinar en México la dinastía de la segunda rama de Hugo Capeto, con tal de que su advenimiento al trono fuese precedido de la Constitución de la monarquía, así los Padres de la Patria remediarían los inconvenientes que trae consigo poner el Cetro en manos acostumbradas a manejarlo a su placer sin más ley que su antojo, y la Corona en quien tal vez no profesa a los Americanos todo el amor que un Príncipe debe a sus pueblos». Colpisce il riferimento ai Borbone come ramo dei

Capetingi, il che radicava la logicità della loro chiamata sul trono messicano da parte del Libertador nel legame di sangue col Sacro Romano Impero medievale, che ne facevano una delle dinastie più antiche e nobili d’Europa. Solo la chiamata di un membro di quella famiglia «conciliaba la opinión sin constreñir la voluntad de los pueblos». Tuttavia, il rifiuto borbonico aveva “costretto” infine Iturbide ad accettare la corona imperiale, nell’ottica di evitare mali peggiori alla patria. Cfr. il testo in CUEVAS, El Libertador… cit., pp. 346 – 348. Il discorso non è riprodotto integralmente negli atti del Congresso, ma solo riportato in brevi stralci. Curiosamente, secondo questa fonte Iturbide avrebbe pure affermato che, stante il rifiuto della Spagna di riconoscere la validità dei «Tratados de Córdova», questi erano ormai «anulados»: il Congresso si sarebbe così trovato «en plena libertad para escojer la forma de gobierno más adaptable á la nación: que

determinada yá, y designado él por el primer emperador, se sacrificaría gustoso por la felicidad común»; cfr. ACC, 21

maggio 1822, p. 310 S.I. Non sembra però che Iturbide abbia mai affermato, almeno stando alla citata versione del discorso riportata da Cuevas, che coincide con la versione pubblicata dalla Gaceta del Gobierno Imperial de México, 25 maggio 1822, pp. 331 – 334, che il Trattato di Cordoba era stato “annullato” dal rifiuto spagnolo, né tantomeno che, per questo stesso motivo, la forma di governo era in discussione e andava riconfermata dal Congresso. Eppure, la portata dell’affermazione attribuita al nuovo imperatore era notevole, soprattutto se si pensa all’influenza sull’opinione pubblica che avevano gli atti del Congresso. La questione della caducazione integrale del documento di Cordoba avrebbe impegnato l’assemblea proprio di lì a pochi giorni: il 1° giugno, il deputato Portugal avrebbe proposto di eliminare dal giuramento dei deputati la promessa di osservanza del Trattato, ormai non più in vigore; il segretario Rodríguez avrebbe replicato che il Trattato di Cordoba in realtà elencava basi fondamentali («á saber: religión, independencia, unión y

monarquía moderada») che ancora «subsisten». Cfr. (a cura di) BARRAGÁN BARRAGÁN, Actas constitucionales… cit., III, Actas del congreso constituyente mexicano… cit., volume II (da ora, ACC, II), 1º giugno 1822, p. 2.

107 Ricalcando un po’ stancamente i motivi del suo discorso al Congresso, Agustín, come ormai Iturbide “regalmente” si firmava, riconobbe nella sua proclamazione la gratitudine dei messicani nei suoi confronti in quanto «Libertador de la

Nación que la redimió de una opresión de tres siglos»: era infine giunto il momento (per salvare di nuovo la patria) di

accettare «la Diadéma» e la «obediencia» già in passato offertegli in più occasioni dai «Pueblos»; «la Nación así lo ha

querido é Iturbide cede ya á su suprema voluntad después que reconoce que ella se ha explicado no por un movimiento irreflexivo de ciega gratitud, sino con la tendencia forzosa que dirije siempre el voto general á la prosperidad pública».

Cfr. il documento in Gaceta del Gobierno Imperial de México, 24 maggio 1822, p. 328. L’esigenza di far avvertire all’opinione pubblica la piena legittimità della proclamazione appare quasi compulsiva in questi ridondanti proclami. 108 In quest’ultimo proclama Iturbide non rinunciava, pur se ormai imperatore (carica che presentava come il coronamento di una sorta di cursus honorum), a rivolgersi ai soldati col tono di un compagno d’armi, invitando la truppa alla disciplina e all’obbedienza, per evitargli di applicare le “leggi penali” nei confronti dei soldati; cfr. ivi, pp. 330 – 331.

109 Il giorno 20 si erano definiti i passaggi finali del regime di governo provvisorio: fu stabilito che al nuovo monarca sarebbe stato concesso il trattamento di “Maestà Imperiale”, col Congresso che si sarebbe riservato, di lì in avanti, quello di “Soberanía”. Alla risoluzione si opposero con voto particular alcuni deputati, tra cui Guridi y Alcocer, nonostante la disciplina dei trattamenti ricalcasse quella gaditana. Fu anche stabilito che la Reggenza sarebbe rimasta in funzione fino all’insediamento dell’imperatore e che questo avrebbe avuto diritto, quando fosse intervenuto alle sedute del Congresso, al «primer asiento»; non si sarebbe comunque discusso né deliberato in sua presenza. Cfr. ACC, 20 maggio 1822, pp. 302 – 303 S.I.

110 Per la verità, l’iturbidista Covarrubias il 21 maggio (cfr. ACC, 21 maggio 1822, p. 310) aveva curiosamente presentato in tutta fretta una proposta (che chiedeva che si dichiarasse di urgente discussione) per dichiarare «base para la

constitución del imperio» la inamovibilità del Congresso, da rinnovare ogni tre anni nella metà dei componenti tramite

elezioni. Proposta ben strana, specialmente perché avanzata pochi attimi prima del giuramento dell’imperatore (infatti si statuì che non era il momento per la sua discussione, rimandandola alla commissione per lo studio della Costituzione), e soprattutto considerato che proveniva da un personaggio vicino a Iturbide. Se si pensa come, in Spagna, Ferdinando VII

in tal senso furono quelle attinenti alla formazione del Consiglio di Stato e del Tribunale Supremo di Giustizia.

a) Consiglio di Stato

La questione della formazione e nomina di una «junta consultiva de estado» fu ripresa già il 22 maggio: il dibattito però si arenò subito, discutendo sull’opportunità o meno che questo corpo andasse strutturato come il Consiglio di Stato disciplinato dalla Carta di Cadice e se fosse preferibile una sua istituzione provvisoria o solo permanente111. Il giorno 23, Toribio González presentò un progetto incentrato «sobre institución de un senado conservador, de un consejo de estado, tribunal supremo de justicia y organización de ejercito»: nel suo insieme si trattava di un progetto praticamente costituzionale, che fu passato d’urgenza alla commissione per la redazione della Carta112. In effetti, come già si intuiva dalla proposta di González, la questione sull’organo consultivo del monarca si sarebbe intrecciata con quella della configurazione dei poteri e del regime della loro separazione; nulla di più di quanto non si era già verificato a Cadice, quando i pur brevi dibattiti sul Consiglio (il cui ordinamento, nel gennaio 1812, aveva anticipato la promulgazione della Costituzione) avevano toccato anche il tema dello stabilimento di una camera alta, confusa talvolta con lo stesso Consiglio, e il problema del ruolo dell’organo, a metà tra esecutivo e legislativo e con attinenza anche al giudiziario113.

La commissione presentò il suo parere sulla proposta di González già il 25 maggio, con la discussione che fu fissata per il giorno 29114. Il dictamen appoggiava la formazione di un corpo caratterizzato come il Consiglio di Stato gaditano, stabilendone una sezione in via provvisoria che avrebbe poi fornito la base per il definitivo impianto costituzionale dell’organo. La percezione che alcuni deputati avevano del Consiglio era proprio quella di un corpo intermedio, come sintetizzò Covarrubias, il quale lo definì, appunto, «cuerpo intermedio entre los poderes legislativo y ejecutivo», la cui istituzione doveva essere definitiva e non provvisoria. In quest’ultimo senso, Valdés, altro

mal tollerava la sola esistenza della Diputación permanente delle Cortes che funzionava nei periodi in cui queste non erano riunite, sentire l’esigenza di stabilire, all’indomani dell’elezione del primo imperatore, una disposizione con valenza costituzionale per rendere il Congresso permanente, poteva voler dire manifestare una certa preoccupazione per possibili attitudini dispotiche del nuovo monarca.

111 Valdés, come già aveva fatto in occasione della proclamazione dell’imperatore, affermò che non ci sarebbe stato bisogno di interpellare previamente le province sul punto, perché il Congresso già le rappresentava tutte ed aveva pieni poteri per deliberare in materia. Cfr. ACC, 22 maggio 1822, p. 318 S.I.

112 Cfr. ACC, 23 maggio 1822, p. 325 S.I.

113 La potenziale percezione del Consiglio come una camera alta, denunciata da alcuni deputati delle Cortes straordinarie all’inizio del 1812, derivò dalla composizione classista dell’organo e dal numero di membri scelto dalla commissione che stese il progetto di ordinamento dell’organo. Di quella commissione faceva parte il celebre liberale Agustín de Argüelles, che avrebbe convintamente difeso ogni aspetto della concezione progettuale, in nome dell’utilità del Consiglio (di cui comunque si rigettava ogni implicazione funzionale tendente a configurare un bicameralismo) per gli equilibri istituzionali della Monarchia e in particolare per la sua attitudine allo svolgimento di un’autorevole funzione di “sorveglianza” sul re. Sul Consiglio di Stato e i dibattiti sulla istituzione nel gennaio 1812, si vedano F. TOMÁS Y VALIENTE, El Consejo de Estado en la Constitución de 1812, in Revista del Centro de Estudios Constitucionales, n. 21 (maggio – agosto 1995), pp. 9 – 22; M. I. CABRERA, Algunas consideraciones en torno al Consejo de Estado en la

Constitución de 1812, in Revista de Estudios Políticos (Nueva Época), n. 93 (luglio – settembre 1996), pp. 233 – 241; F.

MARTÍNEZ PÉREZ, De la función consultiva y el Consejo de Estado gaditanos, in Historia Contemporánea, n. 33 (2006), pp. 557 – 580. Per la disciplina costituzionale gaditana del Consiglio di Stato, cfr. il Capitolo VII della Constitución

política de la Monarquía… cit., pp. 69 – 72.

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iturbidista, era più incline a ritenere una risoluzione sull’organo esclusivamente provvisoria, in attesa della stesura della Carta: questo deputato interpretava infatti la creazione di un consiglio di Stato come una misura semplicemente anticipatrice della futura configurazione di un corpo intermedio. A tal proposito, fu evidenziato il rischio di una potenziale sovrapposizione tra il ruolo del Consiglio di Stato e quello della «junta de ministros». Florencio Castillo segnalò però che l’amovibilità dei ministri da parte dell’imperatore li rendeva dipendenti dal monarca: sottolineando che tale caratteristica non consentiva certo alla junta de ministros di configurare un corpo intermedio, il deputato così implicitamente inferiva che i membri del Consiglio, qualora lo si fosse designato come corpo intermedio, avrebbero dovuto essere inamovibili. Toribio González fece osservare che un corpo «intermedio y neutro» era necessario per “dirimere” le differenze tra Congresso e Governo; Valdés gli fece acutamente notare che «ningun cuerpo puede llamarse neutro, aunque lo son todos en su caso». Proprio come a Cadice, fu posta anche la questione dell’estrazione sociale e del numero dei componenti, così come quella della responsabilità o meno dei consiglieri, punto su cui emersero pareri contrastanti115.

La discussione fu rimandata al giorno seguente, in cui fu letto il progetto di decreto elaborato dalla commissione116: questo prevedeva la formazione di una sezione di Consiglio di Stato,

«provisional en su instituto», composta da nove individui che avrebbero dovuto godere della «confianza pública», nominati dall’imperatore su proposta del Congresso: l’assemblea avrebbe composto una lista di ventisette potenziali candidati alla carica di consigliere, secondo il tradizionale sistema spagnolo di una terna di candidati per ciascun incarico. Una volta formato, l’organo avrebbe eletto le cariche interne e definito il progetto del proprio regolamento, da sottoporre all’approvazione della stessa rappresentanza nazionale.

Come a Cadice, insomma, il Consiglio era stato concepito come una creatura più o meno diretta del legislativo. Bocanegra propose l’individuazione delle terne di candidati su base provinciale, con un consigliere per ciascuna provincia: proponeva anche di rinominare l’organo come «senado consultivo», perché così si sarebbero contraddistinte con maggiore proprietà anche le sue attribuzioni117. Portugal rafforzò l’argomento del collega, asserendo che una simile soluzione avrebbe

contribuito ad allontanare la percezione di un’eccessiva centralizzazione del governo imperiale, a

115 Valdés, in particolare, sosteneva che far gravare una responsabilità su un organo consultivo, osservare il parere del quale non era né obbligatorio né vincolante per un imperatore a sua volta non responsabile, non aveva alcun senso; Terán temeva le implicazioni negative della irresponsabilità del monarca, soprattutto in tema di veto alle leggi emanate dal Congresso, attribuzione che questo deputato voleva concedere collegialmente al governo e non al solo imperatore affinché l’assemblea non si facesse condizionare dalla «consideración» naturalmente dovuta al monarca una volta che avesse dovuto riconsiderare un provvedimento opposto dall’imperatore. Terán sosteneva di conseguenza la responsabilità nei confronti della Nazione di «todas las personas que rodean al monarca, y tienen parte en el gobierno». Evidentemente, il ragionamento del deputato partiva dal presupposto che un sistema di consiglieri e ministri gravati dal peso della propria responsabilità sarebbe stato più attento a frenare eventuali derive dispotiche dell’imperatore, aiutandolo a gestire con moderazione le sue attribuzioni incidenti sul legislativo; tuttavia, era ugualmente chiaro come sarebbe stata anche la responsabilità o meno dei consiglieri a definire la caratterizzazione o meno del Consiglio di Stato come corpo intermedio o come “semplice” organo ausiliare dell’esecutivo.

116 Cfr. il dibattito del giorno in ACC, 30 maggio 1822, pp. 351 – 360.

117 L’affermazione di Bocanegra (in cui risuonava anche qualche accenno alla composizione del Senato degli Stati Uniti) ricalcava quella del deputato catalano a Cadice, Aner, il quale (senza però venire assecondato) aveva proposto la formazione di un Consiglio composto su base rappresentativa territoriale; cfr. CABRERA, Algunas consideraciones… cit., p. 239. Invece, la fungibilità tra il nome di “senato” e di “Consiglio” era stata avvertita sempre a Cadice dallo stesso Conte di Toreno: cfr. TOMÁS Y VALIENTE, El Consejo de Estado… cit., p. 17. La confusione terminologica era indicativa di qualche indecisione dei deputati gaditani sulla natura e funzioni dell’organo, per la soluzione delle quali non aiutava certo la concezione di una base classista per la sua composizione, che dava al Consiglio un carattere vagamente rappresentativo del vecchio sistema di ordini.

causa delle «disegualdades de hecho que se irían notando, aun cuando se decantasen las de derecho» come era avvenuto durante il regime spagnolo, in cui «jamás pasó esta igualdad de un nombre insignificante»118. Toribio González considerò la composizione provinciale del Consiglio persino compensativa della diseguaglianza rappresentativa delle province nel Congresso119. Il “gaditano” Guridi y Alcocer preferiva rinviare il problema, appellandosi alla provvisorietà del Consiglio. Invece, Becerra scelse di chiarire subito che il principio di uguaglianza non si manifestava certo nel numero di voti espressi dalle province, ma nell’uguaglianza davanti alla legge: i nominati dovevano essere