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I L S OBERANO C ONGRESO C ONSTITUYENTE MESSICANO

1. I L C ONGRESSO E LA R EGGENZA

Non poteva bastare il passaggio di mano del deposito di sovranità dalla Junta provisional al Congresso costituente, per riempire di senso il qualificativo di “soberana” di cui l’assemblea rappresentativa della Nazione si sarebbe fregiata dal 24 febbraio. Il giorno dell’installazione furono dichiarati i principi ispiratori della natura e dell’azione del Congresso e fu sancita la legittimazione all’esercizio del deposito di sovranità: servirono a tale scopo il giuramento dei deputati e una prima deliberazione del costituente sull’estensione delle proprie attribuzioni.

Il giuramento era stato elaborato dalla Junta e comprendeva tre proposizioni, secondo lo schema tradizionale:

¿Juráis defender y conservar la Religión Católica Apostólica Romana sin admitir otra alguna en el Imperio? R. Sí juro.

¿Juráis guardar y hacer guardar religiosamente la independencia de la Nación mexicana? R. Sí juro.

¿Juráis formar la Constitución política de la nación mexicana bajo las bases fundamentales del plan de Iguala y tratado de Córdova, jurados por la Nación, habiéndoos bien y fielmente en el ejercicio del poder que ella os ha conferido, solicitando en todo su mayor prosperidad y engrandecimiento, y estableciendo la separación absoluta del poder legislativo, ejecutivo y judicial, para que nunca puedan reunirse en una sola persona ni corporación? R. Sí juro.

Si así lo hiciereis Dios eterno todopoderoso os ayude, y si nó su Divina Majestad y la Nación os lo demande1.

La formula riproponeva la promessa di fedeltà a Iguala e Cordoba, con le due Garanzie della religione e dell’indipendenza al primo posto e un richiamo più generico alle altre determinazioni dell’ordine super – costituzionale, da tenere presenti nel corso dell’opera costituente. La vincolatività del Plan e del Trattato veniva fatta derivare dal giuramento prestato dalla Nazione, il corpo politico legittimante lo stesso Congresso: perciò, quest’ultimo veniva legato a doppio filo alle disposizioni iturbidistas, precondizioni del nuovo patto sociale messicano, che sostanziavano il «poder» conferito dalla comunità politica ai deputati. Il rapporto tra rappresentati e rappresentanti consentiva alla Nazione (oltre che a Dio) di esigere la responsabilità dei deputati eventualmente incoerenti con la propria promessa solenne: nel giuramento della Junta provisional l’aspetto “laico” dell’esigibilità della promessa era stato invece assente. È interessante l’adozione di espressioni sacrali per caratterizzare l’espletamento della funzione di rappresentanza: dopo la protezione della religione, era stato infatti giurato anche di osservare “religiosamente” l’indipendenza della Nazione.

Al giuramento seguì un breve discorso di Iturbide in qualità di presidente della Reggenza: il Generalissimo esprimeva soddisfazione per la concretizzazione dell’aspettativa primaria del

1 Cfr. l’atto di installazione del Congresso in J. BARRAGÁN BARRAGÁN (a cura di), Actas constitucionales mexicanas

(1821 – 1824), tomo II, Actas del congreso constituyente mexicano – Volumen I (da ora, solo ACC), Universidad Nacional

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movimento dell’indipendenza, ovvero consentire al «pueblo mexicano» di rientrare in possesso dei propri diritti attraverso l’installazione di un Congresso costituente. Iturbide rifiutava di arrogarsi «el pomposo titulo de Libertador de la Patria», pur non rinunciando, comunque, a far notare di «haber colocado a V.M. augusta [il Congresso, per effetto della titolarità del deposito di sovranità, riceveva lo stesso trattamento di “Maestà” goduto dalla Junta] en el sitio donde deben dictarse las mejores leyes». «Por fortuna – concludeva – está uniformado el espíritu de nuestras provincias [che] espontáneamente han sancionado por si mismas las bases de la regeneración, únicas capaces de hacer nuestra felicidad». Se Iturbide rifiutava il titolo di Libertador, dunque, non perdeva però occasione per ribadire di essere l’unico demiurgo dell’impresa indipendentista, definitore delle “basi fondamentali” della “felicità” nazionale, colui che aveva reso possibile l’insediamento dello stesso Congresso: le implicazioni di questi meriti verso la patria puntavano a essere molto più ampie di quelle del “semplice” titolo di Libertador. Iturbide avvertiva però sui pericoli della discordia politica, seminata da «genios turbolentos», che, o perché partigiani del «servilismo» o perché inclinati al «liberalismo exaltado», tentavano di screditare il governo accusandolo rispettivamente di desiderare una deriva democratica (pericolosa per la Religione) o una assolutista: al Congresso spettava dunque consolidare il vincolo politico nazionale, assicurando «el bien preciso de la unión»2. Come si nota

dal lessico usato da Iturbide, tutto, nell’opera istituzionale del Congresso, avrebbe dovuto richiamare il Plan de Iguala, le Garanzie e il Trattato di Cordoba: il percorso dell’esercizio della sovranità era già tracciato e andava solo seguito.

Ritiratesi la Junta e la Reggenza, si elesse il primo presidente dall’assemblea, con la nomina che ricadde in Odoardo; furono quindi individuati i titolari delle altre cariche interne, dal vicepresidente ai segretari. Il Congresso era pronto per le prime, autonome deliberazioni.

Per ordine del presidente Odoardo furono introdotte alcune interrogative:

[si chiese] si se declaraba instalado legítimamente el soberano Congreso constituyente mexicano (…)

Segundo: ¿Si la soberanía reside esencialmente en la Nación mexicana? (…) Tercero: ¿Si la religión católica apostólica romana con exclusión é intolerancia de cualquiera otra, sería la única del estado? (…)

Cuarto: ¿Si se adopta para el gobierno de la nación mexicana la monarquía moderada constitucional? (….)

Quinto: ¿Si se denominará esta monarquía Imperio mexicano, bajo la forma que establezca la constitución que adopte la nación en su congreso constituyente? (…) Se preguntó si se reconocían los llamamientos al trono de los príncipes de la casa de Borbón, conforme al tratado de 24 de agosto de 1821 hecho en la villa de Córdova (…)3.

A ogni quesito seguirono altrettante, unanimi statuizioni positive dell’assemblea. Le proposizioni appena trascritte sono tutte altamente significative: riproducevano infatti i principi di

2 Cfr. il discorso di Iturbide ivi, pp. 2 – 4. Seguì un breve intervento di Fagoaga, deputato del nuovo Congresso e ultimo presidente della Junta Provisional, che segnalava il vantaggio della Nazione messicana nel potersi costituire “liberamente”, senza essere contaminata dai “vizi storici” che affliggevano altri contesti politici sotto forma di «privilegios odiosos, opuestos al bien comun», che sempre erano stati ostacolo alle «reformas saludables», o di «establecimientos góticos, en que el egoísmo y el espíritu de cuerpo entorpece la marcha de las luces y su progresivo

aumento»; cfr. ivi, pp. 5 – 6.

sovranità enunciati dalla Costituzione di Cadice4, oltre a riproporre il principio di intolleranza

religiosa, che pure suonava simile a quello espresso in termini gaditani, prima ancora che iturbidistas (peraltro sostanzialmente equivalenti ai primi)5. Le basi politiche fondamentali della Nazione messicana, in particolare la forma monarchica moderata costituzionale e la chiamata al trono dei Borbone, erano invece ribadite secondo un’obbligata concludenza logica e terminologica con il giuramento appena prestato.

A questo punto però ecco una prima svolta: Fagoaga intervenne per far dichiarare all’assemblea che «la soberanía nacional reside en este Congreso constituyente»: la proposta fu subito approvata. Ne derivò un corollario:

aunque en este Congreso constituyente reside la soberanía, no conviniendo que estén reunidos los tres poderes, se reserva el ejercicio del poder legislativo en toda su extensión, delegando interinamente el poder ejecutivo en las personas que componen la actual regencia, y el judiciario en los tribunales que actualmente existen ó que se nombraren en adelante, quedando uno y otros cuerpos responsables á la nación por el tiempo de su administración, con arreglo á las leyes6.

Dopo una replica dei principi costituzionali gaditani in tema di sovranità, Fagoaga faceva approvare una disposizione che suonava come una sorta di “ritorno alle origini” del movimento liberale spagnolo: infatti, il riferimento della proposta del deputato era direttamente il decreto I delle Cortes extraordinarias del 24 settembre 1810, quello emanato all’atto dell’insediamento dell’assemblea di Cadice. Con una coerenza quasi letterale con quelle disposizioni, si affermava dunque che “la sovranità nazionale” risiedeva nel Congresso7. La statuizione pone però qualche

problema interpretativo. Apparentemente, la proposta di Fagoaga creava un’antinomia rispetto alle precedenti interrogative introdotte dal presidente del Congresso: poteva sembrare come se la sovranità fosse data per residente contemporaneamente nella Nazione e nel suo organo rappresentativo; oppure, come se il Congresso avesse ritrattato la dichiarazione appena resa di essenziale residenza della sovranità nella Nazione, per arrogarsela in esclusiva.

Va premesso che i due prodotti normativi delle Cortes straordinarie di Cadice di cui le risoluzioni del Congresso ripercorrevano il contenuto afferivano a momenti e contesti ben distinti. Il decreto del 24 settembre 1810 perteneva al frangente più rivoluzionario, quello dell’insediamento delle Cortes, in cui l’arrogazione della sovranità nazionale da parte dell’assemblea fu perentoria, non lasciando equivoci sulla “residenza” in essa della sovranità ai fini costituenti; l’art. 3 della

4 Cfr. l’art. 3 della Carta del 1812: «La soberanía reside esencialmente en la Nación…» in Constitución política de la

Monarquía… cit., pp. 4 – 5.

5 Cfr. l’enunciato dell’art. 12 («la religión de la Nación española es y será perpetuamente la católica, apostólica. romana,

única verdadera. La Nación la protege por leyes sabias y justas, y prohíbe el exercicio de qualquiera otra»), ivi, p. 12.

6 Cfr. ACC, atto di installazione del Congresso, pp. 8 – 9. Il corsivo è di chi scrive.

7 La somiglianza di queste proposizioni con alcuni capoversi del decreto del 24 settembre 1810 è presto dimostrata: «Los

diputados que componen este Congreso, y que representan la Nación española, se declaran legítimamente constituidos en Córtes generales y extraordinarias, y que reside en ellas la soberanía nacional (…) No conviniendo queden reunidos el Poder legislativo, el executivo y el judiciario, declaran las Córtes generales y extraordinarias que se reservan el exercicio del Poder legislativo en toda su extensión (…) Las Córtes generales y extraordinarias declaran que las personas en quienes delegaren el Poder executivo, en ausencia de nuestro legítimo Rey el Señor D. Fernando VII, quedan responsables á la Nación por el tiempo de su administración, con arreglo à sus leyes…»; cfr. Colección de los decretos y órdenes que han expedido las Cortes generales y extraordinarias desde su instalación en 24 de setiembre de 1810 hasta igual fecha de 1811. Mandada publicar de orden de las mismas, Imprenta Real, Cadiz 1811, pp. 1 – 2.

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Costituzione del 1812, invece, risaliva alla già avvenuta costituzionalizzazione, quando la sovranità venne riaffermata inequivocabilmente, nella sua “essenza”, in capo alla Nazione. Non fu un caso che la formula dell’art. 3 e il resto della Costituzione “dimenticarono” il concetto della residenza della sovranità nazionale nelle Cortes: il momento costituente, col carico di straordinarietà che aveva qualificato l’assemblea del 1810 – ’11, era terminato e così pure la residenza della sovranità nazionale nelle Cortes; dichiarando che la titolarità della sovranità spettava solo alla Nazione, si ricalibrava il ruolo politico e istituzionale delle Cortes, facendosi presente che, nella dimensione ordinaria del regime costituzionale, la rappresentanza nazionale si sarebbe limitata all’esercizio del legislativo ordinario, così come disciplinato dalla Costituzione nell’ambito del complessivo ordinamento dello Stato8.

Circa dodici anni dopo e a un oceano di distanza, si intraprendeva un percorso apparentemente inverso, rispetto a quello battuto a Cadice: prima si sanciva, per iniziativa del presidente del Congresso, l’essenzialità della sovranità in capo alla Nazione ex art. 3 della Costituzione del 1812 e poi, su proposta di Fagoaga, la residenza della sovranità nazionale nel Congresso ex decreto del 24 settembre 1810. Nonostante questa inversione dei fattori, non sembra che il prodotto delle proposizioni di Odoardo e Fagoaga mirasse comunque a compromettere il principio della residenza “essenziale” della sovranità nella Nazione, sovranità della quale non si discuteva il carattere connaturale alla stessa essenza della comunità politica messicana; piuttosto, la contemporanea sanzione dei due diversi principi gaditani era funzionale a rafforzare, per precisi fini politici, la posizione del Congresso, qualificando ulteriormente la sua figura di “esercente” il deposito di sovranità. Nel contesto messicano, l’aggettivo “nazionale” accanto alla “sovranità” acquisiva un preciso significato: la proposta Fagoaga infatti specificava di individuare nel Congresso la residenza, appunto, della sovranità “nazionale”, non della sovranità “essenziale” che, in quanto tale, radicava naturalmente nella Nazione, come dichiarato su sollecitazione del presidente Odoardo. Se ne concludeva che le due dichiarazioni, lungi dal confliggere (come si era paventato, a suo tempo, a Cadice), nella prospettiva messicana dovevano risultare in un rapporto di logica conseguenzialità.

L’effetto più immediato della residenza nel Congresso della sovranità nazionale, esattamente come nel 1810, doveva essere quello di consentire l’esercizio, da parte dell’organo rappresentativo, della summa dei poteri impliciti nella sovranità: la residenza nello stesso Congresso della pienezza di quegli attributi, già caratterizzante il costituente gaditano del 1810, avrebbe permesso la piena disponibilità dell’ordinamento dei poteri. Dietro questa manovra si celava un preciso fine politico: affermare la primazia incontrastata del Congresso nei confronti della Reggenza, il cui presidente era una figura politica la cui tendenza ipertrofica, nei mesi precedenti, si era già rivelata particolarmente invadente. Soprattutto, Iturbide era un personaggio che aveva ripetutamente dichiarato di essere l’interprete preferito della sovranità nazionale, come del resto il consenso tributato al Plan de Iguala

8 Il percorso che portò dal decreto I alla formulazione dell’art. 3 della Costituzione non fu pacifico e lineare; anzi, costrinse i deputati gaditani ad affrontare alcuni problemi concettuali e di principio, posti dallo stesso tenore del provvedimento del 24 settembre 1810. In particolare, la questione principale verteva su come gestire il dualismo concettuale tra titolarità piena della sovranità da parte del corpo rappresentativo nazionale, che fu indicata alla lunga come accettabile solo in una fase eminentemente e “straordinariamente” costituente (pur con le sue pericolose implicazioni democratico – popolari di stampo rousseauiano), ed esercizio “ordinario” della stessa sovranità, prerogativa di un corpo rappresentativo a partire dall’avvenuta costituzionalizzazione, in cui quel corpo diventava solo una delle istituzioni previste dall’ordinamento dello Stato. Su tale problematica, si vedano, ex multis, VARELA, Teoría del Estado… cit., pp. 78 e ss.; ID., Rey, Corona y

Monarquía en los orígenes del constitucionalismo español: 1808-1814, in Revista de Estudios Políticos (Nueva Época),

aveva secondo lui dimostrato9. Viceversa, facendo risiedere la sovranità nazionale nelle mani del solo

Congresso, i rapporti di forza istituzionali andavano a riconfigurarsi a beneficio dell’assemblea: la modalità di separazione dei poteri, a ben vedere già impostata dal Trattato di Cordoba, diventava frutto di un’ulteriore valutazione di “convenienza” da parte del Congresso, grazie alla residenza in esso della sovranità nazionale. Il costituente, facendo propria la dichiarazione del 1810, “sceglieva” così in piena autonomia di riservarsi l’esercizio del legislativo; concedeva significato al ruolo della Reggenza e dei tribunali solo in quanto propri “delegati” all’esercizio dell’esecutivo e del giudiziario, fissandone la responsabilità davanti alla Nazione per l’uso di quella “delega”. I reggenti e i giudici, come a Cadice, non sarebbero stati altro che semplici funzionari, obbedienti alla sovranità nazionale e la cui condotta sarebbe stata del tutto valutabile dalla Nazione (e cioè, a conti fatti, dal Congresso) secondo un parametro legale oggettivo (del resto, la legge era il canale espressivo naturale della volontà nazionale). È evidente come questa presa di posizione demolisse il principio di separazione dei poteri così come impostato a Iguala e Cordoba, traslando l’origine del loro ordinamento dal mero atto volontaristico di Iturbide e degli iturbidistas a quello, di certo ritenuto più legittimato, della rappresentanza nazionale.

Nonostante l’intuitività dei fini politici di Fagoaga, questa radicalizzazione dell’uso della sovranità nazionale rimontante direttamente al 1810 non lascia indifferenti. Non si può trascurare un aspetto di sostanziale diversità tra il contesto dell’insediamento delle Cortes straordinarie e quello del Congresso messicano del 1822: l’Impero ultramarino, al momento dell’installazione della rappresentanza nazionale, già possedeva una serie di “basi costituzionali” positive e vincolanti, giurate non solo dalla comunità politica nazionale, ma dalla stessa assemblea rappresentativa (oltre che dal suo preteso predecessore nell’esercizio della sovranità nazionale, la Junta provisional); si trattava di un presupposto praticamente inesistente a Cadice. Più specificamente, mentre a Cadice era stato il decreto del 24 settembre 1810 a esplicitare i punti di partenza giuspolitici dell’opera costituente (di per sé potenzialmente illimitata, eppure circoscritta dalle Cortes tramite il “nuovo” giuramento a Ferdinando VII e l’affermazione dell’invalidità delle cessioni di Baiona), in Messico, invece, la configurazione del patto sociale successivo all’indipendenza era già stata effettuata da mesi. La Nazione, appoggiando a partire dal 24 febbraio 1821 il Piano di un personaggio che, interpretandone il “voto generale”, aveva inteso indicarle la strada per conseguire la “felicità”, aveva consumato il momento genetico del sistema politico messicano. Inoltre, e ben più eloquentemente, la sovranità era già ben noto risiedere nella Nazione, perché così affermava lo “spirito” del Plan de Iguala recepito nel Trattato di Cordoba. In linea di principio, dunque, non si avrebbe avuto bisogno di altre esplicazioni, di “prove di forza” da parte della rappresentanza nazionale che attestassero inequivocabilmente la “titolarità” della stessa sovranità da parte della Nazione e l’esercizio degli attributi “legislativi in senso lato” da parte dei suoi rappresentanti. Il Plan de Iguala e il Trattato di Cordoba, in quanto documenti super – costituzionali avevano già fatto gran parte del lavoro che le Cortes gaditane avevano invece ritenuto di dover svolgere attraverso le dichiarazioni del 24 settembre 181010. Paradossalmente, poi, l’ultrattività della Costituzione di Cadice già assicurava un ulteriore

9 La problematicità del rapporto tra costituente e Reggenza e la diffidenza di questa nei confronti dell’“onnipotenza” sovrana delle Cortes era subito emersa anche a Cadice: dal conflitto, la Reggenza sarebbe uscita inevitabilmente perdente. Cfr. sul punto ARTOLA, Orígenes… cit., I, pp. 394 – 397; PORTILLO VALDÉS, Revolución… cit., p. 314 e pp. 343 – 344. 10 Tra i testimoni dell’epoca, pur se non presente all’epoca dell’insediamento del Congresso perché ancora alle Cortes di Madrid, sembra che solo Alamán si pose il problema logico giuridico scaturente dalle dichiarazioni sulla sovranità del Congresso del 24 febbraio: «[quanto statuito dell’assemblea messicana] estaba en contradicción con lo que acababan de

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punto d’appoggio alle corrette dinamiche di esercizio degli attributi della sovranità, che ovviamente i gaditani avevano invece dovuto creare da zero, dalla tabula rasa della Monarchia peninsulare di fronte a cui la Nazione spagnola era stata posta dalla rinuncia dei Borbone e dall’usurpazione di Giuseppe Bonaparte11.

Eppure, Fagoaga, insieme a chi introdusse il corollario sulla separazione dei poteri ad opera del Congresso senza citare nemmeno una virgola del Trattato di Cordoba, non sembrava pensarla così. I rappresentanti messicani non avvertivano alcuna contraddizione nel trovarsi ad agire, allo stesso tempo, secondo un principio di sovranità “costituito” (quello che si evince dalla citazione letterale dell’art. 3 della Costituzione di Cadice) e “costituente” (quello mutuato dal decreto del 24 settembre 1810): non avvertivano, dunque, quella tensione tra principio di residenza della sovranità esclusivamente nella Nazione e titolarità di un “pieno” potere costituente attraverso la residenza nel Congresso della sovranità nazionale, che a Cadice fu risolta solo dalla “chiusura” della fase costituente straordinaria12. Il Congresso messicano era per ora troppo interessato a liberarsi, per quanto possibile, degli stretti vincoli operativi in cui l’aveva confinato l’impresa iturbidista, già di per sé espressione di una sovranità costituente. Ciò, anche a costo di dover riscrivere alcuni postulati di quell’impresa, come nel caso, appunto, dell’avocazione dell’“intera estensione” del legislativo: come detto, la disponibilità della sovranità nelle mani del Congresso si arrogava la separazione e configurazione dei poteri secondo il criterio di “convenienza” stabilito dal decreto del 1810, non più secondo l’art. 14 del Trattato di Cordoba, che pure, ispirandosi ideologicamente all’esperienza gaditana, lasciava il “legislativo” in mano all’assemblea messicana13.

se habían obligado, no solo á separar, sino á impedir que pudieran reunirse en una persona o corporación: pero todo esto procedía del concepto equivocado de que nada había establecido en la nación, que esta se hallaba en el estado en que los escritores sistemáticos figuran que salieron los pueblos de manos de la naturaleza, y que se iba á originar un