L A N UOVA S PAGNA TRA REGIME COSTITUZIONALE E INSURREZIONE ITURBIDISTA
3. L A LEGALITÀ COSTITUZIONALE IN N UOVA S PAGNA ALLA PROVA DELLA RIVOLUZIONE D ’ INDIPENDENZA
Quando, il 27 febbraio 1821, fu recapitato a Juan Ruiz de Apodaca, Conte di Venadito, un plico indirizzatogli da Agustín de Iturbide, il viceré già ne immaginava il contenuto: le voci secondo cui Iturbide aveva tradito il governo spagnolo e proclamato l’indipendenza della Nuova Spagna si rincorrevano insistenti, arrivando fino a Città del Messico. Il Venadito non volle però nemmeno aprire il fascicolo, che si componeva di tre documenti (il testo del Plan, una corrispondenza ufficiale e una privata73). Il plico rimase però sigillato fino al 5 marzo, quando fu finalmente aperto nel corso di una
Junta de Guerra che riuniva le massime personalità militari della provincia di Nuova Spagna, allo scopo di progettare una reazione efficace alla nuova rivoluzione74. Fu data lettura solo al testo del Plan de Iguala e alla parte privata della corrispondenza. I presenti concordarono nel dichiarare l’incostituzionalità del progetto iturbidista e prepararono un piano di difesa militare della capitale75.
contatti è incerta. Su questa fase, in cui Iturbide cercò di assicurare alla causa indipendentista il favore degli ufficiali più importanti, cfr. MORENO GUTIÉRREZ, La trigarancia… cit., pp. 152 e ss.
71 Cfr. Iturbide a Negrete, in BUSTAMANTE, Cuadro Histórico… cit., V, pp. 141 – 142. Il corsivo è di chi scrive. La lettera citata non riporta data, ma dal suo contenuto si deduce che è l’ultima di tre missive (le precedenti erano rispettivamente del 25 gennaio e del 5 febbraio, in cui già Iturbide metteva l’amico al corrente del progetto indipendentista) e che fu scritta sicuramente prima della firma del Plan. CUEVAS, El Libertador… cit., p. 182, propone una datazione della lettera al 22 febbraio 1821. Inoltre, lo stesso autore pubblica proprio il testo della missiva del 25 gennaio precedente, in cui Iturbide, annunciando la vicinanza del «día grande», si diceva sicuro dell’esito positivo del Plan perché «meditado» e appoggiato «sin enmienda» da amici importanti, talentuosi e risoluti. Cfr. Ivi, p. 175 – 176.
72 Cfr. ivi, p. 143.
73 In BUSTAMANTE, Cuadro Historico... cit., V, pp. 119 – 126, si riproducono i testi delle missive indirizzate da Iturbide ad Apodaca il 24 febbraio 1821. Sul contenuto della corrispondenza ci si soffermerà in seguito, al momento di commentare l’articolato del Plan de Iguala.
74 La composizione dell’organo in DELGADO, El Conde del Venadito… cit., p. 959.
75 Apodaca si era rifiutato in un primo momento di leggere la lettera a lui indirizzata a titolo privato da Iturbide, ma accettò di farlo a beneficio della Junta. Cfr. gli atti dei lavori dell’organo ivi, p. 964.
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Nonostante l’evidente criticità della situazione, il governo vicereale tenne ancora a lungo, soprattutto nella capitale e dintorni; al contrario, nelle province più lontane, gli uomini fedeli a Iturbide già si stavano muovendo per prendere il controllo delle istituzioni, contando via via sull’appoggio di altri alleati potenti, che il colonnello continuava ad acquistare al suo progetto. Fu il caso, ad esempio, del vescovo di Guadalajara Cabañas76 che, considerata l’applicazione dei decreti anticlericali in Nuova Spagna77 e le promesse solenni di Iturbide per una conservazione della religione
«pura y sin mezcla» nel Messico indipendente, non ebbe esitazioni ad aderire all’indipendenza78. In effetti, era stata proprio la diligente esecuzione, a partire dal 25 gennaio, dei provvedimenti sulla materia ecclesiastica da parte del Conte del Venadito, a funzionare da grimaldello per scardinare ogni eventuale, residua indecisione delle masse nei confronti del movimento indipendentista. Il racconto di quanto accadde a Puebla, diocesi del controverso vescovo Antonio Pérez, è di per sé eloquente in tal senso.
Già da tempo correvano voci su condotte anticostituzionali dell’alto prelato: il 31 gennaio Apodaca aveva avvertito il ministro per l’Oltremare del rischio di sovversioni nella provincia poblana, fondate sul rigetto dei decreti anticlericali delle Cortes da parte dell’alte gerarchie ecclesiastiche, come del clero minuto. Raccontava il viceré che la voce secondo cui le Cortes avevano dato ordine di rimuovere Pérez dalla sua sede, in quanto membro del gruppo dei famigerati Persas, aveva causato inquietudine in tutta la comunità: Apodaca si era quindi visto costretto a disapplicare quella misura79. Lo stesso Pérez aveva informato, il 24 gennaio, che si stava preparando persino una cospirazione repubblicana per il mese di marzo; il vescovo però, tentando evidentemente di alleggerire la propria oscura fama di assolutista, ribadiva la necessità di preservare il legame costituzionale tra Nuovo e Vecchio Mondo80. Dopo la proclamazione del Plan de Iguala, il 28 febbraio Pérez scrisse ad Apodaca che Iturbide aveva cercato di convincerlo a passare dalla parte degli indipendentisti, ma che lui aveva rifiutato81. Il fanatismo religioso popolare, identificando le Cortes con un’assemblea di empi82, stava comunque volgendo le masse sempre più a favore
dell’indipendenza. L’11 aprile, una sommossa sarebbe stata contenuta a fatica dalle truppe di stanza a Puebla, poiché la turba, gridando all’indipendenza, avrebbe di nuovo dato per certo che il vescovo, intanto scappato in un piccolo centro vicino, era stato rimosso dalla diocesi. Ripristinata la calma, le
76 Cabañas nelle settimane precedenti aveva già donato a Iturbide un’ingente somma di denaro: tuttavia, secondo ALAMÁN, Historia de Méjico… cit., V – I, p. 127, il vescovo allora non era a conoscenza del Piano, per cui dovette donare il patrimonio convinto che servisse per la campagna contro i ribelli.
77 Quando si ebbe notizia ufficiale dei decreti anticlericali, l’alto prelato li condannò senza appello: cfr. HAMNETT,
Revolución y contrarrevolución… cit., p. 296.
78 Cfr. il testo della lettera di Iturbide a Cabañas in BUSTAMANTE, Cuadro Historico... cit., V, pp. 135 – 136; in quest’opera, la missiva è priva di data, ma in RODRÍGUEZ, Nosotros somos… cit., II, p. 499, la si colloca al 27 febbraio
1821. Come si fa causticamente notare in ALAMÁN, Historia de Méjico… cit., V – I, p. 124, Iturbide stavolta, nella corrispondenza col vescovo, pareva descriversi come un «cruzado que iba á combatir por la fé».
79 HAMNETT, Revolución y contrarrevolución… cit., pp. 298 – 299. Sulla vicenda, si veda anche ALAMÁN, Historia de
Méjico… cit., V – I, pp. 58 – 59; qui la corrispondenza di Apodaca con Madrid viene datata al 21 gennaio, cosa che si
ritiene dovuta ad un banale refuso, in conseguenza delle evidenze archivistiche che Hamnett apporta. Alamán aggiunge che il Consiglio di Stato si occupò della questione, non approvando, in linea di principio, la condotta di Apodaca. 80 Pérez riteneva che le voci sul complotto repubblicano derivassero da una distorsione delle notizie sul piano americano che si stava per proporre alle Cortes, sulla creazione di una “reggenza” indipendente in Messico: si veda HAMNETT,
Revolución y contrarrevolución… cit., p. 299.
81 PÉREZ MEMEN, El episcopado y la independencia… cit., p. 156. 82 ALAMÁN, Historia de Méjico… cit., V – I, p. 59.
autorità civili costrinsero Pérez a rientrare a Puebla e a pronunciarsi in favore del regime costituzionale; egli non avrebbe comunque tardato, di lì a poco, ad abbracciare il Plan de Iguala83. Di fronte ad un simile, sempre più caotico quadro, Apodaca, che intanto, dal 14 febbraio, dopo quello sui gesuiti aveva cominciato a porre in esecuzione anche il decreto sulla soppressione degli ordini monastici e ospedalieri, il 15 marzo sarebbe stato costretto a comunicare al Ministro de Ultramar che avrebbe sospeso la circolazione di quel provvedimento, poiché rischiava solo di aumentare il favore nei confronti dell’impresa di Iturbide84.
Come si vede, fu la delicata questione ecclesiastica a determinare i primi casi di disapplicazione del regime legale (e quindi di violazione costituzionale, in quanto l’antica pratica derogatoria della legge regia non era più contemplata dalla Carta) in Nuova Spagna.
Il 3 marzo 1821 Apodaca emanò un proclama in cui, in qualità di «Virey, Capitán General y Jefe Superior Político de esta Nueva España, encargado estrechamente bajo mi responsabilidad por la Constitución, las Leyes y el Rey de procurar[…] el bien, y de conservar vuestra libertad civil e individual», invitava gli abitanti della Città del Messico a non seguire «los planes subversivos» di Iturbide85, che infrangevano «lo establecido entre otros muchos artículos por el 10 capitulo 1° titulo 2° de la Constitución de la Monarquía Española, cuya observancia acabamos de jurar»;
[…] y por tanto manteneos unidos estrecha y cordialmente a vuestro Gefe, así como lo están el M. R. Arzobispo, el venerable Deán y Cabildo de la Santa Iglesia, la Audiencia territorial, la Diputación Provincial, el Ilustre Ayuntamiento de esta capital, los Generales, Gefes, Oficiales y tropa del Ejército Nacional que se halla bajo mi mando y cuantos en esta ciudad y en las demás provincias conocen sus deberes y verdaderos intereses86.
83 PÉREZ MEMEN, El episcopado y la independencia… cit., p. 156.
84 Cfr. Apodaca al ministro Porcel, 14 febbraio 1821 e 15 marzo 1821, in AGN, Justicia y negocios eclesiasticos, Justicia, vol. 1 exp. 29, fol. 6 (retro) - 9. Le circolari alle varie istituzioni locali per l’applicazione del decreto sugli ordini monastici furono inoltrate a partire dal 26 febbraio, come dichiarava lo stesso Venadito e come testimonia il documento indirizzato all’alcalde constitucional di Zacatecas (nella diocesi di Guadalajara) custodito ivi, fol. 29 - 32. La disapplicazione dei decreti anticlericali dovette essere pure incentivata dalla lettura di esposti in cui si accusava Iturbide di propagandare il suo Plan servendosi della questione religiosa. Si notino in particolare gli scritti di due privati, tali Manuel Zavala e Manuel José Rodríguez. Il primo, descrivendosi come «amante a mi Patria», esponeva ad Apodaca che la ragione fondamentale del consenso all’insurrezione di Iturbide era la soppressione degli ordini religiosi, a causa dei quali «casi todo el pueblo
está en su favor por el engaño con que ha tratado de seducirlo»; l’insorto, diceva Zavala, prometteva di ripristinare quegli
ordini, per cui, concludeva, solo adottando per primo una simile risoluzione il viceré avrebbe accontentato il popolo e «frustrado los iniquos planes de Iturvide». Il secondo (che dal tenore dello scritto si intuisce essere abitante di Città del Messico), rivolgendosi alla Junta de Guerra in quanto «amante a su Catolico Monarca el Sor. Dn Fernando 7°», pure
avvertiva sul fatto che Iturbide fosse riuscito a toccare nel profondo il sentimento religioso del popolo “disgustato” dai decreti anticlericali, cosicché «empezó a fomentarse de tal modo su iniquo proyecto de independencia que lo que en once
años que duró la destructora pasada guerra no se vio lo que á hora»; il popolo, proseguiva, pretendeva solo il
ristabilimento di quei religiosi, «por lo muy útiles que han sido á todo el Reino y por que solo en esta capitalse ven privados de ellos pues en las demás provincias donde los ay aún subsisten por que el mismo Pueblo no dejo que se extinguieran». Anche questi documenti sono conservati ivi, fol. 274 e ss.
85 Si trattava dunque della presa di posizione definitiva, da parte del viceré, nei confronti dell’insurrezione. Iturbide non esitò a comunicarla a Guerrero, il 6 marzo: il ribelle che si mostrò evidentemente soddisfatto di non doversi trovare dalla parte degli indipendentisti persino Apodaca. Il 9 marzo scriveva a Iturbide: «Inesplicabile es el gozo que tuve al recibir
la última de V. S. fechada 6 del corriente, y con ella la proclama del señor Virrey, cuyo lenguaje acredita su obstinación contra el benéfico plan de la independencia, al mismo tiempo que manifiesta su temor por la humillación con que habla al pueblo; sin duda porque conoce su opinión tan decidida. Todo entiendo está a nuestro favor, y creo como seguro nuestro triunfo». Cfr. Guerrero a Iturbide in AGN, Instituciones Coloniales, Indiferente de Guerra, vol. 106, fol. 32 (retro)
– 33.
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Non a caso il Venadito elencava le istituzioni che ancora gli assicuravano fedeltà e collaborazione: per scongiurare una deriva indipendentista proprio nel centro del potere dell’ex vicereame, era necessario mostrare la coesione del legittimo governo nel sostenere il regime costituzionale, che grazie alle garanzie individuali e all’ordinamento istituzionale avrebbe di per sé provveduto a proteggere la comunità dalla pericolosa sedizione.
L’arcivescovo Fonte, che non si fece lusingare dalla lettera indirizzatagli da Iturbide il 27 febbraio87, il 2 marzo scrisse al Venadito per assicurare la sua fedeltà al “governo legittimo”; il giorno 3, con una circolare invitò il clero del sud affinché esortasse i fedeli a rigettare il Piano emancipatore e il giorno 19, in un altro documento rivolto stavolta all’intera arcidiocesi, predicava di non abbracciare la rivoluzione e l’anarchia che ne derivava, biasimava i vescovi che sembrava vi avessero già aderito e invitava al rispetto del legittimo governo costituzionale88.
Anche l’ayuntamiento constitucional capitolino diffuse il 3 marzo un proclama agli abitanti della capitale, affinché essi si stringessero intorno alla Carta e alle sue istituzioni:
Mejicanos […] vuestro Ayuntamiento […] sabrá resistir […] los ataques é intrigas del servil despotismo, y las seducciones de la anarquía, para que vuestros derechos no sean ni hollados, ni invadidos […] CONSTITUCIÓN, fidelidad á nuestro Rey constitucional, fraternidad y paz, sean las únicas voces que se oigan salir de vuestros lábios, y las solas imágenes que halaguen a vuestro corazón. A ello os obliga la inmaculada religión que os profesáis […] á esto os convida vuestro propio interés ben entendido: y esto, en fin, os aconseja una corporación toda vuestra […]89.
La diputación provincial, invece, avuta notizia da Apodaca, tra il 1° e il 2 marzo, dell’avvenuta insurrezione iturbidista, censurò il Plan de Iguala e offrì collaborazione istituzionale nei limiti delle proprie attribuzioni costituzionali, pur rimproverando al Venadito di non essere stata informata per prima del grave accaduto90.
Per quanto invece riguardava l’esercito, la questione era più complessa. Nonostante le pubbliche manifestazioni di lealtà costituzionale da parte di diversi corpi d’armata, specialmente peninsulari91, il maresciallo di campo Francisco Novella, subinspector general de los Cuerpos de Artilleria e già nella Junta de Guerra, l’8 marzo emanò a propria volta un proclama in cui di fatto
87 A questo proposito, fu forse un errore “tattico” del colonnello escludere l’arcivescovo dalla composizione degli organi provvisori dell’Impero messicano: nonostante le scuse esplicite di Iturbide in proposito e la giustificazione di tale risoluzione con motivi di opportunità politica, la circostanza non dovette certo orientare Fonte ad appoggiare il Plan de
Iguala. Cfr. il testo della lettera in BUSTAMANTE, Cuadro Historico... cit., V, pp. 134 – 135. 88 PÉREZ MEMEN, El episcopado y la independencia… cit., pp. 176 – 178.
89 El Ayuntamiento de Méjico á su fidelísimo vecindario, in AGN, Instituciones coloniales, Impresos oficiales, vol. 44, fol. 112 – 113. Il maisucolo appartiene al testo originale, mentre il corsivo è di chi scrive. In ANNA, La caída del gobierno
español… cit., p. 231, si evidenzia come l’ayuntamiento rispose soltanto parzialmente alla sollecitazione di Apodaca per
l’approntamento di difese militari, concentrando piuttosto la sua strategia difensiva sulla propaganda costituzionale. 90 Cfr. BENSON, La diputación provincial… cit., pp. 74 – 75.
91 Si prendano ad esempio Los escuadrones de Dragones del Rey en México, a la proclama del Excmo. Sr. Virey de este
reino Conte del Venadito de 3 del presente; Oficio del teniente coronel graduado D. Andrés Martínez dirigido al Excmo. Sr. Virey; El Regimiento de Don Carlos expedicionario á los habitantes de Nueva España; Proclama (a firma del sergente
maggiore della guarnigione di Città del Messico, José Mendivil) tutti in AGN, Instituciones coloniales, Impresos oficiales, vol. 44, fol. 144; 150; 161; 169. Si tratta di tutti documenti emanati e fatti circolare nei primi venti giorni di marzo, evidentemente per informare la cittadinanza sulla compattezza delle forze armate e scoraggiare così i ribelli da quell’attacco sulla capitale che Iturbide aveva predetto al Venadito.
metteva in dubbio l’efficacia della “linea morbida” (ovvero, costituzionale) tenuta da Apodaca nel governo della Nuova Spagna, addebitandole la colpa dell’insurrezione indipendentista. Il rifiuto di partire all’attacco degli insorti e la parallela strategia di accumulare truppe nella capitale in vista di un assedio, alla lunga avrebbe screditato il viceré agli occhi dei quadri militari92. Tuttavia, almeno fino alla fine di maggio, la continuità della vita istituzionale, nella corretta esplicazione del regime costituzionale, ancora costituì il punto di riferimento della politica di governo di Apodaca: prova di ciò fu la celebrazione, il 10 marzo, delle elezioni per la legislatura delle Cortes del 1822 – ’2393.
Col passare delle settimane, l’ordine pubblico e la fedeltà dei soldati regi venivano messi sempre più a dura prova dalla propaganda indipendentista: la circolazione di copie stampate del Plan de Iguala era capillare e si temevano numerose diserzioni, proprio come nelle province. Il 31 maggio, Apodaca rivelò all’ayuntamiento capitolino di aver subito pressioni da parte degli ufficiali per la sospensione della libertà di stampa, misura che però assicurava di non voler protrarre per più di un mese; l’organo subito manifestò la propria contrarietà all’iniziativa, chiarendo che nessuna autorità aveva il potere di sospendere la vigenza del regime costituzionale94. Lo stesso giorno, il Venadito convocò anche una seduta straordinaria della diputación provincial (che, si ricordi, presiedeva in quanto jefe político superior), nella quale tentò di imporre la stessa determinazione, sostanziandola nel disposto dell’art. 170 della Costituzione95; tuttavia, anche la deputazione si dimostrò del tutto
contraria, ritenendo la libertà di stampa connaturale alla Carta e che un’azione anticostituzionale potesse risultare persino controproducente per il governo legittimo96.
Tuttavia, in questa fase Apodaca ritenne di dover insistere nell’adozione di misure emergenziali, di dubbia legalità, al contempo invocando paradossalmente il dettato costituzionale. Fu il caso, il 1° giugno 1821, dell’imposizione della leva militare obbligatoria, secondo il Venadito “giustificata” dagli artt. 8 e 9 della Costituzione (art. 1)97, per quanto invece molto più probabilmente
92 ANNA, La caída del gobierno español… cit., pp. 229 – 230. 93 Ivi, p. 232.
94 Ivi, p. 233.
95 «La potestad de hacer executar las leyes reside exclusivamente en el Rey, y su autoridad se extiende á todo quanto
conduce á la conservación del orden público en lo interior, y á la seguridad del Estado en lo exterior, conforme á la Constitución y á las leyes»: cfr. Constitución Política de la Monarquía… cit., pp. 51 – 52. Evidentemente Apodaca
riteneva, per analogia col proprio ruolo, di poter esercitare le attribuzioni del re in materia di ordine pubblico e sicurezza dello Stato, per quanto gli sfuggisse (o trascurasse deliberatamente) che ciò andasse comunque fatto secundum legem. 96 Cfr. BENSON, La diputación provincial… cit., p. 75. Si noti la perseveranza nell’interpretazione “costituzionalmente orientata” del proprio ruolo da parte della diputación e il conseguente, fermo rifiuto di violare il dettato fondamentale: «la Constitución – faceva presente l’organo – ordena en el párrafo 9° del artículo 335 “Que las diputaciones den parte
a las Cortes de las infracciones que se noten en las provincias”. ¿Y cómo desempeñaría esta semejante obligación, no solo callando, sino influyendo en una expresa infracción?». La percezione del principio di legalità costituzionale e del
proprio ruolo istituzionale da parte della deputazione si rivela essere ben differente da quella di Apodaca. Cfr. C. HERREDÓN PEREDO (a cura di), La Diputación Provincial de Nueva España. Actas de sesiones 1820 – 1821, vol. I, El Colegio Mexiquense – El Colegio de Michoacán – Instituto de Investigaciones Dr. José María Luis Mora, Città del Messico – Zamora 2007 (2a edizione), pp. 343 – 345.
97 Cfr. il testo del bando in AGN, Instituciones coloniales, Impresos oficiales, vol. 44, fol 63 e ss. Apodaca sapeva di non stare rispettando appieno il dettato fondamentale. La leva veniva imposta dal bando «teniendo en consideración lo que
previenen los artículos 8 y 9», ma più ancora «la fidelidad y el patriotismo de los fieles Españoles de ambos hemisferios que se hallan en esta capital». Ora, si consideri che l’art. 9 della Costituzione, in particolare, recitava: «está […] obligado todo español á defender la patria con las armas, quando sea llamado por la ley»: cfr. Constitución Política de la Monarquía… cit., p. 6. Ebbene, il bando di Apodaca non era certo un provvedimento con forza di legge, che potevano
emanare solo le Cortes; nello stesso documento, poi, non si richiamavano altre fonti ordinarie con cui sostanziare la coscrizione. Ne derivava che i richiami agli articoli della Costituzione erano solo, e del tutto consapevolmente, orientativi, venendo “completati” piuttosto dal sentimento religioso e patriottico, nonché dalla vincolatività sacra del giuramento di fedeltà alla Carta, tutti elementi cui del resto si appellava anche il preambolo del bando.
71
imposta dalle diserzioni continue e dall’insuccesso di più morbide iniziative di reclutamento adottate nei mesi precedenti98.