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L'eccessiva onerosità sopravvenuta e il contratto aleatorio

Nel documento Sopravvenienze e contratto di appalto (pagine 52-56)

L’art. 1664 c.c., che prevede la possibilità che l’appaltatore possa chiedere la revisione del prezzo qualora eventi imprevedibili95 determinino il prodursi di aumenti o diminuzioni del prezzo dei materiali o anche in caso di difficoltà di esecuzione, è stato letto come un’eccezione all’art. 1467 che accorda invece la possibilità di chiedere la risoluzione del contratto alla parte contrattuale la cui prestazione, da misurarsi in relazione alla controprestazione stabilita dal negozio giuridico venutosi a formare, sia divenuta, per motivi straordinari e imprevedibili, eccessivamente onerosa. L’art. 1467 c.c. predispone il rimedio della risoluzione evitabile mediante offerta di riconduzione ad equità e quindi prevede la possibilità di mantenere in vita il contratto modificato. Attraverso la previsione di un obbligo di adeguamento del contratto, invece, il legislatore individua un diverso punto di equilibrio tra l’interesse alla completa esecuzione del rapporto e l’esigenza di non dover eseguire prestazioni più gravose di quelle originariamente programmate.

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Rientrando l’appalto nello schema generale della locatio operis è normalmente stipulato intuitus personae e quindi la modificazione dell’obbligazione per quanto riguarda il soggetto passivo non è affatto indifferente Cass. 14 aprile 1942 n. 963 in Mass. foro it. 1942

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Soffermandosi sul requisito soggettivo dell’imprevedibilità della prestazione, ascrivibile agli accadimenti rientranti nell’alea normale del contratto, la Corte di cassazione esclude la risoluzione del contratto per eccessiva onerosità se l’imprevedibilità di tale prestazione è ascrivibile ai normali accadimenti rientranti nell’alea del contratto, in Cass. civile, Sez. III, 19 ottobre 2006, n. 22396, in i contratti 6/2007.

La soluzione96 si giustifica in ragione delle peculiari caratteristiche del contratto di appalto e in particolare sulla base dell’esigenza di limitare la dispersione degli investimenti e delle energie profuse dall’appaltatore nell’organizzazione e nell’esecuzione del contratto. In effetti la previsione di un obbligo di adeguamento del contratto in luogo del generale rimedio della risoluzione97 evitabile mediante offerta di riconduzione ad equità conduce nella maggior parte dei casi a soluzioni appaganti sia per l’appaltatore – il quale, in ragione degli investimenti affrontati e dell’organizzazione predisposta in funzione dell’esecuzione, ha in genere un forte interesse a mantenere in vita il contratto adeguatamente modificato evitandone la risoluzione – sia per il committente, che in caso di risoluzione, si vedrebbe costretto a ricercare un nuovo appaltatore per portare a termine l’opera desiderata e quindi a dover comunque affrontare uno sforzo economico che, in considerazione dell’aumento dei costi di esecuzione, risulterebbe con ogni probabilità superiore rispetto a quello originariamente programmato. È anche possibile, tuttavia che in alcune ipotesi tanto per l’appaltatore quanto per il committente possa risultare più opportuno fare ricorso al rimedio generale della risoluzione evitabile mediante offerta di riconduzione ad equità in luogo di quello speciale dell’adeguamento automatico. Lo sbilanciamento registratosi – precisa la normativa – vale in riferimento ai soli contratti a esecuzione periodica o continuata (tipico esempio: il contratto di somministrazione) ovvero a esecuzione differita (es. l'appalto), applicandosi, per i contratti commutativi (il principe dei quali è il contratto di compravendita) la disciplina positiva generale, che prevede l'integrale addossamento degli oneri derivanti dall'impossibilità sopravvenuta della prestazione - pur se discendente da

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In effetti, la circostanza che l’alea normale in materia d’appalto sia quantificata legislativamente nella misura del dieci per cento “è dato meramente accidentale, riferito verosimilmente ai presunti utili d’impresa, e non generalizzabile”. Cagnasso, Appalto e sopravvenienza contrattuale. Contributo a una revisione della dottrina della eccessiva onerosità, Giuffrè, Milano 1979.

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D’altronde la giurisprudenza , (Cass. civile, Sez. III, 19 ottobre 2006, n. 22396 cit.) esclude la risoluzione per eccessiva onerosità, se le parti hanno contrattualmente inserito una clausola in base alla quale si riconosceva un margine di rischio sul possibile verificarsi di un determinato evento, obbligandosi ugualmente ad eseguire la prestazione.

L’inserimento di un elemento di incertezza in ordine alla modalità di esecuzione della prestazione comporta l’assunzione convenzionale di un rischio particolare, con l’effetto di non ammettere la disciplina dettata in tema di risoluzione per eccessiva onerosità, se tale onerosità deriva dal verificarsi di quel determinato evento.

causa non imputabile al debitore - al contraente irrispettoso della singola pattuizione, vale a dire a quello che si è reso inadempiente rispetto agli obblighi assunti98.

2.4. La presupposizione.

L’intuizione del concetto di presupposizione si deve alla genialità di un giurista tedesco, il Windscheid. Secondo l’opinione dell’illustre giurista, chi dichiara la sua volontà sotto una data presupposizione vuole che l’effetto giuridico sussista soltanto ove permanga una situazione sottostante di fatto e di diritto. Tale volontà, però, non risulta da una espressa condizione: si tratterebbe, precisamente di una condizione non sviluppata (unentwickelte Bedingung)99. La differenza fondamentale rispetto alla condizione risultante dal contratto consiste nel fatto che mentre quest’ultima opera immediatamente sull’efficacia del contratto stesso, la mancanza della presupposizione non interviene ipso iure sui suoi effetti, ma può essere fatta valere in sede processuale attraverso un’azione o un’eccezione. Nella dottrina italiana gli studi iniziali100 in tema di presupposizione risultano intimamente legati alla cosiddetta teoria delle sopravvenienze e, in particolare alle discussioni sorte intorno alla validità della clausola rebus sic stantibus.

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Assecondando, anche analogicamente ed estensivamente, il noto brocardo res perit domino: l’art. 1465 c.c. anche nei contratti aventi effetti traslativi o costitutivi non libera il debitore/compratore dall'esecuzione della prestazione anche quando la cosa non gli sia stata consegnata. Resta da dire, tale principio res perit domino , in ipotesi di impossibilità sopravvenuta (non imputabile all’alienante) di consegna di bene determinato al compratore, deve essere interpretato cum grano salis , residuando, rimedi aggiuntivi per colui che sia stato costretto a pagare il prezzo senza aver potuto beneficiare della datio rei (es. azione di esatto adempimento, eccezione di inadempimento, con esclusione delle sole azioni di risoluzione per inadempimento e di risarcimento del danno, che presuppongono uno stato di colpa quantomeno indiretto del venditore, circostanza, quest'ultima, che l'art. 1465 esclude categoricamente).

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Windscheid, Die Lehre des romischen Rechts von der Voraussetzung, Dusserldolf, 1850, p.7.

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Si è sostenuto che il fondamento storico-giuridico della presupposizione risiederebbe nella clausola rebus sic stantibus. Si afferma che in ogni contratto, in particolare in quelli di durata, ci sarebbe una clausola implicita, la clausola rebus sic stantibus, che ricollega la sussistenza del contratto al permanere dei presupposti di fatto esistenti al momento della stipulazione.La clausola

rebus sic stantibus ha antiche radici e, in Italia, soprattutto in relazione agli eventi bellici di inizio

secolo, ha avuto larga fortuna. Il legame tra presupposizione e sopravvenienze emerge chiaramente da un’autorevole dottrina di inizio secolo, la quale, annoverando tra gli elementi negoziali gli stati di fatto presupposti dalle parti, ritiene che ad ogni contratto sia apposta una clausola rebus sic

stantibus. Cogliolo, La c.d. clausola rebus sic stantibus e la teoria dei presupposti, in Scritti vari di

La presupposizione101 consiste in una situazione di fatto, comune ad entrambe le parti, che le stesse hanno implicitamente assunto come motivo determinante del consenso al momento della stipulazione del contratto.La presupposizione viene correntemente definita dalla giurisprudenza quale “situazione di fatto o di diritto102 passata, presente o futura che, pur in mancanza di un espresso riferimento ad essa nelle clausole contrattuali, possa ritenersi tenuta presente dai contraenti, durante l’iter formativo del negozio, come presupposto avente valore determinante ai fini dell’esistenza e del permanere del vincolo contrattuale”. La presupposizione comporta, analogamente alla sopravvenuta impossibilità lo scioglimento del contratto: alla diversità sostanziale delle due figure si contrappone dunque una comunanza di effetto103.

In via conclusiva si può sostenere che la rilevanza della presupposizione vada accertata in base al criterio di buona fede che deve permettere di valutare se, nel caso concreto, i mutamenti di fatto sopravvenuti abbiano o meno alterato, in maniera significativa, l’equilibrio contrattuale originariamente esistente104.

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Sull’argomento si veda Trattato della responsabilità contrattuale: vol. 1 Inadempimento e rimedi, di Giovanna Visentini, 2009. Secondo una recente sentenza della Corte di Cassazione (n. 633 del 24/03/2006) “la cosiddetta presupposizione deve intendersi come figura giuridica che si avvicina, da un lato, ad una particolare forma di condizione, da considerarsi implicita e, comunque, certamente non espressa nel contenuto del contratto e, dall'altro, alla stessa causa del contratto, intendendosi per causa la funzione tipica e concreta che il contratto è destinato a realizzare; il suo rilievo resta dunque affidato all'interpretazione della volontà contrattuale delle parti, da compiersi in relazione ai termini effettivi del negozio giuridico dalle medesime stipulato. Deve pertanto ritenersi configurabile la presupposizione tutte le volte in cui, dal contenuto del contratto, si evinca che una situazione di fatto, considerata, ma non espressamente enunciata dalle parti in sede di stipulazione del medesimo, quale presupposto imprescindibile della volontà negoziale, venga successivamente mutata dal sopravvenire di circostanze non imputabili alle parti stesse, in modo tale che l'assetto che costoro hanno dato ai loro rispettivi interessi venga a trovarsi a poggiare su una base diversa da quella in forza della quale era stata convenuta l'operazione negoziale, così da comportare la risoluzione del contratto stesso ai sensi dell’art.1467 c.c.”.

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Il mutamento delle circostanze presupposte potrebbe dunque derivare dunque da “un evento che appartiene alla fenomenologia del reale o al mondo della fenomenologia giuridica”: così Barera La presupposizione nel sistema dei rimedi contrattuali,in sopravvenienze e dinamiche di equilibrio tra controllo e gestione del rapporto contrattuale, Giappichelli pag. 329.

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In dottrina peculiare è l’opinione di Bianca, cit. 440, secondo il quale il rimedio in caso di presupposizione sarebbe il recesso unilaterale a favore della parte per la quale il vincolo contrattuale è divenuto intollerabile o inutile. In giurisprudenza si parla di invalidità, di inefficacia, ineducazione o di mancanza di operatività del contratto, ma soprattutto di risoluzione e, in tale ultimo caso, la presupposizione viene equiparata all’impossibilità sopravvenuta

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È in particolare il criterio della buona fede che deve permettere di giudicare se nella specifica situazione, il venir meno di quella situazione di fatto che implicitamente si poneva, al momento di conclusione del negozio, come determinante per entrambe le parti, possa porsi come causa di

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