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Le varianti in corso d’opera

Nel documento Sopravvenienze e contratto di appalto (pagine 82-86)

3.3. Le vicende modificative contrattual

3.3.1. Le varianti in corso d’opera

Il nuovo codice in materia di lavori pubblici ha, innanzitutto, ribadito l’importante principio che il progetto può subire variazioni in corso d’opera162 solo in presenza di ipotesi tassativamente individuate dall’art. 132163.

Sotto il profilo funzionale, la giurisprudenza164 considera l’istituto della variante come un rimedio a disposizione dell’amministrazione per sopperire a carenze progettuali scoperte nel corso dei lavori, mentre ne esclude la l’utilizzazione per la correzione di errori precedentemente emersi nel corso del procedimento di formazione del contratto di un appalto. Infatti la disciplina delle varianti non può che essere successiva alla fase della stipula del contratto, incidendo sugli aspetti del progetto emergenti nell’atto della sua realizzazione.

Sul piano del diritto positivo è l’art. 134, comma 1 del regolamento e l’art. 10, comma 2, del D.M. 145/2000 a prevedere che, nel rispetto delle condizioni e dei

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La natura commutativa o aleatoria del contrato, è peraltro tutt’altro che irrilevante a fini applicativi: ad esempio è la natura commutativa del contratto che spiega la disciplina del c.d. “equo compenso”, per cui “quando le modifiche apportate comportino notevole pregiudizio economico” all’appaltatore è riconosciuto un compenso aggiuntivo pari ai maggiori costi sopportati. Se si ritenesse che l’appalto sia viceversa un contratto aleatorio, in linea di principio, detto equo compenso non avrebbe ragion d’essere.

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Gallo, Il Consiglio di Stato sulle varianti per la realizzazione delle opere pubbliche (nota a Cons. di Stato sez. IV 24 febbraio 2004 n. 717), in urbanistica e appalti 2004 fasc. 8 942-951.

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Come è noto, invece, la normativa previgente alla legge-quadro n. 109/94 si asteneva dallo specificare i presupposti legittimanti il ricorso alle varianti (ossia i “motivi”), preoccupandosi soltanto di precisare, ad integrazione di quanto disposto dal Codice Civile, i limiti quantitativi e qualitativi allo ius variandi dell’Amministrazione. La precisa indicazione dei casi in cui erano ammesse le varianti prevista dalla l. n. 109/94 risultava invece coerente con la nuova più rigorosa disciplina della progettazione la quale, imponendo l’adozione di progetti realmente esecutivi, considerava la variante un’eccezione alla regola dell’immodificabilità del progetto, ammissibile soltanto in presenza di particolari condizioni.

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limiti indicati dall’art. 132 del Codice, “la stazione appaltante durante l’esecuzione dell’appalto può approvare una variazione dei lavori fino alla concorrenza di un quinto”. La dizione della norma impone alcune riflessioni in ordine all’esatta interpretazione della disciplina del cd. quinto d’obbligo. Ed infatti il quinto in più o in meno del prezzo di appalto rappresenta non tanto un vero e proprio limite alla discrezionalità della P.A. di apportare variazioni, quanto piuttosto, per così dire, un limite al modus procedendi, della stessa.

In altri termini, tale limite quantitativo opera in duplice direzione: come limite allo ius variandi della stazione appaltante e come limite all'obbligo-soggezione dell'appaltatore di sottostare a tale potestà ed eseguire i lavori agli stessi patti, prezzi e condizioni del contratto originario165. Superato detto limite l’appaltatore può non soggiacere alle determinazioni dell’Amministrazione e, dunque, è libero di non adempiere a quanto disposto, fermo restando che in tale caso deve recedere dal contratto.

Se, viceversa, l’impresa fosse d’accordo nella prosecuzione dei lavori e sulle condizioni alle quali proseguire, detto limite questo può senz’altro essere superato, fatta salva la particolare ipotesi di variante dovuta ad errore od omissione progettuale.

Ne consegue, a ben vedere, che l’unico limite davvero insuperabile allo ius variandi sia quello qualitativo - previsto dagli artt. 10, comma 6, del D.M. 145/2000 e 134, comma 4, del DPR 554/99 da intendersi non solo come mutamento di tipologia ma anche come cambiamento della sua impostazione originaria (pur non alterandosi la sua tipologia per effetto della variazione)166. Inoltre, fermo che in senso generico ed atecnico ogni lavoro aggiuntivo può dirsi extracontrattuale, la variante per essere legittima, deve interessare lavori contrattuali o, per meglio dire, deve riferirsi a maggiori lavori necessari a realizzare il progetto.

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Un eventuale rifiuto costituirebbe violazione di obblighi contrattuali, con conseguente diritto, per l'amministrazione, a procedere per la risoluzione del contratto ed il risarcimento danni.

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Ove tale eventualità dovesse infatti riscorre l’appaltatore avrebbe titolo di rifiutare legittimamente l’esecuzione di una prestazione sostanzialmente diversa da quella pattuita.

Se si trattasse di lavori non necessari e diversi si verterebbe infatti nella distinta ipotesi di lavori extracontrattuali in senso proprio, i quali non possono essere disciplinati dalla disciplina delle varianti.

Infine un ulteriore limite al ius variandi consiste nella necessaria copertura finanziaria, e cioè la disponibiltà finanziaria nel quadro economico ovvero, ove qualora questo non capiente, nel bilancio dell’Ente.

In particolare, sentito il progettista e il direttore dei lavori, possono introdursi modifiche ai lavori appaltati in presenza di cause tipiche e tassative riconducibili a: alla sopravvenienza di norme primarie o regolamentari (lett a): si tratta di eventi formali o legali, che impongono l’adeguamento del progetto originario, vanno sotto il nome di jus superveniens.

Le varianti disposte a questo titolo fanno emergere qualche dubbio in merito alla determinazione del procedimento amministrativo, non essendo specificato se si possono far decorrere: dall’approvazione del progetto, dalla pubblicazione del bando, o dalla stipulazione del contratto.

Si ritiene preferibile prendere come riferimento la data di pubblicazione del bando, in quanto le stazioni appaltanti, prima di iniziare le procedure di affidamento dei lavori, devono verificare la rispondenza degli elaborati progettuali ai documenti di cui all’art. 93 e art. 112 del codice e la loro conformità alla normativa vigente (verifica e validazione del progetto).

Un profilo critico emerge quando l’applicazione della normativa sopraggiunta non sia obbligatoria ma solamente opportuna: esempi sintomatici sono le norme in tema di sicurezza degli impianti o quelle relative all’abbattimento di barriere architettoniche, che contengono spesso delle deroghe).

In questa ipotesi, la scelta della stazione appaltante di procedere ad approvare la relativa perizia deve essere ponderata anche in relazione all’urgenza dei lavori, considerando che, verosimilmente, la sua approvazione necessiterà di una sospensione quantomeno parziale dei lavori.

La seconda ipotesi di variante è legata al verificarsi di cause impreviste e imprevedibili che che tuttavia diversamente dall’ipotesi precedente non dipendono da un intervento normativo bensì da un fatto umano o naturale. Si tratta di una

clausola atipica, nella quale possono farsi rientrare eventi di forza maggiore e caso fortuito (lett b)167. Al riguardo si pone la questione circa la relazione di questa causa con l’errore progettuale, poiché la necessità di una corretta distinzione è importante non solo per i diversi effetti in caso di superamento del quinto, ma anche sul regime delle sospensioni, posto che quella per errore progettuale è ab origine illegittima. Sul punto si può solo osservare, in termini generali, che il problema non pare tanto essere quello di vedere se la stazione appaltante abbia previsto l’evento in sede di progettazione quanto se abbia posto in essere quei accorgimenti e quelle precauzioni che la legge richiedeva per evitarlo: così, ad esempio, configurerebbe senz’altro errore progettuale il ritrovamento archeologico superficiario in zona storica, laddove l’Amministrazione (rectius il progettista) non abbia compiuto alcun preventivo rilievo.

È permesso, inoltre, alla stazione appaltante di beneficiare del progresso tecnologico i cui effetti si manifestino in corso d’opera. La variante è ammessa unicamente ove si accerti, in seguito al contratto e alla redazione del progetto, la possibilità di utilizzare materiali, componenti ovvero tecnologie che possono determinare, senza nuovi oneri, miglioramenti nella qualità dell’opera o di sue parti significative. Sono pertanto escluse le variazioni non idonee a determinare miglioramenti rilevanti dell’opera, ovvero dirette ad alterare l’impostazione progettuale originaria. Anche in questa ipotesi il carattere sopravvenuto deve essere accertato obiettivamente, mentre il limite quantitativo si spiega con il fatto che l’opera comunque potrebbe essere realizzata anche senza tali miglioramenti. Legittimano, ancora, il ricorso a variazioni progettuali eventi sopravvenuti “inerenti la natura e la specificità dei beni” sui quali si interviene, ovvero rinvenimenti imprevisti o non prevedibili nella fase progettuale (lett. c). In tale ipotesi, vengono fatti rientrare gli eventi diversi sia dalle cause naturali (si pensi, per esempio, al crollo di un muro nel corso dei lavori) di cui alla precedente lettera b) che dalla cosiddetta sorpresa geologica di cui alla successiva lettera d). L’ ipotesi, sui rinvenimenti imprevisti ed imprevedibili in fase progettuale, che

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Musolino, Caso fortuito e forza maggiore nel contratto d’appalto, in Riv. Trim. appalti, 2003, n.3 pag. 655-670.

sembra alludere ad interventi su beni preesistenti, in definitiva altro non è che una sorta di specificazione quella di cui alla lettera b). Anche per tale causa valgono le considerazione circa il rapporto con l’errore progettuale.

Nel documento Sopravvenienze e contratto di appalto (pagine 82-86)