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L‘edizione Breslavia o Habicht (1825-1843)

1.5. Il fondo egiziano delle Nott

1.6.2. L‘edizione Breslavia o Habicht (1825-1843)

L’edizione nominata Breslavia di Habicht e Fleischer è l’unica edizione araba delle Notti pubblicata in Europa nell’Ottocento, proprio a Breslavia, fra il 1825 e il 1843, ed è composta di dodici volumi. I primi otto furono pubblicati da Maximilian Habicht129 fra il 1825 e il 1838. Dopo la sua morte, avvenuta nel 1839, M. Heinrich Fleischer proseguì nella pubblicazione degli altri quattro volumi, che videro la luce fra il 1842 e il 1843. Si presume che questa sia la prima edizione completa delle Mille e una notte e appunto per questa ragione l’opera è intitolata nel frontespizio arabo ىلإ أدتبملا نم ةليلو ةليل فلأ باتك اذه

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127 Ivi, p. 92.

128 Robert Irwin, La favolosa storia delle Mille e una notte, Roma, Donzelli, 2004, p. 35.

129 Maximilian Habicht (1775-1839), arabista tedesco. Ha lavorato a Parigi come Segretario della legazione

prussiana, dove è rimasto dal 1797 al 1807, studiando l’arabo sotto la guida dell’arabista francese Silvestre de Sacy e di padre Rapheal del Cairo. Nel frattempo conosce Mordecai ibn al-Najjâr con il quale condivide l’abitazione. Nel 1812 ottiene il PhD e nel 1824 diventa professore di lingua araba nell’Università di Breslavia (Königliche Universität). Nello stesso anno pubblica l’Epistola Arabica. Risale al 1825 la pubblicazione delle Notti. Qualche mese prima era uscito il primo volume della traduzione tedesca delle Notti dal titolo Tausend und Eine Nacht. Arabische Erzählungen in quindici volumi, realizzato in collaborazione con Friedrich H. von der Hagen e Karl Schall. Su Habich si vedano Allgemeine deutsche Biographie, Bd. X, S. 383, Leipzig, 1879; Nouvolle Biographie générale, tomo XXIII, p. 18, Paris, 1861; Habicht, Maximilian, in Encyclopeda of Arabian Nights, 2004, cit., pp. 578-579

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ءاهتنملا ovvero Questo è il libro delle Mille e una notte dall’inizio alla fine. Ciascun volume si apre con una Prefazione in lingua tedesca seguita da una tabella sulla quale sono riportate osservazioni linguistiche relative ad alcune parole presenti nel testo, di cui sono annotati i numeri delle pagine, la riga in cui si trova il termine, il significato e l’errata corrige quando presente.

Nel frontespizio dei singoli volumi è indicata – sempre in lingua tedesca – la fonte, che viene identificata con un imprecisato manoscritto tunisino («Nach einer Handschrift Tunis»). Nel I volume Habicht afferma di aver acquisito tale manoscritto da uno scienziato tunisino di nome Mordecai/Murad Ibn an-Najjâr130, il quale gli avrebbe inviato i dieci volumi del manoscritto dalla Tunisia, intorno al 1144 egira (1731 d. C.), come riporta la data presente nell’ultimo volume della collezione. Tale manoscritto si è successivamente rivelato un testimone fantasma, che si aggiunge alla lista delle ‘fonti presunte delle Notti’ che scandiscono la ricostruzione dell’edizione del libro. Macdonald ha studiato in modo approfondito quest’edizione in un saggio pubblicato nel «Journal of the Royal Asiatic Society»131 nel quale egli ha esaminato le fonti manoscritte dell’edizione, arrivando a dimostrare con argomentazioni inconfutabili, che il manoscritto tunisino di Habicht, stanti alla base dell’edizione Breslavia, non era mai esistito e che il testo pubblicato è invece frutto dell’unione di più fonti, fra le quali sono presenti manoscritti vari e traduzioni francesi dell’opera.

Il Macdonald, esaminando i contenuti dei vari manoscritti, stabilisce che essi furono copiati a Parigi dallo stesso Habicht e da Murad Ibn an-Najjâr, i quali si erano basati su alcune copie dell’arabista francese Silvestre De Sacy, contenenti manoscritti risalenti al filone egiziano tardo. Macdonald afferma dunque l’inesistenza del manoscritto fantasma

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130Mordecai ibn al-Najjâr, ebreo tunisino il cui nome è associato al manoscritto fantasma su cui Habicht

intende basare la sua edizione delle Notti. Macdonald nel suo studio relativo all’edizione Habicht dimostra come alcuni testimoni della “Collezione di manoscritti” di tale edizione siano stati copiati da Moredcai stesso. Oltre i manoscritti copiati per Habicht, Ibn an-Najjar ha copiato altre storie delle Notti, come ricorda lo stesso Macdonald, facendo anche riferimento al fatto che nella Leiden University Library c’è un manoscritto che reca il numero Cod. 1339 (cat. Vol.;, p. 340). Il manoscritto in questione fu presentato da un certo Humbert. Habicht che dedicò il suo libro Historia decem Vezirorum a Moredcai (Gött., 1807), spesso fa riferimento a lui come suo amico e fornitore di storie. A titolo d’esempio nella fine del primo volume ricorda in arabo: «Alla fine di questo volume la storia di Saif al-Mulwk we baditah aljamal, tale novella fu copiata dal caro fratello Moredcai ibn an-Najjar, il tunisino, sia protetto da Allah». Anche alla fine del nono volume ricorda pure che: «Quest’altro volume del libro delle Mille e una notte completo e perfetto, copiato dal caro fratello Moredcai ibn an-Najjar, il tunisino, sia protetto da Allah, comincia dalle ottocentottantesima notte fino alla millesima e una notte». Si veda in proposito Duncan Macdonald, Maximilian Habicht and his recension of the Thousand and one Nights, cit., 1909, p. 685.

131 D. B. Macdonald, Maximilian Habicht and his Recension of The Thousand and One Nights, in «Journal of

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tunisino nel saggio sopracitato e pure nella Encyclopédie de l’Islam del 1938, quando afferma che:

È difficile parlare di questa edizione senza spazientirsi […] perché Habicht ha creato arbitrariamente un mito letterario portando la massima confusione nella storia delle Mille

e una notte. In prima pagina scrive: “Nach einer Handschrift aus Tunis” senza aver mai

avuto sottomano manoscritti tunisini; e non è per niente sicuro che sia mai esistita una versione tunisina […] i testi migliori della sua versione derivano, ma indirettamente, dal manoscritto di Galland.132

Lo studioso americano ha anche dettagliatamente descritto nel suo saggio le fonti dell’edizione di Habicht, rimandando ai manoscritti posseduti da Habicht e agli esemplari di questi testi oggi depositati in alcune biblioteche europee. Queste descrizioni sono state elaborate mediante le informazioni delle note presenti nei manoscritti e le notizie desumibili dalle Introduzioni che aprono i volumi dell’edizione Breslavia. Egli sottolinea come i volumi dal IX al XII, che, si ricorda, sono stati curati da Fleischer, siano sprovvisti di simili informazioni, rendendo più difficoltosa la ricostruzione di tale edizione: «the make-up of Habicht’s text became too complicated»133.

Altri studiosi, come Irwin, hanno appoggiato l’ipotesi di Macdonald, ascrivendo l’edizione di Habicht a quel processo di “mitologizzazione”, già ricordato da Mahdi, secondo cui Habicht ha contribuito a deformare la storia della tradizione delle Mille e una notte:

In realtà è veramente dubbio che il testo tunisino di Habicht sia mai esistito. L’opera sembra per lo più un collage di storie ricavate dai vari manoscritti delle Notti, dalle altre raccolte arabe disponibili nelle biblioteche europee e persino dall’edizione Bulaq, pubblicata nel 1835. Habicht, come alcuni degli studiosi che lo seguirono, era mosso dal desiderio di offrire una traduzione e un’edizione d’ampiezza sufficiente a coprire le 1001 notti promesse dal titolo, e magari sognava nel frattempo di arricchirsi. Il testo tunisino di Habicht è solo uno dei tanti casi di «manoscritti fantasma» la cui presunta esistenza avrebbe tanto tormentato chi tentava di ricostruire la già complessa tradizione delle Mille e una notte.134

Secondo Macdonald i manoscritti dell’edizione Breslavia furono raccolti e copiati da Habicht nei diversi anni in cui lo studioso visse a Parigi in compagnia del tunisino Mordecai e di Sabbagh - «It may be will to say first, in general, that they consist of seventeen volumes, and are a most miscellaneous collection of stories, evidently made by him from the period of his residence in Paris on, with a view to building up a completed

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132 Le Mille e una notte, traduzione di Khawam, cit. p. 36.

133 Duncan B. Macdonald, Maximilian Habicht and his Recension of The Thousand and One Nights, cit., p.

689. Nota: Per approfondire sulle fonti dell’edizione si vedano le descrizioni rispettive ad ogni volume del saggio di Macdonald sopracitato “Maximilian Habicht and his Recension of The Thousand and One Nights” cit.,.

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series of 1001 Nights»135 - e furono trascritti con la volontà di offrire un testo che contenesse il numero esatto di mille e una notte, senza apparentemente curarsi del rigore filologico dei testi e introducendo materiale tratto da più manoscritti, il quale si sarebbe poi rivelato un elemento di confusione nella corretta ricostruzione della storia delle Notti:

His intention, therefore, was to do in Arabic what Gauttier had done in French, and what he himself had done in German in further expansion of Gauttier. Thus he is to be described as really the compiler of a recension of the Nights, and not as the editor of a recension already existing.136

Inoltre Habicht pare essersi servito dell’aiuto dell’amico arabo Mordecai, il quale gli offriva il materiale narrativo selezionando le storie che appartenevano alle Notti, al fine di elaborare la sua ‘personale edizione’ delle Mille e una notte, definita piuttosto da Macdonald una ‘compilazione’:

In forming this compilation Habicht was much aided by the Mordecai ibn an-Najjar mentioned above. To his help there are references in the Epistola Arabica, pp. 2, 5, 6, 12, 16, which make it plain that Ibn an-Najjar, at last, distinguished between stories in general and the Nights in particular. From him and transcribed in his hand Habicht received a final volume of the Nights, running from Nights 885 b to the end; also a similar volume containing Nights 72 b to 208 a. this volume is evidently a near descendant of the Galland MS. Further, from this friend he received twenty-two stories, not divided into Nights and in no way marked as belonging to the Arabian Nights. Of these he used nine stories in this recension.137

Alla testimonianza di Moredcai ibn-Najjar si aggiunge una seconda fonte tramite la quale, sempre secondo Macdonald, il tedesco avrebbe portato a termine la sua edizione:

The next largest block of material in this edition was taken from MMS. Of the Egyptian Recension; first by Habicht himself, from De Sacy’s MS., and from one of unknown provenance but marked Egyptian type-perhaps that found by Habicht at Trieste; thereafter by Flesischer from Gotha MMS. Of the same recension.138

La ragione prima per la quale Macdonald ‘accusa’ Habicht di aver contribuito alla creazione di un mito letterario delle Notti, e quindi di aver compiuto un’operazione scorretta nella realizzazione della sua edizione, risiede nel fatto che lo studioso tedesco ha seguito lo stesso metodo – ovvero la raccolta di materiale proveniente da contesti diversi, non sempre noti, in un unico testo – sia per la traduzione tedesca che per l’edizione araba. Se tale procedimento è giustificato nel primo caso – la traduzione tedesca – pare invece assolutamente criticabile per l’arabista americano compiere una simile operazione nel caso del testo arabo:

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135 Duncan B. Macdonald, Maximilian Habicht and his Recension of The Thousand and One Nights, cit., p.

686.

136 Ivi., p. 687. 137 Ivi., pp. 687-688. 138 Ivi., p. 688.

 For his translation he has been unfairly blamed. The title, in all the editions, until the fifth in 1840, was certainly unfortunate, and suggested correction from an Arabic text; but in his general method he followed only in a trodden path, especially that of Gauttier in his edition of 1822-3. Gauttier; in his expansion of Galland, had been compelled to stop at Nights 568, but Habicht first translated Gauttier, then supplemented with 180 pages, not divided into Nights, from Caussin’s continuation of Galland, and finally added Nights 884 to end, from his own MSS. This method of making up the whole number of 1,001 Nights by patching different collections together-though the 180 undivided pages had to stand for 316 Nights-was not so utterly reprehensible when applied to a translation.” But when, in the same year, he began the publication of the Arabic text […], [Habicht] followed “essentially the same method” in publishing the Arabic Nights, he “enormously confused the history of the Nights.139

Peculiarità dell’edizione Habicht

A differenza delle altre edizioni coeve il testo di Habicht presenta un finale diverso. Nelle ultime sedici pagine si racconta, infatti, che quando Sheherazade finì l’ultimo racconto delle Notti, Shahryar rimase profondamente stupito dalle sue parole, tanto che la narratrice si rivolse a lui con le seguenti parole: «Sei rimasto addolorato da quelllo che le donne ti hanno fatto, ma sappi che sono successe cose peggiori ai re sassanidi che ti hanno preceduto, perciò ti ho narrato cosa è accaduto con il califfo, i re e gli altri con le loro mogli […] così che basti per chi è assennato e serva come ammonimento»140, poi Sheherazade tacque. Appena il re sentì il suo discorso si mise a riflettere e tornò con la mente agli insegnamenti di Allah, poi disse fra sé «Se ai re sassanidi è successo di più di quel che è capitato a me, allora perché rimango deluso? Quando invece Shehrazade non ha nessuna omologa nel paese… Gloria ad Allah che si è servito di lei per salvare dalla vendetta e dall’uccisione».141 Detto questo Shahryar decise di rinunciare alla sua vendetta e di sposare la narratrice, così invitò suo fratello Shahzaman a raggiungerlo. Quest’ultimo, dopo aver sentito cosa era successo al fratello in questi tre anni, rimase ammirato dalla capacità di Sheherazade e chiese al fratello la mano di Dunazad, informandolo che anche lui per tre anni non aveva preso nessuna moglie, bensì aveva giaciuto ogni notte con una fanciulla che veniva uccisa al mattino seguente, allo stesso modo del Sultano protagonista dell’opera. Il matrimonio fra i due si realizzerà a patto che Shahzaman e Dunazad non facciano ritorno a Samarcanda e non si allontanino dal regno, secondo la volontà della sorella Sheherazade. Tale richiesta viene accolta dal principe Shahzaman. In seguito il re

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139 Ivi., pp. 685-686.

140 In arabo, Il libro delle Mille e una notte dall'inizio alla fine, a cura di Habicht e Fleischer, Breslau,

Ferdinad Hirt, 1843, Vol. XII. p. 412.

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divise il regno con Shahzaman governando alternativamente un giorno l’uno e un giorno l’altro. Il visir padre di Sheherazade fu scelto governatore di Samarcanda al posto del precedente sovrano. Infine il re dette l’ordine di raccogliere in un’opera tutte le narrazioni della principessa Sheherazade:

Il re si affrettò a far venire gli scribi più abili dei paesi mussulmani e gli analisti più rinomati, diede loro l’ordine di scrivere tutto quanto gli era accaduto con la sua sposa Shahrazad. Si misero all’opera e scrissero in tal modo trenta volumi in lettere d’oro, non uno di meno, non uno di più. E diedero a questo susseguirsi di eventi meravigliosi e sbalorditivi il titolo di Le Mille e una notte. Poi per ordine del re, ne fecero un gran numero di copie che diffusero ai quattro angoli dell’impero per servire di insegnamento alle generazioni future142.

Il narratore del testo aggiunge che dopo la morte di questi sovrani i loro regni furono distrutti e nei tempi successivi i loro beni furono rispettivamente ereditati da altri re fino al tempo di un re provvisto di particolari doti intellettuali e cultura, di cui però non si conosce il nome. Quest’ultimo, posando le mani sull’opera in trenta volumi che fu scritta per ordine di Shahryar e leggendo un volume dopo l’altro, rimase incantato da quelle novelle straordinarie e avrebbe ordinato a sua volta di copiare e divulgare l’opera nel suo impero con il nome di Mille e una notte.

La presenza di questo finale, unico e straordinario nella sua trama, consente di fare luce sugli interventi del compilatore durante l’edizione del testo, con l’intento personale di presentare l’opera in una veste migliore. Appare abbastanza evidente che colui il quale ha avuto tra le mani il manoscritto abbia sentito la necessità di colmare una lacuna a suo dire troppo gravosa nel testo, inserendo una parte indispensabile sia per l’inquadramento psicologico dei personaggi (il pentimento di Shahrayr, le qualità affabulatorie e l’astuzia di Shehrazade), sia per conferire al testo una struttura chiusa conferendogli un lieto fine inequivocabile. Inoltre in questo modo il principe Shahzman riappare sul finale del testo, quando invece nelle altre edizioni la sua presenza era limitata al racconto cornice. Questa conclusione dell’opera ci lascia un esempio su come i compilatori manipolano il testo a loro piacimento.

La lingua dell’edizione Breslavia.

Per quanto riguarda la lingua dell’edizione Breslavia, argomento per il quale sarebbe necessario uno studio analitico e approfondito, ci limiteremo qui a presentare sommariamente le principali caratteristiche linguistiche del testo, riassumibili in poche

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considerazioni. In primo luogo l’opera presenta un legame assai stretto con la tradizione orale, come dimostra il numero consistente di espressioni dialettali e sgrammaticate che si possono presumibilmente attribuire al fatto che l’editore non fosse arabo e quindi non disponesse di una conoscenza della lingua tale da emendare simili passi (diverso il caso dell’editore arabo di Bulaq). Tuttavia, ricordando Irwin, è possibile notare che l’aspetto linguistico dell’opera subisce un rilevante miglioramento nei quattro volumi curati da Fleischer, allievo di Habicht. La vicinanza del testo al parlato e alla quotidianeità conferisce a questa edizione una piacevolezza nella lettura che ne ha consentito una importante diffusione e conoscenza nel pubblico anche recentemente.

La fortuna dell’edizione

Come accennato poco prima la fortuna di questa edizione dipende fondamentalmente da due elementi: il fatto che è ricchissima di Notti e che sia stata pubblicata in Europa. Infatti, se l’edizione Calcutta I non rispondeva alle precise esigenze degli editori e dei traduttori, il testo Breslavia offriva un materiale numericamente tanto ricco da attirare l’attenzione di quest’ultimi e in particolare dei traduttori che, sebbene Breslavia non fosse la fonte principale da cui attingere, si servirono moltissimo del testo come fonte secondaria. Già Habicht aveva cominciato a tradurre le Notti nel 1824143, servendosi del manoscritto come fonte base per il suo lavoro, e l’anno successivo aveva pubblcato il primo volume della sua traduzione in tedesco anteriore all’uscita dell’edizione Breslavia da lui stesso compilata. Nacque così la traduzione in tedesco dell’opera pubblicata con il titolo Tausend und Eine Nacht. Arabische Erzählungen, divisa in quindici volumi e realizzata in collaborazione con Friedrich Heinrich von der Hagen e Karl Schall. A questo lavoro ne seguirono altri che utilizzavano l’edizione Breslavia come fonte secondaria; fra questi si si ricordano la versione inglese di Lane (1839-41), quella tedesca di Weil (1837-41), ancora in inglese Payne (1882-84) e poi Burton (1885), infine quella di Littmann in tedesco (1921-28). Di recente pubblicazione, e molto gradita dal pubblico, è stata la versione anastatica dell’opera pubblicata in Egitto nel 2004, che venne esaurita nei primi giorni di vendita e della quale furono pubblicate ben quattro ristampe in sei anni144.

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143 Tausend und ein Nacht, Arabicsh, Nach einer Handschrift Tunis, Herausgegeben von Dr. Maximilian

Habicht, Bresalu, Mit Königlichen Schriften, 1825-1843, XII voll.

144 L’ultima ristampa, in arabo ( ،ولاسرب ةعبط نع ةروصم ةعبط ،ةيموقلا قئاثولاو بتكلا راد ،يهتنملا ىلإ أدتبملا نم ةليلو ةليل فلأ

،ةرهاقلا 2010 ، 12

.ءزج ): Le Mille e una notte dall’inizio alla fine, stampa anastatica dell’edizione di Breslavia, a cura di Christian Maximilian Habicht e Fleischer, Cairo, Dar Al-Kutub we al-Wathaeq al-Qaumiya, 2010, voll. XII, con un’introduzione di Jaber Asfur.

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L’edizione Breslavia delle Notti ha da sempre riscosso molto successo nel pubblico e negli studiosi arabi. Fu pubblicata per la prima volta nel mondo arabo fra i volumi della collana Nwadr al-Matbuàat (che potremmo tradurre come ‘Classici rari’145) e in questa veste fu accolta con un entusiasmo a dir poco inaspettato, tale da essere ristampata quattro volte fra il 2004 e il 2010. Una simile fortuna è dovuta al fascino del linguaggio di questa edizione, che ha mantenuto lo stile dell’oralità e al fatto di essere un testo integrale, quindi senza censure. Proprio questa seconda ragione ha fatto sì che l’edizione in questione fosse oggetto di critiche, considerato lo scarso spazio editoriale riservato nel mondo arabo a testi simili, che non rispondono pienamente ai parametri etici della società islamica. Così