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La traduzione di Galland

2.2. Le Traduzioni italiane delle Mille e una notte

2.2.2. La traduzione di Galland

A dar ascolto ad uno dei maggiori scrittori del Novecento, Jorge Luis Borges, la traduzuione di Galland è «la peggio scritta di tutte, la più bugiarda e la più debole; ma è stata la meglio letta. Chi le si accostò conobbe la felicità e la meraviglia»414. Lo confermano le moltissime traduzioni in tutte le lingue vive e la sua supremazia presso i lettori, nonché le numerosissime ristampe in diverse lingue che ancora oggi escono, tanto da poterla considerare una traduzione immortale quanto sono le Mille e una notte stesse. Infatti, a distanza di tre secoli dalla prima apparizione della versione gallandiana delle Notti Arabe, il suo fascino non si è spento, bensì si è rinnovato non solo in francese ma anche in altre lingue, in Italia l’opera è stata pubblicata più di cento volte, sia in forma

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411 Le novelle e le favole indiane di Bidpai e di Lokman; tradotte da Alì Tchelebi-Ben-Saleh, autore turco,

Opera postuma del S. Galland, e trasportate dal francese idioma nell'italiano, Venezia, Sebastiano Coleti, 1730, voll. 2.

412 Thomas-Simon Gueullette, Le sultane di Guzarate, ovvero, I sogni di persone risvegliate: novelle del

Mogol divise in ottanta quattro sere, Sebastiano Coleti, 1736, 224 p.

413 Continuazione delle novelle arabe divise in mille ed una notte. Tradotte litteralmente in francese da d.

Dionigi Chavis, arabo di nazione, sacerdote della Congregazione di S. Basilio, e ridotte dal sig. Cazotte membro dell'Accademia di Dione, ec. Ora per la prima volta dall'idioma francese recate nel volgare italiano, Venezia, Giuseppe Orlandelli: per la dita del fu Francesco di Nicolò Pezzana, 1791,4 v. ; 12°

414 Jorge Luis Borges, I traduttori delle Mille e una notte, in Id. Tutte le opere; a cura di Domenico Porzio,

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completa sia in antologie e riduzioni. Nonostante la versione di Galland sia unanimemente riconosciuta come una infedele, resta il fatto che è la prima traduzione che ha fatto conoscere le Notti arabe all’Occidente, la più letta, la più diffusa e l’unica di cui è indispensabile parlare appena in tutte le lingue si fa il nome di Le Mille e una notte. È anche un caso speciale che questa traduzione venga pubblicata 110 anni prima che il materiale originale sia pubblicato in arabo e, nel corso di tre secoli, è stata ristampata e tradotta un numero di volte superiore all’originale arabo perché tante traduzioni europee, e non, si sono basate sulla versione di Galland.

Le fonti di Galland

La fonte di cui si servì Galland per la sua traduzione è principalmente il manoscritto depositato nel Fondo arabo nella Bibliothèque Nationale a Parigi (N. 3609- 3610-3611), inviatogli dalla Siria in tre volumi. Ne sarebbe esistito anche un quarto, ma si pensa sia stato perduto. È ben noto che il numero di novelle della sua traduzione è superiore a quello del manoscritto di riferimento, che contiene soltanto 282 notti, pertanto risulta che Galland si è servito di altre fonti per completare la sua traduzione. Fra queste c’è il manoscritto dei Viaggi di Sindbad, conservato alla Bibliothèque Nationale di Parigi N. 3615, che Galland possedette negli ultimi anni del Seicento e che pubblicò nel 1701, per poi inserirlo nella sua versione. Per quanto riguarda le novelle che non sono comprese in questi due manoscritti, l’analisi di Zotenberg sul diario di Galland rivela che il traduttore per l’inserimento di questi testi si sia servito di fonti orali avendoli sentite da un cristiano siriano, un certo Youhenna, che era giunto a Parigi da Aleppo con il viaggiatore francese Paul Lucas, amico di Galland. I testi in questione sono i più belli e sono detti “le storie orfane”:

Storia di Aladino e della lucerna maravigliosa.

Storia di Ali Baba e di quaranta ladri sterminati da una schiava. Storia delle due sorelle invidiose della sorella minore.

Storia di Cogia Hassan-Alhabbal. Storia del cieco Babà Abdallà. Storia della principessa di Deryabar.

Gli adattamenti

Durante il Rinascimento francese, gli umanisti che traducevano i testi letterari dell’antichità classica – che producevano le versioni cosiddette “belle infedeli” – avevano sostenuto che il buon gusto dovesse avere la precedenza su una rigorosa accuratezza della traduzione. L’intento

 decoroso di Galland non fu tanto quello di riprodurre il vero tessuto della prosa medievale araba quanto quello di distillarne gli elementi in grado di appagare le esigenze di gusto dei salotti francesi. Di conseguenza, quel che appariva barbaro o eccessivamente esotico fu attenuato o soppresso. Quello che appariva raffinato e suggestivo fu esaltato o creato ex novo415.

La traduzione di Galland ha subito nel tempo una serie di cambiamenti; se ne distinguono tre: il primo si attribuisce a Galland stesso e consiste nell’aggiungere le novelle orfane, rivedere i dettagli di alcune storie (come il nome del padre di Shahrayr), rinunciare alla suddivisione in notti e togliere le parole di Dunazade; il secondo riguarda l’editore parigino che ha aggiunto nel VII volume novelle tradotte da un manoscritto turco; il terzo è dovuto ad una categoria più vasta a cui appartengono molti traduttori e curatori, sia francesi che di altri paesi, che hanno compiuto dei tagli ed effettuato riaddattamenti secondo le esigenze. Per quanto riguarda gli interventi operati da Galland, si ipotizzava che la storia di Aladino e la lampada incantata fosse stata inventata da Galland stesso. È questa l’opinione di alcuni critici ed intellettuali fra cui Jorge Luis Borges che affermava: «La storia di Aladino e la lampada meravigliosa, che De Quincy giudicava la migliore e che non figura nei testi originali. Si tratta forse di una felice invenzione di Galland, […] accettata tale ipotesi, Galland sarebbe l’ultimo anello di una lunga dinastia di narratori»416. Il testo della storia è stato ritrovato nel 1886 da Herman Zotenberg nella Bibliothèque Nationale di Parigi e pubblicato da lui stesso con il titolo Historie AD’Ala Al-Din ou la lampe merveilleuse417. Mentre il manoscritto della storia di Ali Babà e dei quaranta ladroni è stato scoperto da Macdonald nella Biblioteca Bodleiana di Oxford e pubblicato nel 1910 con il titolo Ali

Baba and the forty thieves: in Arabic from a Bodleian ms.418, Royal Asiatic Society, 1910.

Entrambi i manoscritti portano date di ritrovamento successive rispetto alla pubblicazione delle Mille e una notte da parte di Galland e per questa ragione Robert Irwin ha ritenuto che potessero essere state tradotte in arabo dalla versione di Galland419, ragione per cui finora si pensa che siano inventate da quest’ultimo. Tuttavia è ormai abbastanza accreditato che Galland abbia inserito dei dettagli per rendere il testo più adatto al pubblico francese. A tale proposito Irwin sostiene che il racconto cornice della raccolta nella versione di Galland «è più lungo rispetto al manoscritto della Bibliothèque Nationale, ed è inverosimile ritenere invenzioni di Galland, i dettagli aggiuntivi (come il nome del padre di

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415 Robert Irwin, La favolosa storia delle Mille e una notte, cit., pp. 11-12. 416 Jorge Luis Borges, I traduttori delle Mille e una notte, cit.

417 Herman Zotenberg, Histoire d’Alâ Al-Dîn ou la Lampe Merveilleuse. Texte Arabe publié avec une notice

sur quelques manuscrits des Mille et une Nuits par H. Zotenberg, Paris, Imprimérie Nationale, 1888. a lampe merveilleuse,Paris, Imprimerie Nationale, 1888, p.

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Shahriyar), di cui si ha conferma anche in manoscritti egiziani più tardi»420. Sempre Irwin ammette che Galland si sia servito di un altro manoscritto parallelo, oggi perduto, per il fatto che in alcuni dettagli esistono riscontri in altri manoscritti, escludendo che tutti gli elementi aggiuntivi siano ascrivibili all’estro bizzarro di Galland.

Altra diversità consiste nella mancanza della divisione in Notti a partire dal III volume. Un aneddoto racconta che il traduttore ha deciso di rinunciare a questa suddivisione perché alcuni giovani parigini lo disturbavano nella notte gridando, sotto il balcone, le parole con cui Dunazad chiede a Shahrazade di raccontarle una storia.

Oltre alla presenza delle storie orfane, nella versione di Galland, Irwin rileva che non tutte le storie erano state tradotte e scelte dal Galland: «il settimo volume includeva le storie di Zayn al-Asnam e di Khudad e i suoi fratelli, che un altro orientalista, Pétis de la Croix, aveva tradotto da un manoscritto turco. Ciò accadde, all’insaputa di Galland, per volontà dell’editore, pronto a cavalcare l’onda lunga del successo straordinario delle

Notti»421. Infine, i traduttori e i curatori che traducevano il testo si permettevano di

cambiare, modificare e aggiungere a loro piacimento secondo i gusti dei lettori. Di questo caso ci limiteremo ad accennare all’intervento di Massimo Jelolella che, nella versione del 1984 della traduzione di Armando Dominicis, avvisa i lettori di certi adattamenti: «Qua e là abbiamo rinfrescato e potato per ovvie ragioni di “adattamento” per i lettori degli anni ottanta»422. Sempre sul tema, il traduttore francese René R. Khawam, dopo aver criticato la versione di Galland, difende il suo lavoro dal punto di vista tecnico «non dimentichiamoci che viveva all’epoca di Luigi XIV: ancora non erano stati formulati- e ciò non sarebbe avvenuto che un paio di secoli più tardi- i principi che regolano la critica scientifica del testi. E, inoltre, lui stesso riconosce di aver lavorato, per una volta, da dilettante.»423. Un’altra modifica da sottolineare è che la traduzione di Galland è priva dei versi. Galland si è giustificato sostenendo che Le Mille e una notte sono colme di poesia e che gli è parso di agevolare la lettura non interrompendola continuamente con un ritmo poetico, ch’egli evidentemente non poteva dare.

Galland, che ha tradotto le Notti per favorire la divulgazione della sua Bibliothèque orientale, ou Dictionnaire universel contenant tout ce qui fait connoître les peuples de

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419 Robert Irwin, La favolosa storia delle Mille e una notte, cit., p.47. 420 Ivi., p. 38.

421 Ivi., p. 11.

422 Le mille e una notte, a cura di Massimo Jevolella; traduzione di Armando Dominicis, Milano, A.

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l’Orient,424 opera di cui oggi si parla molto meno di quello che auspicava l’erudito

francese, è addirittura considerato da Giorgio Manganelli, vista la sua fama tramite le Notti, una parte dell’opera stessa: «Il delizioso mentitore Galland, personaggio da Mille e

una notte, tradusse, riscrisse, scrisse le notti nel suo francese intollerabilmente felice»425.

Il peso della mediazione francese.

La mediazione linguistica francese ha risolto senza dubbio il problema dell’accesso europeo al testo arabo, con tutti problemi comessi. In Italia, fra il Settecento e l’Ottocento, non si erano infatti ancora sviluppati gli studi sulla lingua araba e per tutto questo tempo erano ben poche le persone che conoscevano bene questa lingua. Pertanto la mediazione francese ha svolto senza dubbio un ruolo molto importante nel consentire al lettore italiano di accedere alle Mille e una notte. Dal momento che le traduzioni dell’opera avvenivano in forma anonima risultano molto interessanti, da una parte la manipolazione e l’adattamento del testo, dall’altra l’inesattezza nella resa linguistica dei testi nel passaggio dal francese alla lingua ricevente ossia l’italiano. A tal proposito l’editore di una ristampa della traduzione di Galland, impegnato a confrontare la versione italiana e l’originale francese, per inserire la prima in una sua collana, osserva l’imprecisione nella traduzione:

Che questi emendamenti poi non sieno stati né lievi né infrequenti, si può argomentar solo da ciò che sono per riferire. Nella Storia di Cogia Hassan Alhabbal, occorre di fare spesse volte menzione dell’uccello nibbio, che nell’idioma francese chiamasi milan: ebbene! Chi li crederebbe? Questo notissimo uccello, in tutte le edizioni che precedono la nostra, non si trova altrimenti denominato che Milano! Or da ciò solo, come diceva, si può bene seguire di quanti altri e di che fatta svarioni doveva esser zeppa la versione che si è presa ad emendare.426

La prima traduzione delle Notti arabe in italiano vide la luce proprio fra il 1721 e il 1722 con il titolo Novelle arabe divise in mille e una notte tradotte dall’idioma francese nel volgare italiano. Pubblicata a Venezia presso la casa editrice Sebastiamo Coleti, era divisa in XII tomi a loro volta sudddivisi in IV volumi.

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423 Le Mille e una notte, testo stabilito sui manoscrtti originali, trad. francese di René R. Khawam, cit., vol. I,

p. 32.

424 Barthélemy d' Herbelot, Antoine Galland, Bibliothèque orientale, ou Dictionnaire universel contenant

tout ce qui fait connoître les peuples de l'Orient, Paris, La Haye, J. Neaulme & N. van Daalen, 1778, 636, p.

425 Le Mille e una notte, testo stabilito sui manoscrtti originali, trad. francese di René R. Khawam, cit., vol. I,

p. 7.

426 Le Mille e una notte, novelle arabe, tradotte in francese da Antonio Galland, versione italiana nuovamente

 Scelta linguistica

Le traduzioni settecentesche delle Mille e una notte sono dotate di una connotazione popolare, che affiora all’interno del lessico della traduzione, e sono provviste di una patina meno esotica linguisticamente. In effetti i traduttori italiani disattendevano le aspettative dei filologi, erano totalmente concentrati a compiacere il lettore e ad ottenere l’interesse dell’editore stesso, scopi per i quali non era necessario essere aderenti al testo. In particolare la traduzione delle Notti seguiva due criteri fondamentali: doveva essere adatta alla morale del pubblico, quindi ottenere l’etichetta “Con licenza de’ Superiori, e Privilegio”, e attirare il lettore. Perciò i traduttori non si peritarono di contaminare il testo con riferimenti alla cultura locale utile alla diffusione del testo. Così nella prima traduzione del 1721-1722 il traduttore anonimo optò per una scelta linguistica per certi aspetti medio- bassa, sia per rendere il testo più piacevole, sia per la destinazione di testi simili rivolti ad un pubblico vastissimo che non richiedeva le raffinatezze di una elité letteraria. Un’altra scelta riguardò l’adattamento, quando è necessario, dei termini poco noti, che potevano essere considerati esotici, ad esempio: “sesamo” sostituito da “cicerchia”. La presenza del termine “cicerchia” nella prima traduzione italiana settecentesca della novella di Alì Babà, a sostituire la più nota formula “Apriti sesamo”, può essere dovuta al fatto che la cicerchia è un legume tipicamente italiano, coltivato in più regioni (Lazio, Marche, Molise, Puglia), a differenza del sesamo di chiara provenienza orientale. In tal senso, l’uso del termine cicerchia può essere ascritto al repertorio linguistico quotidiano, al lessico comune cui i traduttori possono aver attinto preferendo escludere il rimando ad un prodotto della terra meno conosciuto. Cioè, può essersi trattato di un ricorso al repertorio di conoscenze condivise dalla società dell’epoca, del XVIII secolo in grado di capire con immediatezza il termine cicerchia e non sesamo, la traduzione letterale dell’arabo simsim427. La regionalizzazione della lingua delle Notti assume anche un’ulteriore riprova dell’azione esercitata dai dettami dalla cultura d’arrivo. Si pensi all’uso della parola Ciserchia nella prima traduzione delle Notti del 1721 e prendendo in considerazione le divese fiabe italiane raccolte e scritte nell’Ottocento e Novecento, che portano la formula “Apriti cicerchia” invece di “apriti sesamo” che risulta solo nella fiaba toscana raccolta da Carlo Lapucci, che si differenzia delle altre fiabe italiante mantenendo, come vedremo più avanti – l’ambientazione araba. Poi, siccome, nei repertori linguistici italiani non si trovano usi

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427 I dizionari italiani interessati al termine “sesamo” lo fanno risalire al XII sec., tuttavia, fino al XVIII sec.,

rimane una parola di rarissimo uso, fatto che può aver spinto il traduttore italiano a sostituirla con la parola “cicerchia”.

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letterari della parola cicerchia anteriori alla traduzione delle Notti, possiamo ammettere che le fiabe italiane delle diverse regioni derivino dalla traduzione suddetta e specialmente dalla prima del 1721-1722. Ciò chiarisce il ruolo svolto dal traduttore che, nello scegliere i termini, influenza la fortuna del testo nella cultura locale.

La prima traduzione delle Notti del 1721, e le ristampe settecentesche che seguono, sono tutte prive di Introduzione e di qualsiasi tipo d’informazione relativa alla traduzione in questione. Silvia Emmi si è soffermato su questo problema:

Il problema di fondo della traduzione delle Novelle arabe divise in mille e una notte del 1798 è dato dalla mancanza di una prefazione, in cui il traduttore potesse fornire indicazioni precise riguardo ai criteri utilizzati ed ai testi di cui si è servito per la sua traduzione. Si pone, quindi, la questione delle fonti per sviscerare il punto di vista del traduttore rispetto all’originale. In questa prospettiva la valutazione comparativa della traduzione deve far riferimento al contesto nel quale essa è stataprodotta e necessita considerare la maniera di tradurre dell’epoca dell’Oriente diffusa a Venezia nella seconda metà del Settecento428.