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L’elaborazione teorica sulla necessità di un intervento legislativo

1.1. Diritto pubblico o diritto privato?

«Le certezze giuridiche collegate a un armonico ordine di una società di individui proprietari appaiono a fine Ottocento in crisi»217. Sotto il profilo lavoristico, oltre all’esigenza di qualificare il lavoro subordinato all’interno del diritto civile, anche la scoperta del fenomeno sindacale faceva il suo ingresso fra i problemi teorici affrontati dalla scienza giuridica del tempo. Il ruolo del sindacato nella composizione del conflitto sociale218 non era più eludibile219 e chiamava a gran voce una collocazione sistematica all’interno del diritto; parimenti, si poneva la domanda su come il contratto collettivo, fine ultimo del gruppo organizzato di lavoratori, avrebbe potuto consentire al sindacato di esercitare la propria azione rivendicativa.

I “socialisti della cattedra” , impegnati in proposte di riforma dello Stato in senso favorevole alle classi sociali più deboli, ossia quelle lavoratrici220, furono fra i primi a vedere nel riconoscimento per legge dell’efficacia del contratto collettivo un modo per riequilibrare la disparità strutturale del contrato di lavoro221. Il compromesso, esplicitato nella

217 Cazzetta G., Scienza giuridica e trasformazioni sociali, cit., 12. 218 Sabbioneti M., Democrazia sociale e diritto privato, cit., 471. 219 V. retro, in q. Parte, in q. Sezione, Capitolo 1.

220 Ci si riferisce a Lujo Berentano, Gustav von Schmoller, Werner Sombart, Hans Gering.

L’ideologia promossa da tale gruppo di studiosi, fra cui noti economisti come Brentano e von Schmoller, riunitisi nel Verein für Sozialpolitik nel 1873, era che la legge dovesse porre le basi per un assetto più democratico dei rapporti sociali. Si trattava, in altre parole, di una dottrina socialdemocratica, successivamente criticata per come dalla stessa si potesse passare al fascismo per il tramite del ruolo centrale affidato allo Stato. I così detti (in senso, originariamente, dispregiativo) Katheder Sozialisten si ponevano sia in antitesi con la visione autoritaria dei rapporti socio-economici, sia in opposizione agli ideali sociali rivoluzionari. Il perno su cui far ruotare, per così dire, le risposte alle questioni sociali avrebbe dovuto essere la legge dello Stato. Il che, naturalmente, non mancò di rappresentare un appiglio ideologico per le teorie nazionalsocialistiche. V. in particolare Krause W., Werner Sombarts Weg vom Kathedersozialismus zum Faschismus, Rütten & Loening, Berlin, 1962.

221 Lujo Brentano considerava un compito della legge quello di impedire che i lavoratori,

parte debole, potessero contrattare con i datori di lavoro, parte forte, condizioni inferiori a quelle del contratto collettivo, v. Brentano L., Die Arbeitergilden der Gegenwart, II, Dunker & Humblot, Leipzig, 1872. La sua proposta di introdurre per legge l’imperatività del contratto collettivo si basava su un più generale tentativo di razionalizzazione che

proposta che la legge intervenisse per razionalizzare l’applicazione del contratto collettivo, immaginata da Lujo Brentano222, sarebbe stato questo:

la legge avrebbe riconosciuto l’inderogabilità al contratto collettivo, nonché

l’estensione della sua efficacia all’intero settore, e ciò avrebbe eliminato i meccanismi di lotta sindacale altrimenti necessari per far valere l’applicazione dello stesso nei rapporti individuali. All’attribuzione per legge di un meccanismo che garantisse certezza e stabilità al contratto collettivo – il quale, non essendo più potuto essere disapplicabile dai datori di lavoro, avrebbe garantito razionalità, vale a dire un’equilibrata concorrenza e un limitato conflitto sindacale – sarebbe dovuta corrispondere la rinuncia dei sindacati ad esercitare i propri tradizionali strumenti di lotta223. A questo punto, il compromesso implicava anche una certa perdita di funzione della contrattazione collettiva224, poiché il contratto collettivo diventava una fonte di integrazione legale del contratto individuale, secondo uno schema che parificava imperatività e inderogabilità e che mirava a escludere le forme di autotutela dal fenomeno contrattuale collettivo. Questo non sarebbe più stato un mezzo di pressione costante di una classe sull’altra, ma un’articolazione dell’ordinamento dello Stato, subordinata agli scopi di ordine sociale e razionalità previsti dalla legge. Tale dottrina, fra i primi esempi in materia di diritto dell’economia225, tradiva una lettura

espungesse dal fenomeno sindacale la soziale Esekution e che si risolvesse, tramite la contrattazione, in una composizione ordinata degli interessi. V. sul rapporto fra razionalizzazione e società, Lukacs G., Die Zerstörung der Vernunft, Hermann Luchterhand Verlag, Berlin, 1954. La sua critica alle ideologie «del sapere immediato», con cui si era reagito alla razionalismo della rivoluzione francese, era che tali opzioni teoriche finivano per giustificare un uso strumentale del concetto di Erlebnis mediante il quale si eliminava la contrapposizione fra idealismo e materialismo. L’eliminazione di questa contrapposizione, naturalmente, poteva giustificare, sul piano politico, la delegittimazione del confitto, e, su quello sindacale, la prevalenza dello strumento contrattuale su quello di lotta. In questo senso anche Vardaro G., Contratti collettivi e rapporto individuale di lavoro, cit., 38 ss. Sulla eliminazione del conflitto nel complessivo modello di relazioni industriali tedesco, Ramm T., Kampfmassnahmen und Friedenspflicht im deutschen Recht, Fischer, Stuttgart, 1962.

222 Brentano L., Die Arbeitergilden der Gegenwart, Dunker & Humblot, Leipzig, 1871,

1872. Con questo progetto di legge si confrontarono tanto Sinzheimer quanto Lotmar (e Rundstein, del quale ci si occuperà, tuttavia, limitatamente). Come si vedrà in seguito, se Lotmar cercò di opporsi ad un intervento del legislatore, ritenendo possibile ricavare una soluzione razionale al problema applicativo del contratto collettivo, Sinzheimer sposò invece l’idea di una legge sul contratto collettivo. Diversi saranno però i contenuti della proposta di Sinzheimer rispetto a quella di Brentano, su cui si rinvia, in questo elaborato, all’analisi della proposta di legge di Sinzheimer.

223 Per tale ricostruzione, v. Vardaro G., op. ult. cit., 40-41. 224 Vardaro G., op. cit., 40-41.

225 Per la centralità dell’impresa in quest’ottica della cultura giuridica tedesca del tempo, v.

pubblicistica dei rapporti fra Stato e sindacato che non mancherà di influenzare la legislazione weimariana226.

In tempi coevi, altre teorie, che nascevano dalla comune esigenza di configurare uno status giuridico ai fenomeni collettivi nascenti nei rapporti industriali, finivano per giungere a conclusioni diverse, poiché partivano dalla qualificazione del sindacato come soggetto privato collettivo.

Otto von Gierke, nella sua opera Das Deutsche

Genossenschaftsrecht. Geschichte des deutschen Körperschaftsbegriff227, riconosceva una caratteristica essenziale ai fenomeni collettivi “volontari”, nati per perseguire uno scopo specifico, un interesse di gruppo (ad esempio, partiti politici o i sindacati). A differenza delle associazioni “necessarie”, come potevano essere le vecchie corporazioni o la famiglia, la cui unitarietà era un dato di fatto, l’esistenza stessa dell’associazione, in questo caso, dipendeva da un atto di volontà228. Scopo del diritto sarebbe stato creare un sistema organico di corpi intermedi, nei quali integrare gli elementi di volontà individuale che, a loro volta, rendevano concepibile l’esistenza di quelli associativi229. In altre parole, il diritto avrebbe dovuto riconoscere l’elemento volontaristico e quello oggettivo230, la scelta di appartenere al gruppo e la capacità del gruppo di imporsi alle volontà individuali. Un diritto tedesco delle associazioni avrebbe dovuto unificare il concetto romanistico di Körperschaft (il soggetto rappresentativo) a quello di Anstatlt (l’istituzione unitaria), in una concezione che superava il limite fra diritto pubblico e privato231. In un momento successivo, l’autore riconduceva questo risultato non ad una commistione fra pubblico e privato, bensì ad una concezione del diritto privato che mirasse a superare dall’interno i propri limiti: esso avrebbe dovuto abbandonare ogni descrizione dei rapporti contrattuali che fosse “appiattita” al livello dello scambio economico232, vale a dire ogni elaborazione giuridica che omettesse di porsi il problema di una bilateralità dell’incontro delle volontà che fosse anche sostanziale233,

226 V. infra, in q. Parte, Sezione II, Capitolo 2., par. 2.1.

227 Von Gierke O., Das Deutsche Genossenschaftsrecht. Geschichte des deutschen

Körperschaftsbegriff, 1868, rist. Akademische Drück - U. Verlagsanstalt, Graz, 1955.

228 Von Gierke O., op. ult. cit., 868. 229 Von Gierke O., op. cit., 689.

230 Nel caso delle associazioni rappresentative, l‘esistenza dei una capacità soggettiva

patrimoniale unitaria. Von Gierke O., op. cit., 872.

231 Von Gierke O., op. cit., 973-976.

232 Gierke O., Die soziale Aufgabe des Privatrechts,1889, trad. McGaughey E., The social

role of private law, 2016.

28, in cui l’autore sostiene che quando il diritto moderno ha introdotto il principio di libertà contrattuale non può averlo fatto intendendola anche nel senso di legittimare l’arbitrio “mascherato” dal contratto. La logica deve essere quella di una libertà esercitata in modo ragionevole. Su razionalità e diritto si rinvia a quanto scritto supra, nota n. 326.

233 Nel senso che la logica «scambista» fosse attribuibile a Lotmar, in contrapposizione a

oltre che formalmente manifestata nel contratto. Occorreva, pertanto, ammettere due cose. Che il diritto privato avrebbe dovuto occuparsi di svolgere una funzione sociale e che diritto privato e diritto pubblico fossero, in fin dei conti, più simili di quanto la tradizione romanistica fosse disposta ad accettare234. Gierke, consapevole dei cambiamenti storici del tempo, del riemergere dei corpi intermedi e del ruolo progressivamente assunto dalle associazioni nell’affermazione delle rivendicazioni della classe lavoratrice, riteneva che il diritto privato avrebbe dovuto liberarsi da ogni astratto formalismo, sia sul piano della qualificazione del contratto di lavoro, sia si quello della posizione da attribuire alle associazioni nell’ordinamento. Rispetto al fenomeno associativo, i gruppi organizzati non avrebbero più potuto essere qualificati come mere proiezioni astratte dell’individuo235. Essi, al contrario, erano gli elementi di un sistema giuridico unitario, che coinvolgeva Stato, gruppi e cittadino, potere pubblico e libertà privata, in una complessiva tensione verso un più alto Sozialrecht. L’anima privatistica del fenomeno associativo, per così dire, avrebbe consentito al singolo il raggiungimento della libertà; quella pubblicistica, la realizzazione concreta di uno spirito di comunità236 ad essa funzionale.

In Francia la fine del IX e l’inizio del XX secolo lo scetticismo nei confronti della contrattazione collettiva era moltissimo; eppure nel giro di poco tempo si verificò un intenso dibattito sulla sua eventuale regolamentazione. Da parte imprenditoriale, c’era chi considerava la teoria del contratto collettivo niente più che un sofismo237. D’altro canto, la giurisprudenza del tempo faticava a riconoscere nell’attività sindacale un interesse collettivo, tale da conferire legittimazione attiva ai sindacati nelle questioni derivanti da un negozio concluso per una collettività di lavoratori238. Il contesto socio-politico, tuttavia, in cui gli scioperi, gli scontri e le contestazioni erano ormai una realtà dilagante, non rendeva possibile dilazionare oltre un intervento legislativo che desse “voce”239 alle esigenze della nascente classe operaia. In questo senso – di controllo del

234 Von Gierke O., op. cit., 45. 235 Von Gierke O., op. cit., 43. 236 Von Gierke O., op. cit., 10.

237 Il riferimento, a E. Ribot, è contenuto in Le Goff J., op. cit., 275.

238 Dal 1884 al 1907, la Corte di cassazione riconosceva il diritto di agire in capo ai

sindacati solo qualora vi si affiancassero gli interessi individuali dei lavoratori. Solamente con una sentenza del 20 dicembre 1907 si fece strada l’idea che fosse necessario distinguere l’interesse collettivo da quelli individuali, finché, con una decisione a camere riunite del 5 aprile 1913 si riconobbe all’azione civile esercitata dal sindacato un’espressa legittimazione, dovuta dalla necessità di tutelare l’interesse collettivo della professione. V. Le Goff J., op. cit., 282.

239 Con il concetto di “voce” si intende quanto teorizzato da Hirschman A. O., Exit, Voice

and Loyalty: Responses to decline in Firms, Organisations and States, Harvard University

conflitto – può essere letta la proposta di legge Millerand del 12 luglio 1906, dettata in materia di règlement amiable des differénds collectifs relatifs au

conditions de travail. Il progetto mirava ad arginare le occasioni di lotta, sia

attraverso la regolamentazione dello sciopero, la cui indizione avrebbe dovuto essere subordinata ad un’apposita consultazione elettorale, sia mediante la disciplina dell’efficacia da attribuire all’accordo arbitrale che poneva fine alle contestazioni; in proposito, si prevedeva che condizioni di lavoro ivi disciplinate sarebbero state dotate di forza obbligatoria per tutti i lavoratori di uno stabilimento, se approvate mediante il voto degli stessi, in modo da scongiurare ulteriori contestazioni. Questa prospettiva, che intendeva “spegnere i focolai” presenti nei luoghi di lavoro mediante una regolamentazione dei rapporti interni all’impresa, nonché garantire l’espressione della volontà individuale all’interno del gruppo organizzato (mediante il metodo elettorale), non ebbe seguito immediato240, probabilmente perché si ispirava ad una logica di democratizzazione dei

luoghi di lavoro tratta direttamente dall’esperienza tedesca e del tutto

estranea, viceversa, alla cultura giuridica e alla realtà delle relazioni industriali nel contesto francese241.

In anni di poco successivi, il dibattito più significativo (nel senso che ebbe, in effetti, uno sbocco legislativo) fu in Francia quello sorto in seno alla Societé d’Études legislatives, la quale portò all’elaborazione del progetto di legge del 2 luglio 1906 (presentato dal ministro del commercio Gaston Doumergue)242. Esso concerneva non tanto lo sciopero e l’arbitrato,

240 Ne avrà con l’introduzione delle elezioni dei delegati del personale, circa trent’anni

dopo.

241 Millerand mirava, attraverso la sua proposta di legge, alla trasformazione dell’impresa

da monarchia assoluta in monarchia costituzionale, proprio secondo una concezione ampiamente analizzata con riferimento all’esperienza tedesca nel secondo capitolo del presente lavoro. Sull’ideologia alla base della proposta di Millerand v. Gros J.M., Le

mouvement littéraire socialiste depuis 1830, Albin Michel Éditeur, Paris, 1910, 161.

242 Fortemente sostenuto da Raoul Jay e Alexandre Millerand, che erano altresì membri

della commissione legislativa, il progetto di legge finirà per influenzare moltissimo l’intervento legislativo. La questione della legge sul contratto collettivo si collocava per vero in un discorso più ampio, dibattuto nel suo insieme in seno alle commissioni parlamentari. In generale, nasceva in quegli anni un complessivo progetto di codification

des lois ouvrières, che fu presentato per la prima volta al Parlamento da parte del deputato

Groussier (14 aprile 1896), con una risoluzione volta a incaricare la commissione lavoro della riforma di tutte le leggi che concernessero la difesa degli interessi dei lavoratori, al fine ultimo di comporre un vero e proprio codice del lavoro. Negli anni successivi furono presentate varie proposte di legge, che concernevano tanto la codificazione del contratto di lavoro, che (a partire dal progetto presentato dalla citata società di studi legislativi, il cui primo progetto fu presentato nel 1905) quella del contratto collettivo. La specialità del diritto del lavoro rispetto al resto del diritto civile emergeva in effetti in entrambe le prospettive, individuale e collettiva. La prima versione del Code du travail risale al 1910. V. Hordern F., Du Code civil à un droit spécifique, in Cahiers n.3 de l’Institut régional du

quanto la codificazione del diritto del lavoro in generale, e, in particolare, la possibilità di ricondurre il contratto collettivo al diritto privato243.

Un autore come Raymond Saleilles, membro della società di studi legislativi sopra menzionata, profondamente influenzato dallo studio gierkiano244, ne riportò, all’interno del dibattito francese, la concezione del

diritto privato sociale. Gierke aveva, a suo parere, giustamente distinto fra

contratto (Vertrag) e unione (Vereinbarung)245: la contrattazione collettiva sarebbe stata non il luogo dell’incontro di una serie di volontà, secondo una concezione individualista, ma lo spazio per l’affermazione di un interesse

unitario, quello della professione, che avrebbe dovuto prevalere sulle

volontà individuali così come la legge prevale sul contratto. C’era, in tale approccio teorico, una chiara sovrapposizione fra società e diritto, in cui l’associazione veniva identificata con l’istituzione e il contratto collettivo con una sorta di legge della categoria professionale.

travail, Université Aix –Marseille II, Aix-en-Provence, 1991, 7, oppure: http://travail-

emploi.gouv.fr/IMG/pdf/Du_Code_civil_a_un_droit_specifique.pdf.

243 Si trattava del tentativo di individuare un’area del diritto statale in grado di

regolamentare il fenomeno contrattuale collettivo. Il diritto dello Stato aveva fatto il suo primo intervento in questa materia con i decreti Millerand del 10 agosto 1899, che imponevano alle imprese impiegate dallo Stato condizioni minime di lavoro e retribuzione.

244 Si nota qui brevemente che Otto von Gierke fu direttamente chiamato in causa dalla

società di studi legislativi. Infatti, gli fu commissionata una relazione relativa al diritto delle fondazioni nell’ordinamento tedesco, successivamente pubblicata nel Bullettin de la Societé

des Études legislatives, 1907, Paris, 70 ss. L’influenza di Gierke sul dibattito francese

interessò anche la questione del riconoscimento privatistico delle fondazioni e delle associazioni. Gierke spiegava come la legislazione tedesca, usando strumenti civilistici già presenti prima dell’unificazione, successivamente alla secolarizzazione delle corporazioni e delle fondazioni, concepisse un meccanismo tale per cui lo Stato non avrebbe avuto altro compito che quello di concedere una mera autorizzazione ad associazioni di diritto privato preesistenti rispetto all’intervento statale. Il diritto privato moderno, riconoscendo la propria funzione sociale, avrebbe potuto pertanto emanciparsi della concezione medievale (precedete al IX secolo) per cui tutte le entità sovra-individuali dovessero promanare dall’entità statale e costituirsi come organismi di diritto pubblico. Questa concezione, per quanto interessa rispetto al diritto francese, influenzò la ricostruzione del sindacato come

personne morale espressiva di autonomia privata, v. Sabbioneti M., op. cit., 406 ss., in cui

l’autore riassume come, in seguito alla riforma del 1901, l’ordinamento francese prevedesse le associazioni di diritto privato non riconosciute, quelle riconosciute e quelle riconosciute come aventi particolare utilità pubblica. Solo a queste ultime veniva riconosciuta una capacità giuridica piena, segno della difficoltà per l’ordinamento francese di riconoscere capacità giuridica ad associazioni che non fossero sottoposte ad un pervasivo controllo statale (come quelle riconosciute e quelle riconosciute ma non come dotate di particolare pubblica utilità).

245 V. in questo senso Le Goff. I., op. cit., 278-279. Tali posizioni sono rinvenibili in

Secondo quel filone di pensiero che in Francia sarà successivamente identificato con le opere di Marice Hauriou246, che si pose appunto sulla scia delle teorie istituzionaliste elaborate da Otto von Gierke, occorreva trovare un punto di equilibrio fra il principio di autonomia individuale e quelle forme di regolamentazione sovra-individuali che sole sarebbero state in grado di conferire all’individuo gli strumenti necessari per l’espressione effettiva della propria volontà247. Bisognava, in altre parole, trovare la categoria giuridica capace di conciliare l’idea di una “legge” collettiva, normativa e obbligatoria con il fondamento contrattuale che veniva considerato pur sempre alla base del contratto collettivo stesso248.

Diversamente da quanto la problematica del rapporto fra diritto pubblico e diritto privato suggerì in altri contesti ordinamentali, il pensiero giuridico francese, profondamente segnato da una concezione “bipolare” dei rapporti fra cittadino e collettività generale e dall’identificazione di quest’ultima con Stato249, sviluppò immediatamente l’idea – rispetto alla riflessione su sindacato e contrattazione collettiva250 – che occorresse

246 Ci si riferisce a Hauriou M., Teoria dell’istituzione e della fondazione, Giuffrè, Milano,

1969 [Aux sources du droit. Le pouvoir, l’ordre et la liberté, in Cahiers de la Nouvelle

Journée, 1933, 23]. Tali teorie, osserva il Cesarini Sforza nell’introduzione alla versione

italiana, rappresentavano un passo in avanti rispetto all’oggettivismo sociologico di Durkheim e Duguit, posto che si cimentavano in uno studio della realtà empirica in precedenza sconosciuto alla sociologia del diritto. Il difetto della loro impostazione sarà semmai quello di confondere un certo soggettivismo con le forme aprioristiche della società, dettato dall’incapacità – se bene si interpreta l’autore – di distinguere fra società e Stato.

247 Poiché, altrimenti, la società stessa sarebbe finita nel caos per l’ impossibilità di gestire

la concorrenza in modo razionale e per la difficoltà politica di confrontarsi con le rivendicazioni della classe operaia. Gli autori del tempo avevano ben presente che dal 1890 al 1899 c’erano sati 4210 scioperi, così come dal 1900 al 1905 questi erano saliti a 4360. Inoltre, le contestazioni erano sempre più violente, rendendo gli scioperi simili a rivolte urbane, v. in Le Goff. I., op. cit., 267.

248 Interrogativo posto da Saleilles per come riportato in Le Goff. J., op. cit., 276.

249 Verso la fine del IX secolo, come reazione rispetto all’eccessivo individualismo della

cultura giuridica, nacque quella corrente di pensiero che riteneva necessario confrontare il diritto dello Stato con la realtà sociale, che verrà denominata (rispetto al dibattito francese) corrente istituzionalista. Secondo alcuni autori, proprio lo Stato avrebbe dovuto creare più