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Grazie all’espansione politico-commerciale promossa dalla corona lusitana nei secoli XV e XVI, assistiamo a una fase di ampia diffusione della lingua portoghese attraverso le nuove rotte transoceaniche intraprese verso le regioni africane e asiatiche, circostanza storica che implica inevitabili contatti culturali e linguistici fra i gruppi di esploratori e colonizzatori europei e le popolazioni autoctone locali.

92

Pêro Vaz de Caminha, Carta a el-rei Dom Manuel, op. cit., p. 35. Riguardo la visione etnocentrica dei colonizzatori portoghesi nei confronti delle popolazioni native indigene cfr. Ana Maria de Azevedo,

O Índio Brasileiro (o “olhar” quinhentista e seiscentista), in Fernando Cristóvão (coord.), Condicionantes culturais da Literatura de Viagens - Estudos e Bibliografias, Almedina, Coimbra, pp.

305-326.

93

Per un panorama storico-critico sulle capitanias rimando ai contributi di João Fernando de Almeida Prado, Pernambuco e as capitanias do norte do Brasil, Companhia Editora Nacional, São Paulo, 1939; Id., A Bahia e as capitanias do centro do Brasil, Companhia Editora Nacional, São Paulo, 1945; Eduardo Bueno, São Vicente e as capitanias do sul do Brasil, Companhia Editora Nacional, São Paulo, 1961; Jacobina Américo Lacombe, Capitanias hereditárias, Universidade de Coimbra, Coimbra, 1978; Manuel Nunes Dias, O sistema das capitanias do Brasil, Centro de Estudos de Cartografia Antiga, Lisboa, 1979; E. Bueno, Capitães do Brasil: a saga dos primeiros colonizadores, Objetiva, Rio de Janeiro, 1999.

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Infatti, dal punto di vista strettamente linguistico, constatiamo nuovamente un considerevole stadio evolutivo endogeno del portoghese moderno, soprattutto per quanto concerne la sfera lessicale. A tale proposito, si manifesta ancora una volta il fenomeno del prestito linguistico dalle lingue locali, soprattutto da quelle semitiche utilizzate come mezzo di comunicazione nelle comunità culturali di arrivo94. Le innovazioni lessicali, che si riscontrano a livello sincronico durante quest’epoca di espansione marittima, provengono soprattutto dalla lingua araba colloquiale, idioma con il quale il portoghese aveva già stabilito una forte relazione a seguito delle invasioni islamiche della Penisola Iberica avvenute, come abbiamo già analizzato nel paragrafo precedente, nel 711 negli attuali territori del Portogallo e della Spagna: di fatti, a tale periodo risalgono i primi contatti linguistico-culturali tra le società africane e quelle lusitane, che si protraggono durante l’epoca delle esplorazioni e delle navigazioni marittime proprio grazie al fenomeno del prestito linguistico dall’arabo, che in questi secoli subisce un incremento maggiore rispetto alle epoche precedenti95. Attraverso il viaticum di scoperta e di espansione politico-commerciale della corona lusitana, si manifesta nei territori del continente africano - e successivamente asiatico - il processo inverso a quello che si era verificato nel lontano 711 con l’Islamizzazione dei territori occupati dai gruppi di musulmani: la lingua e la cultura portoghese, per l’appunto, si innestano sul panorama sia socio-culturale, sia linguistico delle colonie amministrate, tant’è che l’idioma lusitano si afferma come lingua franca e unico mezzo di comunicazione verbale ufficiale tra i nuovi dominatori e le rispettive genti autoctone. Di fatti, il portoghese viene impiegato tanto nel settore politico- amministrativo come commerciale, nonché come lingua di religione attraverso la quale i diversi gruppi di missionari mettono in pratica, secondo le direttive del Patronato Regio e della stessa Santa Sede, il proprio progetto di evangelizzazione basato sulla conversione al cattolicesimo dei nativi locali: l’idioma nazionale diventa il pilastro su cui si basa l’intera politica di espansione territoriale portoghese e di diffusione del Cattolicesimo nelle province d’oltremare. Luís Filipe Barreto afferma a tale proposito:

A renovação da língua portuguesa através dos Descobrimentos enquanto acontecimento promove um diálogo aberto em que o português se afirma como

94

Cfr. Marco Mancini, Contatti linguistici: Arabo e Italoromania, in Handbücher zur Sprach - und

Kommunikationswissenschaft, Gruyter, Berlin-New York, v. 23/2 (Romanische Sprachgeschichte. Histoire linguistique de la Romania), 2006, pp. 1639-1648.

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língua intercivizacional/internacional do Renascimento, em especial nos litorais costeiros de África, da América, da Ásia96.

L’ininterrotto contatto fra l’idioma nazionale e quello delle popolazioni autoctone, la cui lingua madre è un tipo di arabo diatopicamente connotato, favorisce nuovamente il prestito linguistico, necessario per l’assimilazione di etichette lessicali che denotino le realtà materiali e socio-culturali delle popolazioni sottomesse, principalmente di lemmi relativi alla ricca gamma di mercanzie e prodotti che vengono importati dalle colonie, come sete, piante aromatiche, spezie e pietre preziose.

Considerando la prospettiva culturale, i viaggi di esplorazione, avviati dalla nazione lusitana nel XV secolo, hanno posto l’Occidente di fronte a popolazioni aventi modelli cognitivi, tradizioni, tratti somatici e strutture sociali completamente differenti. L’alterità socio-culturale viene spesso percepita come “barbara” e “incivile” dagli occhi etnocentrici dei colonizzatori europei, i quali, adottando come strumento interpretativo i propri schemi culturali, attuano un vero e proprio processo di “acculturazione” delle popolazioni native locali, sia verso gli usi e costumi occidentali, sia verso la lingua e la religione di appartenenza dei conquistatori.

Nei territori del Brasile, dell’Africa e dell’Asia si intensifica la presenza di gruppi di predicatori e di missionari gesuiti, secondo le direttive del Patronato Regio che in essi riponeva particolare fiducia, allo scopo di convertire gli indigeni alla fede cattolica, servendosi di appositi strumenti di evangelizzazione noti come catecismos, dove vengono esposti i principi basilari per l’insegnamento della religione cattolica.

In questo contesto, la lingua lusitana riesce dunque ad affermarsi al di là delle frontiere nazionali, fatto che ha contribuito enormemente allo sviluppo di una coscienza linguistica da parte della nazione portoghese. A partire dal XVI secolo, infatti, la lingua lusitana rivendica il suo ruolo di lingua di cultura, da sempre attribuito al latino classico e, nell’ambito della Penisola Iberica, al castigliano, lingua volgare considerata di maggior prestigio letterario rispetto al portoghese97.

La sua diffusione come lingua franca in tre diversi continenti è dovuta, pertanto, anche alla concreta attività missionaria della Chiesa Cattolica, la quale ha appoggiato

96

Cfr. L. F. Barreto, Os Descobrimentos e a ordem do saber, op. cit., p. 53.

97

Cfr. Luciana Stegagno Picchio, La questione della lingua in Portogallo, in L. Stegagno Picchio (ed.),

João de Barros, Diálogo em louvor da nossa linguagem, Società tipografica modenese, Modena, 1959,

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con impegno ed entusiasmo i viaggi compiuti nel corso dei secoli XVI e XVII, allo scopo di diffondere e di fortificare, per l’appunto, la presenza del Cristianesimo nelle aree extracontinentali, soprattutto dopo la nascita e la diramazione territoriale del Protestantesimo in diversi epicentri europei a seguito del movimento politico e religioso della Riforma Protestante. Il sostegno dato dalla Santa Sede ai viaggi di espansione si giustifica, quindi, alla luce della strategia antiprotestante attuata per far sì che Roma, capitale del Cattolicesimo, riacquistasse un ruolo centrale nel palcoscenico del mondo socio-politico di questi secoli.

I missionari, che si recano nelle aree extra-continentali, mettono in pratica i principi che regolano i propri ordini di appartenenza, indirizzando i nativi verso la strada della “civilizzazione”98. Oltre ad attuare il processo di evangelizzazione delle terre d’oltremare, i missionari - appartenenti agli ordini dei Francescani, dei Benedettini, dei Carmelitani e dei Gesuiti - si dedicano anche all’insegnamento della stessa lingua portoghese, strumento utilizzato per divulgare la religione cristiana fra i nativi che, per comunicare, si avvalgono ovviamente delle proprie lingue autoctone, sconosciute sia dai gruppi religiosi, sia dagli stessi colonizzatori.

Per agevolare la comunicazione fra indigeni e dominatori da un lato, e per convertire i nativi alla fede cattolica dall’altro, i missionari percorrono due strade parallele: essi si dedicano, in primis, all’insegnamento del portoghese avvalendosi di specifici materiali didattici ed educativi denominati cartilhas (o cartinhas)99 e, in secundis, all’apprendimento degli idiomi locali, i quali vengono descritti dagli stessi Gesuiti nei primi strumenti di normalizzazione linguistica (come grammatiche, dizionari, glossari, catechismi e sillabari), realizzati per fini esclusivamente missionari, vale a dire per istruire i futuri predicatori sulle lingue parlate nei luoghi di arrivo100.

98

Per approfondimenti cfr. Adone Agnolin, Jesuítas e selvagens: o encontro catequético no século XVI, in “Revista de História”, 2001, n. 144, pp. 19-71 e L. F. Barreto, A aculturação portuguesa na expansão

e o luso-tropicalismo, in Portugal: percurso de interculturalidade, v. I, SIG, Camarate, 2008, pp. 478-

503.

99

Cfr. Franca Leonel, O método pedagógico dos Jesuítas, Livraria Agir Editora, Rio de Janeiro, 1952.

100

Il recente campo di indagine della Linguistica Missionaria si dedica allo studio e all’analisi degli strumenti metalinguistici nati in contesti missionari, realizzati allo scopo di descrivere e normativizzare gli idiomi autoctoni delle terre da evangelizzare per istruire i futuri predicatori. I maggiori esponenti sono Klaus Zimmermann e Even Hovdhaugen, i quali hanno dato impulso a tale filone di indagine promuovendo lo studio di grammatiche missionarie nate in seguito alle campagne di evangelizzazione promosse in territori extra-continentali. Per una panoramica generale rimando ai contributi di Otto Zwartjes - Even Hovdhaugen (orgs.) Missionary linguistics - Lingüística misionera, John Benjamins, Amsterdam, 2004; Maria do Céu Fonseca, Historiografia linguística portuguesa e missionária:

preposições e posposições no século XVII, Colibri, Lisboa, 2006; Sandra Breitenbach, Missionary Linguistics in East Asia: The Origins of Religious Language in the Shaping of Christianity?, Peter Lang

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Tali testi, la cui diffusione ad ampio raggio è dovuta soprattutto alla recente invenzione della stampa, rappresentano i primissimi strumenti di normalizzazione della lingua portoghese: si tratta di sillabari o abbecedari utilizzati come libretti d’istruzione elementare, prodotti in ambito sia religioso sia laico, in cui vi è generalmente illustrato l’alfabeto accompagnato da apposite immagini che consentivano di apprendere in modo significativo101 e di immagazzinare più facilmente nella memoria enciclopedica i termini indicati attraverso schemata organizzativi per la strutturazione cognitiva del lessico mentale102, incentivando la competenza sia ricettiva sia produttiva in lingua portoghese, appresa dai nativi come Lingua Seconda (L2)103.

Oltre agli esempi illustrativi, le cartilhas presentano in modo molto elementare anche i diversi gruppi vocalici, consonantici e sillabici per favorire il processo di apprendimento della lettura in lingua portoghese: si tratta, dunque, di un metodo d’insegnamento strutturato sulla base di quello del latino, in quanto si parte dall’assimilazione delle singole lettere per passare alla costruzione di sillabe, di parole e, poi, di intere frasi.

International Academic Publishers, Frankfurt, 2008; Klaus Zimmermann, Translation for Colonization

and Christianization, in Missionary Linguistics V - Lingüística Misionera V, John Benjamins Publishing

Company, Amsterdam-Philadelphia, 2014, pp. 85-112.

101

La nozione di apprendimento significativo è stata elaborata in ambito pedagogico dallo psicologo americano David Ausubel (1918-2008) per indicare il processo di acquisizione a lungo termine delle nuove informazioni con cui l’apprendente viene a contatto durante l’insegnamento di una nuova lingua, immagazzinando i nuovi dati linguistici (inputs) nella memoria enciclopedica, fase fondamentale per l’acquisizione di strutture grammaticali, nozioni lessicali e strategie conversazionali che vengono organizzate e sistematizzate nell’assetto cognitivo dell’apprendente. Cfr. David Ausubel, Educational

Psychology: A Cognitive View, Holt Rinehart & Winston, New York, 1968. 102

Il termine schemata viene impiegato nel campo di studi della glottodidattica, della linguistica cognitiva e della psicolinguistica per descrivere il processo di categorizzazione e di assimilazione di dati lessicali e semantici all’intermo della memoria enciclopedica o a lungo termine (MLT) dell’apprendente, informazioni cognitive apprese attraverso l’esperienza quotidiana e immagazzinate inconsciamente tramite determinati schemi mentali. Tale teoria è stata introdotta e approfondita, attraverso metodi sperimentali, da due studiosi in particolare: lo psicologo britannico Frederic Barlett (1886-1969), precursore della psicologia cognitiva, e il contemporaneo psicologo americano David Everett Rumelhart (1942-2011). Per una panoramica sull’argomento cfr. Maria Teresa Prat Zagrebelsky,

Lessico mentale e apprendimento linguistico - Nuove tendenze della ricerca e pratiche didattiche, La

Nuova Italia, Firenze, 1998 e William Croft, David Alan Cruse, Linguistica cognitiva (ed. italiana a cura di Silvia Luraghi), Carocci Editore, Roma, 2010 (Titolo originale: Cognitive Linguistics, Cambridge University Press, Cambridge, 2004).

103

Nell’ambito della linguistica e della glottodidattica, per Lingua Seconda (L2) si intende la lingua appresa consciamente in un secondo momento rispetto alla lingua materna, definita anche L1, all’interno della propria comunità socio-linguistica di appartenenza, dove l’idioma appreso come L2 si è imposto come ufficiale o lingua di cultura e di scolarizzazione, come nel caso delle ex-colonie portoghesi.

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In aggiunta, tali sillabari presentano non solo contenuti di natura linguistica e grammaticale, ma anche testi religiosi - come preghiere e brani estrapolati dalla Sacra Bibbia - utilizzati per sensibilizzare le popolazioni autoctone alla parola di Dio104. Ricordiamo, a tale proposito, che i primi a utilizzare tali libretti nelle terre d’oltremare sono i Gesuiti, i quali avviano la propria attività di evangelizzazione nella zona di Bahia, in Brasile, nel 1549105.

Grazie all’attività missionaria nelle terre d’oltremare, il portoghese si afferma dunque come lingua franca nelle vaste aree dell’impero e come unico mezzo di comunicazione con le popolazioni autoctone locali, costrette ad abbandonare gradualmente l’uso dei propri idiomi tradizionali, essendo queste educate al verbal behaviour106 della lingua appresa come L2, che s’impone progressivamente come idioma di superstrato, determinando di conseguenza la scomparsa graduale di alcuni idiomi nativi nelle terre d’oltremare107.

Nella vicina Castiglia, invece, le cartillas vengono utilizzate soprattutto in ambito nazionale, in quanto le istituzioni religiose cattoliche devono ancora far fronte alla persistente e radicata presenza delle popolazioni islamiche che, rispetto al Portogallo dove il processo di Reconquista è già terminato nel XIII secolo, riescono a rimanere sul territorio castigliano fino al 1492, quando vengono definitivamente espulse dagli eserciti cristiani in seguito alla Toma de Granada108.

Alla luce di quanto detto, i catecismos e le cartilhas possono essere considerati come i principali strumenti destinati all’acculturazione delle popolazioni indigene, risultanti dall’unione tra il potere temporale della corona portoghese e quello spirituale

104

Cfr. Fernando Castelo Branco, Cartilhas Quinhentistas para ensinar a ler, in “Boletim Bibliográfico e Informativo”, 1971, n. 19, pp. 109-152 e Id., Portugal quinhentista visto através das cartilhas para

ensinar a ler, in “Anais da Academia Portuguesa da História”, 1972, 2ª série, v. 21, pp. 291-315. 105

Cfr. Jorge Couto, A América Portuguesa nas colecções da Biblioteca Nacional de Portugal e da

Biblioteca da Ajuda, Biblioteca Nacional de Portugal, Lisboa, 2008, pp. 74 e 82. 106

L’espressione verbal behaviour è stata introdotta dallo psicologo statunitense Burrhus Frederic Skinner (1904-1990), nell’ambito della glottodidattica e della psicolinguistica, per definire l’uso comunicativo della lingua appresa come L2 (lingua seconda), caratterizzato da strutture culturalmente e socialmente connotate. Per approfondimenti cfr. Burrhus Frederic Skinner, Verbal Behaviour, Appleton Century Crofts, New York, 1957.

107

Cfr. Ana Paula Laborinho, Da descoberta dos povos ao encontro das línguas: o português como

língua intermediária a Oriente, em O Humanismo latino e as culturas do extremo Oriente, Colóquio

internacional, Fondazione Cassamarca, Treviso, 2006, pp. 71-91.

108

Cfr. Hernando de Talavera, Breve doctrina y enseñanza que ha de saber y poner en obra todo

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della Chiesa Cattolica. Infatti, grazie alla notevole attività pedagogica svolta dai gruppi di missionari, il portoghese diventa uno strumento così potente di dominio da consentire alla corona lusitana di avviare un vero e proprio processo di unificazione politica, territoriale e linguistica delle aree conquistate.

Oltre alla produzione di strumenti dedicati alla riflessione metalinguistica dell’idioma lusitano, circostanza che sarà analizzata in modo più approfondito nel capitolo seguente, l’esperienza delle scoperte marittime promuove un’intensa e fruttuosa attività intellettuale che abbraccia diversi filoni tematici, dando origine, in Portogallo, all’epoca d’oro letteraria del Cinquecento e del Seicento. Di fatti, durante tale periodo storico, si assiste a un vero e proprio processo di rinnovamento culturale, in particolar modo durante il regno di D. João III che, grazie alla politica intellettuale promossa negli anni trenta del Cinquecento, si mostra aperto alle nuove correnti letterarie umanistico-rinascimentali, incentivando dunque l’innovazione di differenti campi del sapere109. Inoltre, la stessa sorella del monarca, l’infanta D. Maria (1521- 1577), si attiva personalmente per fare della corte un vero e proprio centro di produzione e di diffusione culturale: essendo ella stessa amante delle arti, diviene protettrice di artisti e letterati, al fine di promuovere una “rinascita” intellettuale della nazione lusitana e della stessa lingua che rivendica il proprio ruolo di prestigio culturale, da sempre associato all’idioma spagnolo.

Il viaticum transoceanico verso le terre d’oltremare diviene, inoltre, il meccanismo propulsore di diversi rami dell’emergente letteratura rinascimentale portoghese: di fatti si origina una vasta produzione intellettuale che, da un lato, celebra le imprese marittime e le scoperte dei nuovi mondi e, dall’altro, fornisce preziosi documenti e trattati tecnici elaborati grazie all’esperienza diretta di cartografi e cosmografi. Di fatti, in questi secoli si manifesta una notevole evoluzione, e conseguente maturazione, della prosa (produzione storiografica e cronache di viaggio) e della lirica nazionale (attraverso il genere dell’epica) incentrate particolarmente sul fenomeno delle scoperte e dell’incontro degli Europei con l’altro da sé.

109

Si veda tra i numerosi contributi su D. João III José Sebastião da Silva Dias, A política cultural da

época de D. João III, Universidade de Coimbra, Coimbra, 1969; Isabel Drumond Braga, Os Portugueses em Chaul no Reinado de D. João III: Aspectos Políticos, Económicos e Administrativos, in

“Revista de Ciências Históricas”, 1990, v. 5, pp. 169-192; Paulo Drumond Braga, D. João III, Hugin, Lisboa, 2002; Ana Isabel Buescu, D. João III, 1502-1557, Círculo de Leitores, Lisboa, 2005.

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2. Il processo di normativizzazione del Portoghese nei secoli XVI e