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L’esperienza della lettura che diventa testo.

Interpretazione, lettura, comunità: Stanley Fish.

2. L’esperienza della lettura che diventa testo.

Descrivendoci in Surprised by Sin (1967) l’esperienza del lettore di fronte al Paradise Lost di Milton come un processo dialettico, di insegnamento ostacolato piuttosto che evidente (che va sotto il motto: not so much a teaching, as an intangling), l’autore si contrappone a due fronti della critica miltoniana, l’uno teso a confermare il fine didattico dell’opera come magnificazione della retta via, del partito di Dio, e la possibilità caduta nell’erranza, l’altro teso a enfatizzare l’aspetto satanico, ma liberante dell’opera, come atto di fede non nei confronti di Dio, piuttosto dell’auto–coscienza umana come disobbedienza, rappresentata dalle figure di Satana e di Eva. Fish dichiara di poter riconciliare le due tesi in una: Paradise Lost è «un poema che tratta di come i suoi lettori divengono ciò che sono». Ovvero il lettore «è portato ad una migliore comprensione della propria natura di peccatore ed è incoraggiato a partecipare [così] alla propria personale assoluzione»10. Questo processo dialettico è permesso dal fatto che la corruzione del lettore passa attraverso la sua incapacità di rispondere adeguatamente alla difficoltà (non solo teologiche) proposte dal testo, una difficoltà che richiede che il lettore raffini le proprie percezioni, così che la sua comprensione sia proporzionata alla verità del testo, la Caduta. Facendo così, il testo si presenta come la volontà stessa di «ricreare nella mente del lettore (la quale, in ultima istanza è la scena del poema) il dramma della Caduta»11 in un modo che esso non è un osservatore ma «un partecipante la cui mente è il locus»12 dell’interazione. Così Paradisee Post mette in difficoltà a vari livelli il lettore, attraverso strategie retoriche ironiche, negazioni, ambiguità, in un controllo testuale che passa attraverso i tre stadi di errore–correzione–istruzione, ma

10 FISH,S., Surprised by Sin, Macmillan Press, London 1967 (1997), p. X. 11 Ivi, p. 1.

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che però si attiva nella mente del lettore e non è oggettivamente verificabile nel testo (se non reso effettuale dalla lettura). Perché, se c’è un’istruzione questa, dirà Fish, «è possibile solo perché al lettore è richiesto di osservare, analizzare, e posizionare la sua sua esperienza»13 di lettura.

Un’esperienza che genera uno split reader, un lettore scisso che «risponde continuamente a due distinti set di stimoli — l’esperienza del momento poetico individuale», che passa attraverso la fascinazione retorica satanica, e «la sempre presente pressione della dottrina cristiana» e che diviene così contemporaneamente «il luogo e l’osservatore della loro lotta»14. Un lettore che ha la possibilità, ma non la certezza, si direbbe, di ricrearsi in un fit reader che considera «la difficoltà del poema come una lusinga alle proprie capacità»15, il lettore cristiano uniformato alla morale della sua dottrina. Fish presuppone così un legame inscindibile tra l’effetto del testo e la capacità del lettore di leggerlo:

Ciò che propongo è una relazione diretta tra l’effetto (potenziale) del poema su lettore e l’abilità di quest’ultimo di leggerlo; una relazione curiosamente circolare la cui spiegazione risiede nell’unicità del soggetto del poema. In altre parole, Paradise Lost, è un testo base costruito per insegnare al lettore come interpretarlo, e specialmente interpretarlo giustamente laddove i protagonisti performano quell’azione che rende la sua scrittura e la sua lettura necessarie.16

Paradise Lost diviene così un poema che concerne «l’auto–educazione dei propri lettori»17, mettendo in questione la nozione stessa di forma del poema, tradotta come forma dell’esperienza del poema, il di cui significato si trova nell’effetto prodotto dalla lettura. Il suo soggetto è la stessa esperienza del lettore, nella quale Milton vuole ricreare l’esperienza della Caduta e insegnare la via della redenzione. Il poema non si limita così a esporre assunzioni dottrinali, schemi di valori del buon cristiano. Ma la salvezza del buon lettore (cristiano) passa dall’uso retorico e non 13 Ivi, p. 21. 14 Ivi, p. 42. 15 Ivi, p. 54. 16 Ivi, pp. 161-162. 17 Ivi, p. 344.

viceversa: «la retorica è così simultaneamente il segno dell’infermità del lettore e lo strumento col quale lui stesso è portato all’auto–coscienza, poi alla contrizione e alla fine, forse, alla grazia e alla beatitudine eterna»18. Così come le norme contenute in esso, le varie parti del poema, i suoi capitoli, le sue frasi, sono solo rinforzi artificiali alla lettura che cadono in secondo piano nel processo. Se ha senso parlare di forma esteriore del poema, questa può essere vista solo come una forma di sostegno alla nostra lettura intesa sempre come auto–educazione del lettore:

l’abbandonata forma esteriore [del poema] – che è stata il veicolo per l’apprensione del significato, sebbene il significato non si contenuto in

essa – rimane come un’area nella quale il viaggio interiore [del lettore]

può essere rinegoziato. Con Adamo, noi usciamo dal poema verso l’esperienza; ma noi possiamo ritornare ad esso, come lui ritorna alla memoria del Paradiso, come punto di forza e sostegno.19

Fish dimostra già in questa sede quello che sarà il suo punto di partenza per giungere alla dissoluzione dei poli del testo e del lettore a favore dell’esperienza della lettura intesa come interpretazione consentita dalla comunità interpretative. Per cui, non solo ciò che fa la letteratura è il lettore, ma dire che un testo è letterario non è vincolato a qualcosa di effettivamente presente nel testo, né scaturisce da una volontà autoriale arbitraria, ma è derivabile da una decisione collettiva–comunitaria su che cosa sarà da considerarsi sotto l’etichetta di «letteratura», per cui le strategie interpretative nella quali il lettore sempre necessariamente si trova, sono la stessa lettura e non vengono prodotte successivamente. L’interpretazione presiste alla lettura e non viceversa. Che fine ha fatto il testo come meccanismo di controllo?

Nella raccolta di saggi che prenderemo in esame, Is there a text in this class?, l’autore fa nascere la propria argomentazione da una controargomentazione che sorge dall’attacco alle fallacie intenzionaliste e affettive mosso da parte di Wimsatt e Beardsley, attacco che aveva l’intento di preservare l’oggettività del testo per la critica letteraria, la quale non si deve interessare affatto ad un’intenzionalità autoriale irrintracciabile né della risposta variabile dei singoli lettori, salvo ricadere nel

18 Ivi, p. 38. 19 Ivi, p. 356.

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biografismo da un lato e nell’impressionismo relativistico dall’altro. Riguardo alla fallacia affettiva, Fish nota come questa possa essere tolta di mezzo considerando il testo non come locus del significato autosufficiente, la cui forma spaziale esteriore seppur più visibile acquista importanza solo se messa in secondo piano rispetto alla «dimensione temporale in cui i significati sono attualizzati»20. Ciò significa per Fish sostituire domande come Che cosa significa un testo? con altre del tipo Che cosa fa?, intendendo il fa (come noi facciamo) in modo ambiguo, come effetto del testo sul lettore e l’attualizzazione del testo ad opera del lettore. In questo primo passo è evidente come il testo venga in qualche modo mantenuto come pura sequenza verbale, ma che la forma del suo significato sia un evento prodotto dal lettore e non una proprietà del testo. Lo si era già visto in Surprised by Sin.

Il metodo proposto da Fish, e suggerito nel saggio “Literature in The Reader: Affective Stylistic” è quello di «rallentare l’esperienza della lettura»21 andando così ad analizzare le risposte del lettore alle provocazioni del testo — contraddizioni, negazioni, ostacoli retorici —, risposte che non hanno semplicemente il carattere di resoconti affettivi, ma sono un fascio di aspettative, verifiche, frustrazioni, atteggiamenti di carattere sia cognitivo che emotivo, e che producono come già detto il significato come un evento «fra le parole e nella mente del lettore»22. Ciò ha come conseguenza quello di dissociare l’effetto del linguaggio dalla sua natura e quindi, non solo di negare l’oggettività del testo («la letteratura è un’arte cinetica»23 dice Fish) – che rimane un semplice parametro della comunicazione verbale — ma anche di scardinare la distinzione considerata troppo ingenua tra linguaggio ordinario e linguaggio deviante, che aveva fatto da collante specie di teorie della letteratura testo–centriche: affermazioni apparentemente senza stile come c’è una sedia, dotate di una trasparenza col mondo rispetto all’ambiguità del linguaggio letterario, se prese secondo la prospettiva del Che cosa fa? possono essere dette come ordinarie, ma solo perché implicano la comprensione ordinaria che abbiamo del mondo ed anzi per

20 FISH, S., “Introduction, or How I Stopped Worrying and Learned to Love Interpretation”, in Is

There a Text in This Class? The Authority of Interpretative Communities, cit.; trad. it. in C’è un testo in questa classe?..., cit., p. 6.

21 Ivi, p. 33. 22 Ibidem. 23 Ivi, p. 49.

questo possono essere riconsiderate come straordinarie, perché «l’informazione trasmessa da un enunciato, il suo messaggio, è parte del suo significato ma non si identifica con esso»24.

Ciò vale anche per i fatti stilistici distinti da Riffattere: «per me» scrive Fish «un fatto stilistico è un fatto di risposta»25 sia esso un fatto linguistico normale sia esso un fatto di stile. Leggere un testo significa dunque non solo attivarlo, ma consumarlo, e la consumazione della lettura ha a che fare con ogni singola parola, ogni artificio, ogni composizione, ma riguarda l’evento che quest’esperienza di lettura produce piuttosto che l’estrapolazione di un significato dalle parole. Per questo si parla di un artefatto che si autoconsuma, di qualcosa che ha il carattere di una «rappresentazione mimetica nella mente del lettore»26 e che solo in essa si verifica. Così il metodo propone di non interrogarsi né sul contenuto né sulla forma dell’oggetto in sé, ma di fornire un’analisi delle risposte del lettore alle parole, un’analisi condotta in termini di fatti ed eventi, oggettiva «perché riconosce la dinamicità dell’esperienza del significato»27.

Come far fronte però al soggettivismo delle infinite letture? Per ovviare all’obiezione formalistica riguardo alla potenziale infinità delle esperienze temporali della lettura, Fish adotta la strategia del postulare una condizione ideale del lettore, una competenza linguistica in senso chomskiano, un sistema linguistico condiviso e interiorizzato da ogni parlante28, che fornisce non solo una sintassi ma anche una semantica come «stratificazione di esperienze linguistiche»29, quello che quindi definisce come un «lettore informato» o meglio «un lettore reale (io stesso) che fa tutto quanto è in suo potere per diventare informato»30, un ibrido tra un’astrazione e il lettore in carne e ossa. Fish lo considera la condizione necessaria perché sia prodotto il significato del testo letterario: è un parlante che ha una competenza linguistica della lingua del testo, una competenza semantica ed una competenza

24 Ivi, p. 37. 25 Ivi, p. 74. 26 Ivi, p. 46. 27 Ivi, p. 50.

28 Cfr. WARDHAUGH,R., Reading. A Linguistic Perspective, Harcourt, Brace & World, New York 1969, p. 60.

29 FISH, S., C’è un testo in questa classe?..., cit., p. 51. 30 Ivi, p. 55.

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letteraria, ovvero è conscio di un certo tipo di discorso letterario o di essere parte di una comunità di lettori. Se così la letteratura dipende dal lettore — per quanto ibrido e informato — il metodo di Fish nega la superiorità, la devianza, la destandardizzazione della letteratura, portando così anche ad una teoria del significato che potrebbe dirsi monistica. Il linguaggio veicola un solo significato e questo «è un prodotto (parziale) dell’oggetto–enunciato, ma non si identifica con esso»31 essendo un effetto prodotto dalla lettura.

Il lettore informato di Fish consente così di affermare un certo tipo d’uniformità di riposta tra i vari lettori, e di distinguere così tra due livelli di lettura, il primo relativo appunto alla competenza linguistica applicata e stabile, il secondo relativo ad una risposta di secondo grado e variabile, un’interpretazione che va come ad inquinare la prima lettura, come una sorta di risposta sulla prima risposta, temporalmente precedente:

La maggior parte delle dispute letterarie non vertono su disaccordi sulla risposta, ma sulla risposta alla risposta. Quel che accade al lettore informato di un’opera accade, con variazioni non essenziali, anche a un altro. È solo quando i lettori diventano critici letterari e la formulazione dei giudizi prendi il sopravvento sull’esperienza della lettura che le opinioni cominciano a divergere.32

Lo stesso Fish, nell’Introduzione al testo, dichiara però, compiendo una retrospettiva dell’evoluzione del suo pensiero, un’insoddisfazione che ci permetterà di proseguire nel passaggio dalla sua stilistica affettiva alla teoria delle comunità interpretative, ovvero il passaggio che nega la distinzione tra risposta I (la lettura) e risposta II (l’interpretazione) e permette la negazione altresì del testo come istanza di controllo della lettura, a favore di una svolta interpretativa radicale alla quale abbiamo già accennato. Negare il testo vedremo come comporterà in realtà negare la lettura e postulare le strategie interpretive come scritture stabilite da una comunità interpretativa.

31 Ivi, p. 74. 32 Ivi, p. 59.