CONCLUSIONI Dalla parte della lettura.
1. Una teoria parziale, una teoria ibrida.
La teoria estetica della lettura proposta in questo studio, indicabile come esperienza estetica della letterarietà variabile all’interno dell’oscillazione di finzione e ricezione, benché viziata da una certa parzialità, vuole presentarsi come ibrida e indirettamente relativistica. Parziale perché consideriamo il problema della lettura — come il problema dell’arte del linguaggio nella sua percezione soggettuale e costruzione oggettuale, ma cercando di non presentare dicotomie, quanto una dinamica estetica e produttiva — un fiume carsico della teoria letteraria e estetica degli ultimi decenni, latente o esplicito, delle teorie più disparate, da quelle sulle articità letterarie o funzioni letterarie del discorso di Genette, deducibile dalla sua teoria meta–estetica e da Finzione e Dizione, a quelle apparentemente opposte di origine fenomenologica, come quella di Iser, che traspone gli atti della lettura all’interno del gioco tra Fittivo e Immaginario. Abbiamo così selezionato un numero ristretto di autori che potessero manifestare questa apertura della lettura all’interno della struttura, il paradosso della sua doppia faccia attiva–passiva, come esperienza estetica sui generis. Estetica perché il linguaggio ha molti modi di sfuggire al proprio cosiddetto uso pratico, molti modi di essere ambiguo dicendo qualcosa di più, di meno e o di uguale (ma spostato di contesto nel linguaggio, che è contesto di linguaggio, di comunicazione) e di essere considerato in una relazione estetica che non necessariamente lo costituisce come opera d’arte. Sui generis perché la lettura prevede la dinamica di finzione e ricezione. Ovvero, di una risposta estetica consentita dal testo, che passa per un’effettiva prassi linguistica all’interno e di un atto linguistico misto, un patchwork di atti che sottendono il riferirsi ad un
destinatario disposto a giocare con essi, ma anche a sospendere volontariamente l’incredulità, per dirla con la nota formula coleridgeana.
Una letterarietà variabile, dipendente dalla sua ricezione, che si manifesta, riprendendo Genette, sia come una letterarietà costitutiva sia come letterarietà condizionale, sia come una finzione in effetti sia come una esemplificazione o percepibilità del discorso. Leggiamo così molti testi in molti modi liberi o costretti a seconda dell’oscillare tra l’attivazione della struttura del testo, l’effetto di finzione, sempre in relazione, mai puro e autotelico, sempre venato retoricamente e quindi rivolto al destinatario, e la nostra ricezione, che è relazione e risposta estetica, attribuzione di esteticità e effetto di letterarietà sul lettore. E quando la letterarietà si attiva, sempre in relazione ad una dialettica di forma e apertura, si ha un’estetica del segno (che è la sua percepibilità, il suo lato stilistico-esemplificativo) e un’estetica del senso (che è effetto della sua denotazione sospesa).
Abbiamo usato come visto i vecchi poli del lettore e del testo in realtà per sconfessare una tale dicotomia, per mostrare come, accantonando i poli del soggetto e dell’oggetto — un risultato dell’esperienza estetica, si direbbe, e di una rivalutazione della dimensione estetica all’interno della moderna epistemologia — si dovesse parlare di una dinamica della lettura come oscillazione tra finzione e ricezione, effetto e risposta. Vediamo come il moltiplicarsi di figure intermedie quali quelle dei vari lettori–nel–testo abbia effettivamente indicato che una bipartizione non fosse possibile, che ci si dovesse concentrare su di una dinamica, senza per questo tradurla in una stilistica affettiva alla Fish o in una illimitata produzione di senso.
Per affrontare questa dinamica, termine che ritorna sia in retoriche e stilistiche “aggiornate” sia nell’analisi del processo di andata e ritorno della lettura che ci offre la teoria della ricezione, abbiamo optato per una teoria ibrida che potesse utilizzare le risorse d’analisi di entrambe. Se la scienza letteraria, che dalla teoria formalista si è evoluta storicamente passando dall’analisi strutturale a quella semiotica, ha dei problemi al riguardo di una nozione stabile di letterarietà, per il suo stesso approdo alla natura plurale del testo; e quella fenomenologico–ermeneutica ha i suoi problemi nel fornirci una teoria del senso che non si distacchi da quella trascendenza–nell’–
ALESSANDRO RAVEGGI
immanenza indicata da Sartre, cadendo in un’allegoresi infinita, entrambe a contrario possono essere mantenute l’una di fianco all’altra. Senza per questo ridurre il testo ad un mero artefatto che si autoconsuma, un evento di significato all’incrocio di strategie interpretative volte a classificarlo come un’opera d’arte. Anzi, abbiamo proposta che l’esperienze estetica del testo attivasse l’arte dell’opera nella sua esecuzione senza necessariamente definirla: il quando dell’arte precede il che cosa dell’arte, così che la poetica condizionale può essere affiancata a quella costitutiva.
Abbiamo poi detto che questa teoria è relativistica perché propone un’estetica della lettura come descrizione di un processo oscillatorio two-faced o meglio centripeto e centrifugo ad un tempo, e non vuole concedersi una visione unilaterale e normativa della stessa. Più che di relativismo, si parlerebbe di una teoria della lettura declinata come scuola di relativismo all’interno di quella teoria della letteratura intesa come epistemologia, in Compagnon, volta a rintracciare le condizioni perché si dia il fatto letterario (con le relative ipotesi di sua verificabilità).
Vediamo che non esistono letture come esperienze giuste o sbagliate in assoluto, ma solo letture che si concedono a e vengono concesse da testi in maniera più o meno libera, a prescindere dalla diatriba tra natura mimetica o anti–mimetica della letteratura. L’alternativa possibile nella lettura è quella tra un concedersi al testo e quindi leggerlo fedelmente come costruzione di un mondo (il che prevede le condizioni di una finzione costitutiva e di una riposta estetica strutturata dal testo) e leggere un testo per le proprietà esemplificate dal discorso e quindi stabilire una relazione estetica che è produttiva solo contestualmente, solo se basata su di una ricezione condizionale dell’espressività del testo. In entrambi casi parleremo sotto determinate condizioni di testi letterari, di una letterarietà variabile. In un caso interpreteremo un testo come un’opera, in un altro useremo un testo come un’opera.
L’estetica è così la premessa necessaria di ogni ermeneutica letteraria, perché ci dirà come il testo funziona esteticamente per essere successivamente interpretato. L’uso a tratti indiscriminato di funzione permette di collegare estetica della ricezione e poetica strutturale, perché si può affermare che un oggetto o meglio un testo è artistico, è un’opera, se funziona esteticamente (se produce un mondo intenzionalmente estetico), ma possiamo altresì dire che un testo è letterario se è un
particolare oggetto estetico ovvero se produce un effetto estetico, esemplificando un tratto del discorso in una relazione estetica, in altre parole presentandoci un campione di questo linguaggio che noi definiamo ordinario, come linguaggio che potremmo indicare rispetto a quello letterario come meno allusivo, o meglio un linguaggio che fa di quest’allusività una funzione accessoria.
Questo permette di dire che la letterarietà sia una funzione costitutiva ma anche condizionale dei testi che consideriamo come letterari, che essa sia un problema di spostamento, funzionalmente, come spostamento di posizioni nell’orizzonte di problemi e soluzioni, stimoli e risposte che determinano la letterarietà, direbbe Jauss. Una letterarietà che si fonda così sull’esperienza estetica del testo, un testo che propone un’esperienza ostacolata al lettore o semplicemente un’esperienza estetica, di attenzionalità, di ricezione pura. Per questo, possiamo leggere il Codice Napoleonico come un campione di letterarietà — un campione esemplificatorio di letteratura — anche se come opera d’arte letteraria, come produzione intenzionale di un mondo, di un senso nel linguaggio, non possiamo considerarlo finzionalmente all’opera. Sotto il punto di vista della lettura, come pratica oscillatoria, si passa dunque dal Testo all’Opera invertendo di senso la formula barthesiana, ma allo stesso tempo riconoscendo la pluralità del testo, una pluralità che, attivata nella lettura, può avere un effetto estetico parziale di natura aspettuale o soggettuale, se siamo d’accordo che lo stile è l’elemento soggettivo di un testo e che ci dà un accesso ad esso. Oppure proporre la costruzione di una versione di mondo, un’oggettività, o quasi-oggettività, che è autonomia dell’opera ma anche suo spostamento rispetto ad un orizzonte simbolico-referenziale determinato.