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Dalla parte del testo? Strutturalismo, nuova retorica, semiotica e lettura.

1. Rifare i conti con l’estetica.

Abbiamo affrontato nel capitolo precedente la possibilità di costituire una linea fenomenologica per la teoria della lettura, una teoria della lettura che si costituisce come polarizzata nelle premesse (nel suo mantenere i poli di Ricezione come processo soggettuale e di Finzione come mondo–testo) e ibridata nelle conclusioni (l’oscillazione tra Ricezione e Finzione). Quello che si vuole dimostrare è essenzialmente che le due macrocategorie (o meglio modalità) interagiscono vicendevolmente in quella che è l’esperienza oscillatoria della lettura come esperienza estetica, la quale implica essenzialmente l’abbandono della dicotomia soggetto–oggetto e il concentrarsi sulla relazione estetica dinamica tra lettore e testo, un lettore implicito perché il testo letterario nasce come risposta fittiva ad una domanda dell’esperienza umana immaginaria (attuale e storica, solitaria e comunitaria, anche sotto forma di racconto storico o mito che sia) e un testo espressivo, un quasi–soggetto (l’opera d’arte letteraria), perché appello alla realizzazione di possibilità, di versioni di mondo ulteriori.

Questo comporterà considerare il senso dell’esperienza estetica in generale, legandolo però all’esperienza estetica del testo di finzione. Con la terminologia esperienza estetica del testo di finzione forse compiamo un passo falso. Definire il testo di finzione, lo mostreremo più avanti, è alquanto arduo: normalmente intendiamo per testo di finzione, un testo nel quale è all’opera un mondo immaginario di oggetti (parziali) capaci tuttavia di suscitare in noi l’interesse per una

loro determinazione. La finzione può essere definita così come un appello calcolato. Tuttavia siamo disposti a considerare come finzione anche una formula matematica, una lista di nozze, un elenco telefonico, anche se è bene considerare che in queste ultime la significazione possiede una denotazione che indichiamo come fissa, o meglio stabile anche se convenzionale: per convenzione sappiamo che il cognome Farill seguito dal numero di telefono +390558242492 corrisponde alla famiglia Farill e che dall’altro capo della cornetta, composto il suddetto numero (vale a dire eseguita l’istruzione) qualcuno legato ai Farill risponderà, un membro della famiglia, un affittuario, uno studente fuorisede al quale i Farill hanno affittato la casa mensilmente. Pare che l’unico modo di definire la finzione in letteratura sia allora quello di richiamarsi alla teoria aristotelica della mimesis: è finzione quella narrativa e drammatica che simula azioni ed eventi immaginari. Ma questa definizione pare troppo restrittiva. La Biblioteca di Babele borgesiana ci mostra come nella finzione il carattere combinatorio della stessa porta a considerare i confini come labili: come trattare un elenco telefonico presente in un romanzo o in un poema? Sono quelli che Genette chiama isolotti non-finzionali come gli elementi non finzionali integrati nella finzione.

Possiamo così definire la finzione dal punto di vista del suo oggetto–di– finzione. Ma definire forse la finzione dal punto di vista del suo oggetto e l’atto di finzione dal punto di vista dell’oggetto intenzionato immaginario (in senso austiniano–searliano come atto linguistico nonché husserliano come atto irrealizzante) presuppone che si faccia riferimento ad una coscienza capace di ricevere questi oggetti, in una comunicazione tacita tra coscienze o polarità, l’una emittente, l’altra ricevente–interpretante.

Non ci resta che affrontare dunque quello che indichiamo come polo della Finzione. Per evitare confusioni abbiamo deciso di trattare questo polo attraverso una linea del tutto arbitraria (un’avventura della lettura critica) che dal formalismo incontra lo strutturalismo e la semiotica in autori come Genette, Charles, Todorov, Prince, Riffaterre e che mantiene come maestri Roman Jakobson e la sua poetica strutturale e Roland Barthes e la sua proposta di avventura semiotica. Vorremmo notare come alcuni di questi abbiano abbandonato teorie a matrice testo–centrica per

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aprirsi all’esperienza di natura estetica. Si veda ad esempio gli esiti della nouvelle critique, l’interesse per le questioni estetiche, seppur marcatamente di carattere analitico, manifestato solo per citare casi esemplari dalla rivista Poétique e nella raccolta di saggi Esthétique et Poétique curata per Seuil da Genette nel 1992. Genette, nella sua introduzione alla raccolta appena citata annuncia una vera e propria rivoluzione copernicana che collega gli studi d’estetica a quelli di poetica, una rivoluzione dal carattere ipotetico e relativista, nell’affermazione condivisa che i criteri o, come scrive Goodman, i «sintomi» della relazione artistica, non sono più dell’ordine «della sostanza, ma dell’uso, della circostanza e della funzione: non relativi al cosa ma al quando, al come, al perché fare»1 rinnovando così il rapporto tra creazione e ricezione nell’affermazione che non sia opera se non nell’incontro attivo di un’intenzione artistica e di un’attenzione estetica, relazione che dà modo di definire l’arte (specie la letteratura come arte del linguaggio) come una pratica di comunicazione, nella quale il polo estetico non può essere trascurato o ridotto nei termini di una fallacia affettiva.

Questi episodi significativi, senza elaborare una specifica teoria della lettura, si avvicinano ad essa aprendo il campo nella distinzione tra artefatto, oggetto estetico e opera d’arte e rivedendo la teoria della letterarietà. Introducendo un’inquietudine all’interno di una possibile funzione letteraria disseminata nei testi e negli artefatti linguistici, ci permettono di affermare che questa è definibile attraverso la lettura come pratica semiotica ed estetica ad un tempo, producente segni e producente senso. L’eccezione è da farsi per Charles e il suo Retorica della lettura, l’unico che tratti esplicitamente la dinamica figurale della lettura.

Parlando di retorica, ovvero, sia detto sinteticamente, di uno studio degli effetti del discorso (o dei fini del discorso come indica la Retorica2) rispetto al suo pubblico, ci rendiamo conto come questa sia inscindibile da una poetica come studio dei modi del discorso, una poetica intesa qui principalmente come studio della funzione ambigua della comunicazione cosiddetta letteraria. La letteratura che noi definiamo come testo passibile di un’esperienza estetica è forse un quadro più allargato di quello che possiamo desumere da teorie classiche come quella

1 GENETTE,G.(a cura di), Esthétique et Poétique, Éditions du Seuil, Paris 1992, p. 8. 2 Cfr. ARISTOTELE, Retorica, I, 3 inID., Retorica e Poetica, UTET, Torino 2006

aristotelica — ma anche da una teoria della letterarietà tout court, di tradizione linguistica, priva di una venatura retorica e concentrata solo sull’auto–referenzialità del messaggio — la quale, in effetti non elabora una teoria della letteratura a partire da uno studio del linguaggio come comunicazione verso un pubblico (una comunità di lettori) o un destinatario (un lettore) quanto piuttosto dalla poiesis come creazione e technè e dalla mimesis come imitazione d’eventi e azioni. Se definiamo la letterarietà sia secondo la mimesis sia secondo prospettive anti–mimetiche, linguistiche, interessate alla funzione poetica autoreferenziale del messaggio letterario, tralasciamo l’aspetto retorico del testo.

Noi ci interessiamo sicuramente del carattere mimetico del testo, ma lo leghiamo inscindibilmente al carattere di effetto estetico proveniente dal testo o meglio dall’incontro asintotico tra sua ricezione e sua finzione. Poetica, Estetica e Retorica si avvicinano, forse pericolosamente, affermando la natura ludica della mimesis, già individuata da Iser, in quanto comunicazione per in–lusio di un mondo di natura implicitamente destinataria, cioè implicante la dinamica della lettura. Per questo distinguere cosa sia letteratura da tutta quella massa di non–letteratura (che ne costituisce il confine) si fa arduo, perché il bisogno (umano o post–humaine che dir si voglia) di finzioni, mantenendo la funzione poetica del linguaggio come funzione estetica — fondata sull’ambiguità e l’autoriflessività del messaggio, ma pur sempre aperta ad un destinatario attivo–passivo (quella strana trottola di Sartre) — rende impura la letteratura enfatizzandone l’aspetto collaborativo. Permettendo così, proprio nell’inedita solidarietà di poetica (quali testi sono opere?), estetica (quale estetica del testo?) e retorica (quale effetto ha quest’estetica del testo sul proprio pubblico?), la formulazione di una semantica del mondo letterario come plurale e legata all’accesso e alla produzione di senso parziale consentita dalla lettura, come possiamo vedere nella teoria dei mondi di invenzione di Thomas Pavel3, il quale nell’intento di superare a ragione lo strutturalismo, rivede la nozione di mimesi della letteratura.

Le teorie che tratteremo, nella ricerca di una delimitazione del campo letterario, ne hanno mostrato in realtà falle e aperture. Nel ricercare le strategie

3 Cfr. PAVEL,T. G., Fictional worlds, Harvard University Press, Cambrige (Mass.) 1986; trad. it.

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testuali che potessero regolare l’effetto del testo e la potenzialità infinita della sua lettura (la sua sovracodificazione indeterminabile) ci si è spinti ad esempio sul versante d’espressività legato al testo. Si veda Genette, che dalle sue Figures è passato al Finzione e Dizione e all’analisi della relazione estetica in L’Opera dell’Arte, nonché dalla domanda Che cosa è la letteratura? al Quando si ha letteratura?