II CATERINA PERCOTO
II.4 Uno spaccato sociale
II.4.4 L’esperimento sociale nelle campagne
Nella disamina del pensiero di Percoto è stato sottolineato che l’autrice è propensa ad offrire uno spaccato della società rurale sotto varie angolazioni. Accanto ai personaggi topici della scrittura percotiana vivono piccole donne lavoratrici, umili braccianti, contadini ribelli, possidenti lungimiranti, ricchi oziosi, parroci di pace, preti con la spada, osservati in presa diretta e talvolta delineati con tratti di estrema cura attraverso un particolare che permette di illuminarne l’esistenza. Le genti che abitano le pagine di Percoto sono invitate unitamente a contribuire al miglioramento delle condizioni collettive ed infatti
soltanto una raffigurazione pluriclassista o interclassista della realtà poteva permettere alla nostra autrice di mostrare come, se i ricchi e i poveri sono probabilmente destinati a durare per sempre, […] se c’è fra loro un ostacolo insormontabile posto dalla sorte, spetta ai secondi aiutare paternalisticamente i primi238.
I ceti tutti sono chiamati a contribuire al progresso della società non a parole, ma fattivamente: i contadini devono adempiere al loro dovere con la fiducia di essere ricompensati, i possidenti terrieri devono amministrare al meglio i loro poderi senza trascurare i bisogni dei loro sottoposti ed i parroci devono essere tramiti delle esigenze di entrambi rispettando i precetti di un antico cristianesimo.
Percoto si assesta su posizioni riformistiche in linea con il pensiero moderato. La novità appare nell’amara e reale constatazione di un circolo vizioso che governa i rapporti tra
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classi. In tal senso, la friulana giudica che, nelle dinamiche collettive, è fondamentale l’atteggiamento benevolo dell’individuo. In ciò si riscontra anche la religione dell’autrice, ossia il «cattolicesimo professato [primariamente] come pratica attiva di bene»239 che si proietta nella pagina artistica e nella teoria sociale della scrittrice divenendo, assieme alle posizioni liberali e moderate riconducibili allo Zeitgeist, tratto specifico della sua ideologia. Per questo motivo, la rappresentazione del corpo sociale è talvolta immobilista240, come dimostra la fatica di sconvolgere gli equilibri se non con interventi come quello di Ardemia, la quale è “provvidenza incarnata”.
A risaltare è la dimensione del lavoro intesa come nobilitante, si pensi ad Ardemia che prima di tutto si occupa di ridare un lavoro a Nardo. Infatti, nelle operose campagne di Percoto, il mondo agreste abbandona atmosfere bucoliche per affermarsi come realtà lavorativa e divenire simbolo del buon governo nelle campagne. Nel rispetto di questa logica, è possibile osservare che Percoto punisce in sede narrativa sia i nobili inetti sia i subalterni che si sono collocati fuori dalle logiche del vivere comune. Si pensi a Giovanni de Il refrattario, condannato alla condizione imperitura di esule per essere stato renitente alla leva. In misura maggiore questo procedimento è riscontrabile nella novella Il
contrabbando, che si sofferma su una pratica assai diffusa nel periodo risorgimentale nel
tentativo di affrontare una problema capitale per l’Italia. Nella concitata prosa i traffici illeciti vengono definiti «schifosa lebbra»241 ed i contrabbandieri «anime degradate»242. Questi incontrano morte violenta in seguito ad un naufragio durante i traffici illeciti e cadono nell’anonimato, come nel caso di Tonina, tragicamente deceduta senza nome e dimenticata da tutti243, mentre soltanto Giannetta, sposa di un contrabbandiere «non poteva ancora assuefarsi al brutto mestieraccio. Quel dover fingere, […] a lei, cresciuta nella semplicità dei campi […] era patimento»244 e solamente lei è capace di volgere la vita
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Piero De Tommaso, op. cit., p. 113. Recentemente, la religiosità di Percoto nei termini di fratellanza e convivenza pacifica è stata ribadita anche da Giulia Dall’Aquila, op. cit., p. 93.
240 Marinella Colummi Camerino, Caterina Percoto e la narrativa sociale del romanticismo, cit., p. 49. 241 Caterina Percoto, Il contrabbando, in EAD., Racconti, cit., p. 733.
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Ivi, p. 715.
243 Molto efficace il passaggio in cui Giannetta si reca all’ospedale per cercare Tonina: «percossa da un funesto presentimento, si appressò col cuore atterrito e proferì il nome della povera Tonina. Risposero con un
numero». Il corsivo è di Percoto. Cfr. ivi, p. 723.
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all’insegna della legalità, riscattando quindi una parabola esistenziale altrimenti drammatica. Percoto infatti non rappresenta in modo stereotipato le vicende dei suoi contadini perché, se è vero che pone l’accento soprattutto sui loro pregi, non ne tace i difetti245, quali l’invidia intesa come cecità morale246, ma tende a condannare i comportamenti impropri in quanto l’impegno pedagogico percorre le sue pagine.
Quindi, la fiducia che il perfezionamento della situazione sociale possa avvenire senza urti ed entro i confini canonici della società stessa posa sulla convinzione dell’autrice che ciò accada grazie alla cooperazione delle diverse anime del consorzio umano e nell’idea che la collaborazione vicendevole possa instaurare dei circoli virtuosi.
In tal senso, le campagne di Percoto sono colte nella loro dimensione concreta, di frequente lavorativa, ed in quanto più aliene dalle città dal pericolo della disumanità, assurgono ad essere il luogo preferenziale per l’esperimento sociale del progresso antropico ed economico. La scrittrice auspica che nelle campagne si realizzi una convivenza sociale e per questo motivo è portata a soffermarsi sull’operato individuale e a costruire attorno ad esso il filo del discorso tracciando il percorso e gli esiti dell’azione compiuta. Infatti, la lente di Percoto si focalizza sull’atto del singolo indagandone la ricaduta nella collettività e, congruentemente con questa prospettiva, le classi subalterne ed i ceti dirigenti vengono valutati in base alla ricaduta che la loro azione positiva o meno ha sulla comunità.
Con il medesimo meccanismo è permesso all’autrice la formulazione di un iudicium e la conseguente enunciazione didattica che stigmatizza o valorizza un comportamento. In questo senso, il bracciante Pietro, tanto quanto la nobile possidente terriera Ardemia Della Rovere, è soggetto alla “regola morale”, per cui ad un atto benevolo corrisponde un premio nella società. Infatti, la scrittrice incita ad un reale impegno affinché nella classe dirigente spiri il vento della novità e non ci si arrocchi su posizioni retrive e di mera conservazione del proprio status.
Passatista, Percoto non lo è nei confronti dei mutamenti in campo agrario ed infatti si dimostra sensibile alle recenti scoperte e alla modificazione dei contratti agrari e, come si è rilevato in un suggestivo contributo, la contessa contadina «non rifiutò il progresso nelle
245 Piero De Tommaso, Il racconto campagnolo dell’Ottocento italiano, cit., p. 116.
246 Ad esempio, in La cognata: «vide con occhio invidioso entrarvi la sposa del fratello prima ch’ella s’avesse trovato un marito». Cfr. Caterina Percoto, La cognata, in EAD., Racconti, cit., p. 436.
95 sue più appariscenti manifestazioni dell’epoca»247
. La scrittrice reputa legittimi i nuovi contratti di affittanza dei terreni e tuttavia è convinta che debbano essere introdotti con moderazione, ossia frenando i meccanismi di sopraffazione. Percoto infatti individua nella sopraffazione rapace dei ricchi la causa del degrado sociale e dell’accrescimento della miseria dei ceti subalterni. Su questa scia, si dimostra autentica conoscitrice delle problematiche dell’economia agraria e precipuamente di quella friulana, poiché offre testimonianza di quello che storicamente fu l’assenteismo dei possidenti terrieri regionali contro il quale si scaglia promuovendo invece la gestione dei poderi. Percoto non solo avverte i punti di frizione del panorama agricolo friulano su alte sfere, ma ne discerne anche le zone d’ombra a livello dei subalterni: sono soprattutto i sottani ad essere visti come una vera piaga dell’assetto sociale friulano e invero, tale questione fu effettivamente un nodo irrisolto all’interno della regione. Il Friuli di metà Ottocento è infatti
brulicante di gelsi e di braccia: la definitiva privatizzazione delle terre aveva rotto il sistema economico precedente e gli effetti erano stati da un lato le rivole popolari e l’emigrazione, dall’altro la formazione di contadini con pochissima terra, il frazionamento dei fondi e la formazione di un proletariato agricolo di massa: i sottani (braccianti, giornalieri, manovali)248.
Se certamente la dimensione umana dell’esistenza sembra risiedere nel contado più che in città e se l’homme naturelle è pre-disposto a cogliere il senso della propria esistenza, le campagne di Percoto risultano altresì operose e perfettibili nell’accezione di luoghi in cui l’idealità non è sempre precostituita, bensì è cercata e spesso ottenuta attraverso l’intervento dell’uomo. In tal senso, la vita dei contadini è governata da eventi esteriori che ne condizionano l’operato e la sussistenza stessa, come nel caso di Un episodio dell’anno
della fame che con un realismo «tutt’altro che frequent[e] nel filone della letteratura
campagnuola»249, ritrae l’indigenza del 1817 e la povertà costituzionale del Friuli.
247 Romano Vecchiet, I treni di Caterina Percoto, in Caterina Percoto e l’Ottocento, cit., p. 99.
248 Paolo Gaspari, Storia popolare della società contadina in Friuli. Agricoltura e società rurale in Friuli dal
X al XX secolo, Udine, Officine grafiche Piffarerio, 1976, p. 176.
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Parallelamente, l’autrice non riesce a portare ad adempimento la tensione drammatica che in principio muove l’azione ed in questo senso si è valutato che «ricca di illuminazioni e di novità, l’opera di Percoto non porta a compiuta maturazione le pur notevoli intuizioni di una viva e spiccata personalità artistica»250 e le zone regressive della produzione sembrano manifestarsi proprio quando ricompare l’idillio finale che costituisce un ripiegamento nei buoni sentimenti251.
La stessa autrice sembra porsi su questa strada quando, con una rilevante dichiarazione di poetica asserisce «mi lascio affascinare da quel vero ch’è bello, confesso che non mi par tutto bello quello ch’è vero»252
. Ciò significa innanzitutto una predisposizione al vero, il quale risulta essere tuttavia filtrato dallo statuto morale di chi è seriamente animato da una componente pedagogica e dalla speranza della perfettibilità dell’uomo, osservato, come sostiene Asor Rosa, con la «sincera affettuosità»253 di chi, per elezione di vita, ebbe comunque contiguità con i contadini.
Ideologicamente, Percoto individua quindi il nodo sociale insoluto nei ceti rurali che si incamminavano ad assumere rilievo storico. Ricordando l’appello di Correnti ad una letteratura che si occupasse della poco esplorata realtà contadina largamente esclusa anche del divenire civile del paese, è opportuno rimarcare che questi trovò Percoto assolutamente consenziente. Inoltre, si rammenti che abbozzò individualmente i “confini camperecci” della propria arte, come informano i racconti dal punto di vista cronologico e quindi, il testo programmatico del 1846 funzionò soprattutto come “incitamento”. Ciò consente di sostenere che l’autrice trovò nella letteratura campagnola un tema assai congeniale che intraprese per vie proprie. L’originalità di approccio con cui Percoto affronta la tematica rusticale risiede nella «precisa conoscenza degli aspetti più interessanti e vivi che la terra del Friuli presenta»254, facendo interagire un popolo circoscritto, con il suo paesaggio, linguaggio e rito che vengono funzionalizzati alla scoperta, alla valorizzazione del mondo rurale e alla rievocazione della sua memoria storica.
250 Ibidem. 251
Marinella Colummi Camerino, Idillio e propaganda nella letteratura sociale del Risorgimento, cit., p. 124. 252 Cit. in Bruno Maier, op. cit., p. 12 (nota 10).
253 Alberto Asor Rosa, Scrittori e popolo. Saggio sulla letteratura populista in Italia, Samonà e Savelli della Libreria Internazionale Terzo Mondo, Roma, 1965, p. 54.
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La consapevolezza della realtà regionale, si afferma inoltre come cognizione del precipuo tessuto sociale friulano che l’autrice indaga anche nelle sue dinamiche contraddittorie nel tentativo di proporre un modello di società più equo non perdendo l’«aspro odore di terra»255
. Nonostante i punti di frizione della sua ideologia, l’atteggiamento pieno di buoni propositi del genere rusticale, sembra essere nella scrittrice friulana decisamente più complesso se si riconosce nella sua prosa l’impronta civile che risulta essere «più robusta, forse perché […] vicina ai contadini delle sue terre»256 così come i profili esistenziali dei suoi rustici la rivelano fine conoscitrice delle loro psicologie.
Una predisposizione d’indole che si può ricordare con le parole che la contessa contadina affida all’alter ego Cati in La coltrice nunziale e che permettono di varcare la porta del tema patriottico: «sentii simpatia, non pei favoriti dalla cieca fortuna, ma per l’imprescrittibile diritto di un popolo calpestato; non pe’ vittoriosi, ma pei vinti!»257
.
II.5 La Donna italiana
258Caterina Percoto fu profondamente animata dalla passione patriottica che caratterizza il Risorgimento. Negli anni in cui la lotta per l’indipendenza veniva perseguita con intenso fervore, nel piccolo San Lorenzo di Soleschiano diede una risposta alle istanze del periodo nella sua vita e nella sua scrittura.
Infatti, la cosiddetta solitudine di Percoto e la sua ipotetica separazione derivata da un’esistenza condotta nel marginale Friuli non la isolò totalmente dal fluire della storia. Più propriamente, dall’eremo di San Lorenzo di Soleschiano la scrittrice collaborò attivamente al dibattito risorgimentale, fornendo un importante contributo da un’area periferica, ma altresì sensibile al tema dell’indipendenza italiana proprio perché politicamente dominata
255
Bruno Maier, op. cit., p. 15.
256 Sergio Romagnoli, La letteratura popolare e il genere rusticale, cit., p. 97. 257 Caterina Percoto, La coltrice nunziale, cit., p. 337.
258 Così Carlo Tenca si rivolgeva a Caterina Percoto. Epistolario Caterina Percoto Carlo Tenca, cit., p. 74. Lettera del 21 ottobre 1856.
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dal regime austriaco. Addentrandosi maggiormente in tale aspetto, l’autonomia della nobile Percoto consiste anche nell’aver assunto posizioni italiane in una porzione di territorio in cui l’aristocrazia rimaneva sostanzialmente filoasburgica. Dalla stessa finestra attraverso la quale studiava il paesaggio friulano, ha modo di osservare il procedere della storia:
anch’io appoggio i gomiti sul davanzale di una finestra, ma ho sotto gli occhi ben altro che la magnifica pineta della tua Viareggio. Vedo invece tre luride compagnie di austriaci, avanzi della strage di Kòniggràtz, e la mia casa è piena di austriaci... Qui, fuori dell’uscio della mia camera, vi sta un tenente co’ suoi attendenti, e tutti nel loro barbaro linguaggio insultano e bestemmiano questa mia povera patria259.
Sono infatti gli anni in cui «non c’è dunque tempo né di copiare questa lettera, né di scriver[ne] un’altra»260
poiché la storia irrompe e non può essere soltanto contemplata. Contessa dell’impero asburgico, Percoto inizia infatti a dimostrare interesse per le questioni politiche con l’intensificarsi della cooperazione con la rivista triestina «La Favilla» che aveva simpatie unitarie e per l’italianità di Trieste261
. La trama di relazioni da lei intessute nel mondo friulano è quindi significativa per la maturazione ideologica della scrittrice ed è utile tenere presente che gli animatori de «La Favilla» più vicini a Percoto, ossia Dall’Ongaro e Valussi, aderirono fattivamente al programma risorgimentale.
Inoltre, come si vedrà in alcuni esempi della sua narrativa, l’osservazione delle vicende risorgimentali che si manifestarono in Friuli indirizzarono l’autrice verso la tematica patriottica e quindi si può evincere che la concreta esperienza ed attenzione ai fatti fu decisiva nella determinazione politica che assume parte della sua opera.
La cifra rusticale impressa nell’arte di Percoto non viene abbandonata e anzi, il tema contadino si connette con quello risorgimentale e, inoltre, la critica ha notato che «le uniche novelle in cui la soluzione idilliaca […] è respinta in nome di una più conseguente ed omogenea fine tragica, sono quelle dove la tematica sociale, pur presente […], è sovrastata
259 Caterina Percoto, Agosto 1866. Lettere a Marina, cit., p. 113. 260 Ivi, p. 112.
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dalla più urgente problematica patriottica»262, a significare come l’autrice guardasse con animo intrepido a quei concitati anni. L’attenzione che Percoto riservò alla questione nazionale nella sua scrittura non mancò di causarle problemi con la polizia, basti ricordare la scomparsa di molte lettere intercettate, il rischio di arresto per la pubblicazione di La
donna di Osopo e la conseguente fuga notturna, la difficoltà di procurarsi un passaporto per
andare a Firenze, compiendo il viaggio sotto mentite spoglie263, e le censure alla sua edizione dei Racconti.
I testi che maggiormente esplicitano il messaggio patriottico dell’autrice sono: La donna
di Osopo, La coltrice nunziale, Il bastone.