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III IPPOLITO NIEVO

III.2 Il Friuli come compendio del mondo

III.2.1 Lo studio dal vero e il progetto di rinnovamento

L’ambiente non è un ente irrelato nella pagina nieviana, anzi, il passo dal paesaggio agli uomini è breve perché, come scritto nell’epigrafe de La corsa di prova, «l’uomo fa il luogo e il luogo fa l’uomo»51

. Questo proverbio va inteso in senso assolutamente benevolo ed il suo significato soggiace agli scritti ascrivibili al filone campagnolo praticato dall’autore secondo i canoni del genere, ma anche percorrendo una ricerca personale che consegna delle felici intuizioni, le quali permettono di rivitalizzare e problematizzare gli elementi topici del genere rusticale.

La musa pratica di Nievo lo porta a confrontarsi con la realtà contadina. Lo studio del contado non è meramente accademico, infatti egli ha esperienza diretta delle dinamiche della realtà rustica che indaga con occhio vigile e con un atteggiamento non privo di personale coinvolgimento, e, come dichiara nel maggio del 1856 a Saverio Scolari, alla «vita contadinesca […] io dedico da più d’un anno la mente, il cuore e la penna»52

.

È opportuno rammentare che Correnti invitava gli scrittori rusticali ad entrare a contatto con la realtà agreste, ma l’attenzione di Nievo per il mondo contadino è frutto di un individuale percorso, emblematico dell’indipendenza dello scrittore dai dictat del genere. Infatti, in Della letteratura rusticale Correnti si rivolgeva direttamente a Giulio Carcano auspicando che questi esercitasse un ruolo guida tra gli autori rusticali. Lo stile patetico alla

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Le relazioni di Nievo con il Friuli furono costanti e durante le vacanze a Colloredo egli frequentava un piccolo gruppo di amici composto da Piero Zorutti, Francesco Verzegnassi e Teobaldo Ciconi. È opportuno aggiungere che l’“anno friulano” per eccellenza è il 1856, trascorso prevalentemente della regione.

51 Ippolito Nievo, La corsa di Prova, in ID., Novelliere campagnuolo e altri racconti, cit., p. 403. 52

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Carcano non sembra però aver convinto Nievo, come dimostrano delle lettere nelle quali sono presenti delle dichiarazioni di poetica sintomatiche della libertà con la quale l’autore guarda al modello carcaniano. Ad esempio, dopo il rifiuto di Lampugnani di pubblicare la novella La pazza del Segrino, nel gennaio del 1856 scrisse a Fusinato manifestando il proprio disappunto in questi termini:

diceva non convenirgli la lunghezza e il genere contadinesco alla Carcano. Che fosse troppo lunga non c’è che ridire, tutte le mie cose o lo sono o lo devono sembrare; che la fosse dello stile di Carcano sfido il diavolo a provarmelo; e neppure l’era affatto contadinesca, ma sibbene campagnola poiché la scena era in Brianza53.

Nella medesima epistola lo scrittore ribadisce la volontà di occuparsi della vita rurale, ma più che catalogare la sua scrittura come rusticale sulla scia di Carcano, sente la necessità di esprimere la sua autonomia dal genere tramite litote, affermando che Il conte

Pecorajo, sarebbe stato un romanzo «contadinesco e non alla Carcano»54. Del resto, lo scrittore milanese era secondo Nievo «un letterato allo stato fossile»55, le cui opere rusticali erano «convenzional[i]»56 poiché le rappresentazioni della realtà risultavano manichee, «tenebre e luce»57, prive di problematizzazione. Certo, le affermazioni di Nievo risalgono ad un momento in cui la sua esperienza rusticale può dirsi pressoché conclusa, ma sono altrettanto simboliche della sua inquieta appartenenza al genere e del dinamismo con il quale l’autore ricerca la propria strada letteraria.

La sua esperienza rusticale, ad esempio, differisce da quella di altri autori del genere per la cognizione non estemporanea che egli ebbe delle campagne e delle dinamiche agricole. La consapevolezza concreta del contado trae linfa da alcuni aspetti relativi alla biografia dell’autore, come il fatto che Adelaide Nievo si occupò personalmente dei propri possedimenti in Friuli e che egli strinse amicizia con Attilio Magri, il cui padre, Gioachino,

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Ivi, p. 370. Il corsivo è di Nievo. Lettera ad Arnaldo Fusinato, datata 27 gennaio 1856. 54 Ivi, p. 371. Il corsivo è di Nievo. Lettera ad Arnaldo Fusinato, datata 27 gennaio 1856. 55 Cit. in Iginio De Luca, Introduzione, cit., p. XLIII.

56 Ibidem. 57

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era stato uno dei più influenti fittavoli mantovani, fino a quando, nel 1857, andò incontro al fallimento economico58.

Inoltre, l’inclinazione sociale di Nievo si andava specificando fin dai primi anni della sua riflessione politico-letteraria e quindi anche l’esperienza rusticale dell’autore può essere considerata il prolungamento di una acuta disamina delle questioni dell’Italia preunitaria. Dunque lo scrittore partecipò al grande dibattito sulle campagne, ma la sua vocazione si dimostra anche in questo caso non soltanto libresca ed infatti riferisce di aver avuto un «diurno colloquio [coi] villani»59. Proprio in virtù di questo contatto matura un personale pensiero:

intanto, figurati, vo studiando Omero e questi nostri contadini di stampo affatto primitivo. Non puoi immaginarti quanto io trovi affini questi due studi; solamente ti confesso che trovo assai più aperta l’anima del mio gastaldo che non il Greco dell’Iliade60

.

L’appartenenza al genere non va considerata nei limiti angusti dello schematismo, mentre è invece opportuno immaginare uno scrittore che si confronta apertamente con una realtà contadina, con il suo paesaggio e le sue genti, percependo che esse sono teatro di notevoli mutamenti. E la sfida viene accolta da Nievo con entusiasmo, con il ricorso alla ricerca operata sul campo, «in questo nido d’antichi sparvieri»61

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vo’ profugo per deserti interminati, in grandi stivali alla Suwarow sol fango fino ai ginocchi; siedo nelle stalle a disputare coi contadini, mi turo gli orecchi a qualche eco di non lontani rumori che giunge gli orecchi a qualche eco di non lontani rumori che giunge fino a noi, e in sì adamitico vivere medito62.

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Elsa Chaarani Lesourd, op. cit., p. 97.

59 Ippolito Nievo, Lettere, cit., p. 332. Lettera ad Arnaldo Fusinato, datata 9 marzo 1855. 60 Ivi, p. 371. Lettera ad Arnaldo Fusinato, datata 27 gennaio 1856.

61 Ivi, p. 411. Lettera a Carlo Gobio, datata 22 dicembre 1856. 62

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La costante tensione ad occuparsi di problemi sociali non è smentita, ma non è più rivolta genericamente ai poveri63, bensì al popolo di campagna, eletto protagonista dei testi che compongono il Novelliere campagnuolo64.