II CATERINA PERCOTO
II.4 Uno spaccato sociale
II.4.2 La missione delle classi abbient
Concordemente con le istanze pedagogiche che l’animano, Percoto non rifugge dal proporre modelli di comportamento in merito alla buona conduzione dei latifondi e a elaborare quindi una pars costruens nel ragionamento sulla realtà del mondo agreste. In questo senso è utile avvalersi anche di due distinti racconti, Il licof180 e Il pane dei morti181 che risultano essere tematicamente legati dal personaggio della Contessa Ardemia della Rovere, valutata dalla critica una sorta di alter ego di Percoto, come testimonia la filosofia di vita della protagonista delle novelle182, nella quale è possibile intravedere tratti affini a quelli della scrittrice.
Nell’incipit de Il licof la presentazione della Contessa avviene secondo i canoni di quanto potrebbe soddisfare una donna della sua estrazione sociale: fascino, giovinezza e ricchezza. Nonostante ciò, ella è assolutamente infelice e nessun bene materiale serve a rabbonire un’indole calda che trova pace soltanto «contentandosi di fare qualche allegra gitarella»183. Ardemia della Rovere è lontana dalle consuetudini sociali ed è soprattutto donna libera. È contro il suo anticonformismo che i benpensanti scagliano le loro maldicenze:
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Come si ricava dall’epistolario con Dall’Ongaro, il racconto era stato inviato da Percoto già nella primavera del 1847. Seguirono anni concitati che portano Dall’Ongaro a numerosi spostamenti, anche a fianco di Garibaldi. Questo motivo ritardò la pubblicazione della novella che apparve nelle «Serate italiane». Nel 1851 Valussi lo stampò in quattro puntate nella «Giunta domenicale del Friuli». Si cita da Caterina Percoto, Il licof, in EAD, Racconti, cit., pp. 152-181.
181 Anch’esso apparve nella «Giunta domenicale del Friuli» nel 1851 in tre puntate. Caterina Percoto, Il pane
dei morti, in EAD., Racconti, cit., pp. 182-205.
182 Caterina Percoto, Il licof, cit., p. 153. 183
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avrebbe bisognato che a vent’anni avesse menato la vita d’una donna di cinquanta, che si fosse contentata di seppellirsi nella sua solitudine […] se l’avessero veduta priva di tutti i piaceri, con un vestito184 fuori moda, trasandata, vecchia prima dell’ora, le avrebbero perdonato la sua avvenenza […] e si sarebbero compiaciuti di riguardarla come una vittima infelice e tradita [e così] anche i suoi famigliari spargevano d’assenzio molti de’ suoi giorni185.
Percoto tratteggia un inedito ritratto femminile e, a dispetto delle malelingue che dice colpissero ingiustamente Ardemia, fa trasparire la personale simpatia per la donna ricorrendo ad una immagine botanica che rientra nella consuetudine di far dei fiori il correlativo oggettivo di un personaggio: «il suo cervello era un terreno fertile di fiori che ad ogni strappata di dolore ne produceva tosto di altri e più ridenti e più vivacemente coloriti»186.
Ardemia è infatti una donna emancipata che non teme di praticare l’uccellagione, di vestirsi da amazzone e cavalcare, ma soprattutto frequenta persone non del suo rango ed è tale abitudine ad essere deprecata dai parenti della contessa, reputando essi che in questo comportamento sia ravvisabile la volontà di «attirarsi l’indignazione del pubblico, e prostituire il decoro della famiglia»187. Così, mentre si ordiscono trame contro Ardemia, i consanguinei più giovani si recano nella campagna della contessa e vengono ammaliati dalla vita agreste, suggestivamente resa attraverso la descrizione della scena dell’uccellagione dove possono ammirare la potenza della natura. Per proporre la seduzione che pervade i nobili ragazzi, Percoto ricorre alla descrizione del sinuoso movimento del ragno navigatore dell’aria «che adagiatosi tra le vele dell’elegante barchetto ch’egli s’ha filato, si abbandona al venticello e passa quasi volando»188, restituendo al lettore di oggi l’attenzione per la bellezza del creato anche nelle sue più minute manifestazioni ed il
184 Spesso Percoto indugia sul vestiario di Ardemia della Rovere. I particolari legati agli indumenti sono frequenti nelle novelle di Percoto e rientrano nelle catene isotopiche rintracciate da Angela Fabris, la quale ha anche studiato l’isotopia dell’abbigliamento rintracciabile nei personaggi femminili. Si rinvia a Angela Fabris,
op. cit., pp. 83-98.
185 Caterina Percoto, Il licof, cit, pp. 154-155. 186 Ivi, p. 155.
187 Ivi, p. 157. 188
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fascino che i giovani cittadini hanno subito. Ciò dimostra come anche in questo caso la natura esperita sia rivelatrice del vero ed inoltre che una maggiore consapevolezza della campagna e delle sue genti implica un superamento delle logiche retrive di quella parte di ceto aristocratico arroccato su posizioni passatiste e, quando i giovani ritornano dai famigliari, questi manifestano il loro sdegno «cosicchè la narrazione che i giovani fecero del piacere goduto, non fu che un nuovo capo d’accusa»189
.
In tal senso si può ravvisare la volontà di Percoto di raffigurare le diverse anime all’interno del ceto nobiliare al fine di coglierne maggiormente le sfaccettature psicologiche e di polemizzare contro una classe bloccata da un secolare immobilismo. Ardemia è infatti personaggio esemplare che ritrae l’imprescindibile assunzione di responsabilità dei ceti dirigenti verso i subalterni talché il suo operato assurge a exemplum ad imitandum. A conferma di ciò si può rilevare l’invito che Ardemia rivolge alla cameriera Betta, chiedendole di sedersi al tavolo con lei «via da brava […] qui siamo tutti eguali; e sarebbe bella che dopo averci aiutati sin adesso, ora volessi andartene a bocca asciutta»190 e nel momento di convivialità a pranzo su questa linea si afferma che
un poco alla volta il chiacchierare si faceva sempre più disinvolto, e sulla fine, senza più distinzioni di nascita, parlavano come se fossero stati eguali191.
Infatti, il monito di parità tra ceti di cui si fa portavoce Ardemia è pure di equità di genere, come discernibile dall’inedita rivisitazione che la contessa fa della tradizione. I costumi popolari, oltre ad essere motivo identitario tra i ceti rurali, sono funzionali alla comunione interclassista ed intergenere:
in molti luoghi del Friuli esiste un’antica costumanza per cui, sul finire dell’autunno, dopo terminata la raccolta e fatto i conti ai coloni, il padrone invita a pranzo ogni capo di famiglia a lui soggetta; e questo banchetto si chiama il Licof […] poiché ella era una donna aveva invitato non solamente tutti i capi di famiglia tra i suoi affittaiuoli, ma anche tutte le padrone
189 Ivi, p. 164.
190 Caterina Percoto, Il licof, cit., p. 161. 191
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di casa. Nella sua bizzarra testolina aveva divisato di dare con ciò un esempio, per cui tra i contadini sparisse quel brutto costume che vuole escluse le donne dalla mensa de’loro mariti, e le condanna a mangiare in disparte o in un cantuccio del focolare perfino nei giorni solenni di nozze o di battesimo192.
In merito al passo, si può scorgere la tendenza didattica che Colummi Camerino ha postulato come una delle direttrici della narrativa percotiana e che si afferma quando l’autrice è occupata da «preoccupazioni di omogeneizzazione sociale e di un progresso inteso come interno perfezionamento della società»193.
Poi, è riscontrabile una personalissima attenzione verso le frange di popolazione che, oltre ad essere parte delle classi subalterne, hanno anche peggiore condizione sociale determinata dalla emarginazione che le colpisce194. L’immagine è ancor più efficace poiché coglie l’umile Betta in un momento lavorativo, nella volontà di esemplificare l’atteggiamento di chi, oltre ad essere ai margini per estrazione sociale, è anche oggetto di possibili sopraffazioni nel mondo del lavoro. Inoltre, il proposito di far del comportamento di Ardemia un modello per i ceti dirigenti ed il peculiare impegno assunto da Percoto nei confronti del genere femminile consentono di desumere che la scrittrice individui nella discriminazione verso il gentilsesso una delle matrici problematiche della società ed un nodo da risolvere in prospettiva unitaria. Una conferma di quanto sostenuto è espressa nel carteggio dell’autrice, la quale lamenta con incisività la deprecabile condizione femminile nella sfera lavorativa195. La sudditanza di cui sono oggetto le fanciulle è un fatto compreso
192 Ibidem.
193 Marinella Colummi Camerino, Caterina Percoto e la narrativa sociale del Romanticismo, cit., p. 43. 194
Tenendo infatti presente che «sullo sfondo del paesaggio aspro del Friuli, e di una realtà economica poverissima, le piccole donne della Percoto lavorano da sempre: bambine fanno i lavori domestici o custodiscono gli animali al pascolo, come la Giannetta del Contrabbando; adolescenti prestano servizio nelle case di contadini ricchi se, come la Mariuccia della Coltrice nunziale, appartengono alla fascia più diseredata della plebe rurale». Cfr. Marinella Colummi Camerino, Donna scrittrice e donna personaggio nei racconti di
Caterina Percoto, in Les femmes écrivains en Italie aux XIX et XX siècles. Actes du colloque International,
Aix-en-Provence, 14-15 et 16 novembre 1991, Aix-en-Provence, Publications de l’Université de Provence, 1993, p. 19.
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Significativo il seguente passo: «vorrei che vedeste tutti voi altri che amate il nostro paese, come si torca, come si snaturi e si maltratti fin dagli anni più teneri la povera donna […] né la sola educazione dei conventi, ma all’uopo potrei descrivere quella che si costuma a Trieste nelle case dei ricchi negozianti, nelle pensioni a uso francese in Padova in Vicenza». Lettere inedite di Caterina Percoto al Dott. Gioacchino Pompilj, cit., p. 112. Lettera di Percoto, datata 22 ottobre 1853.
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tra donne. Infatti, nonostante le perplessità del volgo, Ardemia insiste affinché il gentilsesso partecipi al banchetto e quindi, oltre a caricarsi di intenti sociali latamente intesi, si prodiga ad indirizzare i contadini verso un maggior rispetto delle mogli attraverso il suo atto esemplare.
È inoltre opportuno aggiungere che in Il licof, se Ardemia della Rovere si è impegnata nel “farsi popolo”, la constatazione che l’immensa muraglia che separa il ricco dal povero non è abbattibile196 tende a ribadire la tesi di Colummi Camerino, la quale rileva che talvolta nelle pagine percotiane aleggia l’ombra del sentimentalismo197 che appiattisce le determinazioni di classe nel richiamo al semplicistico “buon cuore”.
Inoltre, il tecnicismo che rivela il realismo percotiano nella riforma agricola adoperata da Ardemia della Rovere in favore del sistema delle colonie ripartendole in appezzamenti terrieri più piccoli perché ci sia vantaggio per un maggior numero di contadini198, palesa un atteggiamento che «eccede nell’ottimismo»199
verso le forme capitalistiche della proprietà terriera facendo oltremodo leva sul buon senso che deve muovere la società. Infatti, le pagine percotiate sono permeate da quelle virtù civili come la solidarietà e la lealtà reciproca200 che regolano la convivenza, ma talora esse non risultano sondate nelle loro logiche interne e quindi messe in discussione. È soprattutto opportuno osservare che testimoniano un atto di fiducia verso il progresso che, in linea con il pensiero liberale, si ritiene possa avvenire parallelamente a livello sociale, economico e civile, come dimostra la persona di Ardemia della Rovere che applica nella sua amministrazione i recenti contratti di riorganizzazione delle colonie e l’intento umanitario della stessa verso i lavoratori attivi
196 Ardemia della Rovere si pronuncia in questi termini: «oh sì! Ad onta della differenza di condizione, di quest’ostacolo insormontabile che la sorte a posto tra il ricco e il povero, il suo cuore è uno di pochi che mi han sempre e sinceramente amata». Caterina Percoto, Il licof, cit., p. 175.
197 Marinella Colummi Camerino, Idillio e propaganda nella letteratura sociale del Risorgimento, cit., p. 232. 198 Queste le parole dell’anziano Pappà Gregorio nei confronti della risistemazione agricola operata da Ardemia della Rovere che ci testimoniano un’iniziale diffidenza e successivamente la prosperità derivata dall’iniziativa della contessa: «Si figuri, signore, il primo anno che è venuta a star qui, ella e il signor Giovanni si sono pensati di ridur tutte le colonie a soli venti campi dell’una! Una famiglia come la mia, che si può dire da più secoli lavorava sempre lo stesso terreno, vederselo tolto quasi per metà…! […] E poi… e poi, già si sa, adesso siamo contenti! Ci pareva di dover morir dalla fame, ci pareva di non aver più dove seminare la biade…e invece quei venti campi ci danno adesso più dell’antico terreno, paghiamo il nostro affitto, e si è meno oppressi dalla fatica. In somma… è stato bene!». Cfr. Caterina Percoto, Il licof, cit., p. 179.
199 Piero De Tommaso, op. cit., p. 113. 200
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nelle terre possedute con conseguente gratitudine di quest’ultimi, secondo un meccanismo che corrisponde all’idea di pacifica convivenza tra ceti.
Tuttavia, non è di poco conto riconoscere che l’esemplarità Ardemia della Rovere è valutata innanzitutto nella distanza siderale che la separa dai proprietari terrieri che seguono soltanto il loro profitto economico senza curarsi delle condizioni in cui versano i lavoratori; proprio in virtù di questo si insiste sugli aristocratici parenti di Ardemia incapaci, si badi bene, anche di cogliere la basilare esigenza di fare fronte ai problemi dei contadini.
Eroicamente, è una donna a differenziarsi da loro, infatti, la virtù della contessa è misurata in base al comportamento che assume nei confronti dei contadini. Se certamente il tono della novella è idilliaco, risulta altrettanto indubbio che la personalità di Ardemia e gli intenti che l’animano suppliscano a quello che altrimenti potrebbe essere un comune disinteresse verso i propri lavoratori. Infatti, si deve tenere presente che Percoto è effettivamente impegnata verso la sua materia e quindi l’assunzione di un ruolo responsabile dei ceti dirigenti, non appare sfumata, ma si muove sotto la stella della concretezza. In tal senso, il paternalismo con cui si guardava ai subalterni appare parzialmente arricchito da una prospettiva interessata ad esaminare i rapporti tra classi nel mondo del lavoro visto non solo come dimensione caratterizzante del popolo, ma anche con l’intuizione che nella gestione più equa di questo possono determinarsi dei circoli sociali virtuosi. Inoltre, l’ispirazione idilliaca più che del gusto patetico alla Carcano si colora di istanze educative così come il possibile effetto edulcorato viene perlomeno stemperato nella pagina dalla contiguità che Percoto ha con il mondo contadino201 e consentaneamente ciò accade con il personaggio di Ardemia, limitando un atteggiamento umanitario che diversamente parrebbe di posa.
L’interpretazione consente di fornire una chiave di lettura al ciclo incentrato sulla figura di Ardemia della Rovere, protagonista anche de Il pane dei morti. Tale prosa breve propone l’eccezionalità della contessa che grazie alla sua condizione agiata può viaggiare e visitare le città, fino a quando in lei torna il desiderio dei campi, proposti nella narrazione ricorrendo al binomio oppositivo città-campagna ed infatti è una voce segreta che le sussurra di abbandonare
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quegl’immensi giardini, dove la mano dell’uomo ha saputo domare una natura ritrosa e forzar la terra quasi suo malgrado qui ad elevarsi in molli colline, là ad aprirsi i vaghi laghetti popolati di cigni e cinti di piante esotiche202.
L’artificiosità urbana rompe l’armonia della natura, tradendo la predilezione di Ardemia per un ambiente non violato da quell’uomo divenuto coartatore della natura, tanto che il suo pensiero si rivolge verso gli affetti maturati in campagna, facendola sentire straniera in città fino a quando la sua anima errante risolve di tornare nella terra natia e «dedicarsi tutta a far fiorire, per quanto in lei stava, l’agricoltura, e procurare, come una madre affettuosa, il benessere e la felicità de’suoi buoni dipendenti»203
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La vita oziosa non sembra quindi soddisfare Ardemia, la quale ritova il senso della propria esistenza nelle campagne e nel dinamismo del lavoro agricolo a contatto con i contadini. Il suo rimpatrio avviene nel giorno del pane dei morti quando, un tempo, «ogni famiglia nel dì d’Ognissanti dispensa al popolo una quantità di pane a seconda della propria agiatezza», testimoniando al lettore odierno i meccanismi di solidarietà instauratisi nel contado204, tanto da arricchire la tradizione di significati sociali. Percoto precisa che non si tratta di elemosina che sono, secondo l’opinione autoriale, l’ultimo atto a cui un povero vorrebbe ricorrere205.
Si noti inoltre che il lettore viene edotto della pratica della distribuzione del pane dei morti affermando che «in quel giorno, confusi ai poverelli, battono alla tua porta»206. È importante rimarcare che se la scrittrice si avvale di norma della terza persona e in taluni casi della prima persona facendo trasparire la fisionomia criptoautobiografica, il ricorso all’aggettivo possessivo di seconda persona “tua” appare alquanto inedito e certamente
202 Caterina Percoto, Il pane dei morti, cit., p. 183. 203 Ivi, p. 185.
204 Nelle comunità rurali i rapporti di mutuo soccorso erano molto stretti, a prescindere dai vincoli di parentela o dalle estrazioni sociali. Erano pratiche profondamente legate al Friuli. Si rinvia a Furio Bianco, op. cit., p. 61.
205 Percoto parla infatti dello «sforzo terribile di dimandare l’elemosina». Cfr. Caterina Percoto, La coltrice
nunziale, cit., p. 318.
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esclusivo in Il pane dei morti; in questo particolare soggiace la volontà autoriale di indirizzarsi al lettore nel tentativo di muoverlo all’azione.
La consegna del pane dei morti era rito oramai perduto, ma grazie al ruolo della tradizione che si tramanda di generazione in generazione, Ardemia ricorda che i suoi avi le avevano narrato l’importanza di tale consuetudine e così decide di ripristinarla, esemplificando quindi il suo autentico coinvolgimento ed impegno verso il popolo. La distribuzione del pane avviene senz’ombra di autocompiacimento e, durante questa, Ardemia riconosce l’amica d’infanzia Rosa207
, la cui povertà fa scaturire nella nobile il bisogno di «penetrare quel cuore»208. Così, dimentiche delle differenze sociali, le due donne si abbracciano, sono sorelle nella «fraternità di sventura»209. Inoltre, Rosa svela ad Ardemia che gli stenti economici in cui versano lei, il marito ed i piccoli figli sono dovuti ad un fraintendimento causato dal fatto che il volgo ha erroneamente accusato il marito Nardo di furto, generando così la diffidenza della gente di paese e la perdita del lavoro di sarto. Caduto in disgrazia, Nardo si è abbandonato ad attività illecite ed è proprio la contessa ad aiutare la famiglia distogliendo l’uomo dal compiere un furto, fornendogli un lavoro e ristabilendo quindi l’idillio interrotto.
A livello ideologico, dalla novella si ricava che il ceto subalterno è caratterizzato nella sua condizione di beneficato210. Impossibilitato a salvarsi da solo, necessita dell’intervento di un deus ex machina che nella persona di Ardemia è capace di sanare gli equilibri sconvolti dalla fortuna avversa. Il procedimento è tipico, ad esempio, di Lis cidulis, il racconto bipartito che si ricompone grazie alla figura di Massimina, anche lei “salvatrice” dei giovani promessi Rosa e Giacomo. Del resto, come è stato postulato, la lieta soluzione attraverso deus ex machina ha una sua motivazione non formalistica, se si tiene presente che è proprio dai “signori” che si attende l’atto filantropico a vantaggio dei contadini211
: una ragionevole interpretazione che fa vacillare l’idea che il ricorso all’espediente
207 Nome parlante, perché la donna ha eccezionale personalità: «era proprio la rosa dell’ultimo dicembre». Si noti inoltre come Percoto tenga a specificare che Rosa era «maritata di suo genio con un giovane sartore del paese, che campava onoratamente lavorando del suo mestiere». Per ambedue le citazioni cfr. ivi, p. 188. 208 Ibidem.
209 Ivi, p. 192.
210 Marinella Colummi Camerino, Caterina Percoto e la narrativa sociale del Romanticismo, cit., p. 48. 211
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corrisponda soltanto al «bisogno di ristabilire l’ordine turbato di questo mondo»212
, giacché si profila piuttosto il pensiero sociale di chi attende dai ceti abbienti un concreto intervento.
Inoltre, è lecito aggiungere che nel “ciclo di Ardemia” composto da Il licof ed Il pane
dei morti si fatica ad uscire dall’impasse del paternalismo poiché, come accade
frequentemente nella letteratura rusticale, il tema del miglioramento delle condizioni lavorative dei contadini è sempre eluso213 o meglio, la prospettiva fornita presuppone che i mutamenti possano avvenire soltanto grazie ad un gruppo dirigente illuminato. Parallelamente, è possibile evincere che l’autrice è costantemente impegnata nella materia sociale che costituisce il nodo cruciale delle sue pagine, poiché l’assunzione di responsabilità dei ceti guida è posta come necessaria e quindi i testi di Percoto divengono lo strumento preferenziale per veicolare messaggi ad un gruppo in fermento economico e sociale.