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III IPPOLITO NIEVO

III.1 La musa pratica

Nella lunga notte della critica nieviana, Ippolito Nievo è stato ripetutamente imprigionato nell’immagine unidimensionale di “poeta soldato”, secondo la celebre definizione che ne diede il primo biografo Dino Mantovani. Con toni più polemici, Benedetto Croce “liquidava” l’autore valutando fiacche le sue capacità di scrittore a differenza della vita eroica giudicata dal critico napoletano il vero capolavoro, mentre da una valutazione sostanzialmente negativa delle Confessioni come romanzo privo di unità, si salvava soltanto il personaggio di Pisana1.

Tuttavia, a partire dal dopoguerra gli studi su Nievo si sono svolti in maniera più complessa, specialmente grazie all’apporto di Sergio Romagnoli. Gli interventi sullo scrittore sono divenuti progressivamente più numerosi e ricchi di molteplici chiavi di lettura. Inoltre, con l’approssimarsi dei centocinquant’anni dalla morte del garibaldino, una commissione di studiosi preceduta da Pier Vincenzo Mengaldo si è incaricata di restituire ai lettori odierni un profilo articolato dell’autore occupandosi dell’edizione nazionale delle opere nieviane.

Alla luce dei contributi più recenti è quindi possibile guardare alla vocazione politica e letteraria di Nievo con maggior chiarezza, senza prediligere l’una all’altra. In questo frangente si intendono fornire dei brevi cenni utili a postulare lo stretto legame che salda le due esperienze compiute dal patriota e scrittore2.

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Benedetto Croce, Scritti di storia letteraria e politica. Saggi critici, Bari, Laterza, 1914, pp. 112-138. 2 Per una ricognizione biografica aggiornata e completa si rinvia a Elsa Chaarani Lesourd, op. cit. Inoltre, si veda Marcella Gorra, Ritratto di Nievo, Scandicci, La nuova Italia, 1991. Utile anche la consultazione di un libro caratterizzato da un piglio narrativo avvincente Paolo Ruffilli, Ippolito Nievo. Orfeo tra gli Argonauti, Milano, Camunia, 1991. Numerosi sono comunque i volumi che permettono di accostarsi alla lettura di Nievo, mentre in questa sede ci si limita, per ovvie ragioni, a fare riferimento ad alcuni dati utili a rimarcare degli aspetti che saranno successivamente ripresi. Per approfondimenti si rinvia alla vasta e rigorosa bibliografia compilata da Simone Casini. Cfr. Le Confessioni d’un italiano, a cura di Simone Casini, 2 voll., Firenze, Fondazione Pietro Bembo-Ugo Guanda Editore, 1999, I vol., pp. CLXXXIII-CCLXXIV. Inoltre, si

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Nato a Padova il 30 novembre 1831, Ippolito Nievo era figlio del magistrato mantovano Antonio e di Adelaide Marin, appartenente all’antica casata nobiliare friulana dei Colloredo. La famiglia Nievo non fu estranea al patriottismo e al liberalismo, i cui valori erano coltivati ancor prima degli eventi del 18483. In particolare, i fatti legati agli anni rivoluzionari di Mantova e le vicende di grandezza e libertà di Venezia raccontate dal nonno materno Carlo Marin, svolsero un ruolo cruciale nella formazione del giovane che cresceva in un ambiente quantomeno non alieno dagli ideali che poi avrebbe seguito con fervore e speranza.

Il credo di Nievo, ancora studente, si connotò a partire dal ’48 in senso liberale e patriottico. In quei concitati anni ebbe modo di assistere ad eventi di portata determinante e le sue posizioni politiche si manifestarono sin dagli anni adolescenziali: oltre ad essere testimone della sconfitta di Custoza (1848), l’anno successivo, diciassettenne, si recò in Toscana con l’idea di poter partecipare agli avvenimenti storici rivoluzionari che infiammavano il granducato. Nel 1852-53 osservò con estremo sgomento i funesti eventi successivi alla congiura di Belfiore (1850) culminata con numerose condanne alla forca per i patrioti4.

Questi fatti segnarono definitivamente il suo destino: negli anni Cinquanta decise di farsi letterato con la fiducia che la scrittura potesse contribuire al tentativo di trasformare la società coinvolgendo un vasto numero di persone5. Nello specifico, sin da giovane Nievo intendeva la scrittura «[come] un mezzo [più] che un fine, [come] una scelta […] etica [più] che estetica»6. Ciò è testimoniato dal preciso indirizzo assunto già dai primi scritti come Emanuele (1852) in cui prende posizione contro le posizioni antisemite, da

l’Antiafrodisiaco per l’amor platonico (edito postumo) che oltre ad essere un racconto in

chiave satirica delle prime delusioni sentimentali, è pure lo specchio delle riflessioni

segnala anche la bibliografia presente nel sito della Fondazione Nievo

http://www.fondazionenievo.it/it/ippolito-nievo-la-bibliografia/, consultato il 17 luglio 2012, h. 18.18. 3 Come dimostrato da Elsa Chaarani Lesourd, op. cit., p. 11.

4 Della Peruta afferma che non esistono documenti che attestino la partecipazione di Nievo al moto di Belfiore guidato da Don Enrico Tazzoli e nel contempo lo studioso evidenzia che il giovane fu profondamente colpito da questi fatti, come testimoniato dai suoi carteggi. Cfr. Franco Della Peruta, Nievo politico» e la questione

contadina, in ID., Uomini e idee dell’Ottocento Italiano, Milano, Franco Angeli, 2002, p. 160.

5 Cesare De Michelis, Adolescenza di Ippolito, in Ippolito Nievo tra letteratura e storia,cit., p. 26. 6

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compiute dal giovane sul fallimento del biennio rivoluzionario7. Inoltre, la copiosa attività di giornalista intrapresa a partire dagli anni Cinquanta costituisce un passo determinante verso una scrittura che si qualifica come politica8.

L’impegno di Nievo è chiaramente espresso nella celebre lettera del 1853 ad Andrea Cassa, al quale l’autore comunica la propria concezione di arte:

come vedi, la mia Musa sta molto sul positivo, ama i dettagli della vita pratica, e o trascura o sdegna i voli lirici e sentimentali dei poeti Pratajuoli: credo d’aver scelto la via se non più brillante almeno più utile. E poi mi sta dinnanzi quel grande esemplare del Giusti che m’insegna il modo d’adoperarsi perché il verseggiare non sia un’inutilità sociale9

.

È questa un’importante affermazione di poetica poiché, stabilendo il nesso tra letteratura e vita, Nievo riferisce delle scelte “pragmatiche” che intendeva perseguire nella propria scrittura, individuando in Giusti il proprio nume tutelare. Una medesima posizione è presente a più riprese nell’orizzonte ideologico dello scrittore e costituisce un elemento importante per ricostruire l’itinerario biografico e letterario di un autore che dichiara di non volersi ispirare a «quell’eterno Io lirico che inonda i 9/10 della prosa e della poesia contemporanea»10. Infatti, anche i Versi del 54 vengono concepiti con lo scopo di «restaurazione civile e morale»11 e, pur con le dovute differenze, anche nei Versi stampati nell’anno successivo i temi politici convivono con quelli personali, secondo una scelta oramai intrapresa in modo definitivo12.

La volontà di coniugare istanze etiche e letterarie si esprime in maniera ancor più netta negli Studi sulla poesia popolare e civile in Italia (1854). Il saggio persegue il tentativo di individuare i campioni della letteratura popolare italiana - un’operazione che presenta

7 Ivi, p. 22. 8

Elsa Chaarani Lesourd, op. cit., p. 77.

9 Ippolito Nievo, Lettere, cit., p. 261. Lettera ad Andrea Cassa, datata 20 dicembre 1853 10 Ivi, p. 286. Lettera ad Attilio Magri, datata 25 maggio 1854.

11 Ivi, p. 284. Lettera ad Attlio Magri, datata 2 maggio 1854. 12

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alcune somiglianze con quella compiuta da Correnti nel suo manifesto rusticale- dove l’autore si scagliava tra l’altro contro la scuola romantica che accusava di astrattezza13

. Progressivamente la “scelta antiaccademica” di Nievo maturò in un pragmatismo speculativo e concreto14 che si fortificava con la riflessione sulla letteratura, con l’attenzione alla sfera pubblica e con un confronto intenso con gli uomini.

Negli anni del primato di George Sand e della letteratura rusticale, l’autore si cimentò nelle novelle campagnole, le quali rispecchiano la poliedricità di uno scrittore mobile e duttile poiché pronto a mettersi in gioco in generi diversi nella ricerca della forma più idonea ad esprimere una società in forte mutamento e le sue questioni insolute. Infatti, le prose incentrate sulla vita dei rustici mantovani, veneti e friulani proseguono il cammino percorso da Nievo verso una scrittura capace di volgere lo sguardo ai problemi contemporanei, seguendo l’esigenza di realismo nella scelta di temi urgenti e di idealismo nel proporre dei modelli d’azione15

. I testi furono stampati postumi nel Novelliere

campagnuolo, secondo il titolo che Nievo prospettava nelle sue lettere. Al medesimo filone

è anche ascrivibile Il Conte Pecorajo. Storia del nostro secolo16 che a partire dal 1855 impegnò l’autore a costruire, attraverso la forma romanzesca, una più articolata rappresentazione della campagna. Si tratta di una vicenda ambientata nella contemporaneità, mentre Angelo di Bontà (1855) è una Storia del secolo passato, come si dichiara nel sottotitolo, in quanto le vicende sono collocate a Venezia, nel 1749. Nonostante alcuni intervalli e riprese, l’esperienza rusticale di Nievo occupa il biennio ’55- ’57 ed è quindi piuttosto breve17, probabilmente anche perché l’autore maturò consapevolezza dei “limiti” del genere18

.

13 Marinella Colummi Camerino, Idillio e propaganda nella letteratura sociale del risorgimento, cit., pp. 260- 261.

14 Cesare De Michelis, Adolescenza di Ippolito, cit., p. 26. 15

Una maggiore problematizzazione di queste due linee è strutturata nel prosieguo di questo studio.

16 Il romanzo è stato oggetto di sostanziali revisioni dell’autore dal 55 al 57 e questo ha prodotto diverse redazioni. Una di queste è rimasta in forma manoscritta ed è stata data alle stampe per la prima volta come Ippolito Nievo, Il Conte Pecorajo. Storia del nostro secolo. Testo critico secondo i manoscritti del 1855-56, a cura di Simone Casini,Venezia, Marsilio, 2011. Salvo eccezioni che verranno puntualmente segnalate, si ricorre a Ippolito Nievo, Il Conte Pecorajo. Storia del nostro secolo. Testo critico secondo l’edizione a

stampa del 1857, a cura di Simone Casini, Venezia, Marsilio 2010.

17 Secondo quando postulato da Romagnoli, Nievo scrittore rusticale, cit., p. 5. 18

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Tuttavia, la ricerca compiuta sino a quel momento da Nievo non fu perduta, anzi, alcuni motivi e soluzioni delineate nella produzione letteraria confluirono ne Le Confessioni d’un

Italiano, la cui febbrile scrittura lo impegnò per circa otto mesi, a cavallo tra il 1857 e il

1858. Nel volume, vicende private si intersecano con l’irrompere della storia costruendo un romanzo ricchissimo di percorsi da seguire. Nell’impossibilità di affrontare brevemente i fili tracciati da Nievo, che per la loro ricchezza costituiscono uno dei maggiori motivi della modernità di un’opera stimolante e sorprendente, in questa sede è importante evidenziare che una delle ragioni che contribuiscono a rendere le Confessioni uno dei capolavori assoluti dell’Ottocento risiede in una trama incentrata sul tema dei grandi mutamenti della sfera pubblica che si incrociano con gli avvenimenti politici, di cui viene data testimonianza attraverso Carlino, protagonista “medio” eletto a personaggio “esemplare” dell’impegno generazionale della stagione risorgimentale.

La passione patriottica portò Nievo ad arruolarsi nei Cacciatori delle Alpi nel maggio del 1859 e ad abbracciare la fede garibaldina nutrita dall’affinità ideologica con il Generale, il cui carisma suscitò un notevole fascino nel giovane patriota.

Se la vita politica impegnò ancor maggiormente Nievo sul finire degli anni Cinquanta, l’attività di scrittore non venne trascurata, anzi, egli confermò la sua assoluta originalità nel panorama culturale italiano. Infatti, concepì Venezia e la libertà d’Italia19, nel quale postulava l’assoluta necessità di stabilire il congiungimento del Veneto alla Lombardia durante il Congresso europeo che si sarebbe dovuto tenere a Parigi il 13 gennaio 1860. In quel periodo storico le speranze politiche di Nievo furono in parte disattese e soprattutto l’armistizio di Villafranca costituì un vero smacco per gli indipendentisti e per lo stesso scrittore che riferisce il proprio stato d’animo con le trepidanti parole di chi ha «gli occhi di pianto/il cor fremente»20.

All’indomani di questo avvenimento storico, Nievo lavorò al visionario Storia filosofica

dei secoli futuri. Parallelamente, il prolifico autore era impegnato su più fronti. Intuendo il

pericolo di una rivoluzione incompiuta, stese il saggio Rivoluzione politica e rivoluzione

nazionale, un lucido tentativo di proporre delle misure da adottare affinché il mutamento

19 La composizione risale al 1859 o ai primi mesi del 1860.

20 Ippolito Nievo, Villafranca, in Ippolito Nievo, Gli amori garibaldini, a cura di Domenico Bulferetti, Como, Gagliardi, 1911, p. 62.

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politico potesse compiersi organicamente. Ancora una volta lo scrittore elaborò esperienze private e riflessioni etico-politiche consegnando ai posteri «una delle testimonianze più alte del pensiero politico progressista»21.

La radicale fiducia nell’ideale unitario e più propriamente nell’opzione proposta da Garibaldi, portò Nievo ad imbarcarsi con I Mille diretti in Sicilia, dove svolse l’attività di intendente delle finanze garibaldine ed ebbe modo di riflettere sulla difficoltà di far penetrare la rivoluzione nell’isola22

.

Il 5 marzo 1861 Nievo si imbarcò sul piroscafo Ercole; non arrivò mai a destinazione e non vide l’unità d’Italia che aveva profetizzato nelle Confessioni. «Mi conservo sempre fanciullo; amo il moto per muovermi, l’aria per respirarla»23

. Queste le parole della sua ultima lettera.