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II CATERINA PERCOTO

II.4 Uno spaccato sociale

II.4.3 La mediazione tra classi: pievani e medic

Percoto non postula atti di ribellione dei contadini, verso i quali è piuttosto mossa dalla volontà di comprensione, quantomeno conoscitiva. Infatti, addita modelli di comportamento ai nobili e ai subalterni. Anche il ricorso al deus ex machina, che chiude le novelle con toni edificanti, ribadisce la necessità della concordia tra classi.

Talvolta non sono i ceti abbienti a svolgere l’azione benevola, bensì sono i parroci e i medici ad incaricarsi di istanze filantropiche. Percoto intuisce che queste due figure possono ovviare al divario che separa le classi in virtù del loro ruolo di mediatori.

Conformemente con questo assunto, in Un episodio dell’anno della fame la figura salvifica del parroco che si impegna di volgere al meglio il destino di Pietro indirizzandolo da un possidente è significativa. Difatti, nonostante la rottura del meccanismo tragico, l’intervento positivo è operato da un prete e ciò è un dato non trascurabile sia a livello realistico sia dal punto di vista ideologico.

212 Alberto Spaini, Prefazione, in Caterina Percoto, L’anno della fame e altri racconti, Torino, Einaudi, 1945, p. X.

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Storicamente occorre tenere presente un dato spesso trascurato e cioè che per la gestione della crisi del ’14-’17, le commissioni preposte al controllo della situazione critica puntavano al ruolo in prima linea dei parroci ed è soprattutto con il 1816 che si sfrutta il reticolo dei curati presenti sul territorio, tant’è che i curati divengono simbolo dell’autorità e del culto, ma anche tramiti con l’apparato statale214. Ciò permette di aggiungere un ulteriore tassello nella disamina dell’orizzonte ideologico entro cui collocare la produzione di Percoto. A tale proposito, è opportuno osservare che la friulana attribuisce rilevanza al clero di campagna e ciò è confermato anche in Un episodio dell’anno della fame, in cui spicca il precetto di mutua solidarietà che il parroco pronuncia dal pulpito della chiesa.

Nella novella Il refrattario, Giovanni è costretto a nascondersi segretamente nella casa di famiglia poiché proscritto e ad osservare la festa nunziale della sorella da una finestra senza potervi prendere parte. Durante il banchetto, a cui partecipa anche il curato del paese, degli ufficiali giudiziari irrompono per cercare il giovane. In quanto intermediario tra stato e popolo, è il parroco a ritardare l’incursione della polizia nella casa, permettendo così la fuga a Giovanni. Questi si reca successivamente nella canonica dove il sacerdote, inconsapevole deus ex machina215, ammonisce il ragazzo dall’atto sconsiderato di essersi fatto esule, ricordandogli i doveri civili216, ma anche promettendogli di prodigarsi per migliorarne la situazione217, riproducendo così il topos della figura benigna venuta a sanare le piaghe altrui.

Nel ritratto sociale esposto da Percoto il clero rustico ha un ruolo preminente nella gestione dei rapporti tra classi e quindi, se l’intervento benefico del parroco pone fine a una

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Come ricavabile da Luciana Morassi, op. cit., pp. 17, 88-90.

215 Infatti durante il banchetto, in cui tuttavia è all’ignaro del suo ruolo ed infatti durante il successivo incontro con Giovanni afferma: «ringraziarmi? Di che? Ma credi tu, che quando sono venuti a cercarti io sapessi del tuo ritorno?». Cfr. Caterina Percoto, Il refrattario, cit., p. 100.

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«Il servigio militare era un debito tuo, che colla tua fuga hai gettato sul capo di un altro, obbligandolo a pagare per te». Ibidem.

217 Per la seconda volta il parroco è deus ex machina, ma qui lo è consciamente poiché elargisce a Giovanni del denaro e si adoperai «coi signori di que’contorni, da poter mettere insieme la somma necessaria per un cambio, e col mezzo di un amico potente ch’egli aveva nella città di Venezia aveva ottenuto il suo completo perdono». Ivi, p. 102. Nonostante ciò, la vicenda di Giovanni si conclude in modo drammatico. Nella conclusione della narrazione Giovanni ritorna dal parroco dopo anni, ma questi è gravemente malato e non può accoglierlo. Giovanni è costretto alla condizione, non solo istituzionale, di esule: «partì confuso, presagio di qualche disgrazia». Ibidem.

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drammatica vicenda volgendola verso l’idillio e facendo perdere l’intensità della stessa novella, parallelamente è lecito annotare che la scrittrice attinge dal vero218 nella funzione che attribuisce ai religiosi. Da questo consegue che nell’ideologia della scrittrice emerga il ruolo civile del chiericato e la fiducia nei confronti di esso. A ragion veduta, Tito Maniacco rileva

che il lettore contemporaneo riesca facilmente a cogliere elementi determinanti di paternalismo in questo strano rapporto, è fuori dubbio, ma questo è un lato soggettivo e a

posteriori di una lunga e complessa vicenda. La memoria storica dirà che ci possono essere

stati preti più o meno degni, potrà far notare […] che ci furono preti affaristi, usurai, scarsamente caritatevoli, ma è nel complesso, è nella “lunga durata” che il contadino ha una memoria positiva del prete219.

Invero, anche in Un episodio dell’anno della fame il posticcio intervento del deus ex

machina nella persona del prete si configura come aspettazione di un chiericato benefattore,

ma è anche rilevante che l’azione filantropica sia attuata da un parroco proprio nel periodo di crisi economica in cui il “basso clero” esercitava incarichi di primo piano. Proprio per questo motivo il cappellano dichiara a Pietro «io non poteva, è vero […] darti dei grandi aiuti, che son povero e son padre di molti poveri: ma nondimeno nella maniera che mi fosse stato possibile ti avrei soccorso»220.

Soffermandosi ancora sul clero di campagna ritratto da Percoto, giova accogliere uno spunto legato alla biografia. La scrittrice friulana aveva provato sulla propria pelle le derive dell’educazione claustrale e contemporaneamente non nutriva posizioni pregiudiziali nei confronti delle sfere religiose. La simpatia per i pievani deriva anche dalla diretta esperienza che Percoto ne aveva fatto, basti rammentare don Pietro Comelli, amico, confidente, pedagogo della contessa. È stato infatti osservato che ella ebbe con Comelli

218 Maniacco osserva che il mondo cattolico è sempre stato molto vicino alla campagna. Lo studioso parla del prete in Friuli come “intellettuale organico” del mondo contadino. Aggiunge inoltre che i caratteri che permettono questo legame con il contado sono: parlare la stessa lingua, essere parte integrante delle tradizioni e della loro cultura. Si rinvia a Tito Maniacco, Storia del Friuli, Roma, Newton Compton editori, 1985, pp. 219, 220 e passim.

219 Ivi, p. 219. 220

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rapporti che andavano decisamente oltre la posizione di padrona, poiché erano legati da una reciproca stima e l’autrice non esita a inserirlo tra quei «predi, di chêi nestris vechios di une volte, che si impazzàvin pôc di polìtiche, ma che par altri è olèvin ben al lôr púar paîs»221.

Profili d’anime, più che descrizioni, sembrano i ritratti dei preti di campagna che la scrittrice conosceva e verso i quali provava sincero rispetto, come nel caso di uno dei punti massimi dell’opera percotiana, Prepoco, biografia222

, il racconto pervaso da aura mistica in merito al quale Vittore Branca ha magistralmente scritto:

[un’] anima folgorata da un’antica memoria o da una remota passione vietata (più enigmatica e paurosa per l’ombra in cui resta) si delinea senza sovrastruttura di casi, nuda e desolata come la squallida e muta esistenza di quel povero relitto d’uomo223

.

Nel bozzetto, il sacerdote dileggiato dal volgo per «non essere mai progredito d’un passo nella carriera»224 viene nobilitato dalla scrittrice per la sua sacrale purezza

avresti detto che innanzi alla mente di quell’uomo stava fitta una memoria di altri luoghi, e di altri tempi, e che alle sue orecchie suonavano altre armonie, per cui era impotente a mettersi all’unisono della realtà che lo circondava225

.

L’intimità tutta allusa si traduce come «fantasia [che] me ne dipinge un quadro colla sottoscritta “annos aeternos in mente habui”»226

, indugiando nei dettagli di francescana povertà come la «casuccia dov’egli abitava [che] non vede quasi mai il sole»227

e sul modus

221 Ossia: «un prete, di quei nostri vecchi di una volta, che si curavano poco di politica, ma che per altro, volevano bene al loro povero paese». Caterina Percoto, Pe bochie si schialade il fôr, in EAD., Scritti friulani, cit., p. 86.

222 Caterina Percoto, Biografia d’un prete (PrePoco), in «La Favilla», a. X, 1845, 3, 15 febbraio, pp. 33-39. Ora come: EAD., Prepoco, biografia, in EAD., Racconti, cit., pp. 65-76.

223

Vittore Branca, Per Caterina Percoto, cit., p. 251. 224 Caterina Percoto, Prepoco, biografia, cit., p. 71. 225 Ivi, p. 68.

226 Ivi, p. 70. 227

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vivendi «come il più austero anacoreta, di erbaggi senza condire, o di qualche frutto, o di

patate e di rape ch’egli solo abbrustolava»228 .

Qui veramente si procede per gradi, che culminano con il ritrovamento di una vecchia bibbia in cui sono annotati i semplici precetti evangelici che modulano l’esistenza e, date le ispirate pagine di Percoto, non stupirebbe se si potesse scorgere il sostrato in cui nasce l’episodio nieviano delle Confessioni in cui Carlino ha modo di leggere il libro devozionale di Martino229. A ciò si aggiunga che Percoto intende ribadire la veridicità del profilo affermando che

in Prepoco non c’è sillaba che non sia vera. Io l’ho conosciuto di persona; il suo nome era don Pietro Saccovini, ma nessuno lo chiamava altrimenti che per il nomignolo, che la gente gli aveva affibbiato230

Tuttavia, l’approccio che Percoto ha nel tratteggiare i personaggi delle sue vicende non è aprioristico e, anzi, l’autrice risulta essere scrupolosa nel dipingere il carattere multiforme dell’esistente. A tale proposito, la fiducia che ha nei confronti dei curati di campagna e nel loro impegno sociale, contrariamente non traspare per il clero curiale.

In Un episodio dell’anno della fame, Pietro, recatosi in città, si scontra con una turba incurante della sua sofferenza e delle lacrime che gli coprono il volto. Tra gli uomini che si muovono nell’inumana folla, vi sono anche dei «canonici paffuti, dal maestoso portamento, [che] passando gli vellicavano la faccia lagrimosa coi loro morbidi mantelletti di seta»231. È quindi il clero curiale ad essere qui alieno della condizione del popolo ed invero i dettagli dell’elegante abbigliamento e dell’incapacità di vedere l’angustia si fanno rivelatori del tradimento ai principi evangelici.

228 Ibidem. 229

Nota infatti Chemello che vi sia «un probabile debito di Nievo nei confronti di questa pagina». Ivi, p. 72 (nota 1). Questi i precetti di Prepoco: «-Alzarmi invariabilmente ogni giorno alle quattro del mattino: - Recitare l’Uffizio, leggere un capo del Kempis, poi due ore di meditazione, indi in Chiesa ad assistere alla Santa Messa. -Nei giorni che non si fa dottrina, e il tempo che avanza dalle funzioni sacre occuparmi in qualche lettura divota. -Dopo pranzo studiare la bibbia, poi di nuovo due ore di meditazione. -La sera leggere in ginocchio sino alle dieci. -A mezza notte alzarmi per recitare i salmi e piangere a’piedi del Crocifisso».

Ibidem.

230 Cit. in ivi, p. 65. 231

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La narrativa di Percoto si spinge oltre sul tema e, nel patriottico La coltrice nunziale, sul quale si tornerà più avanti, i pievani sinceramente vicini al popolo sono gli uomini che sanno proferire «parole di pace»232 e si contrappongono idealmente al curato filoaustriaco, accusato da una donna morente di essere

prete sacrilego, predicar dall’altare, che noi altri potevamo approfittarci della roba dei ribelli! Che l’incendio e il saccheggio erano giustizia!... Oh!... dir messa cosi, con l’odio nel cuore!... Innalzar l’Ostia consacrata e spalancar l’inferno ai vostri figliuoli!... Non mi toccate! Le vostre mani grondano sangue...233.

Inoltre, Percoto individua nel medico una figura chiave all’interno dell’assetto sociale rurale, poiché questi non appartiene alle fasce di popolo misere, ma ne ha continua esperienza. Il medico, oltre ad essere una personalità rispettata dalle plebi, è anche colui che nella narrativa risorgimentale ha le caratteristiche per fungere da tramite tra il livello borghese e quello popolare234.

Quest’aspetto è reso in Lis cidulis nella cura che il dottore filantropo presta alla borghese Massimina «nel pensiero d’osservare più dappresso l’ammalata, di giovarle se fosse stato possibile coll’arte»235 e parimenti alla povera contadina Rosa, il dottore «diede i suoi ordini, le lasciò il proprio orologio perché fossero eseguiti colla massima esattezza»236.

In questo senso, si configura anche il timore che il volgo ha della scienza e Percoto tenta a più riprese di ribadire la funzione positiva esercitata dai medici promuovendo la fiducia dei contadini nei confronti dei dottori, proprio perché, fittizio deus ex machina come nel caso di Rosa, è concreto benefattore dei poveri colpiti da inedia e malattie, a cui talvolta il volgo non bada per il «fatale pregiudizio per cui la maggior parte dei villici riguardano la medicina come scienza inutile»237. Si afferma la fede nel progresso scientifico che in una pagina come quella di Percoto, nonostante essa si rivolga ai ceti borghesi, suona come

232 Caterina Percoto, La coltrice nunziale, cit., p. 370. 233

Ivi, pp. 364-365.

234 Marinella Colummi Camerino, Idillio e propaganda nella letteratura sociale del Risorgimento, cit., p. 230. 235 Caterina Percoto, Lis cidulis, cit., p. 15.

236 Ivi, p. 20. 237

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riproposizione delle credenze popolari che la società si deve impegnare ad attenuare per intraprendere la strada del cosiddetto avanzamento sociale, diffondendo fiducia nei confronti delle scienze esatte, in una modalità non dissimile a quella che la paraletteratura dedicata al popolo andava propugnando. Dottori e curati divengono dunque figure in grado di promuovere il progresso sociale e la concordia tra classi.