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I. La migrazione femminile

II.2. Lo sfruttamento della prostituzione femminile migrante, in particolare

II.2.2. L’evoluzione storica della prostituzione in Italia

Al fine di cercare di comprendere il complicato fenomeno dello sfruttamento della prostituzione è necessario analizzare la sua evoluzione nel corso degli anni.

In particolare lo sviluppo dal punto di vista storico della prostituzione in Italia è caratterizzato da tre periodi fondamentali.

Più specificatamente il primo periodo inizia durante il novecento e termina nel 1958, ossia l’anno in cui viene introdotta la legge Merlin che prevede la soppressione delle case chiuse.

Il secondo periodo si dispiega dagli anni seguenti alla legge Merlin agli anni Ottanta e da ultimo il terzo periodo comprende i due decenni successivi fino ad arrivare ad oggi. In particolare nel periodo che va dal 1890 al 1958 le donne che sceglievano di fornire delle prestazioni sessuali a pagamento, dovevano esercitare l’attività esclusivamente all’interno di luoghi specificatamente adibiti a tale scopo, ossia nelle case chiuse o bordelli, in cui erano le persone che dirigevano e che erano responsabili delle case chiuse a stabilire le modalità di lavoro delle prostitute e a intascarsi una percentuale elevata dei loro guadagni.

Più specificatamente “quasi come salariate del sesso a pagamento, esse dipendevano dalla tenutaria del bordello, che stabiliva le tariffe da applicare ai clienti e sottraeva ai guadagni delle prostitute i costi di gestione, le cui principali voci consistevano in tasse dello Stato, lavaggio della biancheria, visite mediche, vitto e alloggio.”74

Quindi le donne che decidono di offrire prestazioni sessuali a pagamento in questo periodo storico erano soggette a delle condizioni di sfruttamento, in particolare non solo dovevano dare una significativa parte del denaro guadagnato con il loro lavoro alla persona che gestiva il bordello, ma dovevano sostenere anche altre spese, ad esempio le prostitute dovevano consegnare del denaro alla maîtresse anche per la casa in cui abitavano.

Inoltre i nomi delle donne che decidevano di esercitare la prostituzione all’interno dei bordelli venivano inseriti in un registro dalle forze dell’ordine, di conseguenza anche se un giorno decidevano di smettere di esercitare questa attività per loro era molto difficile trovare un altro tipo di lavoro.

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74. Stefano Beccucci e Eleonora Garosi, “Corpi globali: la prostituzione in Italia” (Firenze: University Press, 2008), 19.

Successivamente in seguito all’approvazione della legge Merlin del 1958 vengono chiusi i bordelli.

In particolare “la prostituzione da ora in poi non sarà più consentita all’interno dei bordelli (dai quali lo Stato ricavava benefici fiscali) mentre verrà permessa solo a condizione che non vi sia favoreggiamento o sfruttamento da parte di terzi.”75

Più specificatamente la discussione che in Parlamento aveva condotto all’approvazione di tale legge sottolineava l’importanza della tutela dei diritti delle donne che sceglievano di esercitare la prostituzione, e dall’altra parte metteva in evidenza i principi da stabilire al fine di garantire la protezione delle prostitute all’interno della società.

Pertanto la legge Merlin non aveva l’obiettivo di eliminare il fenomeno della prostituzione dalla società, tuttavia non consentiva lo sfruttamento e l’esercizio della prostituzione all’interno di luoghi in cui qualcuno commetteva il reato di favoreggiamento della prostituzione.

In particolare tale legge danneggiava anche ad esempio una donna che sceglieva di fornire dei servizi sessuali a pagamento e che decideva di consegnare una parte dei soldi che aveva guadagnato svolgendo questo tipo di lavoro ad un’altra persona. Più specificatamente la legge Merlin fa sì che “la prostituzione è ovunque permessa e ovunque vietata, e ovunque controllabile e all’occorrenza controllata”.76

Ovvero questa legge non era lineare e coerente, in quanto da un lato consentiva l’esercizio della prostituzione all’interno della società, ma non nel caso in cui nel posto nel quale le donne offrivano dei servizi sessuali a pagamento qualche soggetto si macchiava del reato di favoreggiamento della prostituzione.

In aggiunta la legge Merlin determinava un significativo cambiamento all’interno del mercato dello sfruttamento della prostituzione, in quanto le prostitute che prima offrivano dei servizi sessuali a pagamento nelle case chiuse in seguito alla chiusura dei bordelli cominciano ad esercitare l’attività in strada o in altri tipi di luoghi chiusi come ad esempio negli alberghi.

____________________________ 75. Ibid.

76. Roberta Tatafiore, “Sesso al lavoro”(Milano: Est,1997), 133-134 cit. in Stefano Beccucci e Eleonora Garosi, “Corpi globali: la prostituzione in Italia” (Firenze: University Press, 2008), 20.

Tuttavia “la riprovazione sociale nei loro confronti e i controlli messi in atto dalle forze di polizia hanno avuto alcune conseguenze di rilievo su questo segmento prostituzionale.”77

Dunque le prostitute che esercitavano l’attività in strada, anche se a differenza di quelle che praticavano la prostituzione nelle case chiuse erano libere di scegliere le condizioni di lavoro, spesso erano oggetto di diversi controlli da parte delle forze dell’ordine.

Ad esempio le prostitute che esercitavano l’attività in strada potevano essere costrette dalla polizia, che li dava un foglio di via, ad abbandonare il posto in cui esercitavano l’attività se non corrispondeva con il luogo in cui avevano la residenza.

Per quanto riguarda invece le donne che fornivano prestazioni sessuali in posti al chiuso dopo l’entrata in vigore della legge Merlin, lo svolgimento dell’attività di prostituzione all’interno di tali posti era analogo a quello che si verificava nelle case chiuse.

Tuttavia l’esercizio della prostituzione da parte delle donne all’interno dei luoghi chiusi doveva avvenire di nascosto, in quanto le persone che conducevano e che organizzavano lo svolgimento dell’attività in questi posti commettevano il reato di sfruttamento della prostituzione e di conseguenza erano perseguibili per legge.

In particolare “queste donne passavano il loro tempo all’interno della pensione senza mai uscire per evitare di farsi notare, non potevano aprire le finestre della camera, talvolta scendevano per mangiare con il gestore dell’albergo, più spesso veniva servito loro del cibo in camera.”78

Quindi le donne che fornivano dei servizi sessuali a pagamento all’interno di luoghi chiusi si trovavano in una condizione di sfruttamento, poiché come nei bordelli era la persona che dirigeva l’attività di prostituzione che decideva le modalità di svolgimento dell’esercizio della prostituzione e che riscuoteva un’elevata percentuale dei guadagni del loro lavoro e in una situazione di isolamento dalla società.

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77. Stefano Beccucci e Eleonora Garosi, “Corpi globali: la prostituzione in Italia” (Firenze: University Press, 2008), 20.

78. Ibid., 21.

In aggiunta siccome l’attività di esercizio della prostituzione, non essendo legale, doveva rimanere segreta accadeva che ad esempio negli alberghi venivano ospitate poche donne che fornivano servizi sessuali a pagamento e per poco tempo.

In particolare queste donne “potevano scegliere di prostituirsi in modo saltuario, per certi periodi dell’anno e solo alcune settimane al mese. Tutto ciò faceva sì che vi fosse un elevato turnover delle donne dedite alla prostituzione, venendo così incontro alle esigenze di novità dei clienti, e alla necessità da parte dei gestori di giustificare, in caso di controlli, la presenza delle prostitute facendole passare come ospiti dell’albergo.”79

Perciò le donne che si collocavano nel mercato dello sfruttamento della prostituzione e che esercitavano l’attività all’interno di luoghi chiusi avevano un ridotto livello di libertà, rispetto a quelle che lavorano in strada, in quanto la maggior parte delle decisioni sullo svolgimento dell’esercizio della prostituzione venivano prese dalle persone che conducevano l’attività.

In particolare le prostitute che esercitavano l’attività in strada erano libere di scegliere il tipo di servizi sessuali da offrire e pure i clienti a cui fornirle.

Inoltre c’erano anche alcune prostitute che fornivano prestazioni sessuali a pagamento sempre in luoghi chiusi ma l’esercizio dell’attività di prostituzione si verificava ad esempio all’interno dell’abitazione dei loro clienti.

In particolare “il principale sistema di procacciamento consisteva nell’entrare a far parte di circoli ristretti che, tramite passaparola, permettevano loro di farsi una clientela selezionata e tuttavia proficua dal punto di vista economico.”80

Quindi anche questo tipo di prostitute, come quelle di strada, avevano un elevato grado di libertà nell’esercizio dell’attività, ad esempio potevano scegliere il cliente a cui fornire le prestazioni sessuali a pagamento.

In particolare queste prostitute cercavano di inserirsi in determinati giri di persone che, attraverso il passaggio spontaneo di informazioni su di loro, li consentivano di avere una serie di clienti e di guadagnare somme ingenti di denaro.

Inoltre le ragazze o le donne che esercitano l’attività di prostituzione in strada a volte possono trovarsi in condizioni di lavoro più rischiose e difficili rispetto a quelle che si prostituiscono nei luoghi chiusi.

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79. Ibid., 22. 80. Ibid.

In particolare nel caso delle ragazze migranti nigeriane che finiscono nel mercato della prostituzione e che esercitano l’attività in strada Isoke Aikpitanyi racconta ciò che le ragazze nigeriane provano e a cui vanno in contro nel seguente modo: “vedi, tutte le sere le ragazze vanno al lavoro e in testa hanno solo due pensieri. Il primo è: forse questa è la sera che incontro qualcuno che mi aiuta. L’altro dice: speriamo che stasera non mi succeda niente. Ma all’una o all’altra qualcosa succede. Sempre.

Quando va bene sono i balordi che passano e ti tirano le uova, ti gridano cose, ti tirano l’acqua. E pensa a quando ti succede che è inverno, e tu muori di freddo e ti ritrovi fradicia dalla testa ai piedi.”81

Più specificatamente, sempre secondo il racconto di Isoke, può accadere anche che delle persone che passano in macchina vicino alle ragazze nigeriane che si prostituiscono facciano loro un altro tipo di scherzo, ossia che si mettano a gridare che sta arrivando la polizia, facendole scappare, quando invece non è vero.

Quindi a volte le ragazze migranti nigeriane che esercitano l’attività di prostituzione in strada possono essere vittime di scherzi ad esempio da parte di alcune persone che passano dinanzi a loro in automobile, ma che comunque non sono altro che forme di violenza nei loro confronti.

Il mercato dello sfruttamento della prostituzione in Italia nel corso degli anni Ottanta è caratterizzato dall’ingresso di donne migranti e di transessuali che provengono da diversi paesi e dall’uscita di diverse donne italiane.

In particolare questo processo ha riguardato significativamente il settore dell’esercizio della prostituzione all’aperto e in modo specifico in strada.

Più specificatamente “le donne italiane hanno progressivamente abbandonato l’esercizio all’aperto: da un lato, perché il miglioramento generale delle condizioni socio-economiche del paese ha disincentivato il ricambio generazionale, dall’altro perché tale ambito è sottoposto più di altri a un turnover fisiologico per i ritmi di lavoro intensi e la tensione emotiva connessa ai pericoli della strada.”82

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81. Laura Maragnani e Isoke Aikpitanyi, “Le ragazze di Benin City. La tratta delle nuove schiave dalla Nigeria ai marciapiedi d’Italia” (Milano: Melampo , 2007), 69.

82. Stefano Beccucci e Eleonora Garosi, “Corpi globali: la prostituzione in Italia” (Firenze: University Press, 2008), 23.

Perciò il mercato dello sfruttamento della prostituzione in questi anni è formato da una maggioranza di donne o di ragazze migranti o di transessuali che offrono servizi sessuali a pagamento in strada e che di conseguenza corrono maggiori pericoli nel loro lavoro e che si trovano in condizioni di maggiore sfruttamento da parte dei protettori, e da una minoranza di donne o di ragazze italiane che si prostituiscono all’interno di posti chiusi.