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La migrazione femminile e lo sfruttamento della prostituzione femminile migrante: che cosa, come e perché, conduce le donne migranti nel mercato della prostituzione

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Academic year: 2021

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Dipartimento di Scienze Politiche

Corso di Laurea in Sociologia e Management dei Servizi Sociali

Tesi di Laurea Magistrale

La migrazione femminile e lo sfruttamento della prostituzione

femminile migrante: che cosa, come e perché, conduce le donne

migranti nel mercato della prostituzione

Relatore: Candidato:

Chiar.mo Prof. Gabriele Tomei Claudia Niro

Anno Accademico

2017 - 2018

(2)

Ringraziamenti

Grazie a tutte quelle persone che non hanno mai smesso di credere in me, perché sapevano che prima o poi ce l’avrei fatta.

Grazie di cuore al Prof. Gabriele Tomei, perché senza il suo aiuto non sarei riuscita a scrivere questa tesi.

Grazie mille al personale della Biblioteca dell’IMT di Lucca, che mi ha dato una mano a svolgere e a portare a buon fine le mie ricerche.

Infine ringrazio tutta la mia famiglia e i miei amici, che, come sempre, mi sono stati accanto.

(3)

Indice

Pag.

Introduzione 5

I. La migrazione femminile I.1. La migrazione: che cosa, come e perché, induce le persone a migrare 9

I.2. La migrazione femminile: anche le donne migrano 24

I.3. L’ambivalenza della migrazione femminile nella corporeità della donna migrante 45

II. Lo sfruttamento della prostituzione femminile migrante II.1. Lo “smuggling” e il “trafficking”: il traffico e la tratta delle ragazze e delle donne migranti 58

II.2. Lo sfruttamento della prostituzione femminile migrante, in particolare nigeriana 77

II.2.1. Il fenomeno della prostituzione 81

II.2.2. L’evoluzione storica della prostituzione in Italia 95

II.2.3.Lo sviluppo lento e graduale della prostituzione delle donne migranti 101

II.3. La prostituzione all’interno dei centri di accoglienza per richiedenti asilo: Il caso del centro di accoglienza (ex Cara) di Mineo 103

III. Alcune delle principali politiche di intervento nei paesi di arrivo per contrastare lo sfruttamento della prostituzione femminile migrante III.1. Le possibili soluzioni indicate dalle norme e dalle politiche internazionali e europee 126

III.2. Le politiche da adottare secondo la normativa italiana 154

III.3. I progetti 175

Conclusioni 205

Bibliografia 211

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La migrazione femminile e lo sfruttamento della prostituzione femminile migrante: che cosa, come e perché, conduce le donne migranti nel mercato

della prostituzione

Abstract

In questo lavoro di ricerca si cercano di comprendere, non solo i processi che inducono le ragazze e le donne migranti a finire nel diabolico tranello del mercato della prostituzione, ma anche le significative rinunce personali, lavorative, e sociali, che esse devono sopportare a causa di tale inganno.

In particolare si è scelto di analizzare lo sfruttamento della prostituzione femminile migrante, anche minorile, e principalmente nigeriana.

In primo luogo si procede ad un’analisi del fenomeno della migrazione, in modo specifico femminile, mettendone in evidenza i “push and pull factors” e il processo di femminilizzazione dei flussi migratori.

In aggiunta, al fine di comprendere la relazione tra il fenomeno della migrazione femminile e il mercato dello sfruttamento della prostituzione femminile migrante, si cerca di illustrare un parallelismo tra il funzionamento del mercato tradizionale e quello del mercato dello sfruttamento della prostituzione femminile migrante.

In secondo luogo nell’ambito del fenomeno dello sfruttamento della prostituzione femminile migrante si prova a districare il concetto di “trafficking”, discernendolo da quello di “smuggling”, e si analizza la relazione che soggiace tra lo sfruttamento della prostituzione e la migrazione femminile.

Un paragrafo più specificatamente dedicato al fenomeno dello sfruttamento della prostituzione femminile migrante nei dei centri di accoglienza per richiedenti asilo, in particolare all’interno del centro di accoglienza (ex Cara) di Mineo.

Infine si cercano di indicare alcune delle possibili soluzioni al fenomeno dello sfruttamento della prostituzione femminile migrante, nella prospettiva di un intervento sociale, che cerchi di risolvere o quantomeno di depotenziare questo fenomeno, che coinvolge ormai tutto il mondo e verso il quale non è più possibile rimanere indifferenti.

(5)

Introduzione

In questa tesi si cerca di rendere visibile l’invisibile, ossia si prova a mettere in luce il fenomeno complesso dello sfruttamento della prostituzione femminile migrante, anche minorile e in particolare nigeriana, che nella nostra società tende almeno in parte a rimanere in ombra.

Un po’ forse perché per paura e in questo caso anche per il buon costume quando qualcuno devia dalla norma sociale spesso ci rifiutiamo di vederlo, voltandoci dall’altra parte, e un po’ perché pensiamo che questo fenomeno costituisce una dimensione della realtà a sé stante e lontana da noi.

Ma se ci fermiamo un attimo a riflettere ci accorgiamo che ci tocca e forse anche da vicino.

Ad esempio, considerando che in questo lavoro si è preferito approfondire il caso della prostituzione femminile e quello della clientela maschile, uno dei meccanismi che incentiva lo sfruttamento della prostituzione femminile migrante è simile a quello che mettiamo in atto quando, in qualità di consumatori, acquistiamo un oggetto o usufruiamo di un servizio.

Infatti l’uomo che compra specifiche prestazioni sessuali da parte di una prostituta, spesso decide di farlo perché gli piace l’idea di poter comprare quasi ogni cosa. Tuttavia per capirne davvero la reale portata dobbiamo sforzarci di focalizzare la nostra attenzione sulla tipologia di soggetti che si collocano come vittime nel mercato della prostituzione migrante; sono donne migranti, quindi sono più fragili, sono bersagli facili che non si sanno difendere, perché spesso hanno alle spalle vissuti difficili, fatti di povertà e di violenza psicologica, fisica, e sessuale.

Difatti le donne migranti che svolgono questo tipo di mestiere possono esservi giunte in seguito ad una molteplicità di valutazioni e di circostanze, ciononostante ognuna di loro è contraddistinta e segnata da un proprio percorso personale; ad esempio può esservi stata costretta mediante la violenza, o averlo esercitato in seguito ad una libera scelta, o esservi giunta per altri motivi e a causa del verificarsi di determinate situazioni.

Pertanto è un errore del senso comune pensare che questo fenomeno non ci riguarda, in quanto spesso è il sistema sociale, che indirettamente con i suoi meccanismi favorisce lo sfruttamento della prostituzione femminile migrante.

(6)

Al fine di comprendere tale fenomeno in tutti i suoi aspetti, non si può prescindere da un’attenta analisi della migrazione femminile, intesa come un processo strettamente correlato ad esso.

In particolare si esaminano i meccanismi che conducono le ragazze e le donne migranti nel mercato della prostituzione e le implicazioni personali, affettive, e sociali, connesse ad essi, attraverso un focus sui “push and pull factors”, ossia quegli elementi che fanno sì che una persona decida di emigrare dal proprio paese di origine e arrivare nel paese di destinazione da essa prescelto, sulla base di una serie di valutazioni di tipo economico, lavorativo, e sociale.

Inoltre si sottolinea come nel corso degli anni ’60-’70 si è verificata una femminilizzazione dei flussi migratori e che la decisione, in particolare delle ragazze e delle donne migranti, di lasciare per qualche tempo o per molto di più la propria terra, stabilendosi in un'altra, non determina per forza il venir meno dei rapporti sociali che si erano instaurati nella prima e viceversa.

Anzi semmai il lungo viaggio e l’approdo in un nuovo paese devono essere concepiti per il migrante, in modo specifico per le ragazze e le donne migranti, come una fucina di possibilità di instaurare nuovi legami sociali e di mantenere al contempo quelli più vecchi con il paese di origine, anche grazie all’evoluzione del sistema delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione, avvenuta ormai in parte persino nei paesi in via di sviluppo.

In più affinché si possa cogliere il rapporto tra il fenomeno della migrazione femminile e lo sfruttamento della prostituzione femminile migrante, poi si prova ad esporre un’analogia fra il funzionamento del mercato tradizionale e quello del mercato dello sfruttamento della prostituzione femminile migrante.

In seguito si analizzano i due principali meccanismi perpetuati all’interno del mercato dello sfruttamento della prostituzione migrante: lo “smuggling” e il “trafficking”, operando una netta distinzione tra i due termini.

Infatti mentre il primo indica l’insieme dei servizi illegali di contrabbando in cui viene impiegata la forza lavoro immigrata, il secondo si riferisce alla mera tratta di esseri umani, soprattutto di donne e di bambini ai fini dello sfruttamento sessuale.

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Successivamente si analizza il rapporto esistente tra lo sfruttamento della prostituzione femminile migrante e la migrazione femminile; mettendo in risalto come le ragazze e le donne migranti, spesso molto giovani e intraprendenti e a volte con una valida occupazione alle spalle nel proprio paese di origine decidano di partire, di mettersi in gioco e di farsi una nuova vita nel paese di arrivo che hanno scelto, finiscano nel mercato dello sfruttamento della prostituzione.

Infatti purtroppo molto frequentemente questa loro aspettativa viene tradita con l’inganno, ad esempio quando la famiglia di origine della ragazza o della donna migrante, che vivendo in una condizione di povertà e non avendo risorse economiche adeguate, decide di collocare la propria figlia nel mercato della prostituzione, illudendola che andrà a svolgere nel paese di arrivo i lavori che più le piacciono, facendosi poi inviare da essa le rimesse economiche.

Oppure il collocamento nel mercato della prostituzione della ragazza o della donna migrante può avvenire con la violenza, mettendo in atto un vero e proprio rapimento da parte delle organizzazioni criminali.

Come può anche essere il frutto di una libera scelta personale della ragazza o della donna migrante, la quale coscientemente decide di inserirsi nel mercato dello sfruttamento della prostituzione per migliorare il proprio tenore di vita, essendo i guadagni in questo tipo di lavoro particolarmente elevati.

Poi si utilizza questo drammatico crimine venuto alla ribalta dai fatti della cronaca riguardanti il centro di accoglienza (ex Cara) di Mineo, come un caso di studio al fine di evidenziare le diverse configurazioni che può assumere il fenomeno dello sfruttamento della prostituzione femminile migrante all’interno dei centri di accoglienza per richiedenti asilo.

In conclusione in una prospettiva globale si cercano di individuare alcune possibili soluzioni per affrontare e contrastare il complesso fenomeno dello sfruttamento della prostituzione femminile migrante, facendo riferimento al contributo delle diverse politiche internazionali e europee, della normativa italiana e dei progetti anche in corso d’opera, in modo tale che non si dimentichi quanto questo fenomeno interessi oramai significativamente tutto il mondo.

(8)

Premessa

“Credo che non dimenticherò mai quel giorno in cui, percorrendo una strada in macchina, vidi una scena di fronte alla quale forse non si è mai del tutto preparati ad assistere.

Un uomo alla guida della sua automobile, dopo essersi fermato e aver accostato la sua macchina, parlava con una giovane donna, tenendo nella sua mano posta fuori dal finestrino del denaro.

Dai tratti del suo volto e dal colore della sua pelle, capii subito che molto probabilmente quella giovane donna era di origine straniera.

Se ne stava lì seduta su una sedia di plastica, sul ciglio della strada, vestita in modo succinto, nell’atteggiamento di chi aspetta abitualmente qualcuno.

Dopo qualche istante salì a bordo di quell’automobile.

Poco distanti da lì si trovavano altre ragazze come lei, visibilmente di origine straniera e che, con il medesimo comportamento, catturavano con lo sguardo ogni macchina che passava dinanzi a loro. Venni subito travolta da una serie di emozioni che potrei definire paura, rabbia, vergogna … L’uomo non dovrebbe forse proteggere la donna? Mi sentivo così inerme rispetto ad un fenomeno di cui ero a conoscenza, ma che forse solo in quegli istanti mi aveva toccato così nel profondo, e che allo stesso tempo aveva scosso nel mio animo il forte desiderio di comprendere fino in fondo quel processo così complesso che la nostra società ha definito lo sfruttamento della prostituzione femminile migrante.”

Claudia Niro

(9)

I. La migrazione femminile

I.1. La migrazione: che cosa, come e perché, induce le persone a migrare

Secondo il vocabolario Treccani il termine “migrazione” “deriva dal latino ‘migratio-nis’ e letteralmente indica in genere (come fenomeno biologico o sociale), ogni spostamento di individui, per lo più in gruppo, da un’area geografica a un’altra, determinato da mutamenti delle condizioni ambientali, demografiche, fisiologiche, ecc.”

Tuttavia nell’era globale questa definizione di migrazione sembra essere alquanto riduttiva e semplicistica nel descrivere che cosa, come e perché, spinge oggi le persone a migrare.

In particolare al fine di comprendere il significato intrinseco del concetto di migrazione è necessario differenziarlo da quello di mobilità.

Infatti mentre per migrazione si intende una forma di mobilità territoriale, ossia il flusso che procede dal paese di origine verso il paese di destinazione di un determinato individuo, il quale vi risiede stabilmente per almeno dodici mesi; con il termine mobilità si indica lo spostamento di domicilio e di residenza di una persona dal paese di origine al paese di destinazione senza specificarne i tempi.

Esistono differenti categorie di migrazione, in modo specifico è rilevante differenziare le “migrazioni interne” da quelle “internazionali”.

In particolare le migrazioni interne sono l’esito degli spostamenti della popolazione all’interno dei confini dello stato, ossia della “mobilità interna”.1

Diversamente le migrazioni internazionali derivano dalla cosiddetta “mobilità internazionale”.

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1. Laura Zanfrini, “Sociologia delle migrazioni” (Roma-Bari: Laterza, 2007), 36.

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Più specificatamente “in primo luogo le migrazioni interne sono di norma libere, mentre quelle internazionali sono quasi sempre – almeno in epoca contemporanea – soggette a limitazioni, ossia a una regolamentazione: si parla, a tale riguardo, di ‘politiche migratorie’, un concetto che chiama in causa la prerogativa statale di decidere unilateralmente chi può essere ammesso a risiedere e lavorare sul proprio territorio.”2

Inoltre siccome il migrante nel momento in cui giunge nel paese di arrivo può sentirsi spaesato e privo di punti di riferimento, in quanto ad esempio non conosce la lingua caratteristica di quel determinato paese, le migrazioni internazionali condizionano in modo più significativo rispetto alle migrazioni interne la soggettività e la vita del migrante, così come influenzano il contesto economico, culturale e sociale del paese di arrivo.

In aggiunta una seconda importante differenziazione è quella tra “migrazione regolare” e “irregolare”.

In particolare “i migranti regolari sono non-cittadini che sono stati autorizzati dall’ordinamento giuridico del paese in cui si trovano ad entrarvi, risiedervi ed eventualmente lavorarvi; gli irregolari sono, all’opposto, coloro che entrano, risiedono e/o lavorano in un paese senza esserne stati autorizzati”.3

A tale proposito è utile illustrare il concetto di “migrazione clandestina”, che si riferisce al caso in cui il migrante nel corso del suo lungo viaggio dal paese di partenza a quello di destinazione valica i confini dello stato, raggirando i controlli previsti alle frontiere, ad esempio usufruendo di documenti contraffatti.

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2. Ibid., 36-37. 3. Ibid., 39.

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In aggiunta si possono verificare delle situazioni nocive per il migrante, ossia si possono creare delle condizioni in cui egli nel corso dello svolgimento del suo progetto migratorio può trovarsi ad essere in un primo momento regolare e in seguito irregolare.

Ad esempio il migrante può aver attraversato legalmente le frontiere, usufruendo di documenti legali, configurandosi come un migrante regolare, ma dopo un po’ di tempo se non possiede un regolare permesso di soggiorno diventa un migrante irregolare. Una terza importante distinzione è quella tra “migrazioni volontarie” e “forzate”. Più specificatamente mentre le prime si riferiscono alle persone che scelgono di lasciare liberamente, sulla base della loro volontà, il proprio paese di origine e di migrare in un paese di destinazione da loro prescelto, le seconde indicano il processo in base al quale le persone, per cause di forza maggiore, come ad esempio lo svolgimento di guerre all’interno del proprio paese, sono costrette a migrare.

A questo proposito è fondamentale discernere la figura del “migrante forzato” da quella del “rifugiato” e quest’ultima da quella del “richiedente asilo”.

In particolare la figura del rifugiato è stata introdotta dalla Convenzione di Ginevra nel 1951 e si riferisce a coloro che hanno ottenuto lo status di rifugiato politico, il quale implica il diritto alla protezione e all’assistenza da parte del paese di accoglienza. Occorre inoltre distinguere la figura del rifugiato da quella del “richiedente asilo”, infatti è “diversa la figura del richiedente asilo, colui cioè che ha fatto domanda di rifugio politico, ma che ancora non sa se la sua domanda verrà accolta (anzi, il volume delle richieste presentate eccede ampiamente il numero di quelle accolte).”4

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4. Ibid., 43.

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Infine la quarta e ultima fondamentale distinzione concerne le “migrazioni temporanee” e “permanenti”.

In particolare i migranti temporanei, sono “coloro che, indipendentemente dal lavoro svolto (temporaneo, stagionale o anche a tempo indeterminato), dispongono di un diritto di soggiorno di durata limitata, che impone il ritorno in patria alla sua scadenza o il suo periodico rinnovo, ottenibile dimostrando di possedere i requisiti necessari (per esempio, un regolare contratto di lavoro e un’abitazione adeguata).”5

Più specificatamente è importante sottolineare come e quanto le migrazioni concepite come temporanee dal migrante stesso e dal paese che lo accoglie si trasformino spesso in migrazioni definitive, nonostante la permanenza costante nel pensiero del migrante del cosiddetto “mito del ritorno”, ossia il fatto che, anzitutto gli immigrati di prima generazione, credono che la migrazione sia un fenomeno temporaneo e sperano prima o poi di poter fare ritorno nel loro paese di origine.

Ad esempio può succedere che il progetto migratorio fallisca, ma che nonostante questo il migrante decida di protrarre la propria permanenza nel paese di arrivo. In aggiunta si possono distinguere quattro principali fasi in cui è articolato il fenomeno migratorio sulla base della sua evoluzione storica.

La prima fase si dispiega fra il 1500 e il 1800 ed è chiamata “mercantilista”, “in ragione dell’ideologia allora egemone che vedeva nella crescita dei capitali e della popolazione una fonte di prosperità e di potere.”6

Quindi l’immigrazione era libera e veniva persino incentivata, invece l’emigrazione era vincolata da determinate misure che erano state impiegate da diversi paesi nel corso del XVI e del XVII secolo.

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5. Ibid., 42. 6. Ibid., 52-53.

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La seconda fase è detta “liberale”, in quanto era caratterizzata dall’ideologia liberista, ossia: “il modello di produzione capitalistico trova infatti uno dei suoi capisaldi nell’idea di libertà individuale e di liberi mercati in cui gli attori economici decidono senza vincoli come allocare le proprie risorse, a partire appunto dal lavoro.”7

Dunque in tale periodo storico diversi stati decisero di introdurre un sistema di libera circolazione delle persone al fine di incentivare lo sviluppo di un’immigrazione libera, in quanto in questa fase storica l’immigrazione e in modo specifico la manodopera immigrata era considerata fondamentale per lo sviluppo dell’economia.

La terza fase è chiamata “fordista o neo-liberale”, in particolare “può essere definita fordista giacché coincise col consolidamento in Europa di un modello produttivo basato sulla grande impresa e il ricorso a folte schiere di manodopera a bassa qualificazione, composte in misura significativa proprio da immigrati. Ma la si può definire anche neo-liberale, data la convinzione allora condivisa che la crescita economica non potesse certamente essere arrestata per via dell’insufficienza di forza lavoro.”8

In particolare in questa fase il sistema di reclutamento seguiva la cosiddetta “teoria degli eccessi”, la quale si basava su un connubio di due principali interessi: il bisogno di contenere i costi dell’eccesso di disoccupazione da parte dei paesi di origine da un lato e un eccesso di posti di lavoro liberi e l’esigenza di contenere i salari da parte dei paesi industrializzati dall’altro lato.

Infine la quarta e ultima fase è detta “post-industriale” e si dispiega fra la fine degli anni ’60 e i primi anni ’70.

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7. Ibid., 54. 8. Ibid., 61.

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In particolare in questa fase “lo shock petrolifero del 1973 segna il definitivo compimento della fase precedente: da qui in poi le migrazioni assumeranno il carattere di presenze ‘non volute’, tollerate o respinte secondo i casi, ma comunque sempre meno legittimate da considerazioni economiche.”9

Più specificatamente il periodo post-industriale era caratterizzato da un’economia che a livello mondiale stava attraversando un periodo di recessione, di conseguenza i paesi europei decisero di cessare le politiche di reclutamento attivo di forza lavoro immigrata.

Nel corso degli anni si sono sviluppate e succedute una serie di teorie migratorie, che si suddividono in due gruppi principali: il primo si domanda perché le persone partono e di conseguenza arrivano in un determinato posto.

Più specificatamente secondo la “teoria dell’approccio neoclassico macro”, che adotta un punto di vista economico e che si basa su un’analisi costi-benefici, utilizzando indicatori macro aggregati, quali ad esempio il tasso di disoccupazione, “le migrazioni - siano esse interne o internazionali – sono determinate dall’esistenza, tra i vari paesi e territori, di differenze nei livelli della domanda e dell’offerta di lavoro, a loro volta responsabili di differenziali salariali e dei tassi d’occupazione.”10

Perciò i lavoratori che trascorrono la loro vita nei paesi in cui il livello di offerta supera quello della domanda emigreranno in territori in cui la domanda eccede l’offerta e che gli consentiranno di ottenere guadagni superiori, oltreché di investire in modo efficiente e efficace il proprio capitale umano.

___________________________ 9. Ibid., 62.

10. Ibid., 83.

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L’ “approccio neoclassico micro” invece sottolinea come le migrazioni siano l’esito di un’analisi razionale costi-benefici compiuta dal soggetto stesso, che decide autonomamente e liberamente di emigrare qualora i benefici che tale scelta comporta superino i suoi costi.

In particolare “nel breve periodo, tanto più consistenti sono i differenziali esistenti, quanto più voluminosi risulteranno i flussi migratori necessari a riequilibrare domanda e offerta di lavoro nei diversi mercati locali e nazionali.”11

Invece nel lungo periodo le diverse scelte compiute da ciascun singolo individuo si aggregano e di conseguenza si verifica un livellamento del tasso di occupazione e di quello dei salari.

Pertanto il mercato dell’immigrazione è caratterizzato da un lato da alcuni costi che il migrante deve sostenere e da certi benefici che può trarne e dall’altro lato da diverse opportunità che egli può cogliere.

Di conseguenza le migrazioni internazionali saranno destinate ad estinguersi quando nessun soggetto riterrà più razionale e funzionale la scelta di migrare.

Tuttavia in tale teoria si sostiene che il singolo individuo riesce a compiere le sue scelte in una condizione di massima informazione, trascurando il fatto che, come sosteneva l’economista Herbert Simon, il soggetto non è dotato di una razionalità assoluta ma piuttosto di una “razionalità limitata”,12 ossia l’individuo prende le sue decisioni sulla base di informazioni che sono circoscritte nello spazio e nel tempo. In particolare il soggetto riesce ad elaborare una quantità limitata di informazioni, in quanto ad esempio può trovarsi in una situazione in cui deve compiere una scelta in un determinato e limitato lasso di tempo.

____________________________ 11. Ibid., 84.

12. Per il concetto di “razionalità limitata” si veda Herbert Simon, “Models of Bounded Rationality” (3 voll., 1982-97).

(16)

Inoltre non tiene conto delle dinamiche caratteristiche di alcuni paesi, in modo specifico del fatto che decidono di partire le persone che ne traggono una maggiore convenienza e che possono incrementare il proprio capitale umano.

Diversamente dalle due precedenti la “teoria della nuova economia delle migrazioni”, che si sviluppa nel corso degli anni ’80, ritiene che è importante il modo in cui i mercati riescono a condizionare l’offerta di lavoro e non solo, come differentemente sosteneva l’approccio neoclassico, solo le situazioni che si verificano all’interno del mercato del lavoro.

In particolare secondo tale teoria “soprattutto nei paesi del Terzo Mondo, tali mercati (per esempio quelli finanziari) possono essere inesistenti, inaccessibili o comunque funzionare in modo imperfetto.”13

Inoltre essa sottolinea come la scelta di migrare sia una decisione collettiva della comunità e in particolare della famiglia.

Quest’ultima, la quale insieme alla comunità rappresenta l’unità di analisi a livello aggregato di tale teoria, sceglie di fare questo tipo di investimento certamente per massimizzare i propri guadagni, ma anche per tutelarsi dai potenziali rischi, come ad esempio le malattie.

Quindi la scelta migratoria è collettiva, ovvero è un investimento comune, poiché si vuole ridurre il rischio del gruppo, oltre che di contrarre potenziali malattie, anche dal pericolo di vedersi chiudere il principale canale di reddito. In particolare la decisione di migrare viene presa mettendo in atto “una strategia di diversificazione degli impieghi del lavoro familiare: alcuni membri possono essere assegnati a lavorare nell’ambito dell’economia locale, altri in città e altri ancora possono essere inviati all’estero, così da garantire i primi nel caso in cui una congiuntura negativa dovesse fare venire meno altre fonti di guadagno.”14

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13. Ibid., 85. 14. Ibid., 86.

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Inoltre secondo tale teoria il fattore che spinge le persone a migrare è la percezione di una “deprivazione relativa”, cioè di una situazione nella quale i soggetti, percependosi in condizioni di vita meno soddisfacenti rispetto agli altri individui con cui scelgono di confrontarsi, decidono di emigrare per cercare di migliorare la propria condizione economica, lavorativa, e sociale.

La “teoria del mercato duale del lavoro” sostiene che “le migrazioni internazionali sono causate dal fabbisogno di lavoro immigrato espresso dalle economie delle nazioni sviluppate, ossia dai fattori di tipo ‘pull’ ”.15

Ossia le migrazioni si creano laddove ci sono più opportunità di lavoro nei paesi di arrivo, oltre a ciò i fattori di tipo pull, i quali rappresentano le capacità di attrazione dei paesi di destinazione, hanno un ruolo fondamentale nel processo migratorio. Più specificatamente secondo tale teoria dopo gli anni ’80 il mercato del lavoro si è come spaccato in due parti: da un lato c’è il cosiddetto “mercato formale primario”, in cui i lavoratori sono qualificati, hanno un contratto di lavoro regolare, dispongono di elevate retribuzioni e di garanzie giuridiche riconosciute.

Dall’altro lato si colloca il “mercato informale secondario”, che è l’opposto del primo, in quanto i lavoratori non sono qualificati, percepiscono bassi salari e non gli sono riconosciute le garanzie giuridiche.

Dunque la compresenza dei due settori determina la formazione di enclave di mercato e di nicchie protettive e di sfruttamento.

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15. Ibid., 89-90.

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Infine la “teoria del sistema mondo” di Immanuel Wallerstein si basa sul fatto che “è la penetrazione delle relazioni capitalistiche nelle aree periferiche del globo a essere principalmente responsabile dei flussi di persone che si originano da queste ultime e si dirigono verso i paesi più ricchi.”16

Più specificatamente si verifica una nuova divisione internazionale del lavoro, in cui si articola il sistema capitalistico.

Quest’ultimo è formato non solo da alcune aree centrali, che fungono da intermediari di scambi commerciali di beni e servizi, ma anche da diverse aree periferiche, che immettono nel mercato internazionale della produzione e vendono solo la forza lavoro e le materie prime, avendo un potere contrattuale molto basso e essendo prive capacità di intermediazione.

Da ultimo vi sono le aree semiperiferiche, che possiedono un potenziale di trasformazione, nelle quali vi sono gli impianti produttivi e in cui hanno luogo i processi di trasformazione e di vendita.

Quindi secondo tale teoria le migrazioni sono strettamente correlate all’espansione della produzione capitalistica.

Poi ci sono le teorie appartenenti al secondo gruppo, che spiegano perché le migrazioni continuano nonostante le trasformazioni e le dinamiche di crisi.

Più specificatamente in base alla “teoria dei network”, le migrazioni sono un fenomeno relazionale, ossia le persone appartengono a dei network, cioè a delle reti, per cui le scelte individuali sono inevitabilmente influenzate dalla presenza di altri soggetti che sono connessi tra loro attraverso tali network.

Dunque il migrante appartiene a delle reti migratorie che rappresentano un sistema di interconnessione di persone, di relazioni e di informazioni, che veicolano i beni e i servizi fra i soggetti stessi.

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16. Ibid., 95.

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In particolare “nel caso dei migranti (o dei migranti potenziali), i network si fondano sulla parentela, l’amicizia, la comune origine, la condivisione di una cultura o di una relazione; tali network connettono i migranti con altri migranti che li hanno preceduti, o con non migranti nelle aree d’origine e di destinazione.”17

Quindi le reti garantiscono il perpetuarsi delle migrazioni nel tempo, in più l’accesso alla rete riduce i rischi connessi ad essa e i costi di informazione.

Più specificatamente attraverso i network si genera il capitale sociale, che è importante per il migrante, in quanto quest’ultimo, essendo inserito nella rete sociale, può beneficiare delle risorse relazionali.

Poi vi è la “teoria istituzionalista”, la quale sostiene che “le relazioni sociali hanno una tendenza a ‘stabilizzarsi’, a istituzionalizzarsi, anche se non sempre e non necessariamente questo processo perviene al riconoscimento giuridico di una determinata istituzione.”18

Ossia la routinizzazione di certi flussi migratori determina il consolidamento nel tempo delle reti e del capitale sociale, cioè diventa normale seguire quel determinato percorso migratorio.

Pertanto secondo tale teoria le migrazioni continuano grazie all’esistenza e allo sviluppo delle istituzioni, che favoriscono le migrazioni e che agevolano l’adeguamento dei flussi migratori al contesto economico, culturale, e sociale del paese di arrivo.

La “teoria della causazione cumulativa” di Gunnar Myrdal (1957), “porta l’attenzione sulle trasformazioni che hanno luogo, proprio per effetto delle migrazioni, tanto nel paese d’origine quanto in quello di destinazione, generando ulteriori fattori sia di tipo pull sia di tipo push.”19

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17. Ibid., 100. 18. Ibid., 103.

19. Ibid., 106.

(20)

In particolare il processo che accompagna lo sviluppo e la trasformazione sociale è caratterizzato da un primo cambiamento che avviene e che, cumulandosi poi al secondo, ne modifica le condizioni di partenza e questo procedimento si verifica anche nei cambiamenti che avvengono in seguito.

Perciò se si applica questo tipo di ragionamento alle migrazioni, allora esse si configurano come un processo cumulativo, in cui l’effetto dei primi flussi migratori modifica il contesto di partenza e di arrivo dei successivi.

Di conseguenza chi decide di migrare dopo lo fa sulla base di informazioni e di conoscenze fornitegli da coloro che hanno già vissuto l’esperienza migratoria in precedenza, dando vita in alcuni casi ad una vera e propria cultura migratoria.

Perciò la migrazione diventa un’esperienza fondamentale per la transizione alla vita adulta del migrante, in più è molto probabile che chi è emigrato una volta lo faccia ancora e che i progetti migratori pensati come temporanei diventino in un secondo momento definitivi.

Secondo la “teoria del sistema migratorio”i flussi migratori riescono nel corso del tempo a stabilizzarsi, configurandosi come dei sistemi migratori.

In particolare si tratta di “sistemi migratori internazionali stabili. Con questa espressione ci si riferisce a sistemi composti da una regione di destinazione centrale (che può consistere in un paese o in un gruppo di paesi) e da un gruppo di aree d’origine legate ad essa da flussi particolarmente consistenti.”20

Pertanto i sistemi migratori sono intesi come un’evoluzione della teoria del sistema mondo di Wallerstein e sono delle connessioni meno legate ai processi storici, in quanto si configurano come dei legami commerciali, culturali, e linguistici che hanno creato dei circuiti di migrazione e delle relazioni tra le zone e fra i paesi del mondo.

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20. Ibid., 109- 110.

(21)

In particolare il consolidamento nel tempo di tali legami è determinato dalle relazioni politiche, economiche, e istituzionali fra le zone di determinati paesi e tra i paesi. Da ultimo secondo la “teoria transnazionale” nell’era globale le migrazioni continuano poiché acquisiscono un carattere transnazionale, cioè superano i confini politici di una nazione.

Più specificatamente il transnazionalismo può essere definito nel modo seguente: “il processo mediante il quale i migranti costruiscono campi sociali che legano insieme il paese d’origine e quello di insediamento”.21

Dunque i migranti mantengono le relazioni sociali e i legami politici e economici creati nel paese di origine e al contempo ne costruiscono di nuovi nel paese di destinazione, mediante il pendolarismo fra i due paesi, ossia muovendosi avanti e indietro fra il paese di partenza e quello di arrivo.

In particolare tale teoria introduce la figura del “trasmigrante”, ossia colui che si sposta tra il paese di partenza e quello di destinazione e che adotta uno “sguardo bifocale” (Vertovec 1994, Glick Schiller, Bash, Blanc Szanton, 1992; Portes, Guarnizo, 1999: Faist 2000), ovvero da un lato è lontano dal paese di partenza e dall’altro lato è vicino al paese di arrivo.

Inoltre le comunità transnazionali, determinano una nuova forma di globalizzazione, ossia la cosiddetta “globalizzazione dal basso”22, cioè che si origina dai movimenti umani e non dalle grandi società transnazionali.

Quindi le migrazioni nell’epoca contemporanea hanno assunto un carattere sempre più transnazionale e globale, in quanto valicano i confini nazionali e coinvolgono pressoché tutti i paesi del mondo.

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21. N.Glick Schiller, L. Bash e C. Blanc-Szanton, “Towards a Transnationalization of Migration: Race, Class, Ethnicity and Nationalism Reconsidered”, in The Annals of the New

York Academy of Sciences, vol. 645, (1992):1, cit. in Maurizio Ambrosini, “Un’altra

globalizzazione. La sfida delle migrazioni transnazionali”(Bologna: il Mulino, 2008), 45. 22. Laura Zanfrini, “Sociologia delle migrazioni” (Roma-Bari: Laterza, 2007), 78.

(22)

Tuttavia ciò non significa che le migrazioni determino necessariamente un sentimento di dispersione e di spaesamento nei migranti.

Infatti oggi, grazie alle notevoli possibilità di comunicazione, le persone e in particolare i migranti riescono, nonostante l’enorme distanza che li separa dalla loro famiglia e dai loro amici che ad esempio sono rimasti nel paese di origine, a mantenere le relazioni sociali e i legami sia nel paese di partenza sia in quello di arrivo, mediante la creazione di vere e proprie reti sociali e anche delle diaspore. In particolare la diaspora si configura come una forma di migrazione collettiva che ha come fine l’insediamento nelle comunità che condividono la stessa storia.

Pertanto secondo il più recente approccio della “migrazione circolare”,23 la migrazione non si configura come un mero processo unidirezionale, ma ha una natura circolare per cui il migrante si muove dal paese di partenza a quello di arrivo e viceversa. In particolare i migranti, attraverso la creazione delle diaspore, promuovono lo sviluppo dei paesi di destinazione e di origine, in quanto essi sia al momento dell’arrivo nel paese di destinazione sia in quello di ritorno nel loro paese di origine, fanno tesoro della loro esperienza di vita e la mettono a valore, favorendo l’innovazione economica, culturale, e sociale di entrambi i paesi.

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23. Ibid., 237.

(23)

Attualmente possiamo riscontrare un’importante novità che caratterizza il fenomeno migratorio, poiché mentre un tempo, nella società tradizionale prevaleva la figura del “male breadwinner”, in base al quale era l’uomo il principale, se non l’unico, procacciatore di reddito all’interno della famiglia e erano gli uomini principalmente a migrare, soprattutto per ragioni di lavoro, economiche e di rifugio politico, nella società contemporanea le migrazioni assumono un carattere più femminile, in quanto sono principalmente caratterizzate da una significativa presenza di donne.

Quindi nell’epoca della globalizzazione non solo sempre più paesi e territori sono caratterizzati da influenti movimenti migratori, ma si assiste secondo Stephen Castles e Mark J. Miller ad una vera e propria “femminilizzazione delle migrazioni”,24 ovvero al fatto che le donne sono le principali coprotagoniste insieme agli uomini del fenomeno migratorio.

In particolare la presenza femminile a partire dagli anni Sessanta non è più dipesa soltanto dal processo di “ricongiungimento familiare”, e diventa un aspetto imprescindibile e fondamentale delle migrazioni internazionali contemporanee.

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24. Stephen Castles e Mark J. Miller, “L’era delle migrazioni Popoli in movimento nel mondo contemporaneo” (Bologna: Odoya , 2012), 33-34.

(24)

I.2. La migrazione femminile: anche le donne migrano

Ogni persona è più o meno libera di scegliere. Migrare è una scelta, ma questo non significa che le persone siano così autonome nel compierla.

Infatti secondo la prospettiva del “migration management”,25 ossia la gestione amministrativa delle migrazioni, nell’epoca attualegli Stati-nazione esercitano il loro potere assoluto sui confini nazionali, ovvero praticano un controllo capillare su di essi, mediante l’attuazione di mirate politiche governamentali, le quali sono connesse alle strategie di mercato e ad altre forme di controllo internazionali.

In particolare secondo il filosofo Michel Foucaultla “governamentalità” si configura come “l’esercizio del potere che ha nella popolazione il bersaglio principale, nell’economia politica la forma privilegiata di sapere e nei dispositivi di sicurezza lo strumento tecnico essenziale.”26

Quindi il migrante sposta il proprio corpo interpretandosi come un essere che proietta la propria vita al futuro, incarnando nel proprio corpo il meccanismo governamentale neoliberista.

In particolare la rappresentazione del migration management è quella di una migrazione che arriva al punto e al momento giusto e che è pronta e dinamica e che implica l’esistenza di presupposti biopolitici, cioè che si fondano sulla biopolitica, ossia su un modello attraverso il quale il potere agisce sulle persone disciplinandole, influendo ad esempio sugli schemi morali delle persone.

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25. Sandro Mezzadra e Brett Neilson , “Confini e frontiere la moltiplicazione del lavoro nel mondo globale” ( Bologna: Il Mulino, 2014), 224.

26. Ibid., 224-225.

(25)

Più specificatamente per i migranti è stato messo a punto un ingente insieme di tecnologie quali: “passaporti, visti, certificati sanitari, fogli d’invio, documenti di transito, carte d’identità, torri di controllo, aree di sbarco, zone di trattenimento, leggi, regolamenti, ufficiali tributari e doganali, autorità mediche e uffici di immigrazione”.27 Quindi secondo Foucault la migrazione nella società contemporanea agisce come una sorta di dispositivo di potere, che risponde alle esigenze del mercato internazionale del lavoro.

In particolare il modello economico neoliberista disciplina il comportamento dei soggetti mediante degli schemi di verità, ossia degli schemi di tipo cognitivo, come ad esempio la regola di potersi realizzare da soli e di fare carriera se si è in grado di mettere a valore bene il proprio capitale umano.

Così il migrante si configura sempre di più come una specie di imprenditore di sé stesso, ossia il “self-made man”, che vende la propria forza-lavoro nel mercato del lavoro globale in cui i soggetti sono collocati dal mercato stesso in maniera efficiente, in quanto aderisce al precetto di migrare al fine di avere successo.

In particolare questa regola di buona condotta orienta e disciplina la volontà delle persone con lo scopo di controllarle, ed è esercitata, mediante il potere, dal sistema sociale stesso.

Infatti questo complesso processo secondo Foucault non è altro che il frutto di un profondo mutamento della forma del potere medesimo, che caratterizza la società attuale, e di cui discute nelle sue lezioni sulla biopolitica del suo Corso tenuto presso il Collège de France (1977-1978).

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27. W. Walters, “De-naturalising the Border: The Politics of Schengenland,” in Environment and Planning D: Society and Space, vol. XX, n.5, pp. 561-580 (2002): 67, cit. in Sandro Mezzadra e Brett Neilson, “Confini e frontiere la moltiplicazione del lavoro nel mondo globale” ( Bologna: Il Mulino, 2014), 221.

(26)

In altre parole il potere non ha più quella forma tradizionale che era legata ad un aspetto normativo, che consisteva ad esempio nel disporre della facoltà di decidere sulla vita e sulla morte delle persone e neppure quella forma che sosteneva il sociologo Emile Durkheim, il quale riteneva che la norma era un fatto sociale e che di conseguenza era esterna e costrittiva rispetto agli individui e che modellava la coscienza sociale.

Ossia Foucault ha reinterpretato il concetto di potere e asseriva che il potere aveva una natura diversa, poiché penetrava negli individui influenzando le loro pratiche, i loro comportamenti e le loro vite.

Dunque attraverso il processo di soggettivazione, ossia la presa manipolatoria del potere sull’individuo, si determina la sua progressiva formazione di soggetto in quanto esito della pratica del potere come governamentalità e disciplinamento dei corpi. Pertanto la migrazione si configura nella società contemporanea come un fenomeno complesso e multidimensionale, in cui cioè la dimensione politica, economica, e sociale sono strettamente interconnesse.

Più specificatamente secondo Stephen Castles e Mark J. Miller una caratteristica peculiare della migrazione contemporanea è la sua femminilizzazione, un processo che si delinea già a partire dagli anni ’60-’70 e in cui le donne esercitano un ruolo attivo nel fenomeno migratorio.

In questa prospettiva l’interpretazione della dimensione migratoria femminile in cui “le donne della migrazione nella maggior parte dei casi sono state viste come subordinate agli uomini”28, risulta essere sempre più anacronistica e inadeguata al fine di comprendere a pieno il significato delle migrazioni contemporanee e in particolare di quelle al femminile.

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28. Mara Tognetti Bordogna, “Donne e percorsi migratori. Per una sociologia delle migrazioni” (Milano: Franco Angeli, 2015), 17.

(27)

Infatti nella società odierna la scelta di migrare delle donne non deve essere più intesa come una decisione successiva e subordinata a quella degli uomini.

In particolare mentre nella società tradizionale di un tempo era l’uomo il principale procacciatore di reddito, il breadwinner, che si occupava del sostentamento economico della famiglia che decideva di migrare, oggi anche la donna assume un ruolo importante all’interno del processo migratorio.

Più specificatamente la donna sceglie di migrare allo stesso modo dell’uomo, ossia è in grado di compiere le scelte più significative, di conseguenza viene meno il ruolo influente dell’uomo, che compiva le scelte più rilevanti a nome di tutti i componenti della famiglia, che di conseguenza ricoprivano solo una mera funzione residuale e sussidiaria.

Quindi la concezione tradizionale negli ultimi trent’anni è stata superata, in virtù della progressiva emancipazione della donna e in seguito al mutare delle caratteristiche del fenomeno migratorio stesso.

In particolare “è ampiamente riconosciuto che il genere, al pari della classe e dell’etnia, costituisce una dimensione centrale della struttura sociale dei processi migratori”.29

Più specificatamente le donne sono spinte a migrare per esigenze di tipo economico, come quelle di trovare un lavoro che consenta loro di perseguire un certo livello di autonomia e che le appaghi, oppure per necessità familiari, nel caso in cui ad esempio desiderano emanciparsi dal ruolo subalterno che ricoprono in famiglia e sociali, in quanto le reti sociali e le relazioni molto spesso rappresentano un incentivo importante per migrare.

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29. Ibid., 18.

(28)

Ad esempio nel caso in cui, semplicemente comunicando tramite il cellulare o mediante il personal computer con alcuni parenti o amici che si trovano nei paesi di arrivo, lo scambio di informazioni stimola le donne in procinto di migrare a intraprendere il lungo viaggio per conoscere un mondo tutto nuovo per loro.

Tuttavia secondo il sociologo Abdelmalek Sayad le donne migranti che hanno scelto l’Italia come paese di destinazione si collocano spesso ai margini della società, in particolare subiscono quello che Sayad definiva il “paradosso dell’emigrato”, ossia il “continuare a essere presente a dispetto dell’assenza, non essere totalmente presenti là dove si è presenti”.30

Dunque il migrante di frequente si sente fuori posto, sperimentando una condizione di “doppia assenza”, poiché è assente in primo luogo dal suo paese di origine che ha lasciato, e in secondo luogo dal paese di arrivo in quanto in esso occupa una posizione sociale marginale.

Pertanto attualmente la migrazione si configura come un fenomeno complesso, ma soprattutto come un processo significativo che affonda le sue radici nella storia delle singole persone che lo vivono sulla propria pelle.

In particolare secondo il cosiddetto “approccio strutturalista”, che considera i fattori di tipo macro fondamentali nell’analisi delle migrazioni, i connotati attuali del fenomeno migratorio sono influenzati dalla significativa diffusione del capitalismo nella società e dalla struttura duale del mercato del lavoro.

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30. Abdelmalek Sayad, “La doppia assenza” (Milano: Raffaello Cortina, 1997), 170-171 cit. in Mara Tognetti Bordogna, “Donne e percorsi migratori. Per una sociologia delle migrazioni” (Milano: Franco Angeli, 2015), 18.

(29)

Più specificatamente secondo il sociologo ed economista politico Stephen Castles la globalizzazione, che caratterizza la società contemporanea, ha determinato un processo di “trasformazione sociale”, che ha riguardato sia i paesi di origine sia quelli di destinazione, generando le migrazioni.

Inoltre secondo l’economista Karl Polanyi “l’idea di trasformazione implica un cambiamento fondamentale dell’organizzazione della società che va al di là del processo incessante di cambiamento sociale in continuo operare.”31

In particolare Polanyi ha interpretato il liberalismo nel suo scomporre il mercato dal suo vincolo sociale e tale tentativo ha prodotto un contromovimento delle società che cercavano di riappropriarsi in modo violento della dimensione mercantile.

Perciò secondo Castles, il quale intende i processi migratori e di sviluppo interconnessi attraverso il processo di trasformazione sociale, propone il paradigma della trasformazione sociale (che era già stato esposto da Karl Polanyi nel 1944), in cui sostiene, partendo dall’ipotesi teorica che la società e il mercato sono strettamente legati tra loro, che la trasformazione sociale consente di spiegare la pretesa emancipazione della dimensione economica rispetto a quella sociale.

In altre parole Castels afferma, come Polanyi, che la trasformazione sociale produce un’autonomizzazione della dimensione economica, ossia i meccanismi economici sono autonomi nel senso che si riproducono attraverso riferimenti esclusivamente economici.

Quindi la migrazione è sia una conseguenza sia un fattore di rinforzo della trasformazione sociale, ossia si colloca all’interno di tale processo.

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31. Stephen Castles e Mark J. Miller, “L’era delle migrazioni Popoli in movimento nel mondo contemporaneo” (Bologna: Odoya , 2012), 80.

(30)

Pertanto la migrazione è l’esito della trasformazione sociale, ma anche una delle forme di tale cambiamento, di conseguenza i flussi migratori assumono una posizione centrale anche all’interno del processo di globalizzazione, ossia le migrazioni oramai costituiscono un aspetto ontologico della società capitalista contemporanea.

In particolare l’espansione del capitalismo ha provocato la crisi dei paesi di origine e lo sviluppo dei paesi di destinazione e di conseguenza la forza lavoro prevalentemente femminile è emigrata dai paesi di provenienza più poveri ed è confluita nei paesi di arrivo prescelti che sono più ricchi.

Effettivamente, in seguito al progresso economico, c’è stato un incremento dell’istruzione e della partecipazione delle donne al mercato del lavoro, che a sua volta ha aumentato la domanda di forza lavoro femminile a basso costo nei paesi di arrivo anche perché sono migliorate le condizioni sociali delle donne autoctone.

Inoltre secondo la sociologa Saskia Sassen, “la migrazione delle donne dai Paesi poveri verso i Paesi ricchi è spiegata anche dalla globalizzazione delle tradizionali mansioni femminili che comporta una redistribuzione, anch’essa globale, dei compiti spettanti alle donne. Inoltre, lo sfaldamento dei sistemi di produzione e redistribuzione dei beni, l’introduzione di sistemi intensivi di lavorazione della terra, la diffusione di forme nuove di consumo, lo sviluppo di città globali sono tutti fattori che incrementano i flussi migratori femminili.”32

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32. Mara Tognetti Bordogna, “Donne e percorsi migratori. Per una sociologia delle migrazioni” (Milano: Franco Angeli, 2015), 20.

(31)

Tuttavia se si considerano anche le variabili geografiche e culturali oltre a quelle relative al genere e quelle economiche secondo la “teoria del triplo svantaggio la classe, il genere, e la provenienza (etnia) contribuiscono a perpetuare per le donne della migrazione una condizione discriminatoria di tipo multiplo”33.

Nonostante l’approccio strutturalista consideri i fattori di tipo macro fondamentali per comprendere lo sviluppo dei flussi migratori internazionali, al fine di afferrarne adeguatamente il significato è necessario sottolinearne anche i fattori di tipo micro, quali ad esempio quelli soggettivi e relazionali.

Infatti secondo l’approccio delle reti migratorie la scelta di migrare soprattutto per le donne non è dettata da una decisione di un soggetto in quanto isolato dal suo contesto sociale e motivata esclusivamente da spinte di tipo strutturale, ma è significativamente connessa oltre che alle loro strategie migratorie anche alla loro storia di vita e alle loro reti sociali.

In particolare la valorizzazione della dimensione cosiddetta “meso”, ossia quella relativa alle reti sociali di appartenenza, consente di mettere in evidenza come la scelta di migrare, soprattutto per le donne, sia anche il risultato di una serie di dinamiche relazionali intricate, le quali fungono da collante tra il paese di partenza e quello di arrivo.

Difatti i network o le reti sociali all’interno dei processi migratori connettono i migranti e i non migranti, chi migra prima e chi migra dopo, donne e uomini, adulti e bambini.

Inoltre favoriscono, attraverso la mediazione delle strategie individuali e collettive e delle condizioni strutturali, la formazione di gruppi sociali caratterizzati anche dalla presenza di migranti e possono diminuire i rischi connessi alla migrazione.

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33. Ibid., 21.

(32)

Quindi la migrazione è un fenomeno caratterizzato da una fitta trama di legami sociali, che lo promuovono e che lo alimentano allo stesso tempo e che consentono di spiegare perché alcuni individui, che vivono in un medesimo paese e che ad esempio si trovano in condizioni economiche simili decidono di migrare di intraprendere un viaggio lungo e pieno di pericoli per migliorare le proprie condizioni di vita e altri invece che non se la sentono di farlo.

Secondo l’approccio del transnazionalismo la dimensione individuale e la dimensione familiare sono degli aspetti fondamentali del fenomeno migratorio e sono strettamente connesse attraverso le reti migratorie di tipo transnazionale.

In particolare il transnazionalismo è caratterizzato “dall’insieme dei processi attraverso i quali i migranti creano e sostengono relazioni sociali stratificate che collegano le società di origine con quelle d’insediamento.”34

Più specificatamente la famiglia transnazionale è quella in cui si riscontrano le seguenti caratteristiche: “una relazione continua con il membro della famiglia emigrato, un contributo rilevante, attraverso risparmi e regali, alla copertura dei costi sostenuti per migrare, l’aver mandato il familiare a vivere nel contesto migratorio presso i parenti e la dipendenza della famiglia dalle rimesse inviate dal famigliare all’estero per un periodo significativo”.35

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34. N. Glick Shiller, L. Basch e C. Blanc Szanton (a cura di), “Towards a Transnational Perspective on Migration: Race, Class, Ethnicity and Nationalism Reconsidered”, New York Accademy of Sciences, vol. 645, New York, (1992): 7, cit. in Mara Tognetti Bordogna , “Donne e percorsi migratori. Per una sociologia delle migrazioni” (Milano: Franco Angeli, 2015), 24.

35. Mara Tognetti Bordogna, “Donne e percorsi migratori. Per una sociologia delle migrazioni” (Milano: Franco Angeli, 2015), 27.

(33)

Dunque tale approccio sottolinea l’importanza della possibilità che i migranti hanno di mantenere le relazioni sociali, che hanno instaurato nel paese di origine così come quelle che creeranno nel paese di arrivo, attraverso le reti transnazionali.

Ad esempio, le donne che decidono di migrare per trovare un lavoro nel paese di destinazione che soddisfi le loro esigenze, comunicano con la propria famiglia mediante le attuali e avanzate tecnologie dell’informazione e della comunicazione, che consentono ai migranti di tenersi in costante contatto con le loro famiglie e con i loro amici e conoscenti.

In particolare attraverso la maternità transnazionale e anche mediante l’invio di rimesse e di regali, le donne migranti riescono ad esercitare il loro ruolo di madri, anche a distanza, senza essere sostituite completamente dalle altre figure parentali. Inoltre la famiglia riesce, quasi contemporaneamente, sia a aumentare il proprio reddito sia a accumulare risparmi utili a svolgere ulteriori incombenze future.

In particolare le donne migranti sono madri che “differenziano nello spazio e dispiegano nel tempo la trasmissione affettiva e che riproducono un significato nuovo di maternità, non più agito quotidianamente faccia a faccia, ma piuttosto attraverso il procacciamento di risorse economiche per il sostentamento della famiglia.”36

Più specificatamente di solito sono le altre donne presenti nella famiglia quali ad esempio le sorelle della donna migrante che si prendono cura della prole e dei familiari più anziani, di conseguenza la struttura delle relazioni sociali in famiglia si modifica significativamente al fine di appoggiare il progetto migratorio della donna.

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36. Mara Tognetti Bordogna, “Donne e percorsi migratori. Per una sociologia delle migrazioni” (Milano: Franco Angeli, 2015), 28.

(34)

Tuttavia spesso le madri transnazionali soffrono, in quanto non possono vedere crescere i loro figli e condividere con loro i momenti e le emozioni più importanti della loro vita e assistere in modo appropriato i loro familiari anziani, anche se riescono qualche volta a tornare nel loro paese di origine per rivedere i propri parenti e amici.

Pertanto la migrazione può generare dei legami transnazionali, che possono allentare, rinforzare, e trasformare, le relazioni economiche, culturali, e sociali all’interno della famiglia di origine dei migranti e fuori di essa e nei loro paesi di origine e di arrivo. In aggiunta a volte le donne sono protagoniste della cosiddetta “migrazione circolante”, la quale si verifica ad esempio quando decidono di migrare attraverso la strategia che “consiste nel ‘partire per non partire’ adottata da donne che migrano per periodi definiti e con un obiettivo lucrativo preciso: vendere o acquistare prodotti. Esse si avvalgono di reti migratorie, sia nel Paese di origine che nel Paese in cui svolgono le loro attività. Tipico è l’esempio delle donne che si muovono per le attività commerciali fra la Tunisia e l’Italia.”37

Quindi le donne migranti che spesso sono anche madri transnazionali riescono a volte nel corso del loro progetto migratorio ad adottare una forma peculiare di migrazione, ossia la migrazione circolante, attraverso delle strategie che consentono loro, come nell’esempio citato sopra, di lasciare il proprio paese di origine per un determinato periodo di tempo al fine di trovare un lavoro nell’ambito commerciale nel paese di arrivo e di conseguire delle risorse economiche.

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37. Mara Tognetti Bordogna, “Donne e percorsi migratori. Per una sociologia delle migrazioni” (Milano: Franco Angeli, 2015), 32.

(35)

In particolare, usufruendo delle reti migratorie transazionali, le donne migranti, oltre che rimanere in contatto con la propria famiglia di origine e con gli amici e conoscenti sia nel paese di partenza che in quello di destinazione, riescono ad organizzare e a gestire la loro attività commerciale mediante il pendolarismo fra i paesi.

Inoltre la maggior parte delle donne migranti che giungono in Italia, a causa dei mutamenti di tipo demografico del paese, del suo welfare familistico e dei cambiamenti indotti dalla globalizzazione, si colloca in uno specifico settore del mercato del lavoro: il lavoro domestico e in modo specifico nel lavoro di cura. In particolare la sociologa Mirjana Morokvasic sottolinea l’importanza della componente femminile all’interno flussi migratori, mettendo in evidenza come siano anche le donne a migrare e non solo gli uomini.

Più specificatamente analizza l’interdipendenza fra la discriminazione collegata al genere, alla classe e allo status di immigrato, enfatizzando il fatto che: “L’oppressione di un migrante o di uno straniero è quella sentita più aspramente e tende a neutralizzare gli altri due, a nascondere lo sfruttamento (per esempio) di un datore di lavoro maschile compatriota, o spingere le donne a prendere la posizione del marito quale che sia la propria posizione in relazione a lui.”38

Inoltre Mirjana Morokvasic sottolinea il fatto che esiste una significativa relazione fra il genere e lo status della classe operaia, in modo specifico le donne possono divenire autonome dal punto di vista economico dagli uomini se trovano un lavoro che consenta loro di ricevere uno stipendio, anche se questo processo le rende dipendenti dall’occupazione che svolgono.

Oltre a ciò siccome di frequente il lavoro che le donne trovano non è soddisfacente e non li consente di conseguire un vero e proprio riconoscimento sociale, l’unico modo per ottenerlo è il mantenimento del ruolo che esse rivestono in famiglia e che consiste nell’esecuzione delle mansioni familiari e domestiche.

Da ultimo le donne a volte possono accettare di rivestire tale ruolo all’interno della famiglia nel caso in cui ad esempio, vivendo in una società che manifesta un’avversione verso gli stranieri, la casa può rappresentare per loro un posto in cui si sentono al sicuro.

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38. Mirjana Morokvasic, “Birds of Passage are also Women…” In The international

Migration Review, ( Winter 1984): 894, http:// www. Jstor.org/stable/2546066.

(36)

Secondo Stephen Castles e Mark J. Miller la migrazione femminile è strettamente correlata al processo di “femminilizzazione delle migrazioni”, il quale è il risultato della trasformazione dei rapporti tra i generi e le generazioni nei paesi di partenza e al processo di “femminilizzazione del lavoro”, che rende questo tipo di forza lavoro particolarmente spendibile nel mercato internazionale del lavoro.

In particolare, secondo una ricerca condotta in Turchia dalla studiosa Ayse Akalin sulle donne che lavorano erogando servizi domestici nel paese, le donne migranti offrono la loro capacità di “diventare la persona giusta”, ossia precipuamente mettono a valore la loro flessibilità e le pratiche della loro vita, che rappresentano le caratteristiche principalmente richieste dai datori di lavoro sul mercato delle prestazioni altamente qualificate.

Tuttavia la vendita della capacità di diventare la persona giusta da parte delle donne migranti ai loro datori di lavoro spesso avviene in condizioni di dominio, ossia “indipendentemente dalle forme più estreme di vita domestica e di lavoro ‘alla pari’ lungo l’arco delle ventiquattr’ore, gli abusi diretti e l’insistenza sul fatto che una lavoratrice esegua mansioni degradanti, al pari della dimensione affettiva che spesso diventa una fonte di ricatto, caratterizzano la normalità del lavoro domestico e di cura.”39

Più specificatamente la domanda dei datori di lavoro secondo la Akalin è: “di una capacità ‘genderizzata’ […] che possa essere modellata e rimodellata in base ai bisogni dei datori di lavoro. I servizi che comprano dalle domestiche migranti non sono le loro personalità in quanto entità fisse, ma la capacità di plasmarle.”40

Quindi l’autrice con il concetto di “capacità genderizzata” si riferisce a quella che può essere racchiusa nel corpo vivo della lavoratrice, ossia riferita al “lavoro vivo” che essa svolge e di cui parlava Karl Marx.

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39. Sandro Mezzadra e Brett Neilson “Confini e frontiere la moltiplicazione del lavoro nel mondo globale” ( Bologna: Il Mulino, 2014), 141.

40. A. Akalin, “Hired as a Caregiver, Demanded as a Housewife: Becoming a Migrant Domestic Worker in Turkey”, in European Journal of Women’s Studies, Vol. XIV, n.3, (2007): 222 cit. in Sandro Mezzadra e Brett Neilson , “Confini e frontiere la moltiplicazione del lavoro nel mondo globale” ( Bologna: Il Mulino, 2014), 142-143.

(37)

In particolare quest’ultimo sosteneva che la forza lavoro era formata dal “lavoro vivo” e dal “lavoro morto” e sottolineava la distinzione di tali concetti nei seguenti termini: “c’è anche una tensione peculiare all’interno della forma-merce astratta insita nella forza lavoro, derivante dal fatto che essa è inseparabile dai corpi viventi. Diversamente da un tavolo, per esempio, il confine tra la forma-merce della forza lavoro e il suo ‘contenitore’ deve essere continuamente riaffermato e rintracciato.”41 Quindi la capacità di diventare la persona giusta è intesa come la potenzialità di generare altro lavoro e comprende le caratteristiche tipiche del lavoro riproduttivo femminile, come l’affettuosità, la dolcezza e la sensibilità, che rappresentano le abilità principalmente richieste e scambiate sul mercato internazionale del lavoro, in quanto ritenute necessarie per svolgere questo tipo di occupazione.

In particolare in Italia il processo mediante il quale le donne migranti si collocano nel mercato del lavoro e specificatamente nel settore del lavoro di cura è fortemente influenzato da alcuni eventi storici fondamentali.

Infatti nel corso degli anni ’60-’70, in seguito ai profondi cambiamenti causati dall’industrializzazione del paese, il mercato del lavoro italiano era caratterizzato da una maggiore richiesta di forza lavoro femminile.

In particolare il welfare state per svolgere nel miglior modo le sue funzioni aveva bisogno del sostegno della famiglia e dell’appoggio di una figura che, nel caso ad esempio di una malattia di un suo componente, riusciva in qualche modo a svolgere il ruolo della famiglia.

Quindi “le donne italiane si orientano sempre più verso il lavoro produttivo, lasciando spazi occupazionali liberi per il lavoro domestico ad altre donne.”42

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41. Sandro Mezzadra e Brett Neilson, “Confini e frontiere la moltiplicazione del lavoro nel mondo globale” ( Bologna: Il Mulino, 2014), 37.

42. Mara Tognetti Bordogna, “Donne e percorsi migratori. Per una sociologia delle migrazioni” (Milano: Franco Angeli, 2015), 85.

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