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L’impianto metodologico: alcune considerazioni preliminari

Per la complessità che accompagna il nostro oggetto di ricerca – il ruolo educativo dei padri con figli disabili – abbiamo scelto di adottare un ap- proccio prevalentemente qualitativo, guardando all’oggetto della nostra in- dagine come ad “una situazione unica, ed esemplare, rispetto alla quale il ricercatore si muove con metodi che non implicano l’uso di strumenti i cui dati rilevati siano trasferibili in ordini matematici. Egli opera per raccoglie- re impressioni, rappresentazioni individuali o collettive di specifici fatti ed esperienze” (Demetrio, 1992, pp. 11-12).

E’ importante aggiungere che l’approccio qualitativo non esclude necessa- riamente l’utilizzo di dati quantitativi “trasferibili in ordini matematici” (es. l’utilizzo di un questionario), senza però avere, in questo caso, la pretesa di generalizzare i risultati all’intera popolazione e/o di incidere a livello poli- tico (Lucisano, Salerni, 2002). L’approccio qualitativo privilegia una pro- spettiva di analisi che mira ad andare in profondità, alla ricerca di quei det- tagli e di quelle sfumature attraverso la centralità dell’ascolto profondo (Liss, 2004) delle persone che partecipano alla ricerca, nonché alle loro narrazioni (Demetrio, 2005) come risorse euristiche (Kanizsa, 1993), gene- ratrici di conoscenza.

Difatti, la ricerca in campo educativo ha, in generale, le caratteristiche di studiare fenomeni umani e/o educativi che generalmente chiamano in causa delle persone culturali (nel nostro caso, i padri).

L’analisi qualitativa non cerca, dunque, delle generalizzazioni, ma si occupa di capire le situazioni nelle loro singolarità, tenendo conto anche delle relazioni col contesto di appartenenza e quali significati le persone at- tribuiscono alle loro esperienze e agli eventi, con l’obiettivo di raggiungere una comprensione quanto più profonda, dal punto di vista dei partecipanti alla ricerca (Mantovani, 1995).

Prima di addentarci nel merito dell’impianto metodologico della ricerca oggetto di questo lavoro, proviamo a riportare alcune brevi considerazioni – in merito alla ricerca nel campo delle scienze sociali e educative – che han- no fatto da sfondo alle nostre riflessioni sul disegno di ricerca e che ci han- no orientato verso la scelta di un metodo (Dewey, 1933).

Senza ripercorrere tutte le tappe relative alla cosiddetta “guerra fra i para- digmi”, nonché al dibattito tra l’utilizzo delle metodologie quantitativo- sperimentali delle scienze definite hard e le metodologie utilizzate delle “altre” scienze26, si può affermare che la ricerca nell’ambito delle scienze

sociali e dell’educazione sia stata caratterizzata da questa contrapposizione metodologica, che ha poi visto il fiorire di una pluralità di opzioni paradig- matiche che sono espressione della razionalità postmoderna, dopo la messa in discussione del paradigma positivistico (Mortari, 2007). Per un lungo pe- riodo, gli indirizzi di ricerca che hanno adottato metodologie quantitativo- sperimentali hanno goduto di una maggiore considerazione da parte della comunità scientifica, sia in ambito italiano che internazionale. Come indi- cano Guba e Lincoln (1994), questa è una delle principali ragioni per la quale le scienze sociali anziché elaborare un proprio paradigma di ricerca all’interno del loro oggetto di studio, hanno preferito adottare e emulare quello elaborato dalle “scienze hard” – in virtù di una certa “scientificità” e

26Le “altre” scienze, notoriamente, sono state definite soft dove soft ha avuto un significato

dispregiativo, indicando una mancanza di rigore scientifico (Mortari, 2007; Guba e Lincol, 1994)

“oggettività” – anche se non si è sempre rivelato adatto a comprendere e a studiare la complessità dei fenomeni educativi e umani.

Dal punto di vista storico, possiamo infatti riconoscere due grandi pa- radigmi di riferimento: quello positivista e sperimentale e quello costrutti- vista e fenomenologico (Galliani, 1999; Gattullo e Giovannini, 1989) Il primo – quello positivista e sperimentale – è orientato verso una visione ontologica di una realtà singola, oggettivabile e osservabile dal soggetto, all’interno della quale è possibile rintracciare connessioni causali genera- lizzabili secondo una prospettiva nomotetica; mentre, il secondo è, invece, orientato verso una visione ontologica in cui sono più realtà, costruite, dia- logizzate e negoziate tra soggetti diversi. La prospettiva è quella del relati- vismo, basato sull’idea che il soggetto che conosce e l’oggetto conosciuto siano tra loro inseparabili (Vannini, 2009, p. 6)

Per le scienze sociali e dell’educazione il percorso di elaborazione verso la ricerca di un proprio metodo di indagine e, soprattutto, di una autorevolezza epistemologica è stato (e, forse, lo è ancora) un cammino “in salita”, poiché anche se l’approccio qualitativo sembra essere quello maggiormente ade- guato alla comprensione del mondo umano, raccoglie ancora molte critiche rispetto a quell’idea di non essere “abbastanza scientifico” e, d’altro canto, l’approccio quantitativo-sperimentale tout court è difficilmente realizzabile in educazione27. Insomma: la piena autorevolezza epistemologica sembra,

in entrambi i casi, mai pienamente raggiungibile.

In questo senso, Lumbelli (1980) distingue una possibile accezione dell’approccio qualitativo all’interno della ricerca quantitativa in educazio- ne, facendo riferimento alla dimensione qualitativa, nonché esplorativa della ricerca. Lumbelli considera che il momento qualitativo – in una di-

27Basti pensare ai nodi critici rispetto alla formazione del campione di controllo e di quello

sperimentale, il non poter tenere sotto controllo tutte le variabili, la non possibilità di fare esperimenti in laboratorio ma in ambienti reali come, ad esempio, un’aula e tutte le questioni etiche rispetto al perché “trattare” un gruppo piuttosto che un altro ecc.

mensione esplorativa – appartenga ad una fase della ricerca ben precisa che ha, appunto, la finalità di “esplorare” e di “sondare” l’oggetto della ricerca per arrivare alla formulazioni di ipotesi, che verranno verificate in una se- conda fase della ricerca la quale potrà prediligere una metodologia quanti- tativa.

Le tappe della ricerca quantitativa possono prevedere durante il proprio percorso l’introduzione dell’approccio qualitativo soprattutto in due mo- menti: come fase esplorativa per la definizione delle ipotesi oppure come fase conclusiva finalizzata ad approfondire l’interpretazione dei risultati, attraverso l’osservazione delle ricadute che essi hanno su specifici contesti educativi (Galliani, 1999).

Ritroviamo altri studiosi (Caronia, 2011; Mortari, 2007; Mantovani, 1995) che affermano che esistono fenomeni in ambito sociale ed educativo che, per loro stessa natura, non si possono indagare attraverso un metodo “clas- sico” di ricerca anche se questo non significa rinunciare né ad un rigore scientifico, né alla formulazioni di ipotesi, né ad una sistematicità attraver- so la quale si vanno a ricercare le risposte mediante un disegno della ricerca che prende le mosse dalla percezione dell’esistenza di un problema (Dewey, 1933) e prosegue attraverso le fasi della raccolta dei dati e le scel- te relative agli strumenti.

Attualmente, infatti, ritroviamo una generale tendenza a riconoscere ad entrambe le metodologie – quella quantitativo-sperimentale e quella quali- tativa – la stessa dignità scientifica, considerandole altrettanto valide, so- prattutto in base all’oggetto di indagine o, per meglio dire, le finalità per le quali si intraprende “quel” percorso di ricerca, che hanno una funzione re- golativa sul processo che si vuole avviare, anche attraverso una valutazione su questioni di tipo “pratico” – efficienza, economicità, tempo a disposizio- ne – e su questioni di tipo etico, come la coerenza e la correttezza del ricer- catore (Giovannini, 2012; Lucisano e Salerini, 2002).

E’ a partire da queste considerazioni che abbiamo iniziato a riflettere sul metodo più adatto al nostro oggetto di indagine e sulla scelta degli strumen- ti che ci consentissero di provare a dare delle risposte ai nostri interrogativi (es. come andare alla ricerca della realtà che vogliamo studiare? come in- dagarla?), partendo dalla definizione del problema e dalla sua rilevanza so- ciale (es. a chi potrebbe interessare questa ricerca? perché potrebbe essere importante intraprendere questa ricerca?)

Difatti, alla base di ogni processo di ricerca vi è – da una parte – una certa dose di curiosità che spinge il ricercatore ad intraprendere una strada piut- tosto che un’altra (“delimitazione del campo di indagine”), incontrando, ad un certo punto, la necessità di provare a ricercare una “soluzione” al pro- blema che si è scelto di indagare, con l’auspicio di “migliorare la vita delle persone”.